Non lo farò, ma vorrei togliermi. Vorrei sottrarmi dalla mia – e non solo mia – prospettiva, dalla quale si traguarda un mondo impazzito, una politica sul cui avvento nessuno di quelli accanto a me avrebbe mai scommesso alcunché, stupidamente certi che gli uomini mai l’avrebbero voluta realizzare.
“Tutto mi dà dolore: questa gente
che segue supina ogni richiamo
da cui i suoi padroni la vogliono chiamata,
adottando, sbadata, le più infami
abitudini di vittima predestinata;
il grigio dei suoi vestiti per le grige strade;
i suoi grigi gesti in cui sembra stampata
l’omertà del male che l’invade;
il suo brulicare intorno a un benessere
illusorio, come un gregge intorno a poche biade” (1)
La realtà supera la fantasia dell’incubo
Chi avrebbe pensato alla cancellazione delle identità e della cultura?
Chi l’avrebbe accreditata nella misura in cui sta digitalmente avvenendo?
Chi avrebbe previsto, se non come scherzo, l’abbattimento dei plinti analogici dell’umanità?
Chi avrebbe realmente pensato che, in nome del profitto e del potere, qualunque – ribadisco, qualunque – intervento interessato sarebbe stato messo in essere?
Chi avrebbe previsto le madri in affitto, il passaggio dalla concezione di atto dello spirito a quella del mercato?
Chi avrebbe mai considerato giusto equiparare la natura al diritto senza inorridire?
Chi non avrebbe liquidato con spallucce, senza crederci, l’idea che saremmo definitivamente divenuti individui senza valore, controllati, costretti e contenti di esserlo?
Chi avrebbe mai potuto prendere in considerazione l’idea che giornalisti, intellettuali e artisti in gran numero si facessero servitori del pensiero unico, abiurando alla loro missione di critica e allarme, più di quanto già riscontrato nei regimi totalitari?
Chi quella di un monopolio mediatico, vera origine del vento che soffia e orienta i pensieri?
Chi era arrivato a pensare che la capillarizzazione della paura sarebbe stata uno strumento con il quale ottenere inerme ubbidienza oceanica?
Chi aveva previsto che quella paura virale non sarebbe stato un culmine, ma rodaggio di un metodo che avrebbe spianato le asperità parlamentari della democrazia al fine di rivisitarla in forma totalitaria?
Chi aveva sottoscritto che i vaccini avrebbero ucciso più della malattia?
Che così tanti medici sarebbero caduti nell’incantesimo di un mondo senza Ippocrate?
Chi era stato tanto visionario da prendere in seria considerazione l’incubo del politicamente corretto, quello del genere a scelta, delle blasfemie in nome della cosiddetta inclusività?
Chi avrebbe creduto nell’abbraccio della maggioranza di noi all’economia verde e a quella circolare, alla sostenibilità, all’impatto e al chilometro zero come politiche risolutive, e non studiati diversivi per sollevarsi dal senso di colpa per l’agonia della terra? Chi avrebbe scommesso un solo copeco sull’ignavia della maggioranza, che in merito a quanto sta avvenendo non ha sussulti, lo considera progresso, lo esaurisce nel così va il mondo? Chi avrebbe considerato che avremmo accettato tutto ciò senza riconoscere che non si tratta d’altro che finire a sottostare ad una vita a punti?
Chi sarebbe arrivato a concepire l’idea che il David di Michelangelo potesse dare voce – ascoltata – ai neopuritani, con tanto di tempesta mediatica?
Chi avrebbe mai accreditato che qualcuno avrebbe pensato ancora a liste di proscrizione di uomini con pensieri differenti dal proprio?
Chi poteva immaginare che nostri simili – tutti rigorosamente giornalisti antifascisti progressisti – sarebbero divenuti censori, autoreferenziali verificatori di fatti, negatori di voci differenti da quella da cui prendevano i denari e le veline per propagandare quelle istituzionali?
Chi ha mai pensato si potesse arrivare a mandare al macero testi letterari perché contenenti parole che si vuole grottescamente impedire di pronunciare?
Chi si aspettava d’essere perseguito se invece di dire vigile del fuoco dici pompiere, di diversamente figo gobbo, di non tanto smilza grassa, di omosessuale checca.
Chi avrebbe creduto che qualcuno, certamente antifascista e antirazzista, non avrebbe fatto una piega davanti alla persecuzione di privati cittadini russi, al furto perpetrato nei loro confronti perché tali, alla deliberata esclusione sociale e politica di qualunque loro espressione storica e artistica?
