Sulle filosofie di Husserl, Heidegger e Bergson e la figura luminosa di Francesco De Sanctis



Nell’ambito delle correnti filosofiche sostanzialmente irrazionaliste ed anti-scientifiche, che imperversarono soprattutto nella seconda metà dell’800 e nella prima metà del secolo seguente, grande importanza e sviluppi ebbe la “Fenomenologia” di Edmund Husserl (1859-1938), prima matematico a Berlino, poi filosofo, con interessi verso la logica, e insegnante nelle università di Halle, Gottinga, e Friburgo(1)(2)(3)(4).

Dopo aver criticato negli anni ’90 dell’800 la logica matematica - sostenendo l’origine psicologica ed empirica del numero, ed assumendo quindi una posizione psicologica e realista - Husserl successivamente cambiò completamente posizione: infatti nelle “Ricerche Logiche” del 1900-1901 criticò il pensiero scientifico empirico-positivista secondo cui da iniziali aggregazioni di fatti psichici (provenienti dall’esperienza) deriverebbero per astrazione i concetti. Bisognerebbe invece, attraverso un’intuizione non sensibile, risalire alle pure “essenze ideali” (“eidos”), cioè a fenomeni psichici depurati da ogni contesto spazio-temporale. Bisogna mettere tutto in discussione (come l’esistenza di un mondo esterno e la distinzione tra soggetto ed oggetto) perché l’oggettività dell’esperienza sensibile è solo un’illusione naturalistica. Il “residuo” fenomenologico ultimo è l’autocoscienza, che però è anche coscienza dell’altro e del “mondo della vita”. La crisi della ragione coincide con la credenza che il mondo sia l’oggetto della Scienza. La verità è nello spirito che conosce se stesso ed il mondo.

Gli aspetti chiaramente irrazionalisti ed anche platonici contenuti nella filosofia di Husserl (i cui influssi – a parere di scrive - anche sul pensiero empirio-criticista di Mach ed Avenarius non può essere sottovalutato), furono recepiti nel ‘900 da altri filosofi. Martin Heidegger (1889-1976), che fu allievo di Husserl a Friburgo, poi professore e rettore, sostenitore del Nazismo, infine dimissionario, affermò che la coscienza dell’Uomo è sempre propositiva e progetta i modi di esistere per dare un senso all’Essere, che è costruzione dell’esistenza nel tempo. La verità è disvelamento dell’Essere che tuttavia è connesso al Nulla. Siamo ossessionati dall’angoscia che è anticipazione della morte e della contemplazione del Nulla. La tecnica è un dominio totalitario. Solo l’Arte ci accosta all’Essere.

Tematiche analoghe furono sviluppate dal medico e filosofo Karl Jaspers (1883-1969), che nello scritto “Filosofia della Crisi” e altri scritti parlò della finitudine e dell’angoscia dell’Uomo singolo, che avrebbe bisogno, non di scientismo, ma di una “chiarificazione dell’esistenza”, in quanto libero di scegliere la via da seguire.

Da queste premesse è nato nel ‘900 anche il variegato movimento che ha preso il nome di “Esistenzialismo”, diffuso in Italia dal filosofo Abbagnano, che si interessa della crisi e del destino dell’uomo singolo. Questo movimento assunse in Francia sia indirizzi religiosi – con Gabriel Marcel (1889-1973) - sia filo-marxisti ed umanisti con Jean-Paul Sartre (1905-), che afferma che l’Uomo deve scegliere la propria via in relazione alla propria libertà, ma anche a quella degli altri. Anche nelle sue varianti di “sinistra” l’esistenzialismo – oltre tutto ormai passato di moda – rimane una filosofia irrazionalista e sostanzialmente moralista ed individualista.

In Francia, a cavallo dei due secoli XIX e XX, ebbe grande eco anche un’altra filosofia irrazionalista: quella sviluppata da Henri Bergson (1859-1941), prima matematico nei licei e poi libero docente. Nel suo scritto “Sui Dati immediati della Coscienza” del 1988 il filosofo afferma che esiste una percezione soggettiva del tempo nella nostra coscienza che prescinde da qualsiasi misura. Ne prende spunto per una critica al concetto di quantizzazione dei fenomeni tipico del sapere scientifico, che secondo lui è rappresentato dalle misure spaziali. Nella successiva opera del 1996 “Materia e Memoria” parla della memoria come dimensione propria della coscienza che non avrebbe nulla di materiale e non si identificherebbe con l’attività del cervello. Nell’opera del 1928 “L’Evoluzione creatrice” il filosofo, spostatosi su posizioni sempre più misticheggianti (che lo portarono dall’originario ebraismo verso posizioni cattoliche) parla di un presunto slancio vitale che continuerebbe la creazione nel tempo, anche della materia. Egli critica anche la conoscenza data dall’intelletto razionale come superficiale ed illusoria, in quanto solo l’intuizione (irrazionale) ci fa vedere la realtà, mentre la tecnica ci renderebbe “prigionieri”. Bertrand Russell critica apertamente il pensiero di Bergson. Il filosofo positivista italiano Ardigò lo definì “evanescente”. In effetti è sorprendente il successo conseguito in passato di questa filosofia, spesso confusa ed oscura, per fortuna ormai quasi dimenticata.

