"Noi non vogliamo essere gli ottusi sostenitori di regimi la cui
esistenza è inevitabilmente legata alla storia. Ma non possiamo non
riconoscere e ammirare lo spirito aristocratico, guerriero ed eroico
che animò Uomini e movimenti che rivendicarono l’affermazione di un
Ordine Europeo, contro la sovversione dell’americanismo e del
bolscevismo.
Nell’Europa agonizzante del maggio del ’45, nel fumo e nelle macerie
di una Berlino rasa al suolo, si suggellava, col sangue e con il
sacrificio dei volontari francesi della 33 Divisione SS Charlemagne,
l’invincibile, eterno mito d’Europa.
Pubblicando questo articolo, tratto dal “Nexus – new times”
Ottobre-Novembre 2015, n. 118, vol. 5, che dà anche una chiave
“esoterica” del sacrificio dei trecento difensori di Berlino, vogliamo
rendere onore a chi tenne alti e testimoniò gli immutabili Valori
della Civiltà." (Azione Tradizionale)
I 300 difensori di Berlino
La tragica vicenda dei volontari francesi della 33esima Divisione SS
Charlemagne chiamati a difendere la capitale tedesca, che dopo una
strenua resistenza contro un numero di sovietici immensamente
superiore e il sacrificio di quasi tutti i loro effettivi, verranno
poi giustiziati per ordine dei Generale francese Leclerc.
Parte “palese”…
Quando si parla di 300 uomini che difesero fino all’estremo sacrificio
un lembo di terra e/o un ideale contro 2,6 milioni di nemici, il
pensiero corre subito a Leonida e ai suoi 300 spartani alle Termopili.
Pochi sanno che l’analogia di 300 uomini nella storia si è ripetuta
più volte, l’ultima accaduta circa 70 anni fa.
Gli ultimi difensori del III Reich tedesco a Berlino non furono
tedeschi, ma volontari francesi della 33esima Divisione SS Charlemagne
affiancati da altri volontari, per lo più danesi, della Divisione SS
Nordland.
L’arruolamento della Charlemagne iniziò il 25 agosto del 1941 in una
caserma presso Versailles. La divisa si distingue da quella delle
altre SS per lo scudetto tricolore francese sulla manica sinistra
della giacca militare.
Dopo lo sfondamento delle alture di Seelow a circa 80 km da Berlino –
oggi sul confine polacco – milioni di militari sovietici iniziarono
l’accerchiamento della città. L’esito del conflitto era segnato, nel
loro cuore questi ragazzi avevano già accettato la sconfitta militare,
eppure non si arresero, anche se avrebbero potuto ripiegare verso
Ovest e al limite cercare di difendere da quelle zone, visto che in
principio si trovavano fuori dall’accerchiamento della capitale.
La mattina del 24 aprile 1945 arrivò un telegramma dalla Cancelleria
di Berlino, direttamente da Hitler, con l’ordine per i volontari
francesi di formare un battaglione d’assalto, entrare dentro la sacca
di Berlino ormai accerchiata e difendere la capitale.
Vengono scelti i migliori granatieri, sono in 400: è la mattina del 24
aprile 1945, 8 grossi camion si mettono in marcia. Soltanto quattro
ore prima Hitler festeggiava il suo 56esimo compleanno e alla radio
annunciava: “Se nei giorni e nelle settimane prossime ogni soldato del
Fronte Est compirà il suo dovere, l’ultimo assalto delle orde
asiatiche fallirà … Berlino resterà tedesca, Vienna e l`Europa non
saranno mai russe …”.
La colonna di 8 camion con i 400 volontari deve percorrere strade
ormai inesistenti, ponti saltati, percorsi alternativi in una capitale
ormai irriconoscibile e sotto il continuo bombardamento dell’aviazione
e dell`artiglieria russa. È in questo momento che accade un fatto
apparentemente non importante, ma come vedremo in seguito fondamentale
per la storia palese, e forse anche per quella nascosta.
Due camion si perdono e sono costretti a tornare indietro: gli ultimi
volontari francesi della 33esima Divisione SS rimangono in 300 … La
zona assegnata loro è la parte Sud-Est di Berlino, gli ordini sono di
ricongiungersi con ciò che resta della Divisione Nordland, ma i 300
francesi restano autonomi, l’altra Divisione li sorreggerà solo nei
fianchi, finché le sarà possibile.