Non più distopia, ordinaria realtà
E chi riesce a capacitarsi del fatto che il popolo dei divanisti, scientisti bastardi ma anche di razza, non sta facendo una piega davanti alla definitiva, radicale separazione dell’uomo dal trascendente e dalla natura a mezzo dei nuovi onnipotenti dei della scienza e della tecnologia?
Chi riesce ad accettare che l’ultimo uomo, quello che Nietzsche indicava come emblema della morte dell’uomo stesso, della sua potenza creatrice ed evolutiva, sia ora celebrato come emblema opposto, espressione ideale del vero uomo contemporaneo, più che mai fautore di una storia esaurita nell’agnosticismo? Una storia dove la sola etica alimentata è quella del profitto, la sola logica quella del costo-beneficio.
Chi non è sconvolto dal progetto di ignorantigizzazione mediatica, a cui abbiamo assistito tramite le prove generali con il covid e la guerra della Nato, che ne hanno confermato la bontà?
Chi può accettare che tutte le arti in senso lato non siano più tramandate entro i nuclei dal famigliare al regionale e al nazionale, non esprimano più una cultura e un’identità, una vera sapienza esclusiva, progressivamente soppiantate dai prodotti dell’industria per ragioni economiche, di mercato, indipendentemente da quanto ammonti il conto di ciò che, senza neppure farci caso, abbiamo cessato di coltivare, di maneggiare, di trasmettere, lasciando e riducendo a un tutore video-elettronico ciò che prima era bottega, impegno, prove, dedizione, amore?
Chi può prestarsi ad accettare che sia un algoritmo a scegliere al posto nostro se abbiamo ancora in noi il necessario per discernere cosa è opportuno e cosa no?
Chi non esce di senno quando vede la pubblicità – e insieme a questa molte, moltissime altre – che esordisce con “la scienza ci dice che il cane ha un olfatto superiore al nostro”?
Chi non si dispera davanti alla moltitudine prostrata davanti all’altare dell’intelligenza artificiale, convinta che si tratti realmente di qualcosa di simile o superiore all’uomo, e contemporaneamente ignara del fatto che sta riducendo la sua stessa intelligenza a quella di una macchina?
Anche un esclamativo imprevisto
In tanta sequela di interrogativi, c’è un imperativo altrettanto sconcertante, e questa volta a favore di un cambio del paradigma geopolitico. L’idea di svincolarsi dal dollaro e quella di creare un mondo multipolare sono ormai intenti in atto e in veloce evoluzione e non possono che essere al momento considerate buone notizie. Osserviamo infatti gli accordi tra paesi fino a ieri senza relazioni diplomatiche da molti anni, il codazzo di governi non più disponibili a sottoscrivere inermi l’egemonia dello Zio Sam, la cui somma di popolazione è nettamente superiore a quella del mondo atlantico. Non solo. A tutto ciò si aggiungono anche la battaglia antirepubblicana in ambito nazionale Usa, le visite europee alla spicciolata a Pechino, la messa in guardia cinese sugli yankee in merito a Taiwan, il non allineamento turco alla Nato e altro ancora.
Tanto per fare nomi
George Orwell (2) e Aldous Huxley (3) a parte, più che visionari, semplicemente aggiornati sugli intenti all’ordine del giorno dei temi discussi e delineati – quali prospettive politiche da intraprendere quanto prima – nella Fabian society, della quale erano stati soci, qualcuno era già arrivato a delineare tanto precipitare della politica e della cultura. Escludendo anche tutti coloro che hanno visto nella democrazia il peggiore dei mali, ovvero tutti quelli che avevano consapevolezza delle dinamiche e delle forze disponibili al potere quando, come oggi, condiviso dalle masse, i seguenti sociologi e studiosi ci avevano già in qualche modo messo sul chi vive nei confronti del presente in corso.
Tra questi, anche Jeremy Bentham con il suo Panottico (4), precursore dell’imminente chip sottocutaneo.
Herbert Marcuse in L’uomo a una dimensione, con la predizione della crescita del controllo totalitario attraverso l’abbondanza, il permissivismo e la soddisfazione popolare nei confronti della tecnologia, nonché la fallace attribuzione del diritto alla maggioranza fondata sull’idea che gli individui siano capaci di scegliere per la collettività, ma di fatto null’altro che consolidamento del conformismo.
