Vedanta. Nondualismo e le maschere dell'io...



Il Vedanta, letteralmente “dopo i Veda” è una scuola di pensiero laico basata sull’Assoluto non duale, detto “Brahman”  nelle Upanishad, i testi filosofici vedantici (posteriori ai Veda).

Sulla datazione dei Veda e del Vedanta le opinioni degli studiosi, storici e religiosi, divergono alquanto. La differenza di vedute è soprattutto fra ricercatori occidentali e quelli indiani. Secondo gli europei, proni al credo filo occidentale di una culla di civiltà medio-orientale e mediterranea, i Veda sono posti attorno al primo millennio a.C. e le Upanishad al periodo appena antecedente la nascita del Buddha storico (VI secolo a.C.). Ovviamente per alcuni storici indiani le date sono diverse e si allontanano moltissimo da quanto affermato dagli storici europei. Ma analizziamo i concetti espressi e lasciamo da parte le datazioni (irrilevanti ai fini della sostanza).

La peculiarità della filosofia Advaita Vedanta è che non si rifà ad alcuna divinità.  L'Assoluto non duale è  tra l'essere ed il non essere. Esso è il  Sé (Atman), ovvero la  Consapevolezza priva di attributi,  che è contenitore e contenuto di tutto ciò che si manifesta,  autoesistente, e contemporaneamente   aldilà di ogni manifestazione e pensiero.

Il Sé gode della sua stessa illusione di esistere come oggetto separato e distinto da se stesso e  secondo il Vedanta- questa commedia si rende possibile attraverso  cinque maschere o “guaine” (in sanscrito “kosha”) che nascondono il Sé al sé (l’Io assoluto all’io relativo).

Esse sono: “annamaya”, “pranamaya”, “manomaya”, “vijnanamaya” e “anadamaya”.

Annamaya è la guaina composta dal cibo, il corpo fisico. I suoi costituenti sono i cinque elementi nello stato grossolano, in vari gradienti di mistura. Dello stesso materiale sono fatte le cose del mondo oggettivo sperimentato.

Pranamaya è la guaina dell’energia vitale (nella Bibbia “soffio vitale”) è quella che denota la qualità vitale, la sua espressione è il respiro, in sanscrito “prana” e le sue cinque funzioni o “modi”: “vyana” quello che va in tutte le direzioni, “udana” quello che sale verso l’alto, “samana” quello che equipara ciò che è mangiato e bevuto, “apana” quello che scende verso il basso, “prana” quello che va in avanti (collettivamente vengono definiti con il termine “prana”). Alla guaina del “prana” appartengono anche i cinque organi di azione, ovvero: la parola, la presa, il procedere, l’escrezione e la riproduzione.

Manomaya è la guaina della coscienza, o mente individuale, le sue funzioni sono chiedere e dubitare. I suoi canali sono i cinque organi di conoscenza: udito, vista, tatto, gusto ed olfatto.

Vijnanamaya è la guaina dell’auto-coscienza, o intelletto, cioè l’agente ed il fruitore del risultato delle azioni. Questa maschera, od involucro, è considerata l’anima empirica che migra da un corpo fisico ad un altro (nella teoria della metempsicosi).

Anadamaya è la guaina della gioia, non la beatitudine originaria che è del Brahman, essa è la pseudo beatitudine (sperimentata nel sonno profondo) del cosiddetto “corpo causale”, la causa prima della trasmigrazione. Un altro suo nome è “avidya” ovvero nescienza od ignoranza del Sé.

Secondo lo studioso indiano T.M.P. Mahadevam è possibile riordinare queste cinque maschere in tre “corpi”:

1 - “annamaya”, il corpo fisico grossolano;

2 - “suksma-sarira” il corpo sottile, l’insieme delle tre guaine di prana mente ed intelletto  (”pranamaya, “manomaya” e vijnanamaya”);

3 - “karana-sarira”, il corpo causale della guaina “anandamaya”.


E’ per mezzo di questi tre corpi che noi sperimentiamo il mondo cosiddetto “esterno” nei tre stati di veglia, sonno e sonno profondo.

L’esperienza empirica si manifesta attraverso le cinque guaine, proiettate o riflesse nel concetto di “spazio” e “tempo”, senza di esse la coscienza relativa di un “mondo” non potrebbe sussistere.

Come diceva il filosofo  M. Heidegger : "Com’è che l’esistenza umana si è procurata un orologio prima che esistessero orologi da tasca o solari?…Sono io stesso l’”ora” e il mio esserci il tempo? Oppure, in fondo, è il tempo stesso che si procura in noi l’orologio? Agostino ha spinto il problema fino a domandarsi se l’animo stesso sia il tempo. E, qui, ha smesso di domandare...”

Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica




Roma 20 settembre 1870: “Porta Pia ed entrata empia…”

 


XX Settembre, ricordate? Ricorre l’anniversario della presa di Roma, ovvero si festeggia la breccia di porta Pia attraverso la quale i “nostri” bersaglieri poterono penetrare in città. Il papa Pio IX aveva emesso una scomunica su chi avesse consentito l’accesso degli stranieri nella città eterna... e siccome i militi piemontesi erano tutti ferventi cattolici e non si trovava nessuno disposto ad accollarsi la maledizione papale, l’ordine di aprire il fuoco e praticare la fessura fu impartito da un ufficiale ebreo, così le anime cristiane furono salve e il merito della presa di Roma restò ai giudei.

Questo fatto simbolico ancora “pesa” sull’unità d’Italia. Sono in molti a criticare quel 20 settembre 1870 che consegnò l’Italia intera ai Savoia. Una dinastia di poca qualità. Ma almeno, con la breccia di Porta Pia è finito questo strazio delle scomuniche papaline! Infatti il 20 settembre si celebra la caduta del potere temporale del papato (o meglio dire il suo ridimensionamento).

Accadde con l’entrata strombettante dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia. “Alla breccia di Porta Pia sono entrati i bersaglieri…” faceva il ritornello della canzoncina allegra che si cantava una volta nelle scuole il 20 settembre, ed io l'ho cantata. Oggi non si canta più comunque la data resta a segnare un momento cruciale della nostra storia patria e dell’affermazione (sia pur per un breve momento storico) dei valori della laicità dello stato: “..perché niun savio dell’avvenire – reo di verità discoperta – s’inginocchiasse a un prete..”. Diceva il poeta evidentemente riferendosi alla disavventura di Galileo Galilei, costretto a piegarsi dinnanzi al papa ed a rinnegare la verità dei fatti per salvarsi la pelle.

Parlando di eretici mi sovviene anche l’eretico per antonomasia, nato il 21 settembre del 1452, Gerolamo Savonarola il quale si scontrò con il papa Alessandro VI (il Borgia) e finì sul rogo… Per lui niente cerimonie di commemorazione anche se Gramsci così lo ricorda: “Chi lo ritiene uomo del medioevo non tiene conto della sua lotta al potere ecclesiastico che voleva rendere indipendente Firenze dal potere feudale della chiesa”.

La storia è solo un racconto. L’angolazione del giudizio sui fatti esaminati dipende solo dalla propensione emozionale a vedere le cose per come le sentiamo vere. Sappiamo però che la storia non è mai qualla raccontata e nemmeno quella percepita con le budella.

La storia, anche nella migliore delle ipotesi, è un mosaico di piccoli particolari ed eventi disgiunti che solo all’analisi successiva appaiono consequenziali… ” è comunque fondamentale, assolutamente fondamentale, capire e conoscere i fatti. Non credo al relativismo, credo alla verità e la differenza di punti di vista, nella sua infinita varietà, può essere, tra l’altro, tra due errori, tra un errore ed una verità e tra due verità” (Luca Zolli)

Nella nostra vita abbiamo lo stimolo di rispondere adeguatamente alle occasioni più diverse che ci capitano e non possiamo dire che il filo conduttore sia la nostra volontà di ottenere i risultati che ci siamo prefissati… Succede quel che succede e poi noi esprimiamo il nostro parere: ho fatto questa cosa e mi piace, ho fatto quella cosa e non mi piace…

In realtà nessuno fa nulla c’è solo un’intersecazione e commistione di forze diverse che agiscono attraverso di noi. Quel che resta sono i semplici fatti, non le ragioni o le intenzioni. Comunque tendiamo ad esaminare quei fatti con la nostra visione personale ed il nostro senso del giudizio.

La vita è tutta una meravigliosa sorpresa e voler stabilire il suo significato è semplice arroganza! Questa la mia opinione…

Paolo D’Arpini




Della Bhagavad Gita Nisargadatta Maharaj disse...

 


