Oltre a filosofi apertamente irrazionalisti (come Bergson, Heidegger, Jaspers) ed idealisti (come Bradley, Croce o Gentile), delle cui filosofie ci interesseremo in un prossimo articolo, è necessario segnalare le figure di alcuni filosofi, che – pur partendo a volte da posizioni vicine a quelle empirico-logiche del Circolo di Vienna (N. 106) – sono approdati a posizioni critiche verso la scienza sperimentale, basata sul principio di induzione (che consiste nel risalire dai singoli fatti sperimentali ad una legge generale) e sulla verifica sperimentale delle teorie(1)(3)(7).
L’austriaco Karl Popper (1902-1994), dopo essersi staccato dal Circolo di Vienna, ne contestò le posizioni “neo-positiviste” dichiarandosi contrario allo “scientismo”. Il criterio della “verifica” sperimentale dell’enunciato scientifico non sarebbe valida, ma andrebbe sostituito con il criterio della “falsificazione”. Ogni teoria (che – secondo Popper - è molte volte di origine metafisica, e non sperimentale, e nascerebbe da nostri schemi mentali, intuizioni e ragionamenti logici preesistenti all’esperienza), per essere considerata scientifica, dovrebbe dare sempre la possibilità a chi la esamina di dimostrarne la falsità. Ciò avverrebbe controllando le singole conclusioni che si potrebbero ricavare per via strettamente logico-deduttiva a partire da un’asserzione di carattere generale che la teoria dovrebbe sempre contenere per essere considerata scientifica. Basterebbe una singola conclusione contraddittoria per “falsificare” l’intera teoria. Quindi, non sarebbe mai possibile verificare la verità di una teoria, ma solo verificarne la falsità.
Popper, di fede liberale ed anti-comunista, e sostenitore di una “open society” dove tutte le opinioni (anche quelle metafisiche) dovevano essere poste a confronto, affermava che le teorie di Marx non sarebbero scientifiche perché non obbedirebbero al criterio della falsificazione. Il principio di induzione non sarebbe mai valido. Sia l’induzione per “enumerazione” illustrata da Aristotele (in cui si esaminano un gran numero di casi per costruire un’affermazione generale), sia il criterio di “eliminazione” adottato da Bacone e Stuart Mill, in cui si scartano man mano le ipotesi che non rispondono ai fatti, non hanno valore perché i casi e le ipotesi sono infiniti ed è sempre possibile trovare un caso per cui la teoria sia falsa.
Coerentemente con queste posizioni Popper auspicava che – in alternativa alla Scienza sperimentale – si tornasse ad una Scienza “dimostrativa”, e giungeva ad affermare che anche una buona teoria metafisica coerente andrebbe presa in considerazione per essere sottoposta al criterio della “falsificazione”. Popper metteva in evidenza l’importanza della connotazione sociale e persino della psiche dello sperimentatore nella formulazione delle teorie, anche se poi parlava anche dell’importanza della verifica sperimentale che porta all’eventuale falsificazione.
Willard Von Orman Quine (1908-2000), ex frequentatore dello stesso circolo, considerato il massimo filosofo americano del secolo, professore ad Harvard, nega che vi sia differenza tra enunciati analitici (basati sulla logica) e sintetici (basati sull’esperienza), e quindi “verificabili” sperimentalmente con una “riduzione” alle osservazioni sperimentali di partenza, posizione sostenuta dai neo-positivisti del Circolo di Vienna e da Bertrand Russel (N. 106).
Nell’opera “I due dogmi dell’Empirismo” si ripromette di sconfessare l’empirismo. Ad ogni evidenza empirica possono corrispondere molte teorie diverse di varia natura, a seconda del contesto in cui stiamo agendo, e le teorie sono sempre complesse e riconducibili all’esperienza solo con molte mediazioni. Quine giunge a sostenere che credere nell’esistenza degli Dei omerici avrebbe la stessa dignità teorica del credere nelle onde elettromagnetiche!
