"Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu" di Thomas Cleary

 


"Gli aforismi che seguono sono tratti da "Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu", scritto da Thomas Cleary,  secondo me fondamentale al pari di "L'arte della guerra" di Sun-Tzu. Leggendoli sono certo che scatteranno nella vostra mente un sacco di associazioni." (Nando Mascioli)


Lao-tzu disse:
Esistono tre tipi di morte innaturale.
Se bevi e mangi smodatamente e tratti il corpo distrattamente e grossolanamente, allora la malattia ti ucciderà.
Se sei smisuratamente avido e ambizioso, allora sarai ucciso dalle preoccupazioni.
Se permetti che piccoli gruppi vìolino i diritti delle masse e che il debole sia oppresso dal forte, allora ti uccideranno le armi.

Lao-tzu disse:
Quando le leggi sono intricate e le punizioni severe, allora il popolo diventa infido. Quando chi sta in alto ha molti interessi, chi sta in basso assume molte pose.
Quando si cerca molto, si ottiene poco. Quando le proibizioni sono molte, si combina poco.
Lasciare che gli interessi producano altri interessi,e poi utilizzare gli interessi per fermare gli interessi,è come brandire il fuoco cercando di non bruciare niente.
Lasciare che la conoscenza produca problemi, e poi usare la conoscenza per risolverli, è come agitare l'acqua sperando di chiarificarla.

Lao-tzu disse:
Quando un paese combatte ripetute guerre e ottiene ripetute vittorie, perirà. Quando combatte ripetute guerre, il popolo si logora: quando ottiene ripetute vittorie, i capi diventano arroganti. Se capi arroganti utilizzano popoli logorati, quali paesi non periranno ?
Quando i capi  si fanno gaudenti, e quando diventano gaudenti, dilapidano ricchezze.
Quando il popolo si stanca si riempie di risentimento, e quando è pieno di risentimento smarrisce il proprio equilibrio. Quando governanti e governati raggiungono simili estremi la distruzione è inevitabile.
Pertanto, la Via della Natura richiede di ritirarsi quando si è svolto il proprio compito con successo.



Soccombere al degrado sociale ed umano o prepararsi a superarlo?

 


Le varie nazioni del pianeta, con l'aumento di  attentati terroristici e conflitti, dimostrano la loro incapacità di affrontare l’emergenza  che si profila all’orizzonte, mancando completamente di “intelligenza” e di idee idonee a contrastare le violenze ed i rovesciamenti delle strutture sociali e comunitarie.

Anche  l’Italia è presa da una deriva guerrafondaia,  seguendo una escalation matematica che ormai  sembra destinata a sfociare in una guerra aperta, i vertici politici nazionali e sovranazionali  risultano inidonei ad affrontare questa “emergenza”.

Tempo fa predissi che l’Italia è destinata alla frammentazione, né più né meno come all’inizio del basso medio evo. Piccoli poteri regionali sostituiranno lo Stato. Poteri che non sempre saranno rappresentativi del popolo italiano. A macchia di leopardo si costituiranno piccoli “ducati” indipendenti come sta già avvenendo, ad esempio, per quelle regioni dominate da mafia, ndrangheta, camorra ed altre associazioni. Alcune città si circonderanno di nuove mura difensive, le basi NATO si attrezzeranno a proteggere i propri territori, etc. etc. insomma l’Italia scomparirà in quanto Paese sovrano divenendo una sorta di terra di nessuno  fra l’Europa del nord,  il mondo islamico e sionista, gli Stati Uniti ed i nuovi potentati  di Cina e Russia.

Certo i Paesi occidentali avranno di che pentirsi della loro politica aggressiva, da un lato, nei confronti dei paesi islamici sconvolti da guerre finalizzate alla rapina, e dall’altro dalla totale impossibilità di attuare politiche “integrative” (vedasi ad esempio la drammatica situazione in Palestina e la politica razzista d'Israele). 

Eppure non è detto che sia impossibile creare una “integrazione” ed una collaborazione anche fra membri di culture ed etnie diverse. Siamo tutti esseri umani e non c’è alcuna differenza fra un nero, un bianco ed un giallo, per non parlare poi delle diversità religiose che sono semplici  illusioni. Il problema subentra quando una certa comunità vuole far prevalere la sua “cultura” o “religione” o “idea politica” o dominio "finanziario ed economico" e cerca di imporla in un modo o nell’altro agli altri. 

Ricordo, durante i miei viaggi in Africa od in vari paesi dell’Asia, che se ci si relaziona su un piano esclusivamente umano con gli altri non c’è nessuna difficoltà a dialogare e condividere emozioni e bisogni. L’amore è possibile quando ci si apre, se ci si chiude vince l’egoismo e l’ignoranza. 

Ma cosa possiamo fare se l’opponente che manifesta quell’egoismo, che sia un banchiere ricchissimo, un industriale, un re, un papa, un mullah, od un “poveretto” che cerca di farsi largo nella società, arraffando quel che può, pur di ottenere almeno i galloni da “caporale”? Possiamo difenderci o dobbiamo semplicemente soccombere, dobbiamo porgere l’altra guancia o dobbiamo armarci ad armi pari? Sinceramente non lo so, non ho una ricetta precisa, forse dipende dalle situazioni e dalle condizioni in cui ci si trova.

Parlavo oggi con Caterina, la mia compagna, della necessità di mantenere una rete di relazioni simbiotiche con i nostri affini, con le persone con le quali condividiamo valori e intelligenza. Di fatto è esattamente quel che sta avvenendo in tutti gli ambiti della nostra comunità umana: i delinquenti e gli arroganti si uniscono per fini di potere e prevaricazione e gli umili ed i consapevoli incontrano i loro simili, al fine di non disperdersi e di mantenere una civiltà “umana e spirituale” (una civiltà della Vita in generale).

Paolo D’Arpini

L'autore, alcuni anni fa a Calcata,  con la nipotina Mila e sullo sfondo il nipotino Teo, un po' italiani ed un po' russi


La realtà che si vede è solo illusione...

 


Chi sei dei due? Ovvero, guarda la luna e lascia il dito.

“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni”. Paul Watzlawick, La realtà della realtà.

Crea dieci segni differenti tra loro. Ad ognuno attribuisci un suono. Combinali tra loro. Inizia a comporre parole che avranno il significato che vorrai. Vedrai comparire le cose e il mondo intero. Quel mondo sarà condiviso, e chi lo farà crederà che esso sia la realtà, vera e sola, come crederà che dire sedia sia semplicemente dire ciò che già è della sedia. Chi non lo condivide proverà a farti presente la natura autoreferenziale della tua improvvisata cosmogonia, ma non ci sarà niente da fare, continuerai a guardare il dito, a parlare di realtà oggettiva, di ciò che è vero e di quanto non lo è.

