Restiamo ciò che siamo sempre stati...
Vedanta. Nondualismo e le maschere dell'io...
Il Vedanta, letteralmente “dopo i Veda” è una scuola di pensiero laico basata sull’Assoluto non duale, detto “Brahman” nelle Upanishad, i testi filosofici vedantici (posteriori ai Veda).
Sulla datazione dei Veda e del Vedanta le opinioni degli studiosi, storici e religiosi, divergono alquanto. La differenza di vedute è soprattutto fra ricercatori occidentali e quelli indiani. Secondo gli europei, proni al credo filo occidentale di una culla di civiltà medio-orientale e mediterranea, i Veda sono posti attorno al primo millennio a.C. e le Upanishad al periodo appena antecedente la nascita del Buddha storico (VI secolo a.C.). Ovviamente per alcuni storici indiani le date sono diverse e si allontanano moltissimo da quanto affermato dagli storici europei. Ma analizziamo i concetti espressi e lasciamo da parte le datazioni (irrilevanti ai fini della sostanza).
La peculiarità della filosofia Advaita Vedanta è che non si rifà ad alcuna divinità. L'Assoluto non duale è tra l'essere ed il non essere. Esso è il Sé (Atman), ovvero la Consapevolezza priva di attributi, che è contenitore e contenuto di tutto ciò che si manifesta, autoesistente, e contemporaneamente aldilà di ogni manifestazione e pensiero.
Il Sé gode della sua stessa illusione di esistere come oggetto separato e distinto da se stesso e secondo il Vedanta- questa commedia si rende possibile attraverso cinque maschere o “guaine” (in sanscrito “kosha”) che nascondono il Sé al sé (l’Io assoluto all’io relativo).
Esse sono: “annamaya”, “pranamaya”, “manomaya”, “vijnanamaya” e “anadamaya”.
Annamaya è la guaina composta dal cibo, il corpo fisico. I suoi costituenti sono i cinque elementi nello stato grossolano, in vari gradienti di mistura. Dello stesso materiale sono fatte le cose del mondo oggettivo sperimentato.
Pranamaya è la guaina dell’energia vitale (nella Bibbia “soffio vitale”) è quella che denota la qualità vitale, la sua espressione è il respiro, in sanscrito “prana” e le sue cinque funzioni o “modi”: “vyana” quello che va in tutte le direzioni, “udana” quello che sale verso l’alto, “samana” quello che equipara ciò che è mangiato e bevuto, “apana” quello che scende verso il basso, “prana” quello che va in avanti (collettivamente vengono definiti con il termine “prana”). Alla guaina del “prana” appartengono anche i cinque organi di azione, ovvero: la parola, la presa, il procedere, l’escrezione e la riproduzione.
Manomaya è la guaina della coscienza, o mente individuale, le sue funzioni sono chiedere e dubitare. I suoi canali sono i cinque organi di conoscenza: udito, vista, tatto, gusto ed olfatto.
Vijnanamaya è la guaina dell’auto-coscienza, o intelletto, cioè l’agente ed il fruitore del risultato delle azioni. Questa maschera, od involucro, è considerata l’anima empirica che migra da un corpo fisico ad un altro (nella teoria della metempsicosi).
Anadamaya è la guaina della gioia, non la beatitudine originaria che è del Brahman, essa è la pseudo beatitudine (sperimentata nel sonno profondo) del cosiddetto “corpo causale”, la causa prima della trasmigrazione. Un altro suo nome è “avidya” ovvero nescienza od ignoranza del Sé.
Secondo lo studioso indiano T.M.P. Mahadevam è possibile riordinare queste cinque maschere in tre “corpi”:
1 - “annamaya”, il corpo fisico grossolano;
2 - “suksma-sarira” il corpo sottile, l’insieme delle tre guaine di prana mente ed intelletto (”pranamaya, “manomaya” e vijnanamaya”);
3 - “karana-sarira”, il corpo causale della guaina “anandamaya”.
E’ per mezzo di questi tre corpi che noi sperimentiamo il mondo cosiddetto “esterno” nei tre stati di veglia, sonno e sonno profondo.
