Per millenni le culture orientali hanno cercato di raggiungere esperienze fuori-dal-corpo attraverso stati di meditazione (Becker 1993). Interessata al fenomeno nel 2004, mentre facevo ricerca al 21 century Centre of Exellence on Death and Life Studies dell’Università di Tokyo, sono stata invitata ad una tavola rotonda con Hiroshi Motoyama, sacerdote Shinto noto in Giappone come visionario e guaritore nel suo tempio nella periferia di Tokyo. (…) Rimasi molto sorpresa nell’apprendere che Motoyama pratica regolarmente la meditazione dalle tre del mattino fino alle dieci o a mezzogiorno, e qualche volta addirittura per tutta la giornata, senza mai saltare un giorno. Questo esercizio quotidiano lo ha portato a capire come “uscire dal suo corpo a volontà”, ma ovviamente non senza sforzo. Secondo quanto dichiara:
Ciascuna sessione di meditazione è paragonabile ad una situazione in cui un guerriero samurai mette a repentaglio la sua vita in un duello alla spada. E’ un compito estremamente difficile vincere il proprio Io, resistendo alla sensazione di dolore e di disagio.
Questo stato di dolore può essere legato al lungo digiuno e ad altre pratiche rituali che possono aver alterato in qualche modo le sue funzioni cerebrali. Per esempio abbiamo una quantità crescente di dati che dicono che persone sottoposte a deprivazione sensoriale per un lungo periodo di tempo hanno immagini visive simili a esperienze fuori-dal-corpo. Tuttavia solo quando questo senso di dolore e di disagio è scomparso la sua coscienza è diventata gradualmente chiara e trasparente, consentendogli di fare la sua prima esperienza fuori-dal-corpo. Ha detto:
Una mattina durante un esercizio iniziale, ho cominciato a sentire che il dolore e il disagio stavano gradualmente svanendo e questa sensazione era accompagnata dalla mia coscienza che diventava gradualmente chiara e trasparente. Era uno stato di calma. Poi nel momento in cui ho cominciato a sentirmi calmo, la mia anima improvvisamente è uscita dal mio corpo e mi sono trovato a guardare giù verso il mio corpo, seduto in meditazione, avevo gli occhi chiusi, potevo vedere chiaramente, per esempio, i gradini di fronte all’altare, le finestre, il soffitto e il cuscino su cui ero seduto. Mi sentivo molto strano e confuso, mi chiedevo che cosa fosse successo, ma al tempo stesso avevo la sensazione che non fosse nulla di straordinario. Nel giro di una decina di minuti, sono tornato nel mio corpo. Poi ricordo di essere rimasto in una sorta di stato di beatitudine per varie ore. Meno di un mese dopo, ho avuto un’altra esperienza della Kundalini che saliva attraverso il tubo centrale del midollo spinale. Questa esperienza mi ha consentito di uscire dal mio corpo quando volevo. (Motoyama 2009)
Hiroshi Motoyama ritiene di essere riuscito, grazie alle pratiche di meditazione, a risvegliare una dimensione di coscienza più elevata. Ho colto l’occasione di discutere con lui alcune caratteristiche dell’esperienza perimortale, come l’incontro con altri esseri e con Dio. Motoyama crede che esistano molte dimensioni ontologiche degli esseri, le cui interazioni possono verificarsi a livello sia verticale che orizzontale. Queste ultime avvengono nella stessa dimensione o “luoghi di coscienza” (per esempio: incontriamo altre persone e comunichiamo con loro. Una comunicazione analoga avviene anche nel resto dei mondi animale e vegetale. In questo senso una pianta comunica con una pianta, un coniglio con un coniglio, e così via). Secondo Motoyama, diversa è la natura di una “relazione verticale”, che si verifica fra esseri che appartengono a dimensioni o “luoghi” diversi. Un esempio è l’incontro con “Esseri di Luce” o con parenti scomparsi durante una esperienza di pre-morte. Motoyama ipotizza che una tale interazione sia possibile perché esiste un Basho (un “luogo” o “campo” che appartiene simultaneamente a più esseri. In una delle sue molte pubblicazioni ha scritto:
Perché gli esseri possano esistere, deve esserci un basho della stessa dimensione in cui sono collocati, dove ciascuno riconosce gli altri come omogenei al suo stesso essere, e insieme riconosce il proprio essere come eterogeneo rispetto agli altri esseri. (Motoyama 2009)
Cosa interessante, Motoyama ha definito l’espressioni Basho in termine di “Mondo dei Luoghi”, per descrivere lo stato mistico di Samadhi. Ha osservato come in tali situazioni si manifesti una disintegrazione completa dell’ego, dove non esiste più alcuna distinzione tra il soggetto meditante e il Luogo (Basho) circostante. In tema di Esperienze di pre-morte, Motoyama crede esse siano una manifestazione del “Mondo dei Luoghi”, accessibile solo in momenti particolari come ad esempio stati di meditazione molto profondi. Altre tradizioni orientali hanno colto questo concetto in vari modi. Per esempio si trova l’idea di Purusa nello yoga, di Atman nel Vedanta, del Tao nel taoismo, che fanno tutte riferimento a quella che Nishida definiva la sfera del “sé autentico” (Nishida 1990) ossia la parte più profonda di noi che spesso dimentichiamo.
Brani tratti dal libro di Ornella Corazza *: “Viaggi ai confini della vita (Esperienze di pre-morte ed extra corporee in Oriente ed Occidente: un’indagine scientifica)
* Ornella Corazza è docente e ricercatrice nel campo delle dipendenze, della salute mentale e degli stili di vita all’Università dell’Hertfordshire, in Inghilterra.
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