"La maggior parte dei libri religiosi dovrebbe rappresentare la parola di una persona illuminata. Comunque una persona illuminata dovrebbe parlare sulla base di certi concetti che trova accettabili. Ma la notevole distinzione della Bhagavad Gita è che il Signore Krishna ha parlato dal punto di vista che lui è la fonte di ogni manifestazione, cioè dal punto di vista non del fenomeno, ma del noumeno, dal ... punto di vista "la manifestazione totale sono Io stesso".
Questa è l'unicità della Gita. Considera cosa deve essere accaduto prima che qualsiasi antico testo religioso fosse registrato. In ogni caso, la persona illuminata deve aver avuto pensieri che deve aver messo in parole e le parole usate potrebbero non essere state del tutto adeguate per trasmettere i suoi pensieri esatti.
Le parole del maestro sarebbero state ascoltate dalla persona che le ha registrate, e ciò che ha registrato sarebbe stato sicuramente secondo la sua comprensione e interpretazione. Dopo questa prima annotazione manoscritta, varie copie sarebbero state fatte da più persone e le copie avrebbero potuto contenere numerosi errori. In altre parole, ciò che il lettore legge in un determinato momento e il tentativo di assimilare potrebbe essere molto diverso da quello che era veramente inteso essere trasmesso dal maestro originale.
Aggiungete a tutto ciò le interpolazioni inconsapevoli o deliberate di vari studiosi nel corso dei secoli, e capirete il problema che sto cercando di trasmettervi. Mi è stato detto che lo stesso Buddha parlava solo in lingua maghadi, mentre il suo insegnamento, come registrato, è in pali o in sanscrito, cosa che avrebbe potuto essere eseguita solo molti anni dopo; e quello che ora abbiamo del suo insegnamento deve essere passato attraverso numerose mani. Immagina il numero di modifiche e aggiunte che devono essersi introdotte in esso per un lungo periodo.
C'è quindi da meravigliarsi che ora ci siano divergenze di opinione e controversie su ciò che il Buddha ha effettivamente detto o intendeva dire? In queste circostanze, quando vi chiedo di leggere la Gita dal punto di vista del Signore Krishna, vi chiedo di rinunciare immediatamente all'identità con il complesso corpo-mente durante la lettura. Vi chiedo di leggerlo dal punto di vista che voi siete la coscienza animatrice - la coscienza di Krishna - e non l'oggetto fenomenico a cui dà la sensibilità - in modo che la conoscenza che è la Gita può esserti veramente rivelata. Capirai allora che nel Vishva-rupa-darshan ciò che il Signore Krishna mostrò ad Arjuna non era solo il suo Svarupa, ma lo Svarupa - la vera identità - di Arjuna stesso e quindi di tutti i lettori della Gita.
In breve, leggi la Gita dal punto di vista del Signore Krishna, come la coscienza di Krishna; ti accorgerai allora che un fenomeno non può essere "liberato" perché non ha esistenza indipendente; esso è solo un'illusione, un'ombra.
Se la Gita viene letta con questo spirito, la coscienza, che si è erroneamente identificata con il costrutto corpo-mente, diventerà consapevole della sua vera natura e si fonderà con la sua fonte".

Nisargadatta Maharaj





Il discorso del "koan" (zen)...



“Koan" - Questo termine indica lo strumento di una pratica consistente in una affermazione paradossale o in un racconto usato per aiutare la meditazione e quindi "risvegliare" una profonda consapevolezza.

Nella tradizione Zen c’è la pratica del Koan. Il koan dovrebbe essere qualcosa in cui sei profondamente interessato, la tua più profonda “preoccupazione”. 

Vuoi davvero comprendere, vuoi trasformare.

È come quando sei colpito da una freccia, e porti la freccia con te nella tua carne, in piedi o seduto, sveglio o addormentato, la freccia è con te. Il Koan dovrebbe essere una cosa così. La tua vita quotidiana è completamente focalizzata su di essa. Qualcosa che richiama tutta la tua energia, il tuo interesse, la tua consapevolezza, e l’abbracci giorno e notte, guardando in profondità, e un giorno arriva la visione, e allora vedi e ti liberi.

Perciò il koan è qualcosa che dovrebbe riuscire a richiamare tutta la tua concentrazione, tutta l’ energia, altrimenti non può esserci una trasformazione. Per esempio, la sofferenza nel medio Oriente è un koan per l’intera umanità, non soltanto per gli Israeliani e i Palestinesi. Ma noi esseri umani siamo così indaffarati, non siamo un sangha (comunità o gruppo di persone buddhiste), non abbiamo abbastanza consapevolezza, concentrazione, non riusciamo a vedere il koan.

Diamo un po’ di attenzione, poi la distogliamo, ci interessiamo di altre cose. Perciò non è ancora un koan per la famiglia umana. Quando il maestro comprende le difficoltà e la sofferenza del discepolo, offrirà un koan, come: “dimmi, qual è il suono fatto da una sola mano?”. Di solito abbiamo bisogno di due mani per produrre un suono. “Qual è il suono prodotto da una sola mano?”.

Questo è un espediente abile, per aiutare il discepolo a scoprire, comprendere la propria situazione, e il discepolo non può adoperare soltanto l’intelletto per arrivare alla comprensione.

L’intelletto è soltanto una parte, più in profondità c’è l’inconscio, il subconscio, c’è il corpo, tutte le tue formazioni mentali, la coscienza deposito.

Per questo motivo, il koan che viene offerto dal maestro non dovrebbe essere esaminato soltanto dall’intelletto, dovrebbe essere deposto nella profondità del tuo essere, e durante la vita quotidiana lo porti con te giorno e notte, mangiando, camminando, facendo qualsiasi cosa, lo abbracci, a tempo pieno, che si tratti della tua sofferenza, o di una situazione critica.

Questo è il koan.

Dovresti riuscire a mobilitare tutta la tua forza, tutta la tua energia, tutta la tua consapevolezza e concentrazione, allo scopo di abbracciare in profondità quella difficoltà, quella situazione, e giorno e notte, in ogni momento fai soltanto questo, lo abbracci teneramente, e un giorno, con il sostegno del sangha, ci sarà la rivelazione.

La visione può venire da te, può venire dal sangha, oppure la tua visione è stata aiutata dal sangha, può essere l’espressione della visione collettiva del sangha, perché vivi con il sangha e il sangha lavora con te e ti sostiene nel tentativo di comprendere la situazione.