L’esperienza empirica si manifesta attraverso le cinque guaine, proiettate o riflesse nel concetto di “spazio” e “tempo”, senza di esse la coscienza relativa di un “mondo” non potrebbe sussistere.
Come diceva il filosofo M. Heidegger : "Com’è che l’esistenza umana si è procurata un orologio prima che esistessero orologi da tasca o solari?…Sono io stesso l’”ora” e il mio esserci il tempo? Oppure, in fondo, è il tempo stesso che si procura in noi l’orologio? Agostino ha spinto il problema fino a domandarsi se l’animo stesso sia il tempo. E, qui, ha smesso di domandare...”
Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica
Roma 20 settembre 1870: “Porta Pia ed entrata empia…”
XX Settembre, ricordate? Ricorre l’anniversario della presa di Roma, ovvero si festeggia la breccia di porta Pia attraverso la quale i “nostri” bersaglieri poterono penetrare in città. Il papa Pio IX aveva emesso una scomunica su chi avesse consentito l’accesso degli stranieri nella città eterna... e siccome i militi piemontesi erano tutti ferventi cattolici e non si trovava nessuno disposto ad accollarsi la maledizione papale, l’ordine di aprire il fuoco e praticare la fessura fu impartito da un ufficiale ebreo, così le anime cristiane furono salve e il merito della presa di Roma restò ai giudei.
Questo fatto simbolico ancora “pesa” sull’unità d’Italia. Sono in molti a criticare quel 20 settembre 1870 che consegnò l’Italia intera ai Savoia. Una dinastia di poca qualità. Ma almeno, con la breccia di Porta Pia è finito questo strazio delle scomuniche papaline! Infatti il 20 settembre si celebra la caduta del potere temporale del papato (o meglio dire il suo ridimensionamento).
Accadde con l’entrata strombettante dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia. “Alla breccia di Porta Pia sono entrati i bersaglieri…” faceva il ritornello della canzoncina allegra che si cantava una volta nelle scuole il 20 settembre, ed io l'ho cantata. Oggi non si canta più comunque la data resta a segnare un momento cruciale della nostra storia patria e dell’affermazione (sia pur per un breve momento storico) dei valori della laicità dello stato: “..perché niun savio dell’avvenire – reo di verità discoperta – s’inginocchiasse a un prete..”. Diceva il poeta evidentemente riferendosi alla disavventura di Galileo Galilei, costretto a piegarsi dinnanzi al papa ed a rinnegare la verità dei fatti per salvarsi la pelle.
Parlando di eretici mi sovviene anche l’eretico per antonomasia, nato il 21 settembre del 1452, Gerolamo Savonarola il quale si scontrò con il papa Alessandro VI (il Borgia) e finì sul rogo… Per lui niente cerimonie di commemorazione anche se Gramsci così lo ricorda: “Chi lo ritiene uomo del medioevo non tiene conto della sua lotta al potere ecclesiastico che voleva rendere indipendente Firenze dal potere feudale della chiesa”.
La storia è solo un racconto. L’angolazione del giudizio sui fatti esaminati dipende solo dalla propensione emozionale a vedere le cose per come le sentiamo vere. Sappiamo però che la storia non è mai qualla raccontata e nemmeno quella percepita con le budella.
La storia, anche nella migliore delle ipotesi, è un mosaico di piccoli particolari ed eventi disgiunti che solo all’analisi successiva appaiono consequenziali… ” è comunque fondamentale, assolutamente fondamentale, capire e conoscere i fatti. Non credo al relativismo, credo alla verità e la differenza di punti di vista, nella sua infinita varietà, può essere, tra l’altro, tra due errori, tra un errore ed una verità e tra due verità” (Luca Zolli)
Nella nostra vita abbiamo lo stimolo di rispondere adeguatamente alle occasioni più diverse che ci capitano e non possiamo dire che il filo conduttore sia la nostra volontà di ottenere i risultati che ci siamo prefissati… Succede quel che succede e poi noi esprimiamo il nostro parere: ho fatto questa cosa e mi piace, ho fatto quella cosa e non mi piace…
In realtà nessuno fa nulla c’è solo un’intersecazione e commistione di forze diverse che agiscono attraverso di noi. Quel che resta sono i semplici fatti, non le ragioni o le intenzioni. Comunque tendiamo ad esaminare quei fatti con la nostra visione personale ed il nostro senso del giudizio.