Ora dimentica tutto e riparti da capo. La sedia non c’è più, si chiama in altro modo. Quindi esci di casa per andare a comprare il xxxx (non si sa ancora cosa hai combinato con i dieci segni). Per strada incontri uno, quello per cui la sedia è una sedia. Ti chiede l’ora ma non capisci che vuole, nel tuo alfabeto di dieci segni e suoni, quello che chiede non esiste. Lui insiste e se la prende perché tu vuoi andartene e non vuoi aiutarlo, crede lui. Ti ha solo chiesto l’ora, che c’è da prendersela? Si domanda. A dire il vero è lui che se la prende, tu sei soltanto seccato, anche perché il negozio poi chiude. Te ne vai. Lo lasci lì. Lui non capisce anzi, non ammette. Nel suo mondo non è possibile che accada quanto sta accadendo. Potrebbe allora restare basito, invece – guarda un po’ –, se la prende. Infatti, mentre tu te ne vai, ti afferra una spalla come fanno i terzini con l’attaccante in fuga. Ora è troppo. Ma che fa? Ti chiedi. È pazzo? Domanda retorica. No, in realtà è sostanziale, perché non c’è altro da tirar fuori dai tuoi dieci segni.

Linguaggio: ciò che resta di tutto il pensiero per l’ineludibile necessità storica di sbrigare le sue faccende. Già averne consapevolezza basterebbe per evitare di crederlo idoneo alla gestione delle relazioni. Queste sono un territorio mobile, in cui le cose non stanno ferme come un posacenere sul comò, ma fluttuano come un universo di stelle, che non sono poche come le lettere di una tastiera o i tuoi dieci segni, ma infinite.

L’emozione corre più veloce della luce, e ti è saltata addosso. Se non l’anticipi con qualche espediente di consapevolezza, una volta che arriva ricorda Gengis Khan: sei catturato e lei farà di te qualunque cosa, anche un assassino e tutto il peggio che i dieci segni permettono di pensare e quindi di realizzare. Avviluppati da un’emozione, non c’è più niente da fare, scende il buio. Anzi, di più: tutto sparisce. Tutto quello che sapevi, che volevi, i valori in cui credevi e di cui ti vantavi. E adesso? Che fai? Non scherziamo. Non c’è proprio lo spazio fisico per queste domande. Per nessuna domanda. Nel tuo mondo occupato dall’azione, non c’è neanche un angolino per la riflessione. Sempre che i tuoi dieci segni te l’avessero a volte permessa. Nell’emozione il dubbio, puff, svanisce dal panorama.

Ti giri come se fossi in diritto di fare ciò che stai per compiere. A dire il vero, non come se, ma proprio in pieno diritto, come una biglia da flipper che altro non può fare che eseguire l’ordine della leva che l’ha spinta su. Se prende il fungo e fa punti, il suo padrone-lanciatore sarà contento, diversamente, se la prenderà col mondo – delle volte fino al tilt – quando, alla fine dei suoi pazzi rimbalzi finirà in buca.

Ecco sì, con la cecità e irresponsabilità di una biglia di flipper, ti giri – o ti eri già girato? Non ricordo più chi era uno e chi era l’altro – e con una forza che non sapevi di avere, gli vomiti un urlo che Joseph Conrad (vedi sotto) è niente al confronto. Sì, perché non ragionato, architettato, organizzato. È un bolo di violenza, un misto di tutto quello che, goccia dopo goccia, eri stato capace di stivare nel tuo profondo e avevi creduto d’aver dimenticato. La legge del quieto vivere era il tuo solo comandamento, il buon senso la tua medicina. Anche se, per la verità, avvertivi qualcosa di artificioso, o peggio, di disumano, in quella prassi razionale, con cui incassavi più di Jake La Motta contro Sugar Ray, che tutti ti invidiavano per la purezza con la quale ne pennellavi la vita.

La tracimazione è un modo gentile, e perciò anche improprio, per definire l’evento e il suo cuore di tenebra che sta per irrompere sull’altro. Uno scroscio di parole lo investono da tutti i lati, anche da sopra e da sotto. Non c’è freno, l’argine golenale è scavalcato, e quello maestro non basterà. Non c’è speranza che possa salvarsi. Si divincola cercando parole che non trova. E anche se ne trova non escono dalle labbra, e le poche sgusciano fiori impiastricciate di rabbia e sono soltanto frammenti, balbettii, affanni di una reazione da flipper.

Come se i suoni e i rispettivi significati fossero proietti scoccati, si sente scosso, si trova disarmato, si accorge di essere ferito e forse morente, con soltanto il tempo per chiedersi il perché di tutto ciò, pur sapendo che la domanda era stupida in assoluto e anche in particolare. Come mille altre volte durante le loro vite se l’erano posta senza mai trovare una risposta degna, all’altezza della loro grande razionalità, così capace di osservare con logica i fatti del mondo, così adatta a risolvere tutti i problemi, a piallare i picchi e gli abissi esplorati dagli uomini. Quella, come altre volte, il loro vantato sapere non sarebbe bastato. Come altre volte, non avrebbe avuto risposta.

Di fatto, a parte il momento di un baleno, in cui quel ma perché? si era affacciato alla loro coscienza, non c’erano state le condizioni per tenerla ferma. E neppure per lasciare al moralismo l’agio di darle dignità e la forza di rinchiuderla, all’autostima di soddisfarla e al fato di prendersela, se proprio altro non si poteva.

Tutte considerazioni pertinenti e realistiche, ma sostanzialmente inefficaci. Infatti, seppur non l’avesse visto arrivare, non aveva dubbi, un pugno l’aveva colpito in pieno volto. Anche per lui si fece tutto buio. Anzi no, anche per lui sparì il mondo o meglio, si ridusse al sapore di sangue in bocca. Quell’organo acquoso, con quel fastidioso retrogusto, che dire metallico è forse ciò che più si avvicina, pure restando molto lontano.

In altre occasioni era stato capace di rinunciare a sé, e non gli era neppure costato in autostima. Mentre il sangue lo ingozzava e la sensazione che un altro colpo stesse per raggiungerlo, pensò al passato con lo straniamento di colui che non lo vede tornare indietro per lasciargli tra le mani un presente che lo ricrei diverso, senza dolore. Solo l’istante successivo, si ritrovò solo e stranito da se stesso per non essere stato capace di lasciar perdere anche quella volta. Eppure lo sapeva, ne aveva esperienza.

Questa volta arrivò dal lato opposto. Gli prese l’orecchio e secondo lui, quell’altro si fece pure male alla mano. Non voleva trovarsi lì. Per un attimo si trovò faccia a faccia ancora con l’idea della reversibilità del tempo. Che in quell’istante non gli pareva idiota.

Anzi, lei, l’idea della reversibilità del tempo, c’era e non era per niente idiota nel mondo senza peso dei quanti. Forse in quell’infinitesimo di eternità aveva dato tutto se stesso per farla esistere anche nel mondo pesante della materia. Prima o poi qualcuno ci sarebbe riuscito. L’orecchio gli doleva e l’aria pareva ovattata come dopo una granata. Tuttavia viveva in lui la speranza che si potesse verificare anche nel mondo degli oggetti. Anche se da un lato la sentiva forte e vivida, dall’altro vedeva che si impiccava da sola. Una volta materia, le leggi dell’energia sottile vengono meno. Ma allora cosa l’aveva portato dove non voleva essere?

