Filosofia e scienza. Logica e matematica

 


Nel corso dell’800 si  verificava una specie di convergenza tra la matematica, che divenne sempre più ispirata alla logica, e la logica, che assunse caratteri sempre più matematici(1). Abbiamo anche visto come in questo clima si siano sviluppate le geometrie non euclidee con Riemann, Beltrami, Klein, ecc. In questo articolo intendiamo descrivere per sommi capi alcuni sviluppi sia nel campo più specificamente logico, sia in quello della logica matematica che portò una rivoluzione nel campo dell’aritmetica che fino ad allora era stata ancella della geometria (anche se già Lagrange aveva privilegiato la matematica numerica e Klein aveva sottolineato il collegamento tra le varie forme di geometria e la teoria algebrica dei gruppi).

Mentre in Germania all’inizio del secolo continuò a svilupparsi una logica di tipo metafisico-idealistico, una svolta decisiva, nel senso di dare un carattere sempre più formale alla logica sulla scia di Leibniz e Lambert (vedi NN. 53 e 58), fu quella imposta dall’inglese George Boole (1815-1864) nel 1847 con l’opera: “L’Analisi matematica della Logica: Saggio di un Calcolo del Ragionamento deduttivo”, scritto collegato alla contemporanea deriva logicista dell’algebra britannica (v. N. 72). Ad essa seguì nel 1854 “Una Ricerca sulle Leggi del Pensiero sulle quali sono fondate le Teorie Matematiche della Logica e della Probabilità”, considerata il suo capolavoro.

Utilizzando in parte anche tematiche del precedente logico inglese August De Morgan (1806-1871), che aveva cercato di ampliare l’antica logica sillogistico-aristotelica, Boole esaminò la logica sia da un punto di vista linguistico, sia psicologico-matematico. Egli riteneva che il linguaggio fosse insufficiente ad esprimere le operazioni mentali ed intendeva creare una vera scienza del ragionamento simbolico. Per ottenere questo risultato creò un’algebra della logica, cioè un vero e proprio sistema di equazioni che avrebbero dovuto esprimere le operazioni mentali in forma simbolica, da cui sarebbero scaturite soluzioni e conclusioni corrette. Il linguaggio matematico sarebbe stato quello più adatto al pensiero logico perché non è legato a nessun oggetto particolare, e quindi è universale.

Questa tendenza fu sviluppata dal tedesco Ernst Schroeder (1841-1902), mentre idee simili furono diffuse anche negli Stati Uniti da Charles Sanders Pierce (1839-1914), pensatore sul quale torneremo quando esamineremo aspetti della filosofia nord-americana, che però rivalutò parzialmente anche il linguaggio “naturale”. Nella seconda metà del secolo un altro tedesco, Gottlob Frege (1848-1925) nell’opera “Ideografia, un Linguaggio in Formule del Pensiero puro a imitazione di quello aritmetico” auspicò una logica pura sempre più ispirata al linguaggio matematico. Egli però fu un pensatore più versatile di Boole e si interessò anche di logica matematica (cioè di logica applicata alla matematica) dando un contributo significativo alla nascita della “Teoria degli Insiemi” (cioè “classi” di oggetti aventi una stessa proprietà), ed allo stesso concetto logico di numero, che definì come “pluralità di pluralità” (1884). In effetti, il formalismo logico esasperato di Boole aveva rischiato di diventare sterile e di non risultare utile nemmeno alla stessa logica matematica che si stava sviluppando negli stessi anni, come è sottolineato anche nell’opera di Geymonat. La logica troppo astratta rischia sempre di approdare a risultati sterili ed improduttivi, come già nell’antico caso di Parmenide.

Frege considerava la matematica come un prolungamento della logica deduttiva e come un sistema logico di tipo ipotetico-deduttivo – a partire da assiomi iniziali (regole fondamentali non dimostrate) - che si interessa di entità astratte del tutto indipendenti dai fenomeni reali (con eventuali applicazioni alla fisica ma solo per i fenomeni che rispettino alcune caratteristiche, come la continuità). I suoi strali polemici si diressero soprattutto contro le concezioni empiriste di Stuart Mill e Helmholtz (NN. 75-82) che sostenevano la tesi di un’origine induttiva ed empirico-psicologica del numero. In quegli anni, intorno al 1870, si era andato formando il concetto di “numero reale” derivato da considerazioni di Cauchy (N. 72) sulle “serie convergenti” e si discuteva sui concetti di “continuità” dei numeri e “infinità”, anch’essi già affrontati da Cauchy, che – però - aveva fatto ricorso a modelli geometrici, come era stato tipico di Newton con il cosiddetto “Metodo delle Flussioni”.

Questi argomenti venivano ampiamente sviluppati dai contemporanei matematici tedeschi Richard Dedekind (1831-1916), Karl Weiestrass (1815-1897), e soprattutto Georg Cantor (1845-1918) senza ricorrere all’aiuto della geometria, con metodi solo aritmetici. Già all’inizio del secolo il logico e matematico ceco Bernard Bolzano (1781-1848) aveva affrontato da un punto di vista logico-matematico i concetti di “limite”, “serie convergente”, e “derivata”, senza ricorrere a modelli geometrici. Nella sua principale opera, la “Dottrina della Scienza” del 1837, aveva analizzato le condizioni di verità di una proposizione ed aveva preceduto Cantor nelle sue considerazioni sui concetti di “insieme” e di “infinito”.