La vita è tutta una meravigliosa sorpresa e voler stabilire il suo significato è semplice arroganza! Questa la mia opinione…
Paolo D’Arpini
Della Bhagavad Gita Nisargadatta Maharaj disse...
Il discorso del "koan" (zen)...
Vuoi davvero comprendere, vuoi trasformare.
Thay
"La contaminazione del pensiero nella Coscienza" - Brani di folle saggezza di U.G.
L'uomo naturale... secondo gli insegnamenti di Osho
Nell’età contemporanea, l’uomo ha perso la connessione con la natura e le qualità innate dell’energia maschile e femminile attraverso cui arricchire ed espandere gli orizzonti esistenziali.
La civiltà umana è più antica di quanto si afferma?
Verso la fine degli anni ’80 conobbi l’archeologo Sabatino Moscati che gli accademici del tempo avevano messo al bando solo perché aveva scritto ed espresso in vari simposi scientifici che la “storia delle civiltà antiche doveva essere riscritta e portata indietro di qualche millennio” – “Ignominia, bestemmia, scandalo!” Fu la reazione dei soliti baroni e soloni accademici, gli stessi che in un altro periodo storico l’avrebbero mandato al rogo solo perché esprimeva concetti nuovi non in linea con le loro obsolete fedi.
Il prof. Moscati, che divenne successivamente direttore della famosa rivista archeologica “Archeo”, mi disse una volta che invece di spendere soldi per nuovi scavi in terre lontane per conoscere le origini della civiltà umana, sarebbe bastato riaprire in tutti i magazzini dei musei archeologici del mondo le casse contenenti reperti strani, particolari, incomprensibili per l’epoca storica di riferimento, contrassegnati quasi tutti con una lettera greca o una X. Si riferiva già allora sia alle pile di Bagdad, ai bassorilievi di Dendera in Egitto e all’enigmatico congegno di Antikythera trovato dentro i resti di un’ antica nave romana naufragata intorno al 70 a.C. al largo di Creta.
Oggi al rogo, perché negatori della verità, ci manderei tutti quei soloni degli anni 80 che ritenevano “scientificamente” dimostrato che la civiltà dell’uomo fosse nata solo nell’antica Grecia.
Non solo la definitiva dimostrazione che il congegno di Antikythera era in effetti un computer, ma che diverse migliaia di anni prima di Cristo nella Valle dell’Indo esistevano città che avevano abitazioni con i bagni interni con gli sciacquoni, con collettori e fogne sotterranee, con grandi piscine pubbliche. Ci meravigliamo ancora quando leggiamo che i Greci avevano inventato i “primi” acquedotti e che gli antichi romani avevano realizzato i bagni igienici collettivi (vespasiani). Oggi invece scopriamo che le città di Mohenjodaro e di Harappa erano molto avanti come ingegneria urbana, con una rete idrica e fognaria da far invidia alle nostre metropoli, talmente avanti da oscurare l’urbanistica delle allora città “evolute” come Atene e Roma. Sabatino Moscati se fosse ancora vivo finalmente potrebbe togliersi non solo un sassolino dalle scarpe, ma un macigno nei confronto dei suoi colleghi “inquisitori e arroganti”.