Quando la pratica raggiunge il livello del sangha, diventa molto potente, se l’intero sangha abbraccia il tuo dolore, giorno e notte, e guarda in profondità nel tuo dolore con l’energia della consapevolezza e della concentrazione.
Allora ci sarà un rapido sollievo e ci sarà la comprensione che ti aiuterà a superare la sofferenza, a vedere il sentiero e a trasformarti, liberarti. È così che funziona, per te e per il sangha.

Thay 



"La contaminazione del pensiero nella Coscienza" - Brani di folle saggezza di U.G.



Di seguito una cernita di alcuni brani tratti dal volumetto L’inganno dell'illuminazione, conversazioni di Uppaluri Gopala Krishnamurti.

“Tutto quello che fate rende impossibile l’esprimersi di quanto è già qui. Per questo io lo chiamo lo «stato naturale». Voi siete sempre in quello stato. Quello che impedisce a ciò che è già qui di esprimersi è proprio la ricerca. La ricerca va sempre nella direzione opposta, perciò tutto quello che considerate veramente profondo, tutto quello che considerate sacro, è una contaminazione di quella coscienza. Può non piacervi la parola «contaminazione», ma tutto quello che considerate sacro, santo e profondo è davvero una contaminazione. Così, non c’è niente da fare. Non dipende da voi. Non mi piace usare la parola «grazia», perché allora viene da chiedersi, «la grazia di chi?». Non si tratta di essere prescelti; capita, non so perché. Se mi fosse possibile, cercherei di aiutarvi. Ma questa è una cosa che non posso darvi, perché voi già l’avete. È ridicolo chiedere una cosa che già si possiede.

[...]

Non passo più il tempo a ricordare, preoccuparmi, concettualizzare e compiere tutte quelle cose mentali che la gente compie quando è da sola. La mia mente è soltanto occupata quando è necessario, ad esempio quando fare domande, o quando io devo sistemare il registratore o cose simili. Per il resto del tempo la mia mente si trova nello stato «disinnestato». Naturalmente adesso ho di nuovo la memoria – inizialmente era abolita, ora però è nuovamente presente – ma è come qualcosa che sta dietro, che viene in superficie solo quando è necessario, automaticamente. Quando non serve, non c’è nessuna mente, nessun pensiero, ma solo vita.

[...]

La coscienza è talmente pura che qualunque cosa facciate per purificarvi non fa altro che rendervi impuri. La coscienza deve sgorgare, per così dire: deve purgarsi da ogni traccia di santità e non-santità, da tutto quanto. Anche ciò che voi considerate «sacrosanto» è una contaminazione in quella coscienza. Non avviene attraverso una volontà da parte vostra; quando le barriere vengono distrutte, non attraverso uno sforzo da parte vostra, né per mezzo della vostra volontà, allora le chiuse si aprono e tutto scaturisce. [...] Lo stato di coscienza separativo non funziona più; c’è sempre lo stato di coscienza unitario, e niente può toccarlo. Qualunque cosa può arrivare – un pensiero buono, cattivo, il numero di telefono di una prostituta di Londra… [...] Quello che viene non ha nessuna importanza – buono, cattivo, sacro, profano. Chi può dire: «Questo è bene; questo è male»? – è tutto finito. Si è come ricondotti alla sorgente. Ci si ritrova in quello stato di coscienza puro, primordiale, che potete chiamare consapevolezza o come vi pare. In quello stato le cose accadono, ma non c’è nessuno che ne sia interessato, che presti loro attenzione. Vanno e vengono così, come lo scorrere delle acque del Gange: acqua di fogna si riversa in essa, corpi mezzi cremati, cose buone e cattive, tuttavia quell’acqua resta sempre pura” (pp. 10; 35-36; 46-48).

Ricordiamo solo che qui, quando U.G. Krishnamurti parla di “nessuna importanza”, vuole intendere quello che si voleva significare per esempio con il termine “indifferenza” nei testi storici antichi. Ovvero non come – così è usata oggi questa parola – sinonimo di menefreghismo, di secco e freddo distacco dal mondo, ma come benevolente e accogliente apertura a tutto, egualmente a ciò che, ancora in una prospettiva dualistica, si ritiene bene o male, buono o cattivo, da accettare e da rifiutare. Indifferenza: cioè non fare differenza. Nessuna importanza: cioè a ogni cosa, evento, situazione la stessa somma importanza.
Tutto è sempre molto importante.

Selezione dei brani a cura  di Gianfranco Bertagni



L'uomo naturale... secondo gli insegnamenti di Osho



Nell’età contemporanea, l’uomo ha perso la connessione con la natura e le qualità innate dell’energia maschile e femminile attraverso cui arricchire ed espandere gli orizzonti esistenziali.

L’uomo moderno ha perso i benefici derivanti dalla naturale fratellanza tra gli uomini. Un incontro tra gli uomini può essere l’occasione per portare consapevolezza sui vecchi pregiudizi e permettere la transizione dalla competizione alla collaborazione, dall’isolamento all’amicizia, dal ripiegamento su se stessi alla condivisione, dalla chiusura al fluire e alla creatività, dalla solitudine alla pienezza e, infine, alla meditazione.