“Nessuna meraviglia, dunque, se nelle aree più avanzate di questa civiltà i controlli sociali siano stati introiettati al punto in cui persino la protesta individuale resta colpita alle radici. Il rifiuto intellettuale ed emotivo di «allinearsi» sembra essere un segno di nevrosi e di impotenza” (5).
Ernst Bloch in Eredità di questo tempo, con la sua radicale critica alla politica e alla cultura esaurita o celebrativa della tecnologia, dell’industria e del razionalismo, ci fa presente che, in nome dei mercifici miti del progresso, viene irreversibilmente buttato al macero il fondante patrimonio umanistico dell’umanità. Premesse del suo multiversum, che è tanto più patologico e destabilizzante quanto più non riconosciuto nella sua necessità. Non comprendere, accogliere, tenere a sé e valorizzare l’eredità culturale, autentico sistema immunitario e contemporaneamente garanzia evolutiva, in quanto il solo idoneo a muoversi a propria misura, non riconoscere in sostanza il bene della molteplicità valoriale che si sta buttando a mare in nome del progresso, non può che essere premessa di squilibri, contraddizioni, scollamenti, inconvenienti, conflitti, malattie. Null’altro che la vocazione all’effimero, attraverso una vanesia emancipazione dal sacro.
“[...] attraverso il relativismo e l’abbattimento generale si aprono un varco bisogni e riserve provenienti dalla preistoria, come un magma che buca una crosta sottile” (6).
Ivan Illich, che in tutti i suoi lavori non ha cessato di mettere in evidenza cosa di fine e sostanziale passava insieme al crasso ed effimero progresso. Dai suoi lavori si potevano raccogliere a piene mani le critiche alle forze che ci hanno ormai spinti oltre il ciglio dell’abisso esistenziale.
“La terza illusione consiste appunto nel credere che la rivendicazione pubblica dei diritti porti senz’altro a salvaguardare le libertà. Di fatto, quanto più una società affida ai professionisti l’autorità legale di definire i diritti, tanto più le libertà dei cittadini si dissolvono” (7).
Edgar Morin, con la sua critica alla modernità.
“Tuttavia, la disintegrazione di una cultura sotto l’effetto distruttivo di una dominazione tecnico-civilizzatrice è una perdita per tutta l’umanità, la cui diversità di culture costituisce uno dei tesori più preziosi” (8).
Ernst Jünger, facilmente contestabile dai democratici e dai progressisti per conclamata inettitudine di agnostica ontologia, il cui svincolato pensiero non aveva avuto paura di contraddire quello misero della massa dei pusillanimi benpensanti.
“«I veri pregiudizi», scrive Jünger, «sono invisibili». [...] Lo stile del pregiudizio contemporaneo ha il carattere della inconsapevole uniformità, l’aspetto obiettivo dell’informazione, l’irresponsabilità dell’apparato burocratico, la credibilità scientifica della statistica, la ‘naturalezza’ di un inedito e globale ‘senso comune’ dell’uomo” (9).
Pier Paolo Pasolini, che come pochi era stato radicale nella critica alla modernità, che forse come nessuno si muoveva agile facendosi beffa dell’armatura ideologica che a tutti imponeva goffi, macchinosi, difensivi e invasivi movimenti di pensiero, e che, contemporaneamente, era riuscito a farsi ascoltare e avere o prendersi uno spazio intellettuale di rilievo, pur tuttavia è rimasto lettera materialmente morta, ma di fatto spiritualmente umana, quindi immortale.
“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della società dei consumi” (10).
Michel Foucault, citato in ultimo nonostante disponibile, più degli altri, sulla bocca di tutti. Il suo Sorvegliare e punire non era uno studio sociologico, ma un urlo. Verso cui oggi non si avverte neppure più l’esigenza di tendere l’orecchio, per ascoltarne qualche residuo eco. Il deserto che è in noi non lo permette.
“Se il decollo economico dell’Occidente è cominciato coi processi che hanno permesso l’accumulazione del capitale, possiamo dire, forse, che i metodi per gestire l’accumulazione degli uomini hanno permesso un decollo politico in rapporto a forme di potere tradizionali, rituali, costose, violente, che, ben presto cadute in desuetudine, sono state sostituite da tutta una tecnologia sottile e calcolata dell’assoggettamento” (11).