Gli abitanti di questa misteriosa civiltà sorta tra il fiume Indo ed il fiume Saraswati (oggi sotterraneo) non avevano fortificazioni, ne templi, ne palazzi reali. Ciò dimostra che era un popolo pacifico. Non sappiamo nulla di più di quello che mostrano i resti delle città. Tuttavia questi due siti sono legati ad un altro mistero, di cui alcuni decenni fa, ma ancora oggi, facevano discutere: quasi tutti i resti dissepolti, dal vasellame alle fondamenta delle case dell’epoca, mostrano evidenti segni di fusione da temperature estreme di migliaia di gradi. Intrigante è stata poi la scoperta di scheletri che mostrano evidenti tracce di carbonizzazione e calcificazione come se fossero stati esposti ad una fortissima fonte di calore. Alcuni scienziati ipotizzano che le due città siano state investite da un’onda energetica tipica dell’esplosione di un meteorite o di una cometa prima di toccare il suolo, come accadde in Siberia nel 1908.
Sta di fatto che questa civiltà dell’Indo scomparve ancora prima che nascesse quella Greca.
I vecchi soloni che contestarono a suo tempo le affermazioni di Sabatino Moscati, resterebbero oggi ancora più sconvolti se dovessero credere allo studio fatto da un ricercatore inglese, David Davenport, circa le ipotesi di distruzione di queste due città. Questo ricercatore, rifacendosi agli antichi testi sacri dell’Induismo, quali il Mahabharata e il Ramayana, che descrivono in maniera molto chiara una guerra tra “Dei” in cui attraverso macchine volanti chiamate Vimana si lanciavano palle di fuoco che incenerivano foreste e città, ipotizza un’idea fantascientifica, quella che gli antichi testi sacri indù dicessero la verità…
E allora? Lo chiederei al prof. Moscati, “non solo l’inizio delle civiltà umane va rivista completamente, ma anche la storia dell’uomo e degli Dei…..”
Andrea Rossi
In riconoscenza verso la vita ed i miei primi maestri...
Ho anche un motivo personale nel voler ricordare quei momenti tragici. Io sono nato da uno di quei reduci… anzi diciamo uno che era rimasto invalido e che fece in tempo a tornare prima della disfatta finale. Ma questa storia merita un piccolo chiarimento. Mio padre durante la ritirata del 1943 restò indietro con le gambe congelate, i suoi lo abbandonarono. Sarebbe stato fatto prigioniero o forse ucciso se alcuni russi “benevoli” non l’avessero preso, caricato su un carro e -a loro rischio- riconsegnato entro le linee italiane. Poi fu rimandato in Italia dove essendo invalido non continuò a svolgere servizio militare. Io nacqui poco dopo la liberazione di Roma, il 23 giugno del 1944. Quindi debbo la vita ad un russo…. oltre che a mio padre ed ovviamente a mia madre. Anzi soprattutto a lei che scelse di tenermi malgrado i tempi…
Ricordo i miei primi anni di vita a Roma in cui mia madre e mia nonna paterna mi portavano con loro per campi a raccogliere erbe commestibili. Tanta era la carenza di cibo in quegli anni e ricordo anche i crateri ancora aperti dalle bombe americane e i binari della ferrovia tiburtina divelti. La guerra non l’ho vissuta ma ho fatto in tempo a vederne le brutture postume. Poi nel 1954 mia madre morì e così dovetti anche affrontare nuove vicissitudini. Ma quello, malgrado tutto, fu un periodo abbastanza utile per la mia crescita. Essendo rimasto da poco orfano e rinchiuso in un collegio (per mancanza di accoglienza in altre situazioni familiari), sicuramente quell’esperienza, cogente ed importante, fu necessaria per il mio successivo sviluppo.
Durante quel periodo, appresi come fosse necessaria l’autonomia di pensiero e l’adattamento alle situazioni, due aspetti che in seguito contribuirono fortemente alla mia formazione spirituale e sociale.
Ho un debito di riconoscenza versoi salesiani di San Giovanni Bosco e la loro opera di assistenza ai giovani. Io fui un loro beneficiato, allorché morì mia madre Giustina, e non riuscivo più ad adeguarmi a una scuola normale (malgrado fossi considerato intelligente e preparato dai miei maestri). Qualcosa in me si era bloccato, ricordo all’esame di quinta elementare feci una totale scena muta, conoscevo tutte le risposte alle domande che mi venivano poste dagli esaminatori ma non profferii parola, solo sguardi luccicanti e silenzio. Così da buon orfano disadattato fui mandato al collegio del Sacro Cuore di Roma, come interno. Vivevo cioè in una comunità chiusa al mondo ma in un’atmosfera che ricordava la famiglia.