Erano finiti a terra e l’altro gli stava sopra. Sarebbe bastato, avrebbero detto in tanti. E invece no. Seguitava a colpirlo in preda al demonio. Nessuno e nessun ragionamento lo avrebbe fermato. I dieci segni della ragione sono diversi dai dieci segni dell’emozione. Ma a loro non era stato insegnato e continuando a guardare il dito non avevano mai visto la luna.

Chi sei dei due? La domanda è retorica, provocatoria e fuorviante. La risposta è che se non vediamo la luna, saremo sempre entrambi.

“Fin da quando nasciamo, gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia così come gli altri hanno detto che è”  Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972.

“Gli uomini erano vittoriosi o sconfitti, e a seconda di ciò diventavano persecutori o vittime. Quelle due condizioni prevalevano fin quando un uomo non arrivasse a ‘vedere’; il ‘vedere’ scacciava l’illusione della vittoria, o della sconfitta, o della sofferenza”.  Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972, p. 122.

“La mente dell’uomo è capace di qualunque cosa – perché in essa c’è qualsiasi cosa, tutto il passato come tutto il futuro. […] I principi non servono. Sono acquisizioni, abiti, stracci graziosi – stracci che volerebbero via al primo serio scrollone. […] Naturalmente, uno sciocco, tra la semplice paura e i nobili sentimenti, è sempre al sicuro”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 111.

“Ma prima che potessi giungere a una qualunque conclusione mi venne in mente che parlare o tacere, invero qualunque mio gesto, sarebbe stato del tutto futile. Che importava ciò che chiunque sapesse o ignorasse”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 117.

Lorenzo Merlo




Critica dello scientismo...

 


Nella ruota dell’eternità ci è toccato il genitore illuminista. Di per sé buono, nel senso che rilevava le manchevolezze della storia che l’aveva preceduto, proponeva una nuova modalità di conoscenza, rivelava come realizzarla. Ma la sua purezza d’intenti non ha avuto successo. I suoi emissari hanno fornito pessimi esempi educativi. Ne risulta che tutti noi di quella bontà illuminante ne abbiamo trattenuto un’ombra semplificata, bigotta, che non permette nemmeno più di risalire al messaggio originale.

Così, lo scientismo, ovvero la dogmatica concezione della conoscenza limitata alla scienza analitico-materialista, circola a pieno regime nelle nostre vene e nei nostri pensieri. Con questi, non abbiamo incertezze nello squalificare ciò che si muove e vive su ordini non cartesiani, in dinamiche non aristoteliche, su principi non meccanicistici. Ne è campione il femminismo, insetto nella tela del ragno, impedito a sentire la madre e il potere del femminino. Ma l’elenco oggi a disposizione, per riconoscere la tangente con la quale abbiamo definitivamente lasciato la verità della terra e della vita, è così lungo, che riguarda ogni aspetto della nostra società.

La metastasi scientista è tale che, dall’esperto al profano – categorie che lo scientista scambia per verità definitiva –, è ordinario e perfino garantito, constatare nei loro pensieri, e nelle loro azioni, una concezione dell’uomo, dell’altro, del prossimo, alla stregua di entità identiche. Cioè che reagiscono uniformemente agli stimoli, che intendono uniformemente. Da qui l’obbrobrio della legge uguale per tutti, della sacralizzazione della meritocrazia, della venerazione della farmacopea, incoronazione della tecnologia.

La logica, centro nevralgico della dialettica scientista, è quell’ottima prassi per organizzare le cose, ma disastrosa per conoscere gli uomini. Essa crea problemi che non può maneggiare perché l’uomo è infinito e la logica uno sputacchio al suo confronto. Essa impone una conoscenza cognitiva, limitata all’intelletto. Quanto ne esula, semplicemente non conta, quando non esiste del tutto. Nulla di quanto la logica non può contenere, circoscrivere e descrivere può essere riconosciuto né divenire verità. Non le bastano i suoi paradossi per riconoscere l’offesa che impone quando si erge a sola arma di conoscenza. Non le bastano i suoi dilemmi per riconsiderare il suo delirio di onnipotenza. E neppure le bastano le sue domande esistenziali che tutti si pongono e poi tralascia perché non ne viene a capo, per riconoscere che è il porre la domanda a generare il mistero. Incatenati al dogma che la logica contenga e produca il vero, si possono solo capire le cose. Essa non induce in noi l’idea della ri-creazione, che da sola basterebbe a riconoscere l’effimero del mondo e, contemporaneamente, ciò che è universale.

Basterebbe, per andare oltre la logica, per vederne i limiti, chiedere in che termini un’affermazione è vera e quando diviene falsa. Ma, l’ascolto non è educazione prevista nelle aule del materialismo. Ad esso è preferito il giudizio, le categorie, la classificazione, il buon senso, la maggioranza, la democrazia. Tutte chiusure che interrompono o impediscono la conoscenza, muri tombali in cui ci rinchiudiamo a coltivare il nostro giardinetto. Fate voi.

Così ci tocca la sorte di leggere che “sarebbe opportuno evitare di confondere realtà con percezione della realtà. Altrimenti si rischia di fare come quei due che osservano lo stesso treno che transita davanti alla banchina di una stazione: il primo, che sta sul treno, è pronto a giurare che il treno è assolutamente fermo e la stazione si muove, mentre il secondo, sul marciapiede, afferma esattamente il contrario. E potrebbero convintamente litigare all’infinito”.

Ma come può esistere una realtà senza la nostra presenza, senza la nostra definizione e percezione di essa? In che termini è la realtà, che percezione non é? E di che realtà parliamo senza la percezione di essa? Cioè si vuole che la nostra descrizione sia universale? Un palo in faccia fa male a tutti? No, non è in questo la presunta universalità della realtà. È l’interpretazione del palo in faccia che crea la realtà. Chi se ne assume la responsabilità, la descriverà in un modo estraneo a quello tracciato dalla descrizione di chi la responsabilità la dà ad altro, fuori da sé. E chi cammina sulle braci, potrà dire che il fuoco brucia sempre?

Se non basta ancora a farci sentire ridicoli, possiamo sempre peggiorare il livello. Basta svegliarsi di colpo e dire ho avuto un incubo, al che, quello sul treno dice, ma non è realtà è un incubo. Ah, le vostre categorie, quelle sì scambiate per una realtà che non esiste, se non in chi la crea.

