Storie zen tra il sonno e la veglia


10 regole zen per vivere come un gatto
Un maestro Zen, Fui Hai, aveva un grande monastero. Il monastero aveva due ali, destra e sinistra, e nel mezzo c’era la sua casetta. Aveva un bellissimo gatto e tutti i monaci del monastero lo adoravano. C’erano quasi mille monaci, cinquecento da una parte e cinquecento dall’altra. E litigavano, in particolare quando il maestro non era in casa. Il problema era il gatto: chi doveva tenerlo?
L’ala destra diceva: “Appartiene a noi, siamo i più anziani”. Era vero; l’ala destra era stata instituita per prima e l’ala sinistra fu aggiunta in seguito. Ma l’ala sinistra diceva: “È vero che l’ala destra è stata costruita per prima, ma il gatto non c’era, è arrivato quando è stata costruita l’ala sinistra. Appartiene a noi”. Era una lotta costante e il gatto era sballottato da una parte all’altra. 
Il maestro si stufò di tutta questa faccenda e delle lamentele quotidiane. Un giorno radunò tutti i monaci, tranne uno che era andato in città per acquistare alcune cose per il monastero, e disse: “Oggi metterò fine a questa lite costante tra le due ali”. Prese un coltello e aggiunse: “O decidete che questo gatto appartiene a un’ala e allora la sua vita può essere risparmiata; altrimenti lo taglierò in due e darò metà del gatto a ciascuna ala. Pare che non ci sia un altro modo: deve essere diviso”.
Tutti amavano il gatto e volevano che vivesse nella loro ala, ma rimasero in silenzio.
Il maestro disse: “Se qualcuno può fare qualcosa per dimostrare la sua comprensione e la sua meditazione profonda, a qualunque ala appartenga, sarà il proprietario del gatto insieme a quell’ala. Si faccia avanti e salvi la vita del gatto; altrimenti il gatto è finito”.
Ma i monaci sapevano di non poter ingannare il maestro. Aveva una visione così chiara che non potevano far finta di essere dei grandi meditatori, quindi nessuno si fece avanti. 
Il maestro tagliò il gatto in due e ne diede metà a ciascuna ala. 
Tutti erano tristi, perché cosa puoi fare con metà gatto? E anche il maestro era triste, perché su mille monaci nessuno era riuscito a fare qualcosa per salvare il gatto.
In quel preciso momento, mentre il maestro era seduto tristemente insieme a tutti i monaci, l’unico che non si trovava nel monastero tornò dalla città e udì tutta la storia di quello che era successo. C’era sangue, il gatto era morto e ogni ala ne aveva metà.
I monaci dissero: “Non ci saremmo mai aspettati che il maestro fosse così crudele, così duro; è una persona così amorevole e compassionevole. Ma non possiamo biasimarlo; ci ha dato una possibilità”.
L’uomo si avvicinò al maestro e gli diede un bel pugno in faccia.
Il maestro rise e disse: “Se tu fossi stato qui, il povero gatto sarebbe stato salvato. Hai dimostrato la tua meditazione: senza la meditazione non avresti colpito il tuo maestro; per colpire il maestro devi sapere che non sei il corpo e che, quindi, anche il corpo del maestro non è il maestro. Non hai colpito il maestro, ma solo il corpo! Ed è quello che ho fatto anche io: ho tagliato solo il corpo, non il gatto. Il gatto è ancora vivo, rinascerà altrove. Ma sei arrivato un po’ in ritardo”.

Zen e bugia: fra arte e religione - Pagine Zen

C’è un’altra storia su Lin Chi, un maestro Zen giapponese. 
Aveva un discepolo al quale aveva dato il tradizionale koan Zen su cui meditare: “Medita sul suono di una sola mano”. 
Questo è assurdo. Una mano sola non può applaudire e non può emettere alcun suono. Senza battere le due mani non c’è possibilità di produrre alcun suono. 
“Meditaci su e quando avrai trovato il suono di una sola mano, vieni a riferire”.
Il giovane monaco uscì in giardino, si sedette sotto un albero e provò in molti modi a pensare a cosa potesse essere il suono di una sola mano. All’improvviso, udì un cuculo tra i bambù e disse: “Deve essere questo!”. 
Si precipitò dal maestro e disse: “L’ho trovato. È il cuculo tra i bambù”.
Il maestro lo colpì duramente sul viso e disse: “Non essere sciocco; la prossima volta sii un po’ più intelligente. Vai e medita ancora!”.
Tornava ogni giorno e, a poco a poco, diventò una tale situazione… A volte arrivava con il vento che soffia attraverso i pini e crea un certo suono... A volte era l’acqua che scorre producendo suoni... A volte era il fulmine tra le nuvole. Lentamente diventò una specie di routine. Il maestro non lo lasciava nemmeno parlare: appena entrato lo schiaffeggiava e gli diceva: “Torna indietro e medita”.
Il monaco diceva: “Ma non te l’ho ancora detto...” e il maestro rispondeva: “So cosa dirai. Vai e basta. Medita di più!”.
Il monaco di lamentò con gli altri monaci: “Mi sembra troppo. Prima almeno ascoltava la mia risposta; ora presume che sarà sbagliata!”.
Ma un giorno non arrivò. Trascorsero due giorni e poi sette giorni... Il maestro andò all’albero dove era solito sedersi a meditare e il monaco era lì, completamente silenzioso.
Il maestro lo scosse e gli disse: “Quindi alla fine l’hai udito. Questo è il suono di una sola mano che applaude, questo silenzio... Ma perché non sei venuto a riferire?”.
Disse: “Ho dimenticato tutto; il silenzio era così dolce, così beato. Ti sono grato di non avere mai ascoltato le mie risposte e di aver continuato a darmi duri colpi. La tua compassione è al di là della portata della gente comune”.
Osho  
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