Inoltre anche il linguaggio con cui esprimiamo un enunciato dipende dal contesto, e quindi il suo significato rimane ambiguo. Famoso è il suo esempio, divenuto quasi una barzelletta: cosa significa la parola “gavagai!” urlata da un selvaggio? Può assumere tanti significati a seconda dei punti di vista, per cui non è possibile prescindere dal contesto reale in cui viene pronunciata e dall’ambiguità dei molti significati del linguaggio.
Quine riprende anche un’idea del fisico francese, e storico della ricerca scientifica Paul Duhem (1861-1916) già sostenitore delle teorie convenzionaliste ed energetiste di Mach (N. 95). Secondo Duhem e Quine ogni teoria scientifica è una somma di tante singole teorie (concezione “olistica”, dal greco antico “olùs”, che significa “tutto”). È quindi molto difficile “falsificarla” (ed anche “verificarla” sperimentalmente, in accordo con le concezioni “riduzioniste” dei neo-positivisti) in quanto non è chiaro quale particolare teoria stiamo considerando falsa (o vera); per cui restano molti margini di ambiguità sulla validità di una teoria complessiva e possibilità di correzioni parziali per validarla.
Nonostante queste posizioni che sembrano portarlo verso forme di scetticismo antiscientifico, Quine mantenne una pur critica fiducia nella struttura della realtà, rappresentata dalla fisica (“Fisicalismo”). Egli fu inoltre sostenitore di una “Scienza naturale” in cui l’apprendimento umano dipende dalla fisiologia (intesa come potenzialità concreta delle terminazioni nervose) e dalla psicologia dell’individuo concreto, che egli interpreta essenzialmente in maniera comportamentale (“Behaviorismo”: vedi N. 100).
Decisamente più astioso verso la conoscenza scientifica basata sull’esperienza è il pensiero di un allievo di Popper e Wittgenstein, l’austriaco Paul Feyerabend (1924-1994) poi vissuto in Gran Bretagna, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Italia e Svizzera. Egli nelle opere “Contro il Metodo” del 1975, e “La Scienza in una Società libera” del 1978, critica l’intera tradizione razionalista e positivista, e persino il “razionalismo critico” del maestro Popper. La Scienza non va valutata per i presunti valori di conoscenza, ma pragmaticamente per i contributi, o gli ostacoli, posti al progresso umano. Essa sarebbe determinata da fenomeni storico-culturali, che variano continuamente, e sarebbe priva di oggettività. Feyerabend attacca apertamente anche Galilei, che in realtà non avrebbe seguito coerentemente il suo stesso metodo sperimentale. Feyerabend sottolinea il soggettivismo dello sperimentatore. Afferma che la scienza è vicina al mito e non è detto che sia la forma di conoscenza migliore. Gli scienziati adattano le loro ricerche alla loro ideologia ed alle esigenze dei loro referenti.
Su posizioni non molto diverse troviamo il professore di Harvard Nelson Goodman (1906-1998), che nell’opera del 1978 “Modi di costruire il Mondo” afferma che il mondo ha la struttura che noi gli diamo in base a ciò che pensiamo e facciamo. Su posizioni analoghe troviamo N.R. Hanson, secondo il quale gli scienziati costruiscono modelli entro cui i dati diventano per loro intellegibili (“Retroduzione”). Quindi nell’opera “I Modelli della Teoria Scientifica” del 1958 conclude che è il modello teorico ad organizzare le percezioni ed addirittura “creare i fatti”, e non viceversa.
Molte delle idee di Feyerabend e di Quine sono riprese dal noto storico statunitense della Scienza Thomas Samuel Kuhn (1922-1996), professore ad Harvard, Berkeley e ricercatore a Princeton(6). Per lui la Scienza si basa su alcuni “paradigmi” culturali, in cui sono presenti motivazioni politiche, religiose, ideologiche, che ne mettono in dubbio l’oggettività(5) (una tesi simile era stata sostenuta anche dal già citato Duhem che considerava la scelta di una teoria fisica come una costruzione simbolica dettata dalle condizioni storiche). Dopo periodi di “Scienza normale” che si basa su un certo paradigma, l’accumularsi di “anomalie”, cioè di contraddizioni, porta al crollo totale del paradigma che viene sostituito da un paradigma completamente nuovo, assolutamente “incommensurabile” con il precedente. Questo schema fu illustrato soprattutto nell’opera “La Struttura delle Rivoluzioni scientifiche” del 1962, anche se in seguito Kuhn tese a mitigare queste sue molto recise conclusioni approdando ad una visione ispirata ad una maggiore continuità nel progresso scientifico.