Ma c’è un livello più profondo nel quale lo scientismo ci ha fatto precipitare. Ci ha reso impossibile vedere che tutto è contiguo e relazionato. Una svista che implica l’autoreferenziale autorizzazione a spezzettare la realtà, nella convinzione di poterla conoscere, a considerarla un oggetto di fronte a noi, nel quale ci muoveremmo, a concepire e giudicare l’altro secondo la nostra morale, a credere che la conoscenza scenda in noi dai sussidiari, dai manuali, dai professori, che essa voli sulle ali della dialettica logico-razionale del linguaggio. Come se ci fosse un ordine perseguibile, e come se l’ordine – occulto a noi stessi – fosse di perseguirlo.

Viviamo letteralmente dentro un calderone culturale di miopia infernale, nel quale non sappiamo fare di meglio che seguitare ad imitare l’esempio del mostro che ci ha generati. Ovvero ad utilizzare qualunque espediente egoistico nella convinzione che ci permetta una buona vita. Eppure, se a causa della forza vitale la lotta per la sopravvivenza fisica non poteva essere elusa, quella successiva, per l’acquisizione dell’abbondanza, ci ha conquistato a mani basse, e ha esaltato in noi la dimensione più bieca. L’opulenza è un valore e guai a chi ce lo tocca. Forse dobbiamo passare da tanto degrado per riappropriarci del suo opposto, quello della frugalità.

Zuccherino dopo zuccherino, ci siamo lasciati condurre da un capitano serpeggiante, verso lidi lussureggianti in cui era facile distrarsi e dimenticare il significato dei vizi capitali. E a chi ce lo faceva presente, non potevamo che sorridere sarcasticamente, ormai ignari e così lontani dal messaggio che implicano, da ritenerci indenni dai rischi di sofferenza che essi annunciano. Roba buona per i bambini e le vecchiette.

Ecco dove ci ha portato il tappeto volante dello scientismo. Ci siamo divertiti a planare sul mondo e non abbiamo voluto vedere dove ci stava conducendo. Ma le cose sono in movimento e mutamento. Sicché, ora che anche la confusione, il nichilismo e la sfiducia circola nei nostri pensieri e nelle nostre vene al punto da pietrificarci nell’incredulità di ciò cui stiamo assistendo, del futuro in cui stiamo precipitando, del cambio di paradigma che ci stanno imponendo, a qualcuno di noi accade di avvertire e intravedere il canovaccio della grande messa in scena. Un palco dove abbiamo ballato tutti i balli e recitato tutti i ruoli scambiati per vita vera. Siamo uguali, girano in noi le parti, le maschere, le emozioni e i sentimenti. Quanto diciamo al prossimo, è quanto toccherà a noi dalla bocca di un altro. Quanto vivremo noi, è vissuto da tutti nei loro tempi e nei loro modi.

Quindi, chi si avvede che avevamo circoscritto il mondo al palco di un inconsapevole teatrino, esauriti in recite farsesche, mossi dai fili di valori falsi, in quanto autoreferenziali, inizia anche a riconoscere che in nome della cosiddetta scienza e della – sua – conoscenza, ci siamo così tanto allontanati dalla nostra origine, da crederci indipendenti e autonomi. Da farci pensare che eravamo i possessori di noi stessi e che i nostri figli, fossero davvero nostri. Da farci credere che non ci serviva altro oltre a noi stessi. Da negarci la consapevolezza che siamo espressioni di una sola fioritura.

Così stiamo qui. Il sogno resta sogno. La serenità, la bellezza, la gratitudine, la miglior salute restano ai margini, optional occasionali, nonostante sia nel nostro potere creativo fargli prendere il posto del conflitto e della sofferenza.

Lorenzo Merlo



Gira e rigira il Centro è sempre lo stesso...

 


Nel paradiso indù c’è un albero chiamato Kalpataru. Significa: “l’albero che esaudisce i desideri”. Per caso passò di lì un viaggiatore ed era così stanco che si sedette sotto l’albero. Aveva fame, quindi pensò: “Se ci fosse qualcuno, chiederei qualcosa da mangiare...”


Nel momento in cui l’idea apparve nella sua mente, all’improvviso apparve anche del cibo e l’uomo era così affamato che non si prese la briga di pensarci. Lo mangiò. Poi cominciò ad avere sonno e pensò: “Se ci fosse un letto...”. E il letto apparve.


Ma mentre era sdraiato sul letto sorse in lui il pensiero: “Cosa sta succedendo? Non vedo nessuno qui, eppure è arrivato del cibo, è arrivato un letto... Forse ci sono dei fantasmi che mi fanno degli scherzi!”. E all’improvviso apparvero i fantasmi!  L’uomo ebbe paura e pensò: “Ora mi uccideranno!”. E così fu!

 


Due leggi

Nella vita vige la stessa legge: se pensi ai fantasmi, non possono che apparire. Pensa e vedrai! Se pensi ai nemici, li creerai; se pensi agli amici, appariranno. Se ami, l’amore appare ovunque intorno a te; se odi, appare l’odio. Qualunque cosa tu stia pensando viene materializzata da una certa legge. Se non pensi a nulla, non ti succede nulla.

Ci sono due leggi. Una legge è della mente. Con la legge della mente continui a creare l’inferno intorno a te; gli amici diventano nemici, gli amanti si rivelano nemici, i fiori diventano spine. La vita diventa un peso e si patisce semplicemente. Con la legge della mente, vivi all’inferno ovunque tu sia. Se scivoli fuori dalla mente, scivoli fuori da quella legge e all’improvviso vivi in un mondo completamente diverso. Quel mondo diverso è il nirvana. Quel mondo diverso è Dio. Poi, senza fare nulla, tutto comincia ad accadere.

Quindi lasciamelo dire in questo modo: se vuoi fare, vivrai nell’ego e sarai costantemente nei guai. Se abbandoni l’ego, se abbandoni l’idea di essere un agente, se semplicemente ti rilassi nella vita e ti lasci andare, sei di nuovo nel mondo di dio, nel Giardino dell’Eden. Adamo torna a casa. Poi le cose accadono.


La storia dice che non c’era bisogno che Adamo facesse nulla nel Giardino dell’Eden. Tutto era a sua disposizione. Ma poi cadde in disgrazia e fu scacciato. Diventò istruito, un egoico e da allora l’umanità soffre.


Tutti devono tornare nel Giardino dell’Eden. Le porte non sono chiuse: “Bussate e vi sarà aperto. Chiedete e vi sarà dato”. Ma bisogna tornare indietro. Il cammino è dal fare all’accadere, dall’ego al non-ego, dalla mente alla non-mente. La non-mente è ciò di cui si occupa la meditazione. Quel mondo diverso è il nirvana. Quel mondo diverso è Dio...

