Il messaggio simbolico degli archetipi




Il termine “archetipo”  viene introdotto nell'antichità dai filosofi
greci per riferirsi ai principi universali, ai modelli preesistenti della
realtà: in particolare Plotino (III sec. d.C.) e Proclo (V sec. d.C.) si
riferiscono agli archetipi come alle idee universali presenti nella mente
di Dio e da cui è derivata la Creazione.

Il termine archetipo acquisisce un ulteriore valore grazie a Carl Gustav
Jung: partendo dall'analisi dei sogni dei suoi pazienti, Jung riscontra
come certe immagini, concetti e situazioni vissute in sogno e non
riguardanti l'esperienza personale, siano in qualche modo innate nella
mente umana, e quindi ipotizza l'esistenza di un inconscio collettivo,
comune a tutti gli esseri umani e condiviso, ereditato assieme al
patrimonio genetico.

Il primo degli archetipi “strutturali” dell'inconscio è, secondo Jung,
la Persona: rappresenta una sorta di maschera sociale, frutto di
adeguamento a regole e convenzioni familiari e culturali come modalità di
inserimento nel gruppo.

In seguito troviamo l'Ombra, che corrisponde agli istinti primordiali, le
pulsioni sgradevoli e da reprimere e che in qualche modo corrisponde all'Es
freudiano;

E ancora l'Animus e l'Anima che rappresentano rispettivamente la parte
maschile presente nella donna e la parte femminile presente nell'uomo, che
permettono la relazione (sotto forma di proiezione) con l'altro sesso; è
la parte complementare della Persona che non viene espressa direttamente,
ma attua un processo di integrazione attraverso la relazione;

Infine il Sè: il centro unificatore della personalità, il punto di
raccolta delle funzioni consce e inconsce.

Jung riconosce anche altri archetipi, di ordine culturale, religioso,
mitologico: la Grande Madre, il Vecchio Saggio, il Bambino Divino, la
Strega, il Drago, la Fanciulla da salvare, fino ad arrivare a considerare
Dio stesso un archetipo.

Ninfee e Satiro, W.A. Bouguereau (1873)

Erich Neumann, allievo di Jung, approfondisce in chiave evolutiva il
concetto di archetipo, andando a confrontare natura e cultura, ontogenesi
(cioè lo sviluppo biologico, fisiologico) e filogenesi (cioè la
specificazione in classi, in gruppi differenziati).

Così come il corpo è composto da organi fisici, la psiche è composta da
organi psichici, gli archetipi, modelli originari di essere, di pensare, di
sentire e di agire: ciascuno con le sue caratteristiche e funzioni, con
delle specifiche qualità e dei specifici difetti, una specifica
personalità.

Gli archetipi come organi psichici hanno ognuno una determinata funzione
nello sviluppo e nel funzionamento della personalità e della coscienza,
sono in collegamento tra loro, e ciascuno di essi è indispensabile; si
sviluppano e agiscono nell'inconscio, senza che ce ne accorgiamo e sono
comunque tutti attivi, sempre.

Come si possono ammalare gli organi fisici, così si possono ammalare gli
organi psichici, ed è sufficiente che un organo/archetipo non funzioni
bene perché tutto il sistema ne risenta.

La Conquista del Graal, Edward Burne-Jones

James Hillman, allievo di Jung, porta ad un'evoluzione ulteriore la teoria
degli archetipi, andando a delineare una psicologia archetipica che si
stacca dalla terapia stretta, ma va a collegarsi con le forme culturali e
immaginative dell'arte, della poesia, della mitologia, della narrativa.

La psicologia archetipica punta a guarire le idee, il mondo, più che
l'individuo, attraverso il mito: I miti sono racconti sulle relazioni tra
gli umani e gli Dei, parlano di temi universali ed eterni, comuni a tutta
l'umanità e a tutti i tempi, mentre la psicologia per spiegare tali
relazioni usa teorie e termini moderni come istinti, pulsioni, complessi,
ecc.

La psicologia archetipica considera strettamente collegate la mitologia e
la psicologia: infatti la mitologia è una psicologia dell'antichità, e la
psicologia è una mitologia dell'epoca moderna.

Ganesha, archetipo della perfezione, rappresenta il raggiungimento della
Divinità Interiore

Articolo a cura di Umberto Carmignani


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