Ricordo il mio insegnante, un vecchio laico che risiedeva monasticamente nel collegio, un uomo di grande saggezza, egli mi insegnò a strizzare bene il tubetto del dentifricio ed anche ad aprirlo per prelevarvi l’ultima pasta attaccata. Nel collegio godevo del poco, ad esempio della merenda pomeridiana, una semplice ciriola di pane senza companatico, mentre pattinavo nel cortile imparando a muovermi velocemente in mezzo agli altri.
Ed è lì che appresi alcuni “trucchi” della religione (da me poi ripresi nelle cerimonie laiche dei vari equinozi e solstizi in cui uso ancora il sistema dei pensierini offerti al fuoco). Allora accadeva con la ricorrenza della festa della Madonna dell’8 dicembre e compivamo un rito particolare “dei messaggi della Santa Madre”, ovvero pescavamo ognuno a turno dentro una grande cesta un rotolino di carta, ogni rotolino conteneva un messaggio personale, che pareva sempre azzeccato, il rotolino una volta letto veniva poi gettato in un focheraccio acceso nel cortile.
Un’altra volta appresi il valore della pazienza durante i canti solenni di una messa speciale. Un ragazzino della mia classe -evidentemente anche lui con problemi psicologici- (si puliva il naso sulle maniche della giacca ed era sempre impiastricciato di mocciolo) stava proprio al mio fianco, forse lo rimproverai di qualcosa e ricordo che lui prese a picchiarmi con furia, mi dava pugni e calci, evidentemente era disperato… dentro di me sentii che non era giusto reagire e continuai a cantare per tutto il tempo assieme al coro, senza provare cattivi pensieri ma concentrandomi sul canto. L’aver superato la rabbia momentanea ed il senso di rivalsa mi riempì di gioia, mi sembrava un dono del Cielo.
Per sviluppare la modestia e l’accettazione prendevo sempre ad esempio le prove dolorose di Don Bosco, alle prese con l’indifferenza della società, mi piaceva moltissimo leggere le storie su Domenico Savio, l’allievo spirituale del santo, mi identificavo con lui. In quegli anni iniziai a scoprire che la mia esistenza aveva un senso solo se la rivolgevo verso la verità, la giustizia e l’amore. Tra l’altro nel tempo appresi come fosse facile anche studiare o compiere il proprio dovere se lo si considerava un’offerta a Dio.
Feci del mio meglio e divenni l’alunno più meritevole della mia classe, il primo in profitto, condotta e religione. A quel tempo avrei potuto anche decidere di farmi prete ma evidentemente quella non era la mia strada. Non sono però irriconoscente verso i santi cristiani, malgrado abbia abbandonato ogni credo religioso precostituito, continuo a provare solidarietà e rispetto verso Don Bosco. Egli è il mio primo maestro e padre spirituale.
Paolo D’Arpini
Naturalismo: "La morte è vita..."
La morte secondo il concetto della ciclicità naturalistica non è altro che un rinnovarsi delle forme in altre forme. Una trasformazione che non danneggia in sé la vita. Anzi la vita non è altro che il rincorrersi del processo vita-morte. I nostri progenitori, come d'altronde tutti gli animali, riconoscevano questa ciclicità quindi non erano particolarmente attaccati alla forma, al senso dell'io. Essi erano in grado di godere l'esistenza, con tutte le sue bellezze e le sue bruttezze, come fosse una meravigliosa avventura. Al termine della quale, senza rimpianti, erano in grado di lasciarsi andare all'ultimo sonno ristoratore consapevoli che al risveglio avrebbero trovato una nuova forma. Per questo erano in grado di affrontare pericoli e difficoltà, lotte e rischi, esplorazioni e nuove scoperte, a cuor leggero. Forse con timore, forse con dubbi sul da farsi, ma senza demordere nel loro percorso. L'uomo che viaggiava con la morte al fianco era un eroe.
