"Un uomo sano è colui che in ogni momento è capace di rispondere a una situazione con tutta la sua energia"
(Alexander Lowen, fondatore della bioenergetica)
Via i mercanti dal tempio
Vorrei sottoporvi una riflessione riguardo ad un concetto che ritengo cruciale e che mi sembra condizioni pesantemente la vita mia e di quelli che mi stanno intorno, tutti come siamo, soggetti all'influenza della cultura cattolica.
Incontro sempre più spesso persone sul cammino della spiritualità che sono supini ad una concezione dell'amore basata sulla rinuncia a se stessi a favore di un presunto (e a mio avviso falso) amore verso il prossimo.
Amare il prossimo, mi chiedo e vi chiedo, significa che di fronte a fatti e incontri spiacevoli della vita, come ad esempio le tante piccole e grandi ingiustizie che giornalmente incontriamo, dobbiamo fare finta di niente e avere uno sguardo di superiorità e di pietà - finta, ripeto..! - o dobbiamo ascoltare noi stessi, le nostre sensazioni e magari esprimere il nostro pensiero con gli atti dovuti? Deve per forza essere "Mandapurgiù" il motto delle persone consapevoli o spirituali, o possiamo nutrire amore e fiducia nel nostro sentire profondo e affermare la nostra verità.
Vorrei portare degli esempi ma mi sembra più utile capire se questo sia solo un mio trip o se la cosa sia condivisa.
Non sarà che questo concetto cristiano del "porgi l'altra guancia" abbia ingenerato in persone normali (che non hanno lo spessore di una figura come Cristo), processi psicologici masochistici che invitano e perdonare sempre e comunque qualsiasi nefandezza, creando così quello strato di ipocrisia, furbizia e rinuncia ad affermare se stessi che è così tipico del carattere degli italiani?
Per me la via della spiritualità ha come bussola la cura e l'attenzione verso il mio sentire, in qualunque aspetto esso si riveli. E non escludo l'emozione della rabbia, che tendiamo a giudicare sempre negativa e a rimuoverla da noi. A volte il corpo, (e il corpo non mente) ci manda questa emozione di fronte a determinati atti o situazioni. Cosa dovremmo fare? Dirci che stiamo sbagliando e soffocare ogni sensazione in nome dell'amore?
A me tutto questo pare solo auto repressione, fare del male a noi stessi e alla nostra verità. In una parola desensibilizzarci, altro che Amore.
Nietzsche, ancora più in profondità di Osho ha indagato su questo aspetto centrale e malato della nostra cultura.
Ritengo che la nostra incapacità di essere persone totali e autentiche abbia in questo aspetto di "buonismo a tutti i costi" il suo vero tumore maligno.
Grazie se vorrete portare un commento con la vostra esperienza personale.
Jalsha - jalsha@libero.it
Visto che siamo tante goccioline di un unico Oceano, avrebbe poco senso arrabbiarsi del nostro prossimo.
RispondiEliminaIo penso che "porgere l'altra guancia" sia inteso come cambiare punto di vista invece del solito (re)agire con la rabbia o la falsa compassione.
Ovvero che le persone, io per primo, hanno paura di amare e sono molto condizionate dai programmi poco felici che sin dalla nascita (anche le vite passate?) abbiamo creato e che governano, anzi creano la nostra vita.
Per uscire da questa poco conveniente programmazione possiamo scegliere di vedere gli altri come noi stessi.
Ogni persona che incontriamo è un riflesso di una parte di noi.
Ecco che possiamo perdonare una persona, ringraziarla ed amarla.
Sì, perché quella persona ci viene a raccontare nostre memorie dolorose sepolte nel subconscio che non vogliamo vedere e men che meno far uscire fuori.
Prendendoci la piena responsabilità delle nostre emozioni poco convenienti possiamo ripulirle acquisendo una maggiore consapevolezza di essere Uno e Tutto con il mondo esterno.
Personalmente amo la filosofia ho'oponopono perché con estrema semplicità "corregge" questa nostra attitudine a giudicare bianco e nero ogni aspetto della nostra vita.
Io voglio andare oltre al dualismo, la polarità di questo mondo e quindi posso vedere mio prossimo come me stesso: ognuno ha il suo percorso nella vita e il mio non è quello migliore.