I combattimenti sono violentissimi, le forze sovietiche sono
infinitamente superiori eppure, con una violenza inaudita, i 300
volontari non solo respingono ogni sortita offensiva russa, ma
addirittura passano al contrattacco, furioso al punto da costringere i
Russi a ritirarsi di centinaia di metri. Il comando sovietico crede
che in quella zona non ci sia solo un gruppo di uomini, ma un’intera
Divisione di SS. Nonostante questo, il comando decide di farli
ritirare per riorganizzare la resistenza, temendo che possano rimanere
troppo dentro la sacca russa, e quindi poi accerchiati (anche se i
russi avevano già chiuso l’accerchiamento sulla capitale): ma i
combattimenti nei quartieri continuavano violentemente.
Era da molto che i berlinesi non vedevano soldati andare in battaglia
cantando, quindi escono dalle cantine e offrono ristoro ai volontari,
in definitiva gli ultimi difensori di Berlino. Un ufficiale dirà: “I
berlinesi dovranno ricordarsi di noi!”
Nuovo ordine: quel che resta del battaglione d’assalto della Divisione
deve difendere gli ultimi edifici intorno alla Cancelleria e quindi la
Cancelleria stessa, nonché il bunker di Hitler e cioè l’ultimo
chilometro quadrato di quello che restava del III Reich.
Non dormono da giorni, mangiano quello che riescono a trovare,
sembrano spettri dentro uno scenario da inferno dantesco, il senso
della realtà si sbriciola nelle loro menti ma non nei loro cuori: non
esiste più passato né futuro, ma solo un interminabile presente,
eppure resistono …
Le munizioni iniziano a scarseggiare: il 30 aprile apprendono del
suicidio di Hitler, ma non si arrendono, non sono li per difendere
Hitler, ma un chilometro quadrato ideale di lembo di terra, anzi di
macerie. La Cancelleria è solo a 800 metri, ma non mollano; gli altri
combattenti che difendevano Berlino si arrendono tutti, loro no – i
volontari sanno che se cadono loro cadrà anche Berlino – sono gli
ultimi difensori, l’ultimo reparto appunto.
I sovietici scatenano l’artiglieria, l’aviazione, lanciano decine di
carri, la lotta, se fino ad allora sembrava impossibile, ora diventa
assurda, le perdite ormai sono insostenibili: dei 300 iniziali, non
restano che 3 ufficiali, 4 sottufficiali e una ventina di soldati. In
6 giorni il battaglione ha perso più del 90% dei suoi effettivi,
eppure resistono, con gli ultimi Panzerfaust distruggono decine di
carri sovietici, al punto che ì soldati russi vengono costretti sotto
la minaccia delle armi a salire sui carri armati e dirigersi verso lo
scontro, anche se è una missione suicida.
L’immane potenza nemica alla fine ha la meglio sugli ultimi difensori
di Berlino, che cadono sul posto, ma un gruppo non si arrende, e
tramite i sotterranei della Metropolitana riesce a sfuggire alla
cattura da parte russa. Dodici di loro però non avranno fortuna perché
presi dagli Americani, dopo essere riusciti, incredibile ma vero, ad
uscire dall’accerchiamento russo, vengono consegnati ai francesi di De
Gaulle, che senza processo li giustizieranno sul posto. Probabilmente
irritati da un fatto: i francesi di De Gaulle indossavano divise
americane ma con simboli francesi, e quando il Generale Leclerc chiese
ai 12 della Charlemagne catturati perché indossassero la divisa delle
Waffen SS, questi risposero: “E voi perché indossate quelle
americane?”[2].
Qualcuno dei reduci di Berlino però si salvò: alcuni si fecero, dopo
la guerra, vent’anni di carcere e di lavori forzati, mentre un altro
riuscì a raggiungere la Spagna, e poi il Sud America.
Parte “nascosta”…
I fatti, molto concisi, sono quelli sopra narrati. Quello che mi
interessava sottolineare invece era la coincidenza (?) di 300 uomini
che – come gli spartani – si battono fino alla morte, infliggendo
perdite enormi ad un nemico che anzi, nello specifico, è identico ai
2,6 milioni di Persiani secondo Erodoto alle Termopili contro Sparta,
ovvero i 2,6 milioni di sovietici a Berlino nel 1945.
Potrebbe sembrare una coincidenza, appunto, ma approfondendo scopro
che questo numero di 300 uomini ricorre più e più volte nella storia
dell’umanità e spesso in situazioni molto simili.