Osho



 Brano tratto da: L'antico canto dei pini, Ed. Psiche

“La Luce della Notte” di Pietro Citati - Recensione

 


E’ proprio vero, la dimensione dell’irrazionale e dell’insolito che uno credeva di essersi lasciato alle spalle, immerso nella concitazione della vita quotidiana o nella voglia di rilassarsi e lasciar tutto alle spalle, ecco che, quando meno te l’aspetti, rientra da quella finestra dell’anima mai rimasta completamente chiusa. Magari in una domenica estiva, fatta di vagabondaggio a cavallo della propria moto tra le fresche valli del Reatino, sin su tra le nude cime del Terminillo e poi giù tra vallate oscure e silenziose, che lasciano, d’improvviso, spazio ad uno dei tanti splendidi borghi dell’Italia Centrale, Leonessa. 
Fermare la moto, vagolare tra le vie della deliziosa cittadina, fermarsi in piazza e buttare l’occhio lì, tra quelle bancarelle dove, alla rinfusa tra altri libri, ammassati a guisa di scarti di spazio-tempo, in attesa di esser penetrati dall’umana curiosità, ne giace uno, che sembra lì esser stato gettato per caso dal Fato e che attira subito la mia attenzione. Una breve trattativa e lo faccio mio, coprendolo con cura in una busta ed infilandolo nel mio immancabile zainetto da viaggio. 
Pietro Citati con il suo “La Luce della Notte”, è uno di quei rari autori dotato del dono di saper intrecciare filosofia, metafisica e narrazione in un insieme talmente agile e scorrevole da catturare la tua attenzione e da trascinarti nel vortice di una narrazione, che parte da una dimensione spazio temporale dilatata quasi all’infinito, in grado di far toccare sino a confondere, i confini tra l’atemporalità del mito e la storia, quale quella rappresentata dalla steppa degli Sciti e dai loro misteriosi Kurgan, sino alla microcosmica dimensione della umana schizofrenia che chiude un libro, che altro non è che una corsa. 
Una folle corsa attraverso immagini, storie, uomini, tutti accomunati da una spasmodica apertura all’irrazionale, a quella dimensione mitopoietica che involge, avvolge, coinvolge i protagonisti tutti, in una continua tensione esistenziale, in cui il mito sembra entrare e catturare le menti dei vari protagonisti, salvo poi abbandonarli repentinamente al loro tragico destino ed infine rientrare per lasciare nuovamente una indelebile traccia di sé…. Ma questo libro è anche, e principalmente, un affastellarsi di sensazioni e di emozioni. 
E’ lo “stupor” del Re di Persia dinnanzi alla sua impotenza davanti alla sfuggente indomabilità scitica. E’ la “melancholia” di Saturno che sembra lasciare, silenziosa, le proprie tracce nell’animo umano. E’ la virtù ed il multiforme ingegno di Odisseo, figlio di Hermes, dio dei ladri e padre putativo di tutti gli iniziati. E’ la comica vanità di Apuleio, tramutato in Asino, salvato e reso iniziato da Iside in persona. E’ la sbigottita descrizione dello gnostico Valentino di un Dio, di un Uno, che tale “non è”, perché talmente abissale e lontano da noi da non poter Essere se non, per l’appunto, Abisso. E’ l’irrompere del Cristianesimo paolino e della sua predicazione fatta di una secca intransigenza, tra le pieghe della tranquilla armonia neoplatonica. E’ la “Commedia” di Dante con la finale esperienza di contatto con quella Luce, con quella luminosa sorgente principiale, per la quale non si riescono a trovare parole sufficienti, a rendere una descrizione. 
Ma è anche l’assurda aderenza degli ultimi monarchi amerindi alle indicazioni di un mito, che porterà al compimento di un tragico destino. E’ la versione non ortodossa della Bibbia da parte degli islamici, che non contrasta affatto con il fiabesco mondo delle “Mille e una Notte”, la cui dimensione sembra intersecarsi con la dimensione del reale in un inestricabile e misterioso Tutto. 
E’ il giuoco di luci e di ombre del Tao cinese, che passa dalla tranquilla ed estatica immersione in una dimensione edenica fatta di giardini, palazzi incantati, sentimenti delicati e soffusi, alla desolazione, all’abbandono ed alla morte, che seguono al repentino abbandono di un mondo, da parte della dimensione “altra”. E’ quel magico flauto mozartiano, che proietta lo spettatore nella dimensione mitica ed iniziatica dell’Egitto Isideo, in un misterioso intersecarsi di vicende umane e divine. E’ la ricerca della Shekinah, delle tracce di quella Luce, che, a detta dell’Ebraismo eterodosso della cabalistica, qua e là fanno la loro comparsa in un mondo corrotto dalla materia. E’ la leopardiana ricerca di un contatto immediato, con l’Infinito, che, a guisa di un vero e proprio “Satori”, sappia immedesimare l’animo umano, con il continuo fluire di quell’onnipresente Apeiron/Infinito, che contrasta in modo stridente e dolce allo stesso tempo, con la caducità delle umane cose e del mondo che sta loro attorno. E’ la malattia mentale, la schizofrenia nella fattispecie, vista quale stadio di proiezione dell’animo umano verso dimensioni “altre”, proprio a causa della frantumatoria rifrazione dell’ IO cartesiano, che ne sta alla base. 
E’ la Gnosi che di sé permea l’intera narrazione di Citati, la cui magica abilità sta nel portare esempi e vicende tra loro apparentemente lontane e scollegate,nel tempo come nello svolgimento, ma tutte egualmente accomunate dal continuo intersecarsi con una realtà “altra” che esce ed entra nelle umane cose a piacimento, esaltando e mortificando, lasciando intravedere e celando, spalancando prospettive e chiudendosi in sé, lasciando nello sgomento protagonisti e spettatori. L’unica possibilità che, a questo punto, a detta del Citati, rimane all’uomo, è quella di Egli farsi narratore di quegli eventi. Ulisse, Apuleio, Plutarco, Sant’Agostino, Dante, Cristobàl de La Casa, Mozart, Leopardi e tutti gli altri, attraverso la narrazione, si fanno interpreti di quella heideggeriana esigenza di aprire l’uomo alla dimensione dell’Essere, facendone il “pastore” di quest’ultimo. 
E così se, due modalità di pensiero tanto lontane e differenti, quali quella Gnostica, disperatamente dualista ed emanazionista “par excellence”, da un lato, e dall’altro, quella heideggeriana, antimetafisica ed immanentista, sia pur in un ambito “neo parmenideo”, qui trovano un comune terreno su cui andare a collimare; in un altro ambito, quello della metastoria, la dimensione del mito e dell’insolito viene qui a coincidere ed intersecarsi con quella della Storia e della vita vissuta, senza soluzione di continuità. Ed in quel suo stesso manifestarsi quale narratore e “pastore” dell’Essere, l’individuo vede riunirsi in sé l’ ”archè” della dimensione mitica, in Occidente inaugurata da Ulisse il narratore ed il viaggiatore, quale figlio di quell’Hermes/Mercurio, nel ruolo di 
Colui che fa dell’uomo un essere dal “multiforme ingegno”, e quella dimensione meramente filosofica, rappresentata dal proiettarsi verso la dimensione di quel nietzschiano “Oltreuomo/Superuomo”, aperto alle dimensioni di un Essere che nella sua Molteplice natura di Tutto è Uno e viceversa, perfettamente rappresentato e condensato in quell’ “En Kài Pan”, a cui tanti filosofi, da Herder, Fichte, Hegel e tanti altri ancora, si sono richiamati. Così, per mano di uno scrittore, l’Occidente finisce, ancora una volta, per rivelarsi a noi in tutta la sua peculiare contradditorietà di “magnum misterium” e di inestricabile ed affascinante “coincidentia oppositorum”.
Umberto Bianchi 



Archeologia e antropologia - I misteri della Valle del Treja...