Purtroppo nel corso dei secoli e dei millenni la compagnia della morte è stata rinnegata, sino al punto che oggi siamo persino disposti al "commercio spirituale" per accaparrarci un futuro garantito. Non che il commercio spirituale sia una novità di questa epoca, in effetti tale commercio è iniziato il momento stesso in cui l’uomo si è inventato un “aldilà”, ovvero un ipotetico mondo dello spirito contrapposto al mondo terreno.
Ma se vogliamo cercare un'evidenza della nascita e del parallallelismo fra mondo materiale, dell’aldiqua, e della creazione di un mondo virtuale, dell’aldilà, scopriamo che appare nelle società umane con il culto degli antenati. Gli antenati vengono considerati vivi nell’aldilà ed è per questo che sono richieste continue cerimonie per il loro nutrimento “spirituale” e addirittura in Cina fu inventata la “cartamoneta” -che veniva bruciata assieme all’incenso, per trasmettere ai defunti quei titoli in forma sottile, in quanto si presupponeva che l’affluenza nell’oltretomba derivasse da tali offerte.
Ma non solo questo, nell’Europa medioevale -ad esempio- si era giunti alla vendita delle indulgenze, in cui si pagava –non con cartamoneta fittizia ma in oro sonante- alla chiesa un conquibus che poi veniva trasferito (a detta dei preti) alle anime dei defunti o dello stesso donatore che si assicurava così il paradiso. Il "commercio spirituale”, basato sulla paura della morte, non conosce confini, si manifesta in mille modi, con la vendita di rosari, libri sacri, immaginette, reliquie…. davanti ai santuari ed alle cattedrali (ed anche al loro interno), tale compravendita è accettata come un corollario della religione (e senza tasse). Ci sono pure le donazioni devozionali per le missioni, per i poveri (della stessa specie religiosa connessa) e per le opere di bene (tipo IOR ed affini).
Le religioni dell’aldilà sono proprio un bell’affare… Se c’è bisogno di manodopera a buon mercato, di combattenti pronti a tutto, ecco che si escogitano le guerre sante e l’onorevole martirio, che garantisce un aldilà bellissimo, pieno di flauti, di arcobaleni, di vergini ed angeli compiacenti.
In fondo meglio lavorare e risparmiare per l’aldilà, visto che ormai questo mondo sta andando a rotoli e tutti sono convinti che occorre fregare la morte. L’unica speranza è credere in un altro mondo, e su questo assioma le sette e le religioni prolificano e si ingrassano…. qui sulla terra, ingrassano qui nella nostra società… mica là… nei cieli dove esiste solo spazio vuoto.
Sia la religione che il materialismo considerano inutile il mantenimento della vivibilità sulla terra… in fondo qui siamo tutti di passaggio.. tanto vale guadagnare beni per il futuro in una altra terra fantasistica e trascurare questa terra terrestre, oppure godere qui sin che si può senza rispetto per le generazioni future. Questo pianeta può andare a remengo, ci si possono compiere le peggio nefandezze: distruggerlo, sfruttarlo all’inverosimile, inquinarlo e offenderlo con tutti i suoi abitanti (alberi, piante, animali) che sono alla mercé delle necessità di guadagno, accumulo e spesa…
In verità noi dovremmo assimilare nella nostra società il culto dei successori e lasciar perdere quello degli antenati…..
Per fortuna di tanto in tanto appare un essere umano che è in grado di affermare che “la pura Terra Promessa è qui su questa terra”. Diceva ad esempio Tich Nhath Hanh: “Se riuscirete a lasciare passi di pace e liberi da ansia su questa nostra terra, non avrete più bisogno di pensare di entrare nel “regno dei cieli”. Il motivo è semplice, il samsara ed il regno dei cieli sono entrambi invenzioni della mente. Se siete in pace, liberi da presupposti e pieni di gioia di vivere avrete trasformato il samsara in Pura Terra e non ci sarà più bisogno di pensare ad un aldilà….”
Paolo D’Arpini