Talmud, l'altro "vangelo" - Talmudismo alla conquista del mondo...

 

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L’infiltrazione del talmudismo è globale e metastatizzata. Mi spiego a scanso di equivoci. A mio avviso termini come “sionismo”, “sionisti”, “anti-semitismo” e simili sono incorretti nella loro comune accezione e nei loro impliciti o sospettati connotati ideologici. Per non andare per le lunghe preferisco usare il termine “talmudismo” per identificare posizioni ideologiche ed essenzialmente razziste, esplicite nel “Talmud,” testo giudaico equivalente al “Nuovo Testamento” per la religione cristiana.

I talmudisti, a livello mondiale, sono di gran lunga la setta più compatta e determinata nei suoi obiettivi, indipendentemente dal grado individuale di aderenza o ottemperanza ai molteplici e curiosi riti talmudisti. Non è necessario sfoderare Aristotele per dedurre che l”exceptionalism”, sbandierato direttamente da Obama e sempre meno indirettamente da Reagan in poi, è la versione laica del talmudismo con la dottrina del “popolo eletto.”

L’exceptionalism è il diritto auto-conferito di imporre (con la forza quando necessario), la propria volontà, cultura, governo e ideologia (americane), a chiunque e dovunque nel mondo, in base a un’ipotizzata “superiorità” degli us of a. E ringraziateci per permettervi di lasciarvi vivere se vi comportate bene, dicono gli eccezionalisti.

Lo schizzinoso che vede esagerazione nel ragionamento, lo vada a chiedere ai milioni di morti in Iraq, Afghanistan, Libya, Syria, Palestina, Iran, etc. etc. Per non parlare dell’Unione Sovietica, dove il colpo ‘eccezionalista’ e’ riuscito alla perfezione, riuscendo a ridurre il paese in uno stato di povertà e divario sociale inimmaginabili solo due o tre anni prima, con conseguente riduzione della popolazione di ben quattro milioni durante i primi anni di “riforme.”

Come un articolista talmudista ha scritto di recente in un articolo di fondo sul “Los Angeles Times”, “Non m’importa niente che si dica che  noi ebrei (leggi ‘talmudisti’) controlliamo il governo, la Corte Suprema, le banche, Wall Street, la “Federal Reserve” (la banca che stampa i dollari e li presta ad interesse al governo americano), Hollywood e l’educazione. Quello che m’importa è  continuare a controllarli.”

Che il talmudismo sia metastatizzato nelle cosiddette pseudo-sinistre non deve sorprendere – le destre storiche il talmudismo le controlla da tempo.

Non per niente organi come il WSWS (organo in rete socialista), predica e predica contro il “capitalismo”, ma fatica e stringe i denti quando (raramente peraltro), è costretto a indirizzare qualche critica a Israele, per non alienare l’uditorio, che suppongo in gran parte ignaro delle circostanze ideologiche insite nel WSWS.

Per finire, allego un breve video che ritengo il piu’ educativo sul 9/11, proprio perchè non parla di chi furono i mandanti e gli esecutori dell’episodio apocalittico, ma si limita a dimostrare in modo inoppugnabile che la distruzione delle torri Uno e Due, per non parlare della Sette fu demolizione controllata.

Tra l’altro David Chandler, che appare nel video e anche apparve in uno degli shows qui a Portland (non mainstream), aveva dimostrato con un esperimento semplice e geniale - usando i video del crollo del WT7 - che la caduta era avvenuta con accelerazione gravitazionale (caduta libera).

Durante la presentazione del rapporto NIST (National Institute of Science and Technology) - 10mila pagine, 15 milioni di $$ di costo -  Chandler aveva totalmente smerdato il presidente Shiam. Incapace di rispondere alla breve dimostrazione di Chandler, Shiam si era immerso nel ridicolo dicendo che “la gravità è la forza che tiene insieme l’universo." “Tipica risposta di uno dei miei studenti che non ha neanche aperto il libro per studiare” – aveva commentato Chandler.

Ma l’assurdo (della NIST) era talmente grottesco che, tre mesi dopo, hanno corretto la versione precedente del “rapporto,” ammettendo che avevano sbagliato sull’accelerazione. Tuttavia per coprirsi il sedere, hanno aggiunto 2.5 secondi al tempo totale di caduta, chiara cazzata evidente a chiunque abbia il tempo di osservare il video e il grafico di Chandler (misura autentica) con quello artificiale della NIST. Ovvio scopo dell’aggiunta di tempo di caduta era copertura del sedere. Senza l’aggiunta la caduta è incontrovertibilmente libera (cioè demolizione controllata).


Come si leggeva nelle vignette western, non sparate sul pianista....

