"Ecco la mia persona, senza infingimenti" - Autoritratto psicologico di Riccardo Oliva




Ci sono individui che tendono a creare stereotipi etichette molto superficiali senza andare ad indagare, limitandosi ad osservare l'ego senza conoscere il sé di chi si va ad attaccare, cioè l'universo che ognuno di noi rappresenta e dove convivono in diverse misure lo Yin e lo Yang, cioè il bene o il male.

Io ho un bagaglio spirituale e culturale in cui  mi piace  dimostrare apertamente quel che sono, in tutta  onestà intellettuale, trasparenza e solarità, e non mi sembra di aver mai nascosto le mie idee.

Io rispetto la gerarchia: perché la gerarchia è per me una cosa naturale e non imposta come si crede, è una qualità che determinate persone hanno di essere riconosciute come guide da altri che ne rimangono affascinati e non si necessita di fucili puntati per avere riconosciuta dagli altri questa autorevolezza.

Io credo nella diversità: non siamo tutti uguali ognuno ha delle proprie peculiarità e caratteristiche ben precise che lo rendono assolutamente UNICO. Ciò che non esiste è la netta separazione tra queste differenze quando si raggiunge la consapevolezza olistica dove tutto è collegato ed ha una relazione intima con tutte le singole parti. Ma è un processo in divenire che non si ferma mai altrimenti la ricerca che ognuno intraprende nella sua vita per andare oltre quell'abito corazza che ci riveste, avrebbe poco senso.

Io credo in una forza necessaria da utilizzare in talune situazioni ma mai nella violenza effimera, prepotente o gratuita (visto che esiste anche una violenza psicologica ben peggiore a volte di quella fisica) vuol dire che alla maniera di Gandhi esistono tre tipi di fermezza: quella del forte, quella dell'opportunista e quella del codardo. Io appartengo alla prima perché mi sento un guerriero spirituale che diventa impersonale per servire una causa (ad esempio quella contro  la sofferenza animale, in un altro potrà essere la difesa degli alberi o di un ecosistema ma anche di un popolo, cioè di tutto quel complesso che si chiama VITA)

Dire guerriero non significa amare la guerra, ma sia la guerra che la pace sono semplicemente stati temporali che fanno parte della Natura stessa e che bisogna considerare solo quando hanno a che vedere con quella precisione dimensione in cui si manifestano. Quindi non sono di certo a favore della guerra comunemente intesa, ma la penso sicuramente come Arjuna, Sun-Tzu e Mishima che hanno rilevato in questa una dimensione sacra, quella che oggi si ignora e che non esiste più. 

Detto questo però sono a favore della pace ma giammai del pacifismo che è un'ipocrisia dei tempi moderni e che ha permesso alle democrazie, cioè ai vigliacchi di ogni razza, di poter dichiarare indisturbati una guerra sottile, standardizzata e omologante, contro le differenze e le identità dei popoli della terra e soprattutto contro il nostro spirito, perché come ricorda il grandissimo Ermete il Trismegisto ciò che in alto è come ciò che in basso è ciò significa che il primordiale campo di battaglia in cui si è in guerra si trova dentro noi stessi.

Se questi pochi e affrettati pensieri  riescono a delineare un quadro di chi sono io (cioè la mia maschera, la mia persona), cioè riescono questi input a categorizzarmi, a darmi un'etichetta necessaria, un colore ideologico e quant'altro, grazie a concetti e parole che non dicono niente sulla mia vera natura, allora prendeteli per buoni. Datemi pure -se così vi aggrada-  del fascista, nazista, razzista, sessista ecc. cioè tutti quei nomignoli, quegli ismi intrisi di odio, che servono al sistema e alla stampa di regime per governare al meglio con il divide et impera che allontana dal vero nemico che oggi sta distruggendo tutto ciò che ci circonda. 

Il mio è comunque un invito ad andare oltre il giudizio ideologico, a non considerare "l'idea" come uno steccato separativo,  ma  a conservare  la capacità di reciproco rispetto, maturando così la  consapevolezza e la conoscenza profonda di Sé, un Sé che va molto oltre le apparenze e le divergenze, poiché è quello stesso Sé, presente in ognuno,  che ci rende singolarmente  esseri irripetibili in natura.

Io non mi nascondo, sono così senza  veli, guardo in faccia chi mi si presenta, se mi  accetta bene, altrimenti c'est la vie!

C'è un detto taoista che dice "chi vuol convincere e ottenere non convince e non ottiene" quindi   se non ci si mette nella parte dell'avversario  non si potrà mai convincerlo (vincere insieme a lui).

Cordiali saluti, Riccardo Oliva
Presidente di Memento Naturae
Volontari a Difesa di Ciò che è Vita!

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Commento di Lorenzo Merlo:


Ciao Riccardo,
grazie per le tue interessanti note.
La mia ha come fulcro il tuo conclusivo "convincerlo".

Per "vincere insieme a lui" è necessario legittimarlo, apprezzarlo, amarlo.
Per fare ciò è necessario attribuire alla storia (qualsivoglia storiografia si voglia adottare) la verità. Non solo. Esse - le storiografie - necessitano di pari dignità. Diversamente come potremmo alarle, condividerle. Diversamente, come potremmo credere nella nostra?

Se per convincerlo dobbiamo dunque ascoltarlo al punto da poter entrarci (ogni processo fondatamente didattico si risolve in questo), il "così in alto come in basso" non può restare argomento a favore soltanto della nostra prospettiva.  In quella formula vi è forse anche l'accenno che l'equilibrio è nel mezzo. Diversamente, l'illuminato come potrebbe essere se privato della feccia di cui si nutre?

Così avanzando, diviene comprensibile come l'uomo storico possa trovare eccessivo qualche nostro presunto "ismo" fino al punto da creare - noi e lui insieme - qualche ambito/dinamica capace di allontanarci dal nostro ambito/dinamica prediletta, quella dove "tutto" funziona. Fino al punto da provocare in noi comportamenti anche del tutto estranei al nostro io, ma del tutto opportuni ed idonei - almeno in quel momento - a difenderlo.

In quell'istante scade il mandato di "uomo giusto" che pensavamo di poter vantare per divenire oggetto della storia, ne più ne meno di ogni altro "ismo".

Grazie per l'attenzione
Lorenzo Merlo - 110313

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