Su posizioni simili si schierò l’ungherese Imre Lakatos (1922-1974), ex allievo del marxista Lucaks ed ex esponente comunista, poi fuggito in Occidente nel 1956(8). Lakatos, molto legato sia a Kuhn che a Feyerabend, sostiene – come Quine e Duhem – che le teorie scientifiche sono un coacervo di teorie diverse con un nucleo comune. Quindi è semprea razionalità e dalla logica. Ritiene anche che esista una certa continuità tra le varie teorie che si susseguono, ognuna delle quali è valida in un certo ambito, salvo a subire modifiche ed approfondimenti per il verificarsi di nuove evidenze sperimentali (tesi sostenuta anche da Poincaré). Ritiene errate le critiche alla fisica sperimentale di Galilei - peraltro appassionatamente difeso dal fisico Renzetti(2) - condotte da Feyerabend e Duhem (che valorizzava, in alternativa, la fisica medioevale di Buridano e Oresme: vedi N. 30).
Un’altra forma di atteggiamento anti-positivista ed anti-scientifico – essenzialmente romantica, ed ispirata ad un pensiero del tipo di quello espresso da Rousseau – è quello che nel ‘900 è stato espresso dalla Scuola di Francoforte, ovvero l’Istituto per la ricerca Sociale fondato nel 1923 e poi chiuso dai Nazisti(1)(3)(5). La chiusura provocò la fuga negli Stati Uniti di quasi tutti i membri dell’Istituto, in gran parte ebrei, tra cui i filosofi Max Horckeimer (1895-1973) e Theodor Adorno (1903-1969), che nello scritto in comune “Dialettica dell’Illuminismo” del 1947 affermano che il progresso diventa regresso e che la ragione indifferente alla Natura è strumento di dominio.
Nella “Ecclissi della Ragione” – anch’essa del 1947 - Horkheimer criticherà ulteriormente la società industriale che sfrutta la Natura. Sulla stessa strada si pone Herbert Marcuse (1898 – 1979) che nell’opera “Eros e Civiltà” del 1955 parla di un’esistenza liberata dalla repressione sessuale che per lui è funzionale a questo tipo di società. Altre critiche alla società industriale capitalistica sono contenute nello scritto del 1964: “L’uomo ad una Dimensione”.
Queste idee diverranno idee portanti della frangia più radicale ed irrazionalista della grande rivolta studentesca del 1968 iniziata nell’Università di Berkeley. Alcune delle impostazioni di questo gruppo di filosofi sono state fatte proprie anche dall’ala più fondamentalista del moderno movimento ambientalista, dimentico che solo Scienza e tecnica potranno salvarci dal cattivo uso della Scienza e delle tecniche precedenti. A proposito delle più recenti posizioni ambientaliste, rimandiamo anche al ponderoso ed interessante libro dell’amico Giancarlo Paciello citato in bibliografia(4).
Vincenzo Brandi
(1) L. Geymonat, “Storia del Pensiero filosofico e scientifico”, VII, Garzanti Ed. 1970-1972
(2) R. Renzetti, “Dal mondo di Aristotele all’opera di G. Bruno e G. Galilei”, Tempesta 2016
(3) W. Adorno ed altri, “Storia della Filosofia”, Laterza 1987
(4) G.Paciello, “No alla Globalizzazione dell’indifferenza”, Petit Pleasure 2017
(5) Ciccotti, Cini ed altri., “L’Ape e l’Architetto”, FrancoAngeli, 2011
(6) S. T. Kuhn, “La Struttura delle Rivoluzioni scientifiche”, 1962
(7) R. Egidi, “La Svolta relativista dell’Epistemologia contemporanea”, Ed.FrancoAngeli
(8) I. Lakatos,”The History of Science and its rational reconstruction”, 1971
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