Ludovico Geymonat dà una spiegazione, forse schematica, ma contenente certamente importanti elementi di verità, sulle ragioni di questa ripresa di irrazionalismo anti-scientifico, che l’autore di queste note integra con proprie considerazioni. La grande stagione della scienza moderna parte dal ‘600 e, attraverso l’esperienza dell’Illuminismo razionalista del ‘700, giunge al grande sviluppo scientifico del secolo successivo. Questa crescita straordinaria è legata alla crescita della borghesia che è rivoluzionaria fino ai moti del 1848, partendo dalle due rivoluzioni inglesi del ‘600 e passando per la grande rivoluzione del 1789.

Il successivo consolidamento conservatore dei regimi borghesi porta, da un lato, a forme di positivismo superficiale (come quello espresso da Spencer), dall’altro ad un ripiegamento su filosofie irrazionaliste ed individualiste che non sono più interessate a conoscere la realtà oggettiva per trasformarla; anzi la temono, spaventate anche dalla crescita di movimenti socialisti. A parere di chi scrive, anche l’attacco frontale al meccanicismo materialista newtoniano e galileiano, verificatosi nella seconda metà dell’800, risente di questo nuovo clima.

Accanto alla crescita di filosofie irrazionaliste, fenomenologiche, pragmatistiche ed indeterministe, vi fu anche una ripresa dell’idealismo. Ne fu massimo esponente l’inglese Francis Herbert Bradley (1846-1924), autore in cui l’idealismo si volge in teologia attraverso la presunta presenza di un Assoluto. Anche negli USA vi fu una temporanea ripresa della filosofia idealista con Josiah Royce (1846-1916).

In Italia Roberto Ardigò (1828-1920), professore a Padova, aveva contribuito a sprovincializzare la cultura italiana (legata a figure come Rosmini e Gioberti, con la sola luminosa eccezione del grande poeta materialista Giacomo Leopardi). Il suo positivismo antimetafisico e ricco di suggestioni psicologiche (riteneva che nella nostra mente si procede dalle sensazioni verso idee sempre più distinte) lo portò a studiare la fisiologia di Helmholtz. Sullo stesso piano culturale materialista ed ateo operò Cesare Lombroso (1833-1907) che svolse studi sull’epilessia e sull’antropologia criminale, che - pur con alcune forzature positiviste – lo portarono a sviluppare il concetto dell’irresponsabilità dell’individuo anormale e ad anticipare alcune tematiche freudiane.

Il neo-hegelismo idealistico italiano fu invece sviluppato da Angelo C. De Meis (1817-1891), da Salvatore Tommasi (1803-1888), che poi ritornò verso una filosofia più sperimentale e naturalista, e soprattutto dalla Scuola Napoletana di Bertrando Spaventa (1817-1883) che prese posizione a favore dell’a-priori kantiano, della fenomenologia, e criticò l’attitudine troppo sperimentalista e meccanicista di molti ricercatori, privilegiando le scienze “umanistiche” su quelle “esatte” (come farà anche Benedetto Croce).

Su posizioni opposte a quelle di Spaventa (che assunse anche, coerentemente, posizioni politiche conservatrici e reazionarie) troviamo il più luminoso prodotto della Scuola Napoletana: Francesco De Sanctis (1817-1883). Pur partendo da posizioni hegeliane, questo filosofo, che dette un importante contributo al rinnovamento della cultura italiana, criticò il platonismo dell’estetica hegeliana, in cui l’arte è opposta alla scienza, ed apprezzò il materialismo di Leopardi. Nella sua famosa “Storia della Letteratura Italiana” del 1870 prese posizione a favore di Galilei, Bacone e Cartesio, dichiarando che “l’Idealismo piace alla borghesia perché si dà veste laica e scientifica, ma rifiuta il materialismo come ispiratore di moti rivoluzionari”.

Vincenzo Brandi -  Rivista Gamadi



(1) Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti ed. 1970-1972

(2) W. Adorno e altri, “Storia della Filosofia”, Laterza 1987

(3) B. Russell, “Storia della Filosofia Occidentale”, TEA 1995, originale 1945

(4) N. Abbagnano, “Storia della Filosofia”, Ed. L’Espresso, 2005

(*) Quest’articolo è tratto dal libro di V. Brandi “Conoscenza, scienza e filosofia” recentemente pubblicato e ordinabile in libreria, o presso la casa editrice Petite Plaisance, o con richiesta all’autore.

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