La nostra esperienza nei gruppi sull’espressione dell’energia.  
Negli anni, lavorando nei nostri workshop con centinaia di persone in paesi diversi e perseguendo il nostro personale processo di trasformazione interiore per diventare… uomini, ci siamo resi conto che l’espressione e la concezione di cosa realmente significhi intraprendere un percorso di crescita in questa direzione, sono spesso distorte e profondamente condizionate.

Ciò che abbiamo osservato negli uomini che hanno preso parte ai nostri workshop, è la mancanza di radicamento; si trattava, spesso, di uomini completamente disconnessi dalle proprie emozioni, persi nelle dinamiche di relazione con le donne o in una competizione infinita con gli altri uomini. Solitamente isolati, depressi, stressati e totalmente immersi nella loro mente e nelle aspettative create dalla società. 

In alcuni casi ci siamo imbattuti in un altro tipo di uomo, troppo legato alla madre e caratterizzato dal fatto di avere con lei un “legame fusionale negativo”.

In questo caso, l’uomo manifesta la propria energia in maniera più pacata, a volte in modo molto immaturo: l’eterno Peter Pan. Si tratta di un uomo più emotivo, sognatore. È delicato, romantico, ha paura dell’intensità dell’energia maschile, è sensibile e introverso. Di fatto, o non è in contatto con la sua mascolinità o è in conflitto inconscio con essa.
Tanto per cominciare, è importante riconoscere e accettare che siamo chi siamo, in questo momento. E che ci troviamo in un processo di scoperta del potenziale nascosto di cui siamo tutti portatori.

Possiamo essere grati del fatto che, adesso, abbiamo l’opportunità di osservare la nostra vita e affrontare un processo di trasformazione basato su auto-esplorazione e alchimia interiore.

Abbiamo anche osservato che nella terapia di gruppo dove, secondo la visione di Osho, l’obiettivo è eliminare gli ostacoli alla meditazione, la qualità straordinaria che un gruppo di uomini è in grado di manifestare diventa molto chiara, così come le opportunità di agevolare l’auto-esplorazione e scendere in profondità nel rilassamento.

Il sostegno primordiale che gli uomini sono in grado di offrirsi a vicenda, nel tentativo di riconnettersi alla loro energia e alla spontanea espressione di sé, è una forza della natura di impareggiabile bellezza.

Osho Times



La civiltà umana è più antica di quanto si afferma?



Verso la fine degli anni ’80 conobbi l’archeologo Sabatino Moscati che gli accademici del tempo avevano messo al bando solo perché aveva scritto ed espresso in vari simposi scientifici che la “storia delle civiltà antiche doveva essere riscritta e portata indietro di qualche millennio” – “Ignominia, bestemmia, scandalo!” Fu la reazione dei soliti baroni e soloni accademici, gli stessi che in un altro periodo storico l’avrebbero mandato al rogo solo perché esprimeva concetti nuovi non in linea con le loro obsolete fedi.

Il prof. Moscati, che divenne successivamente direttore della famosa rivista archeologica “Archeo”, mi disse una volta che invece di spendere soldi per nuovi scavi in terre lontane per conoscere le origini della civiltà umana, sarebbe bastato riaprire in tutti i magazzini dei musei archeologici del mondo le casse contenenti reperti strani, particolari, incomprensibili per l’epoca storica di riferimento, contrassegnati quasi tutti con una lettera greca o una X. Si riferiva già allora sia alle pile di Bagdad, ai bassorilievi di Dendera in Egitto e all’enigmatico congegno di Antikythera trovato dentro i resti di un’ antica nave romana naufragata intorno al 70 a.C. al largo di Creta.

Oggi al rogo, perché negatori della verità, ci manderei tutti quei soloni degli anni 80 che ritenevano “scientificamente” dimostrato che la civiltà dell’uomo fosse nata solo nell’antica Grecia.

Non solo la definitiva dimostrazione che il congegno di Antikythera era in effetti un computer, ma che diverse migliaia di anni prima di Cristo nella Valle dell’Indo esistevano città che avevano abitazioni con i bagni interni con gli sciacquoni, con collettori e fogne sotterranee, con grandi piscine pubbliche. Ci meravigliamo ancora quando leggiamo che i Greci avevano inventato i “primi” acquedotti e che gli antichi romani avevano realizzato i bagni igienici collettivi (vespasiani). Oggi invece scopriamo che le città di Mohenjodaro e di Harappa erano molto avanti come ingegneria urbana, con una rete idrica e fognaria da far invidia alle nostre metropoli, talmente avanti da oscurare l’urbanistica delle allora città “evolute” come Atene e Roma.  Sabatino Moscati se fosse ancora vivo finalmente potrebbe togliersi non solo un sassolino dalle scarpe, ma un macigno nei confronto dei suoi colleghi “inquisitori e arroganti”.