Jimmie Moglia

Per non dimenticare... “Tribù indiane. Capitale e proletari nella storia del Nord America” di Giorgio Stern – Recensione

 


Qualche tempo addietro, verso la metà di luglio del 2019, ricevetti una email da Giorgio Stern in cui mi chiedeva un indirizzo postale per farmi pervenire il suo libro “Tribù indiane. Capitale e proletari nella storia del Nord America” (Zambon Editore), in quel periodo mi trovavo in Emilia, a casa di Caterina, e nel giro di pochi giorni ricevetti il volume. Conoscevo solo di nome Giorgio Stern e la sorpresa nel ricevere questo dono inaspettato fu tanta. Ma in fondo non c’era poi da meravigliarsi, poiché sia lui che io facciamo parte della lista No-Nato e quindi dal punto di vista “politico” già condividiamo diverse opinioni.

La curiosità solleticata dal come ero venuto in possesso del libro mi spinse immediatamente alla lettura, anche perché delle vicissitudini e delle sofferenze degli indiani d’America avevo iniziato ad interessarmi dai tempi di “Soldato blu” un film epico e drammatico che per primo modificava l’approccio verso l’epopea del “selvaggio West” (pellicola del 1970, diretto da Ralph Nelson e ispirato al romanzo storico di Theodore V. Olsen, Arrow in the Sun, a sua volta ispirato ai reali eventi del massacro di Sand Creek del 1864. Si tratta di uno dei primi film western a schierarsi dalla parte degli Indiani d’America).

L’epopea e la tragedia del popolo dalla pellerossa sono descritte in dettaglio nel libro “Tribù indiane” di Stern ed è subito chiaro sin dalla prefazione dell’autore, in cui è detto: “Quanto qui brevemente esposto riassume un capitolo di storia determinante nei suoi sviluppi successivi, facilmente documentabile per l’accesso alle fonti e per i numerosi studi editi negli stessi Stati Uniti, spesso disatteso o snaturato dai mezzi di diffusione di massa e dagli storici di professione”.

Insomma si tratta, come diremmo oggi, di un “libro verità” in cui i vari aspetti ed eventi che portarono allo sterminio, da parte dei “civili yankee” di una popolazione indiana stimata attorno ai 14 milioni di persone ed oggi ridotta a poche centinaia di migliaia. Un olocausto tremendo perpetrato non tanto per motivi “ideologici” quanto per motivi di rapina.

Il “selvaggio west” del popolo dalla pelle rossa è stato così descritto da un esponente Sioux, Standing Bear, nel 1890: “Noi non abbiamo mai considerato le grandi pianure, la distesa delle colline e i tumultuosi torrenti fiancheggiati da folti cespugli, come qualcosa di “selvaggio”. Solo per l’uomo bianco la natura era un “mondo selvaggio”, e solo per lui la terra era “infestata” da animali selvaggi e da gente “selvaggia”: Per noi tutto era famigliare e domestico. La terra ci ricopriva di doni ed eravamo circondati dalle benedizioni del Grande Mistero. Solo quando l’uomo peloso venuto dall’est con la sua brutale frenesia rovesciò ingiustizie, su di noi e sulle cose che amavamo, questo mondo divenne “selvaggio”. Quando gli stessi animali della foresta cominciarono a fuggire davanti ai suoi passi, ebbe inizio per noi l’epoca del “Selvaggio West”.

Già da queste parole potei capire e dare una giusta collocazione agli eventi storici contenuti e particolareggiatamente descritti nel libro di Stern. Gli imbrogli, le nequizie, le stragi, la diffusione volontaria del vaiolo e dell’acqua di fuoco, lo sterminio gratuito dei bisonti, il continuo restringimento entro piccole riserve desertiche, l’espropriazione delle stesse ove facesse comodo alla costruzione di reti ferroviarie o allo sfruttamento di risorse minerarie. Insomma la riduzione in schiavitù e la quasi estinzione di un popolo nobile e generoso. Questo fecero i fautori della democrazia e della religione cristiana e giudea che ancora osano mettere sulla loro monete e sui loro simboli: “In God we trust”.
Quale Dio?, mi chiedo, forse trattasi di Mammona, se non peggio. E ciò viene evidenziato anche nel capitolo relativo all’affermarsi del primo capitalismo bancario, finanziario e industriale e conseguente sfruttamento delle masse popolari di immigrati affamati ed oppressi.

Leggendo le tristi vicende occorse ai lavoratori bianchi “di serie b” trucidati durante gli scioperi e costretti ad orari sfibranti per soddisfare la sete di denaro dei padroni, nonché alle mistificazioni portate a scusante dell’eccidio del popolo pellerossa, libero e pulito, è più facile oggi comprendere la frenesia di dominio e di sfruttamento dimostrato da questi “uomini bianchi pelosi” nei confronti di ogni altra nazione del mondo. Gli sterminatori “religiosi e democratici” che affermano “In God we trust” ma solo per giustificare ruberie e distruzioni, allora come ora!