Tanti anni fa percepii misteriosi  messaggi dall’inconscio, che mi indicavano quello che Calcata era stata ed il suo ruolo nelle trame primigenie della vita nella società umana. E’ come se gli antichi spiriti della valle del Treja, il genius loci, mi parlassero per confidarmi dei segreti rimasti per troppo tempo nascosti. A dire il vero la verità su Calcata e sull’antichità della civilizzazione ad essa collegata mi era stata svelata già con il libro dell’archeologo Potter che negli anni ’60 fece una grande campagna di scavi su Narce, riscontrando le vetustà del sito. 
In un’altra occasione ricordo la visita di Marcello Creti, un sensitivo che viveva a Sutri, il quale mi raccontò di una antica civiltà Antalidea che aveva trovato rifugio a Calcata, attenzione non si tratta dei rifugiati di Atlantide bensì di un’altra mitica popolazione di “prima che nascessero gli dei”, secondo lui di origine extraterrestre Io invece propendo per una provenienza terrestre, dalla valle dell’Indo (Moenjo Daro, Harappa e Dwarka) che subì un tracollo in seguito all’essiccazione del fiume Saraswati ed a una grande guerra universale (per quei tempi) avvenuta circa ventimila anni prima di Cristo. 
Secondo alcuni storici religiosi induisti tale guerra è descritta nel Mahabarata, un’epica in cui si parla di armi potentissime e di veicoli volanti. Insomma presuppongo che una fazione transfuga riuscì infine a rifugiarsi lontano dal campo di battaglia, qui sul Treja (che tra l’altro riprende il nome di un maestro d’origine divina chiamato Dattatreya) contribuendo infine alla fondazione di Fescennium (la città primigenia dei Falisci) . Infatti i Falisci parlavano una lingua indoeuropea (molto simile al sanscrito) essendo in realtà il latino stesso, cosa che mi fa presupporre che i latini non fossero altro che una tribù falisca. Ma di tutto questo parlerò un’altra volta…
Insomma l’importanza di Calcata mi era stata rivelata in vari modi, ma non c’è un vero e proprio riconoscimento ufficiale delle mie teorie da parte degli archeologi e storici, che preferiscono non sbottonarsi su ipotesi “fantasiose”, sia pur affascinanti e presumibilmente vere. Comunque è certo che Calcata è all’origine di ogni altra civilizzazione italica, essendo il luogo in cui una civiltà si manifestò per prima...
Paolo D’Arpini

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Particelle elementari e il “Modello Standard”...

 


Tutte le particelle note sperimentalmente (fotoni, elettroni, quark, neutrini, ecc.), comprendendo anche quelle rilevate nei raggi cosmici da P. Brackett, G. Occhialini e C. F. Powell, come Positroni,  Muoni,  Pioni e Kaoni, sono state riunificate in un unico sistema: il “Modello Standard”. Questo modello comprende sia le particelle di tipo “fermionico” (che seguono la statistica di Fermi-Dirac) sia quelle di tipo “bosonico” (che seguono la statistica di Bose-Einstein).

Esso è caratterizzato da una simmetria semplice (con una sola “costante di accoppiamento”) detta “Simmetria di Gauge”. In questo modello, forse non perfetto ma sostenuto da robuste prove sperimentali, compaiono tre interrelazioni sub-atomiche con i relativi campi di forza: il Campo elettromagnetico, che opera a livello universale globale ed ha come sua particella agente il Fotone; la Forza nucleare debole che agisce nei decadimenti “Beta”, e che opera attraverso i bosoni Z; e la Forza nucleare forte che tiene unito il nucleo atomico, che opera attraverso un altro bosone: il Gluone.
 
Una prima unificazione tra Campo elettromagnetico e Forza nucleare debole, che si manifesta al livello di energie più elevate, fu realizzata nel 1967 dal noto fisico statunitense Steven Weinberg, che le comprese entro un’unica Forza elettrodebole ed individuò anche i “bosoni” W e Z implicati nel fenomeno. Weinberg ottenne per questo il Premio Nobel nel 1979 insieme a Sheldon Lee Glashow Abdus Salam. Anche ricercatori italiani come N. Cabibbo e C. Rubbia hanno dato contributi a questa teoria.
 
Successivamente furono messe a punto teorie di Grande Unificazione note come GUT (Grand Unification Theory), che comprendono anche l’interazione nucleare “forte”, e teorie ancora più ambiziose che vorrebbero inglobare anche il Campo Gravitazionale (unificando Relatività Generale e Fisica Quantistica) note con la sigla TOE (Theory of Everything) o Teorie del Tutto. Queste teorie, prive di solide basi sperimentali, si basano sull’uso di matematica sofisticata, come la teoria dei gruppi di Sophus Lie, ecc., e prevedono schemi super-simmetrici tra particelle, con confronto tra varie costanti.
 
Purtroppo per dare dimostrazioni sperimentali alle teorie super-simmetriche, che intendono porre in un’unica cornice la forza di gravità presente nel Cosmo con le forze sub-atomiche presenti nell’atomo, servirebbero enormi energie molto superiori a quelle degli odierni acceleratori. Si è calcolato che per investigare sulle teorie di grande unificazione servirebbero enormi energie di 13 Tev, e per la super-simmetria sarebbero necessari 16 Tev, mentre finora la macchina acceleratrice più potente (quella del CERN di Ginevra) può giungere al massimo a 7 Tev(2).
 
È in fase di progettazione un nuovo gigantesco impianto di accelerazione costituito da una galleria lunga 100 Km che passerebbe sotto il lago di Ginevra collegando Svizzera e Francia e dotato di magneti potentissimi; ma si tratta – per ora - solo di un progetto del CERN. Molti fisici ritengono che, per giungere ad una teoria unificante bisognerebbe investigare al livello della distanza di Planck (circa 10-35 m) enormemente più piccola della dimensione dell’atomo (10-10 m), mentre le attuali tecnologie possono giungere fino a 10-9x 10-9m.
 
La più nota teoria globale è quella delle stringhe(2), innescata da un articolo del 1968 del fisico italiano Gabriele Veneziano relativo a uno studio sull’interazione “forte” che comportava l’uso della funzione “Beta” di Eulero e l’impostazione di una grandezza detta “Spazio di Veneziano”. Questa teoria – che ritiene che la base di tutti i fenomeni del nostro Universo vi siano delle minuscole stringhe vibranti dell’ordine della distanza di Planck - ha traversato varie fasi.
 