Gli abitanti di questa misteriosa civiltà sorta tra  il fiume Indo ed il fiume Saraswati (oggi sotterraneo) non avevano fortificazioni, ne templi, ne palazzi reali. Ciò dimostra che era un popolo pacifico. Non sappiamo nulla di più di quello che mostrano i resti delle città. Tuttavia questi due siti sono legati ad un altro mistero, di cui alcuni decenni fa, ma ancora oggi, facevano discutere: quasi tutti i resti dissepolti, dal vasellame alle fondamenta delle case dell’epoca, mostrano evidenti segni di fusione da temperature estreme di migliaia di gradi. Intrigante è stata poi la scoperta di scheletri che mostrano evidenti tracce di carbonizzazione e calcificazione come se fossero stati esposti ad una fortissima fonte di calore. Alcuni scienziati ipotizzano che le due città siano state investite da un’onda energetica tipica dell’esplosione di un meteorite o di una cometa prima di toccare il suolo, come accadde in Siberia nel 1908.

Sta di fatto che questa civiltà dell’Indo scomparve ancora prima che nascesse quella Greca.

I vecchi soloni che contestarono a suo tempo le affermazioni di Sabatino Moscati, resterebbero oggi ancora più sconvolti se dovessero credere allo studio fatto da un ricercatore inglese, David Davenport, circa le ipotesi di distruzione di queste due città. Questo ricercatore, rifacendosi agli antichi testi sacri dell’Induismo, quali il Mahabharata e il Ramayana, che descrivono in maniera molto chiara una guerra tra “Dei” in cui attraverso macchine volanti chiamate Vimana si lanciavano palle di fuoco che incenerivano foreste e città, ipotizza un’idea fantascientifica, quella che gli antichi testi sacri indù dicessero la verità…

E allora? Lo chiederei al prof. Moscati,  “non solo l’inizio delle civiltà umane va rivista completamente, ma anche la storia dell’uomo e degli Dei…..”

Andrea Rossi



In riconoscenza verso la vita ed i miei primi maestri...

 



Naturalismo: "La morte è vita..."


Risultati immagini per Naturalismo: La morte è vita


La morte secondo il concetto  della ciclicità naturalistica non è altro che un rinnovarsi delle forme  in altre forme. Una trasformazione che non danneggia in sé la vita. Anzi la vita non è altro che il  rincorrersi del processo vita-morte. I nostri progenitori, come d'altronde tutti gli animali, riconoscevano questa ciclicità quindi non erano particolarmente attaccati alla forma, al senso dell'io. Essi erano in grado di godere l'esistenza, con tutte le sue bellezze e le sue bruttezze, come fosse una meravigliosa avventura. Al termine  della quale, senza rimpianti, erano in grado di lasciarsi andare all'ultimo  sonno ristoratore consapevoli che al risveglio avrebbero trovato una nuova forma. Per questo erano in grado di affrontare pericoli e difficoltà, lotte e rischi, esplorazioni e nuove scoperte,  a cuor leggero. Forse con timore, forse con dubbi sul da farsi, ma senza demordere nel loro percorso. L'uomo che viaggiava con la morte al fianco era un eroe.  

Poi subentrarono le religioni le quali, malgrado una serie di evidenti differenze dottrinali, condividono un principio fondamentale: gli esseri umani nella loro anima, l'io o ego,  sono immortali.  Fin dalle prime forme di espressione "spirituale", fu questa la grande promessa e speranza offerta dalle grandi religioni ai rispettivi fedeli. Non che questa "eternità" fosse un regalo senza contropartita, bisognava guadagnarselo, e soprattutto bisognava "credere" nel dettame religioso, altrimenti sì l'anima è immortale ma può correre il rischio di perdersi per sempre negli inferi. Il che ovviamente è infinitamente peggio che trasformarsi in altri aspetti  vitali, come  insegna il naturalismo.

Purtroppo nel corso dei secoli e dei millenni la compagnia della morte è stata rinnegata, sino al punto che oggi siamo persino disposti al "commercio spirituale" per accaparrarci un futuro garantito. Non che il commercio spirituale sia una novità di questa epoca, in effetti tale commercio è iniziato il momento stesso  in cui l’uomo si è inventato un “aldilà”, ovvero un ipotetico mondo dello spirito contrapposto al mondo terreno. 

Ciò è avvenuto soprattutto con l’avvento delle religioni monotesiste: Giudaismo, Cristianesimo e Islamismo. Ma in verità era già presente –in fieri- nel momento stesso in cui è iniziato il processo di virtualizzazione del pensiero, con la nascita della filosofia, che è sorta unitamente al patriarcato ed all’accumulo di beni materiali (cioè il concetto di proprietà).

Ma se vogliamo cercare un'evidenza della nascita e del parallallelismo fra mondo materiale, dell’aldiqua, e della creazione di un mondo virtuale, dell’aldilà, scopriamo che appare nelle società umane con il culto degli antenati. Gli antenati vengono considerati vivi nell’aldilà ed è per questo che sono richieste continue cerimonie per il loro nutrimento “spirituale” e addirittura in Cina fu inventata la “cartamoneta” -che veniva bruciata assieme all’incenso, per trasmettere ai defunti quei titoli in forma sottile, in quanto si presupponeva che l’affluenza nell’oltretomba derivasse da tali offerte.