L’emozione provata scorrendo i vari nitidi capitoli del libro mi ha impedito una lettura continuata, ho dovuto riporre il volume più volte, per non soccombere alla rabbia ed alla frustrazione. Insomma ho impiegato quasi un mese a completare la lettura di un testo di appena 160 pagine.

“Tribù indiane” si conclude con le vicende attuali di un ultimo eroe indiano perseguitato dai “democratici e religiosi”, Leonard Peltier, tutt’ora imprigionato senza giusta causa ma solo per punirlo del suo amore e rispetto verso la sua gente e verso le tradizioni ancestrali.

Che dire di più? Termino con le parole della mia compagna, Caterina Regazzi, che a sua volta avendo preso in mano il libro di Giorgio Stern gli scrisse: “Gentile Sig. Stern, sto anch’io leggendo il suo libro su “Tribù indiane…” e lo sto trovando veramente esaustivo , interessante e illuminante su tanti aspetti non certo edificanti della storia degli Stati Uniti d’America. Credo che meriti di essere diffuso e conosciuto…. Cordiali saluti!”

Paolo D’Arpini e Caterina Regazzi


Giorgio Stern l'autore del libro




Restiamo ciò che siamo sempre stati...

 


“Io sono l’oceano infinito di coscienza in cui tutto accade. Io sono anche prima di tutta l’esistenza e di tutta la conoscenza, pura beatitudine dell’essere. Non c’è nulla da cui io mi senta separato, pertanto io sono tutto. Nessuna cosa è me, quindi io sono nulla.”    (Nisargadatta Maharaj)
 Ante scriptum - La mente (ego) tende ad appropriarsi delle esperienze vissute. Naturalmente non è necessario, al fine di realizzare la nostra vera natura, "negare" l'identità fisiologica (nome-forma) ma dobbiamo integrarla con il Tutto, anche perché ne facciamo parte ed il Tutto è inscindibile. Vedi il concetto di “ologramma”, in cui ogni parte che compone l'immagine è costituita dalla totalità dell'immagine stessa. Illudersi di essere separati dal Tutto significa cadere nel dualismo separativo. Il nome-forma è come un'onda che sorge sul mare dell'Assoluto, il quale è appunto il substrato necessario all'esistenza dell'io. Realizzare che l'io è solo il Sé riflesso nello specchio della mente è la chiave della Conoscenza.  

Il  "riconoscimento" della nostra vera natura avviene come nel passaggio dal sogno alla veglia, è naturale ed  intrinseco in ognuno di noi. Quando sogniamo siamo immersi nel sogno e quella è per noi la sola realtà… Quando giunge il momento del risveglio ci sono delle avvisaglie che ci fanno percepire l’imminente cambiamento di stato. Come dire, abbiamo sentore dell’imminente uscita dall’illusione del sogno. Certo questa è semplice analogia poiché nel sogno e nella veglia, che sono condizioni mentali, non vi è vera illuminazione e realizzazione. Quel “risveglio” di cui parlo è l’intima essenza indivisibile, inavvicinabile dalla mente, ma la sua realtà è intuibile e sperimentabile nello stato di pura consapevolezza.

Nel processo di ritorno che sospinge ogni singolo essere verso quella pura consapevolezza avvengono vari miracoli e misteriosi cambiamenti. L’adattamento ai nuovi stati di coscienza coinvolge sempre e comunque tutto il corpo massa della specie, ma nella nostra dimensione umana noi siamo abituati al funzionamento a locomotiva, ovvero due passi avanti ed uno indietro, anche definito crescita per tentativi ed errori. Per questa ragione sembra che l’evoluzione manchi di linearità e continuità. Nella nostra civiltà abbiamo vissuto vari momenti che sembravano paradisiaci, che mancavano però di una comprensione olistica. Un po’ come avviene nel mondo animale in cui la spontaneità  regna sovrana ma la coscienza è carente nella auto-consapevolezza e nella ragione.

Insomma dobbiamo poter integrare l’intuizione e la ragione  nel nostro funzionamento e ciò fatto possiamo procedere a dimenticare il processo sperimentale per poter vivere integralmente l’esperienza in se stessa. Osservatore ed osservato non possono essere separati.

Per ottenere questo risultato le religioni consigliano la via “dell’amare il prossimo tuo come te stesso” mentre le filosofie gnostiche indirizzano verso l’auto-conoscenza.

Non scindiamo queste due vie, teniamole strette come due remi della nostra barca che ci aiutano ad uscir fuori dal pantano del “dualismo”.
  
In fondo, come possiamo considerare che qualcosa sia al di fuori di noi stessi? 

Paolo D’Arpini

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