Contrordine
No! Foucault e compagnia citata erano arrivati a vedere tutto ciò che sta accadendo nella sola dimensione per loro possibile, quella analogica. Quella entro la quale chiunque era in grado di relazionarsi e riconoscere le dinamiche e le forze. Ora si sta tutto realizzando in altra modalità, che non ha nulla a che vedere con la solida materia della vita, che ogni soggetto poteva commisurare a sé. È la modalità digitale, nella quale neppure i numeri e le lettere mantengono il senso strutturale intorno a cui il corpo umanistico degli uomini era andato nel tempo costituendosi, utilizzando la diversità come informazione utile al proprio equilibrio ed evoluzione. E non si citi la fisica quantica per sostenere il valore dell’idolatria della digitalizzazione. Essa è semmai utile per rappresentare la dimensione magica della vita che, per quanto razionalisticamente derisa e denigrata, è ancora negli uomini, seppur inetti a riconoscerla, per arricchire la propria invulnerabilità, stabilità e forza. Tutte doti ora cercate fuori, nei cosiddetti celebrati esperti e nelle app. Magia, in quanto autentico lato segreto dell’analogico, così come rappresentato dalla fisica quantica e classica, la cui unione permette di avvedersi dell’intero.
Ora non più. L’evidenza cui credere, a cui riferirsi è quella digitale. La società imperfetta, risultante degli umori e dell’eros, non interessa più. Ad essa si preferisce quella disumana e vettoriale degli algoritmi. Tutti naturalmente venduti senza possibilità di guasto.
Ora lo zero e l’uno fanno più testo. Fanno tutto. Fanno aurora e crepuscolo, poesia e arte, genio e superamento. Così crederanno coloro che, venendo al mondo, impareranno a suon di click e lo faranno da seduti, perché camminare non servirà più. Le narrazioni leggendarie dell’epoca analogica verranno sostituite da altre, virtuali. Il tempo – loro lo sanno – gioca a favore del neonato mostro sociale.
Al posto della nostra motivazione a conoscere noi stessi, disporremo di dati che, come vuole il più ordinario degli scientisti, saranno utili a riconoscere cosa ci serve, a dirci dove andare, cosa fare, quando essere puniti se non rispettosi delle norme, regole e leggi del Nuovo Ordine Mondiale. Per merito di un’app, sapremo che i cani hanno un fiuto raffinato. E per merito dei like, guadagneremo punti per la tessera della vita prevista dalla Identità digitale europea.
Dunque quegli avvertimenti non sono bastati. A dire il vero, non erano bastati neppure all’epoca che avrebbe potuto farli propri e farne cultura. Oggi qualunque territorio di relazioni è virtuale, quindi disumano. In quanto tale privo di potere creativo, ma con pieno potere di replicazione, limitazione e controllo. E quando gli uomini si avvedranno del trucio olio di ricino che hanno volentieri bevuto – questo sì che lo si può prevedere –, sarà troppo tardi.
Vorrei togliermi
Vorrei togliermi, per recuperare il benessere che lo sgretolamento della realtà mi ha sottratto. Per non avere più a che fare coi farabutti del buon senso, evocato ogni volta al cospetto di ciò che non sono in grado di intellegere, con i progressisti degli arcobaleni, capaci ancora di gridare al fascista e non vedere la voragine a cui hanno acconsentito e che hanno promosso, entro la quale vortica il gorgo che non risparmierà neppure loro, quando si avvedranno che avevano lottato e si erano indignati per tutti i diversivi che i piloti di questa satanica deriva avevano gettato in campo. Nient’altro che pastura per allineati e coperti, capaci di sostenere che “se non ti vaccini, ti ammali e muori” era un semplice slogan; capaci di credere che la guerra sia dell’Ucraina e non degli americani; capaci di sostenere che a Odessa non c’è stata alcuna mattanza nazi-ucraina, perché “l’ha detto l’Onu”.
Vorrei togliermi. Non so come combattere. Non credo serva. Gli inermi, contemporanei a noi ma che non traguardano il mondo dalla nostra stessa mira, non potranno essere vinti. La loro priorità è stare entro le righe, banale trucchetto per cavalcare i tempi ed essere felici in coda alla funivia che li porta a sciare. Nessuna marea si può fermare. Si può solo attendere che receda per un cambio di frequenza. È per questo che non mi toglierò dalla penosa realtà in corso. Le piccole energie personali non devono cedere sotto i colpi di maglio di quest’epoca inconcepibile, che ci avrebbe fatto perdere qualsiasi scommessa. Sarebbe esserle spiritualmente complice.
Citazioni
“Il termine «totalitario» [...] non si applica soltanto ad una organizzazione politica terroristica della società, ma anche ad una organizzazione economico-tecnica, non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti” (12).