Ma non solo questo, nell’Europa medioevale -ad esempio- si era giunti alla vendita delle indulgenze, in cui si pagava –non con cartamoneta fittizia ma in oro sonante- alla chiesa un conquibus che poi veniva trasferito (a detta dei preti) alle anime dei defunti o dello stesso donatore che si assicurava così il paradiso. Il "commercio spirituale”, basato sulla paura della morte,  non conosce confini, si manifesta in mille modi, con la vendita di rosari, libri sacri, immaginette, reliquie…. davanti ai santuari ed alle cattedrali (ed anche al loro interno), tale compravendita è accettata come un corollario della religione (e senza tasse). Ci sono pure le donazioni devozionali per le missioni, per i poveri (della stessa specie religiosa connessa) e per le opere di bene (tipo IOR ed affini).

Le religioni dell’aldilà sono proprio un bell’affare… Se c’è bisogno di manodopera a buon mercato, di combattenti pronti a tutto, ecco che si escogitano le guerre sante e l’onorevole martirio, che garantisce un aldilà bellissimo, pieno di flauti, di arcobaleni, di vergini ed angeli compiacenti.

In fondo meglio lavorare e risparmiare per l’aldilà, visto che ormai questo mondo sta andando a rotoli e tutti sono convinti che occorre fregare la morte. L’unica speranza è credere in un altro mondo, e su questo assioma le sette e le religioni prolificano e si ingrassano…. qui sulla terra, ingrassano qui nella nostra società… mica là… nei cieli dove esiste solo spazio vuoto. 

Ma contemporaneamente a questa messe di illusioni  è nata anche la disillusione religiosa, in molti ambienti  materialisti o edonisti si tende all’egoismo puro, con la conseguenza che sulla terra si gode senza ritegno delle risorse senza tener conto della sacralità della natura ed ignorando che la vita continua con i nostri successori… 

Sia la religione che il materialismo considerano inutile il mantenimento della vivibilità sulla terra… in fondo qui siamo tutti di passaggio.. tanto vale guadagnare beni per il futuro in una altra terra fantasistica e trascurare questa terra terrestre, oppure godere qui sin che si può senza rispetto per le generazioni future. Questo pianeta può andare a remengo, ci si possono compiere le peggio nefandezze: distruggerlo, sfruttarlo all’inverosimile, inquinarlo e offenderlo con tutti i suoi abitanti (alberi, piante, animali) che sono alla mercé delle necessità di guadagno, accumulo e spesa… 

In verità noi dovremmo assimilare nella nostra società il culto dei successori e lasciar perdere quello degli antenati….. 

Per fortuna  di tanto in tanto appare un essere umano che è in grado di affermare che “la pura Terra Promessa è qui su questa terra”. Diceva ad esempio Tich Nhath Hanh: “Se riuscirete a lasciare passi di pace e liberi da ansia su questa nostra terra, non avrete più bisogno di pensare di entrare nel “regno dei cieli”. Il motivo è semplice, il samsara ed il regno dei cieli sono entrambi invenzioni della mente. Se siete in pace, liberi da presupposti e pieni di gioia di vivere avrete trasformato il samsara in Pura Terra e non ci sarà più bisogno di pensare ad un aldilà….” 

Paolo D’Arpini



La donna è immobile... Una storia fantastica di Simon Smeraldo

 


Nei lontanissimi anni ’50 era in voga una canzone che diceva: “Donna, tutto si fa per te/donna, gioia di vivere…”.

Sottoscrivo di cuore.

Ciononostante, bisogna anche considerare il lato oscuro di questa meravigliosa creatura, senza la quale la vita sarebbe molto grama. Come dice un sano proverbio, “essere preparati è metà dell’opera” e “il buon giorno inizia al mattino precedente, se non è rosso di sera”.

Tanto per cominciare, vorrei citare un poeta che forse qualcuno di voi conosce per sentito dire. Costui raggiunse una certa notorietà con il seguente enunciato:

Al contadin non far sapere quanto sa di sale mangiare la pera sull’altrui scale”, lanciando ovviamente in questo modo un trend che ancor oggi va per la maggiore. Avete mai visto infatti qualche contadino mangiarsi una pera sulle scale, soprattutto di qualcun altro?

Ma la citazione di cui parlavo è questa: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita: guidava mia moglie”

Ebbene sì, è ovvio che una professione a cui, ad onta della parità dei sessi, la donna potrà difficilmente dedicarsi è quella di guida indigena. Ella riesce, più spesso di quanto non si creda, a perdersi nel tragitto da casa al supermercato, per non parlare delle volte in cui avete ricevuto una sua affannosa telefonata: “Ma piazza Venezia è a Roma o a Venezia? No, perché non so se devo prendere l’A 1 o l’A 3”. Ma sorvoliamo su questi dilemmi che qualcuno potrebbe considerare estremi e veniamo ad un’esperienza che ogni uomo ha fatto almeno una volta nella vita; a dir la verità probabilmente ogni giorno della sua vita.