Gli anni 1872-74 risultarono decisivi per la nascita dei nuovi fondamenti dell’aritmetica, delle teorie innovative sui “numeri naturali” (successione 0, 1, 2, 3, ecc.), “razionali” (rapporto di due grandezze commensurabili), “irrazionali” (rapporto di grandezze incommensurabili), e “reali” (che comprendono tutti i numeri), nonché sul problema dell’infinità e della continuità dei numeri. Comparvero lavori di Dedekind, e di Cantor, allievo di Weierstrass. Nei loro scritti, che continuarono ad essere pubblicati anche negli anni seguenti, l’aritmetica era vista come una branca della logica indipendente dallo spazio geometrico e dal tempo, dipendente solo dalle leggi del pensiero e frutto della creatività della mente. Venivano introdotti i concetti di “insieme” o di “classe”. A questi studi dette un contributo notevole anche la scuola italiana rappresentata dal pisano Mario Pieri (1860-1913) e soprattutto dal piemontese Giuseppe Peano (1838-1932), che – oltre ad interessarsi di equazioni differenziali - tradusse le nuove idee di logica matematica in una serie di celebri assiomi (come poi farà anche il tedesco Hilbert di cui ci occuperemo nel prossimo numero).

Il più caratteristico rappresentante di questo gruppo fu Cantor, sostenitore di una completa libertà creativa(2). Superando l’idiosincrasia di Aristotile (ma anche di Gauss) per l’infinito “in atto” (N. 13), Cantor affrontò disinvoltamente il difficile concetto di infinito considerato come un insieme che può contenere al suo interno altri insiemi infiniti, ed a cui si possono sempre aggiungere quantità finite fino a giungere ad un infinito di ordine superiore. Definì l’insieme come “una riunione in un tutto di oggetti della nostra intuizione e del nostro pensiero”. Ogni insieme è caratterizzato da unnumero cardinale” che definisce il suo ordine di grandezza (che prescinde dall’ordine e dalla natura degli oggetti costituenti) e da un numero d’ordine (“ordinale”) che indica la successione degli oggetti costituenti un insieme. Cantor stabilì che l’insieme infinito dei numeri reali era di ordine (“cardinalità”) superiore a quello dei numeri naturali, e che non vi erano infiniti di ordine intermedio tra i due (cosiddetta “Ipotesi della Continuità”, tuttora indimostrata e quindi rimasta solo come congettura). Sugli insiemi sono possibili operazioni di somma, sottrazione, ecc.

Il grande lavoro dei precedenti pensatori troverà il suo sviluppo più significativo nell’opera di David Hilbert (1862-1943), a lungo professore nella prestigiosa università di Gottinga, autore di un famoso sistema di assiomi matematici basati solo su principi logici arbitrari, indipendenti e non contraddittori, privi di ogni collegamento con la realtà(3). Questo sviluppo è considerato – anche nell’opera di Geymonat – di grande significato sia per la matematica che per la filosofia, anche se oggi molti dubitano della sua validità ed utilità. Per la sua rilevanza vi torneremo in un prossimo numero. Intanto bisognerà – però - ricordare che nel Congresso di Zurigo del 1897 furono evidenziate alcune contraddizioni nel sistema di Cantor, di cui una segnalata dal logico italiano Burali Forti (“antinomia di Burali Forti” riguardante i numeri ordinali) ed un’altra riguardante l’insieme con numero cardinale massimo (comprendente il “tutto”, che per Cantor avrebbe avuto addirittura un carattere divino dotato di regole proprie imperscrutabili, argomento in verità piuttosto discutibile). Già in precedenza il lavoro considerato troppo “creativo” di Cantor aveva sollevato le critiche di Kronecker, che lo considerava un “ciarlatano”, e le perplessità del grande Poincaré che aveva molti dubbi sull’utilità di grandi costruzioni basate sulla logica pura. Nel 1903 una comunicazione del filosofo logico gallese Bertrand Russell (1872-1940) metteva in crisi anche l’impostazione logica di Frege, riscontrando una contraddizione nei suoi scritti (“Antinomia di Russell”, riguardante le classi che non comprendono sé stesse), per cui il filosofo tedesco sospese i suoi studi. Nel 1910-1913 fu pubblicata la monumentale opera “Principia Mathematicascritta insieme dallo stesso Bertrand Russell e dall’altro filosofo logico inglese, Alfred North Whitehead (1861-1947). Con essa i due autori intendevano esporre i principi logici della matematica, liberandoli dalle possibili contraddizioni, ma questo obiettivo si dimostrò illusorio, rafforzando critiche e dubbi sull’utilità e la coerenza di tutti questi grandi sistemi logici. Torneremo sull’argomento esaminando più ampiamente nei prossimi numeri il pensiero dei due filosofi britannici e quello di altri autori.

Vincenzo Brandi



  1. L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970

  2. RBA, “le Grandi Idee della Scienza – Cantor”

  3. RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Hilbert”

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