All’inizio degli anni ’70 operarono nel settore ricercatori teorici come H. NielsenL. Susskind, ed il fisico di origine giapponese, naturalizzato USA, Y. Nambu (premio Nobel nel 2008 e sostenitore della teoria della “rottura spontanea di Simmetria” cui partecipò anche l’italiano Giovanni Jona-Lasinio). Furono considerate stringhe ad una dimensione, ma la teoria non ebbe seguito.
 
Successivamente dopo il 1974 si affermarono, ad opera soprattutto di John Schwartz, teorie relative a stringhe – sia aperte che chiuse ad anello – aventi comportamento “bosonico” (cioè seguenti la statistica di Bose-Einstein: vedi N. 103) e caratterizzate dalla possibilità di vibrare in 26 dimensioni. Dopo il 1984 – considerato l’anno della “prima rivoluzione delle stringhe” - si affermarono e si diffusero, ad opera dello stesso Schwartz e di Michael Green, vari modelli con stringhe chiuse e comportanti una super-simmetria tra stringhe “bosoniche” e “fermioniche” (cioè seguenti la statistica di Fermi-Dirac). Questi oggetti, previsti in alcune teorie anche a forma di membrana, potevano vibrare in 10 dimensioni.
 
Negli anni ’90, ad opera di Edward Witten, vi fu una “seconda rivoluzione delle stringhe” e si affermò un modello ad 11 dimensioni, indicato come M-Teoria, comprendente anche una dimensione caratteristica della gravità, che avrebbe abbracciato tutti i precedenti modelli come casi particolari. Si ipotizzava l’esistenza di una particella relativa alla gravità: il gravitone. La teoria prevede che le dimensioni in più rispetto alle 4 classiche dello spazio-tempo di Minkowski (vedi N. 102) possano compattarsi matematicamente comparendo solo alla minima distanza di Planck (e quindi “invisibili” a noi), e risolve alcuni problemi matematici che danno luogo ad infiniti. Le interazioni tra anelli di stringhe non sarebbero puntuali ma avverrebbero su superfici estese. La presenza di tante dimensioni darebbe teoricamente la possibilità di molti Universi alternativi ognuno caratterizzato da diverse costanti universali. Noi conosceremmo solo il nostro, con le costanti a noi note (come quelle di Planck, di Boltzmann e gravitazionale) perché è quello abitato che permette la vita (“Principio antropico”).
 
Se si legge il classico libro di Brian Greene, “l’Universo elegante” (3), ci si rende conto che tutta la teoria delle stringhe, completamente priva di supporti sperimentali (tranne qualche modesto riscontro nella teoria dei fluidi viscosi), è una speculazione teorica basata su matematica sofisticata come quella di tipo geometrico definita come “Spazi di Calabi-You”, ecc. Una teoria alternativa a quella delle stringhe è quello della “Gravità quantistica a loop” (detta LQGLoop Quantum Gravity) basata su una quantizzazione dello spazio a partire da modelli gravitazionali “covarianti”, cioè che rispettano le trasformazioni di Lorentz (N. 91). Di questa teoria si sono interessati tra gli altri John WheelerLee Smollin e Carlo Rovelli(4). Anch’essa è basata su considerazioni puramente matematiche che coinvolgono anche l’entropia dei buchi neri (N.122) ed una struttura di base topologica detta “Schiuma di Spin”; ma esistono anche altre teorie come quella detta Mondo-brana, basata su un modello a membrane, ecc.
 
La divulgatrice scientifica e ricercatrice tedesca Sabine Hossenfelder ha sottolineato nel suo libro dal titolo significativo, “Sedotti dalla Matematica: come la bellezza ha portato i Fisici fuori strada”, la situazione di stallo in cui si trova la fisica teorica che vorrebbe svelare la struttura ultima della materia e del cosmo. Non senza ironia fa notare come abbia potuto enumerare, anche intervistando molti importanti addetti ai lavori, quasi 200 diverse teorie tutte basate su considerazioni di eleganza, semplicità e bellezza matematica, ma impossibili da sperimentare per le difficoltà tecnologiche ed i costi proibitivi. Fa anche notare come molti fisici che hanno elaborato una formula matematica elegante siano convinti che ad essa debba per forza corrispondere una realtà fisica. Per essere “moderni” ed alla moda molti dipartimenti di Fisica moltiplicano gli studi teorici a scapito di ricerche, magari più limitate, ma sperimentali che portano a risultati certi. Su questo stallo torneremo nelle conclusioni.


Vincenzo Brandi - Articolo tratto da “Conoscenza, scienza e filosofia” di V. Brandi


















  • 1) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Hawking”
  • 2) Hossenfelder, “Sedotti dalla Matematica”, R. Cortina 2019
  • 3) Greene, “L’Universo elegante”, Einaudi, 2000
  • 4) Rovelli, “La Realtà non è come ci appare”, R. Cortina 2014

L’assolutismo del razionalismo...

 

L’inferno è anche l’assolutismo del razionalismo. Esso lo crea. Essa non sa spiegarlo. Sa solo far finta non esista.


La suggestione



L’assolutismo del razionalismo costringe il pensiero entro dinamiche meccanicistiche. Cioè, costringe a concepire l’uomo alla stregua di una macchina che veste la scienza con l’illuministica camicia di forza che la vincola a stringere la conoscenza entro le sue regolette autoreferenziali. Le impone di riconoscere la verità attraverso la scomposizione del tutto; riduce alla sola logica tutta la realtà, assumendosi il diritto di escludere da essa quanto non è in grado di descrivere.

Con questo peso addosso che chiamiamo cultura e civiltà, ogni aspetto dell’esistenza pare muoversi su uno sfondo positivista che avanza secondo una progressione temporale e lineare, che da origine alla suggestione del prima e del dopo. Nonché a quella secondo cui tutto è soggetto alla regola del causa-effetto.

A queste condizioni capestro, imposte da un mazziere poco di buono, per quanto si chiami Storia, viene costretto tutto. Tra cui, la medicina allopatica, indiscusso asso nella manica del castello di carta del meccanicismo. Un altro ne è la – mai vista – democrazia. E un altro ancora sta nella comunicazione creduta implicita nel comunicato. L’idea che ognuno di noi abiti il suo esclusivo mondo, non esiste se non in contesto psicoterapeutico e in alcuni contesti didattici. Perciò, anche l’apprendimento e/o la conoscenza, ridotta a messe e massa di dati, buoni per girare un bullone, ma tragicamente inutili per l’evoluzione dell’uomo.