Per rendere l’idea sarà meglio elencare i contesti in cui si parla
sempre di 300 uomini:
• i 300 Spartani alle Termopili;
• i 300 volontari francesi a Berlino;
• nelle tavole sumere di Zacaria Sitchin leggiamo che gli dèi Anunnaki
erano in numero di 300;
• nella Bibbia, in Giudici 7 leggiamo che Gedeone forma un contingente
di 300 uomini che anche qui combattono contro un nemico di molto
superiore: “… Allora il Signore disse a Gedeone – con questi 300
uomini io vi salverò …”
• tutti, almeno noi italiani, ricordiamo la poesia La spigolatrice di
Sapri, in cui si parla di un contingente di 300 uomini che finisce per
scontrarsi con forze di molto superiori e vengono annientati: “… Erano
300, erano giovani e forti, e sono morti…”;
• da secoli si parla, e si denuncia, di un governo che dirige
occultamente l’Umanità, del quale nessuno conosce i componenti né il
loro numero, eppure Walter Rathenau, proiettando una certa luce
sinistra, nel Wiener Freie Presse del 24 dicembre 1912 dichiarò:
“Trecento uomini, conosciuti soltanto da loro stessi, governano il
destino del Continente europeo. Essi eleggono i loro successori …”
• la Falange greca era composta da 300 uomini;
• Romolo, riprendendo proprio dalla falange greca, forma la Legione
romana con 3.000 fanti e 300 cavalieri, poi cambiata, ma con la
riforma manipolare descritta da Livio e Polibio, la cavalleria romana
torna a disporsi di 300 cavalieri per Legione;
• anche per Tito Livio si avevano Legioni composte da 5.000 fanti, ma
sempre 300 cavalieri;
• i Cavalieri Templari nelle crociate in Terra Santa attaccavano
sempre in gruppi di 300 cavalieri.
L’unica risposta al momento possibile possiamo trovarla nelle
disquisizioni esoteriche: cosa significa il numero 300? Non è un caso
che nella stessa Bibbia lo ritroviamo più volte.
Nell’alfabeto greco, la lettera Tau era il segno che indicava il
numero 300. Ogni volta che nella Bibbia ci si imbatte in questo numero
è sinonimo di salvezza o di vittoria.
Un esempio. Dio disse a Noè: “Fatti un’Arca di legno di cipresso. Ecco
come devi farla: l’Arca avrà trecento cubiti di lunghezza (…)” (Genesi
6.14-15). Ma ci sono anche altri riferimenti.
Per esempio nel passo dove si parla del profumo di Maddalena: “Ci
furono alcuni che si sdegnarono fra loro (…) perché tutto questo
spreco di olio profumato? Si poteva benissimo venderlo quest’olio a
più di 300 dinari e darlo ai poveri”. L’estensione dell`allegoria del
Tau (300) in questo episodio evangelico è molto interessante, perché
presuppone nota l’equivalenza contenuta che è: 300=Tau=Passione (o
300=Tau=Croce=Salvezza).
Nel III secolo parecchi talmudisti furono consultati da Origene a
proposito dell’interpretazione del Tau di Ezechiele (9,4). Secondo
alcuni, il Tau significa fine, conclusione, compimento dell’intera
Parola rivelata. Per altri invece, prima lettera della parola Torah,
significava la somma delle leggi che portavano alla salvezza.
Nella Cabala ebraica quindi 300 è il valore numerico corrispondente
alla lettera Tau. Tau=300 appunto, inteso come vettore energetico,
cioè la legge di natura che è conforme allo “Spirito di Dio o degli
dèi”, e quindi alla sua essenza energetica …
In sostanza 300 = RAUCH ELOHIM, “spirito di Dio” o meglio degli dèi, e
quindi più vicino alla vibrazione cosmica elettromagnetica che
influenza il nostro DNA. Si tratta di una forza che crea l`essenza
stessa di Dio e comunque di creature superiori.
In definitiva stiamo parlando dell’ordine divino naturale, la sua
vibrazione cosmica essenziale, e il modo con cui queste forze
organizzano l’invisibile fino al visibile (la materia). Quindi TAU o
300 è il Sigillo degli dèi, e quindi la Legge che promette
l’immortalità … il Tau (300), come simbolo di vita futura.