“Le forme prevalenti di controllo sociale hanno carattere tecnologico in senso nuovo. [...] Nell’epoca contemporanea [...] i controlli tecnologici appaiono essere l’incarnazione stessa della Ragione a vantaggio di tutti i gruppi ed interessi sociali, in misura tale che ogni contraddizione sembra irrazionale e ogni azione contraria impossibile” (13).
“Ma “crisi” […] non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l’escalation del controllo (sulla gente ndt). Può invece indicare l’attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero” (14).
“In pochi decenni il mondo si è amalgamato. Le reazioni degli uomini agli eventi quotidiani si sono standardizzate. Le lingue e le divinità possono ancora apparire differenti, ma ogni giorno altra gente si aggrega a quell’enorme maggioranza che marcia al ritmo della medesima megamacchina.” (15).
“Estesa al mondo intero, questa industrializzazione dell’uomo provoca la degradazione di tutte le lingue, e diventa difficilissimo trovare le parole che parlino di un mondo opposto a quello che le ha generate. La lingua riflette il monopolio che il modo di produzione industriale esercita sulla percezione e la motivazione” (16).
“[...] l’irruzione tecnico-industriale sul globo tende a sopprimere molte diversità umane, etniche, culturali. Lo stesso sviluppo ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti, e conduce alla crisi profonda di civiltà che affligge le società prospere dell’Occidente” (17).
“In un’epoca contraddistinta dall’ambiguità delle cose, dal confondersi dei generi, dal moltiplicarsi e dal sovrapporsi dei punti di vista e allo stesso tempo dal tendere da parte dell’intero pianeta verso uno «stile globale», per Jünger occorre in primo luogo saper discernere l’uniformità del pregiudizio dai segni che indicano il processo nella direzione dell’unificazione della terra. Non si può credere ai contabili dell’esistente che di fronte all’innegabile fluidità delle cose si appellano all’evidenza dei fatti e parlano, ‘cifre alla mano’, di un’unica ‘verità del senso comune’, di una palese evidenza della ‘realtà’” (18).
“Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana” (19).
“[...] i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane” (20).
“[...] mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – [...] non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo” (21).
“Altre mode, altri idoli,
la massa, non il popolo, la massa
decisa a farsi corrompere
al mondo ora si affaccia,
e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video
si abbevera, orda pura che irrompe
con pura avidità, informe
desiderio di partecipare alla festa.
E s’assesta là dove il Nuovo Capitale lo vuole.
Muta il senso delle parole:
chi finora ha parlato, con speranza, resta
indietro, invecchiato.
Non serve, per ringiovanire, questo
offeso angosciarsi, questo disperato
arrendersi! Chi non parla, è dimenticato” (22).
“La crescita di una economia capitalistica ha richiesto la modalità specifica del potere disciplinare, di cui le formule generali, i processi di assoggettamento delle forze e dei corpi, l’«anatomia politica» in una parola, possono venir messe in opera attraverso regimi politici, apparati o istituzioni molto diverse fra loro” (23).
Note bibliografiche
Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Milano, Garzanti, 1976, p. 96.
George Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 2016.
Aldous Huxley, Il mondo nuovo. Ritorno al mondo nuovo, Milano, Mondadori, 2009.
Jeremy Bentham, Panopticon ovvero la casa d’ispezione, Venezia, Marsilio, 2002.
Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1976, p. 29.
Ernst Bloch, Eredità di questo tempo, Milano, Mimesis, 2015, p. 157.
Ivan Illich, Disoccupazione creativa. Un nuovo equilibrio tra le attività svincolate dalle leggi di mercato e il diritto all’impiego, Milano, red!, 2013, p. 67.
Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Cortina, 2001, p. 58.
Maurizio Guerri, Ernst Jünger. Terrore e libertà, Milano, Bianca e Volta, 2007, p. 186.
Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975, p. 27.
Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1993, p. 240.
Herbert Marcuse, op. cit., p. 23.
Ivi, p. 29.
Ivan Illich, op. cit., p. 20.
Ivi, p. 21.
Ivan Illich, La convivialità. Una proposta libertaria per una politica dei limiti allo sviluppo, Milano, red!, 2013, p. 118.
Edgar Morin, op. cit., p. 70.
Maurizio Guerri, op. cit., pp. 187-88.
Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari cit., p. 28.
Ibidem.
Ivi, p. 59.
Pier Paolo Pasolini, Poesie. Le ceneri di Gramsci. La religione del mio tempo. Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1975, p. 117.
Michel Foucault, op. cit., p. 241.
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