Ricchi di questo potere accecante – leggi arrogante –, i probiviri della bandiera scientista non si avvedono dell’infinito che la loro idolatrata dottrina esclude dal mondo. Sono impediti dal riconoscere che la comprensione cognitiva è, tra tutte le forme di conoscenza, la più superficiale. Credono infatti che basti parlare per trasmettere consapevolezze a suon di dialettica logica. Accecati dall’arroganza razionalista non vedono che è un’ottusità. Un evento che potrebbero constatare quasi ad ogni istante della vita. Tant’è che se glielo fai presente ti deridono dalla loro carrozza della verità, con la quale scorrazzano per i sussidiari e i breviari di tutti i loro adepti.

E se le loro erudite affermazioni non producono i risultati pretesi, non hanno incertezze nel giudicare, escludere, condannare il reo non allineato e allineabile. Non sospettano la potenziale forza del firmamento di consapevolezze che ognuno di noi ha nel proprio cielo, le cui stelle, costellazioni e galassie, non si illuminano a causa di una logica spiegazione, ma per un’emozione, che un professore non ci farà mai vivere e che una cameriera è invece sempre capace.

Non essere consapevoli che le illuminazioni che chiariscono a noi stessi chi siamo e dove sia la nostra strada avvengono per emozioni, comporta misconoscere gli uomini e la loro realtà, comporta il diritto di mannaia e censura delle voci avverse, da parte dell’ordine costituito, sui cui scranni sono seduti gli ignoranti dediti alla venerazione della quintuplice unità del dogma materialista, meccanicista, positivista, razionalista, scientista. Così, Nietzsche, Maturana, Bateson, Prigogine, Morin, Panikkar, Illich, Goethe, Jung, Heisenberg, Eraclito, Platone, Buddha, Cristo e le Tradizioni sapienziali sono stati ridotti a dati da studiare e accumulare per il 18 e andare avanti lungo i binari della loro verità di superficie.

La loro, è una corsa senza ostacoli, né rivali. Senza saperlo (?), puntano tutto – e vincono – sulla quantità. Chi tace e si adegua avanza, chi non capisce e critica è estromesso: eccola qui la democrazia applicata. In cabina di regia della cultura ci sono loro, che chiedono il computer alle elementari, che osannano l’intelligenza artificiale, che stravedono per i progressi della tecnologia, che promulgano leggi degne dei peggior stati totalitaristici; politiche sfacciatamente destinate a decimare gli inutili e a controllare i più; a generare un sistema sociale a punteggio. Serve altro per riconoscere il maglio meccanicista? Altro per avvedersi di quello spiritualmente mortificante? Per prendere coscienza che crescere uomini convinti di essere limitati a se stessi, cioè definitivamente recisi dalla loro origine unica, non ne farà che esseri destinati all’inferno? Siamo in un gorgo dove nuotare per uscirne non serve più. La corrente sovrasta tutto. Bisognerà arrivare in fondo prima di vedere una rinascita.

Gli idolatri del mondo logico-razionale sono ovunque. È la somma dei loro piccoli entusiasmi che genera il vortice. Sono anche tra le pieghe degli alternativi. Recentemente mi sono visto cassare un articolo di carattere evolutivo-esistenziale in quanto non si concludeva con dei consigli utili. Sono inorridito. Non per l’articolo cassato, ma per l’abiura che gran parte di noi ha compiuto a favore del pensiero unico cioè, nei confronti della crescita esistenziale, quella che nella serenità ha la sua destinazione.

“In nessuna circostanza il saggio deve turbare le menti delle persone ignoranti attaccate alle azioni. Al contrario, impegnandosi continuamente in attività, l’Essere Illuminato deve creare nell’ignorante il desiderio per le buone azioni”. (Bhagavad Gita cap. III, v. 26)


Capire e ricreare

Capire non conta nulla. Capire riguarda la superficie. Su essa tutto e il suo contrario si riflettono e mutano, convincendoci istante per istante che ognuno contenga la verità.

Ricreare è necessario. Ricreare riguarda il corpo che la superficie nasconde. Ricreare fa nostro, come è nostro il dito, l’occhio e il ginocchio. E questi esprimeremo, in tutti i modi della nostra presenza. E questi non dimenticheremo. Come non dimenticheremo che ugualmente così sarà per gli altri, universi diversi dal nostro.

Capire riguarda la dimensione cognitiva, la più superficiale tra quelle disponibili agli uomini. La sua natura è intellettuale, quindi cangiante e impermanente. Ricreare coinvolge integralmente, il suo corpo e la dimensione emozionale, quindi costituente e permanente.

Come – oltre alla cameriera – qualunque cosa può scatenare in noi l’emozione necessaria per fare luce su quanto ci era oscuro, così la modalità serendipidica di esplorazione e apprendimento, permette di mantenere autonomia di pensiero. Ovvero, di quel terreno da cui scaturisce la realtà. Ci permette cioè di riconoscere le ideologie o idolatrie, di starne alla larga, e anche di avvedersi quando invece ci siamo caduti dentro. Una coscienza di sé che tende a produrre una politica e quindi una società non più mortifera come l’attuale.

Disegnando un albero, lo riconosciamo come nostro. Un’identificazione che non avviene nei confronti dell’albero uscito da mani altrui. La descrizione razionale e la comprensione cognitiva di cosa sia e di come debba essere un albero non conterà nulla, non costituirà nulla di noi, non sarà mai un nostro dito, e sarà invece sempre un indottrinamento, cioè una via senza cuore (Castaneda), ma verso l’inferno.

Tutto ciò con cui entriamo in relazione ha il potenziale di essere un messaggio nella bottiglia, con la mappa del tesoro che è in noi. Quel messaggio, quella bottiglia, quel momento esprimono la verità del Tao. In cui è la contemporaneità che conta, che esprime il significato. In che altro modo si potrebbe cogliere il potere illuminante di un’emozione scaturibile in ogni istante a mezzo di qualunque forma? Diversamente, come pretendeva quel sito web che voleva il consiglio positivo a fine articolo, tipo la bella vita in 10 lezioni, quale requisito per pubblicare il mio pezzo, si resta fermi al prima e al dopo, al causa-effetto, alla concezione lineare e alla convinzione che l’esperienza sia trasmissibile, e perciò a dare consigli, a cercare proseliti. Quindi, a perpetuare questa cultura e civiltà dell’ignoranza. Nel qui ed ora del Tao è presente il Tutto. Nel presente in cui si esprime, nulla manca, neppure l’eternità.

“Esse [le vane ambizioni umane, nda] indurrebbero ad aumentare conoscenze e ricchezze, ma in questa crescita si smarrirebbe l’essenziale [...]”.

Attilio Andreini, Maurizio Scarpare, Il daoismo, Bologna, Il Mulino, 2024, p., 27.

Il mistero, di cui la logica tenta di sbarazzarsi, in quanto inetta a muoversi e dominare sui terreni non misurabili e oltre le tre dimensioni della materia, contemporaneamente lo crea attraverso le sue domande e le sue ricerche analitiche. Le stesse modalità che generano la peggior condizione esistenziale, quella che i cattolici chiamano infernale, in cui viviamo prede dell’ingorgo dell’effimero eletto a valore e verità da questa cultura.

Lorenzo Merlo