Il parcheggio. Lo scenario è questo: avete una certa fretta e non vi riesce di trovare un parcheggio. A un certo punto adocchiate una donna (giovane, anziana, di mezz’età, non importa) che entra nella sua macchina parcheggiata non lontano dalla vostra posizione, e quindi pensate con sollievo: “Oh, meno male! Adesso esce e mi lascia il posto!” E vi mettete in seconda fila con le luci di emergenza, attendendo che la signora/signorina/vedova esca dal parcheggio. Illuso! Vorrei citare , a questo punto, lo stesso poeta di cui si parlava più sopra. Egli doveva avere una qualche esperienza con le donne, per essere così saggio. Scrisse infatti: “lasciate ogni speranza, o voi che parcheggiate” (o meglio, vorreste parcheggiare).

E veniamo al nostro scenario melodrammatico. La prassi per qualsiasi donna che entra nella sua auto è di guardarsi immediatamente allo specchietto retrovisore, scrutando con attenzione ogni particolare del suo volto e l’acconciatura. Ma l’esame allo specchietto delle sue brame la getta nello sconforto più totale: ha scoperto che un brufoletto le sta spuntando sulla fronte! Orrore! Le ci vogliono almeno cinque minuti per riprendersi dallo shock, e mettersi a guidare in queste condizioni di forte stress neanche a parlarne. Una volta accettato con filosofia il responso dello specchio (“la devo smettere di mangiare tutta quella cioccolata!”) giunge il momento di esplorare la borsa, alla ricerca delle chiavi della macchina.

E che ci vorrà mai?” Direte voi.

Ha! State scherzando o dite sul serio?

L’estrazione inizia: Le chiavi di casa, lo stick del rossetto, il portacipria, la matita per gli occhi, la boccetta dei sali per la zia Agata che soffre di svenimenti, la pistola giocattolo del bimbo, il bigliettino da visita del geometra, del ginecologo, dello psicanalista, del fruttivendolo, dell’idraulico, la bussola (glie l’ha messa il marito) la radiolina portatile anni ’70 (un caro ricordo di gioventù, del mare), il cellulare, il repellente spray in caso di aggressione, il deodorante, il profumo, il borsellino, il portafoglio grande circa tre volte quello di un uomo anche se molto spesso con tre volte meno soldi, due o tre pezzi di lego, la mangusta (???? No, non chiedetemi perché, vi prego), la chiave inglese, la penna multicolore, il bloc notes, gli occhiali da sole, la lista della spesa, gli ultimi venti scontrini del parrucchiere, lo specchietto, un pezzo di formaggio ammuffito, la copia tascabile di “Cinquanta sfumature di verde- il giardino come lo sogni”, il bacio Perugina che le regalò il fidanzato prima di diventare il marito, il tagliaunghie, la limetta, la pinzetta, la tenaglietta, il cacciavitino, la zampa di lepre (portafortuna) il piede di porco (“Come?” direte voi “Ma come può avere un piede di porco in borsa?” E se la donna in questione fosse una scassinatrice? Tutto può darsi) il coltellino multiuso, due monete da cento delle vecchie lire, e – “Ma che ci fa questa nella mia borsa?” (è la torcia da minatore che usava al campeggio) una candela mezza consumata dalla serata romantica con cui il sempre futuro marito le si dichiarò, la scatoletta delle aspirine, un medaglione-ricordo con la foto dei nonni il giorno del loro matrimonio, una lattina di tonno per le fami improvvise, il bracciale della cresima del primogenito, e infine la statuina di zucchero di lei e il marito proveniente dalla torta di nozze.

E la chiave della macchina? “Ah, che sbadata!” L’ aveva già inserita.

Viene il momento della riflessione sul funzionamento dell’auto: “Ma la pressione delle gomme sarà calata nelle sette ore e mezzo che sono stata dall’estetista? Ma perché quello sciagurato di Alfonso (è il nome del marito) non me le controlla mai? E adesso cosa faccio? Mi tocca andare dal gommista! Ma guarda un po’ tu cosa mi doveva capitare, proprio oggi che vado di fretta! E l’olio? E l’acqua?” (Poi si rassicura ricordandosi che le auto non vanno ad acqua ma a benzina). Infine parte, controllando a destra e sinistra che non vengano auto (ma come fanno a venire da destra se è parcheggiata lungo il marciapiede sulla destra della strada?) “Ma non si sa mai, non si è mai troppo prudenti!” E’ la sua conclusione assennata. E poi in un nanosecondo schizza fuori dal parcheggio alla Schumacher, per agevolare la collisione col motorino che stava sopraggiungendo e che aveva calcolato male i tempi….delle donne. Dimenticavo: a questo punto voi non siete più già lì da un pezzo….. e anche oggi avete dovuto parcheggiare in divieto di sosta.

Auguri a tutti gli aspiranti parcheggiatori.

Simon Smeraldo