Sarà forse a causa di tutto questo che si ritrovano sempre, per vari
motivi, per caso ma sarebbe meglio chiamarlo Fato, riferimenti al
numero 300, e quindi anche se in modo inconsapevole, deve leggersi
cosi anche il canto che i giovani Volontari francesi intonavano,
andando a morte certa? “Ovunque siamo andiamo sempre avanti e il
diavolo ride con noi, ah ah ah ah ah …”[3]
Forse proprio perché percepivano inconsciamente delle presenze
superiori, che li spingevano e sostenevano sino al sacrificio finale,
promettendo loro una sorta di ricordo immortale?
In conclusione, se tutto questo vogliamo definirlo coincidenza, o caso
che dir si voglia, allora deve necessariamente valere il detto che “Il
caso è la via che gli dèi usano quando vogliono rimanere anonimi” …
di Luigi Baratiri [1]
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[1] Nato a Giulianova Abruzzo, passa l’infanzia e l’adolescenza a
Tripoli (Libia) dove impara l’arabo. Dal 1990 al 1998 collabora con il
governo libico e con ambienti iniziatici mediorientali, ma soprattutto
con il SISMI e come agente provocatore svolge diverse operazioni. Dal
1999 vive a Berlino dove continua i suoi studi esoterici. Ha
collaborato con Marco Zagni soprattutto per la stesura del suo primo
libro in uscita dal titolo L’intelligence degli Dei.
[2] L’autore si riferisce al celebre episodio dell’incontro tra la 2°
Divisione corazzata francese comandata dal generale Leclerc ed i
dodici (altro numero casuale?) membri della Divisione Charlemagne che
si erano arresi alle truppe americane, finendo internati insieme a dei
soldati tedeschi nella caserma degli Alpenjäger presso la località
termale di Bad Reichenhall. I prigionieri francesi, venuti a
conoscenza dell’arrivo della divisione di Leclerc il 6 maggio 1945,
avevano tentato la fuga ma erano stati scoperti ed accerchiati. A
seguito della coraggiosa risposta all’insolente domanda del generale
francese, i dodici volontari della Charlemagne furono fucilati senza
processo l’8 maggio 1945 a Karlstein, in una radura chiamata
Kugelbach. Tutti chiesero la fucilazione frontale al petto senza benda
sugli occhi e caddero gridando “Vive la France!”. I loro corpi,
recuperati il 2 giugno 1949, furono traslati nel cimitero comunale di
Bad Reichenhall, dove si trovano tuttora. Sulla loro tomba, ornata da
due rami di betulla incrociati, tre lapidi ne tengono viva la memoria
(N.d.C.).
[3] L’autore si riferisce al celebre “Chante du Diable”, “Il canto del
diavolo”, versione francese adottata dalla Divisione Charlemagne della
canzone delle Waffen SS tedesche “SS marschiert in Feindesland” (“La
SS marcia in terre nemiche”), che fu tradotta, modificata ed adottata
da diverse divisioni di volontari stranieri incorporate appunto nelle
Waffen SS: oltre alla versione francese, si conoscono ad esempio una
versione norvegese, una estone ed una lituana. Dopo la Guerra, la
canzone, adeguatamente modificata, fu adottata dalla Legione Straniera
francese ed è ancora cantata, con ulteriori modifiche, col titolo “La
Legion marche vers le front”. E’ conosciuta anche una versione cantata
dalla Brigata di Fanteria dei Paracadutisti dell’esercito brasiliano.
Da notare un piccolo errore che, ovviamente, non cambia comunque il
senso della citazione nell’articolo: l’autore riporta infatti la
traduzione della versione tedesca originale del ritornello della
canzone, e cioè “Wo wir sind da geht’s immer vorwärts / Und der Teufel
der lacht nur dazu! Ha, ha, ha, ha, ha!”, che si traduce appunto
“Ovunque siamo andiamo sempre avanti e il diavolo ride con noi, ah ah
ah ah ah!”, mentre la versione francese non contempla questo verso; in
essa, nel ritornello si dice invece: “Là où nous passons que tout
tremble / Et le diable y rit avec nous ! / Ha, ha, ha, ha, ha!”, cioè
“Dovunque passiamo tutto trema, e il diavolo ride con noi, ah ah ah ah
ah …”. Secondo la versione più nota della canzone, nei ritornelli
successivi il primo verso muterebbe poi in “Là où nous passons, les
chars brûlent (“Dovunque passiamo i carri armati bruciano”) e in “Là
où nous passons tout s’écroule”(“Dovunque passiamo ogni cosa va in
rovina (crolla, ecc.)” (N.d.C.).
Fonte: http://www.azionetradizionale.
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