Amore e Pax Aeterna

 


Solo l’amore può garantirti un regno che può rimanere per sempre.  Ciò che si conquista con la forza non può che essere momentaneo. Ciò che è stato imposto non può essere eterno, perché il nemico che hai sconfitto non è diventato tuo amico; anzi, è diventato più nemico di prima. Aspetterà il momento giusto per reagire, per vendicarsi, per ottenere la rivincita. È una lotta continua.

L’unico vero regno arriva attraverso l’amore.

Gesù ne parla: il regno dentro di te. Nel regno fasullo sconfiggi gli altri; nel regno reale diventi un conquistatore di te stesso. Ed essere padroni di sé, non essere più schiavi di alcun desiderio, di alcun pensiero, di alcuna passione, è la cosa più preziosa della vita, il più grande splendore che possa capitare a chiunque.

Non dico di distruggere i tuoi desideri e non dico di distruggere le tue passioni. Non sono contro il corpo, non sono contro i desideri. Quello che sto dicendo è: non devono essere loro i padroni. Tu devi essere il padrone e loro devono essere i servitori. Quando le passioni sono al tuo servizio, quando i tuoi desideri sono le tue ombre, la vita si arricchisce infinitamente.

Questo può accadere solo attraverso l’amore; non attraverso il conflitto, ma attraverso l’armonia.

Ama te stesso: questo è il primo comandamento e poi tutti gli altri comandamenti seguono da soli. 

Osho 


 Tratto da: Zorba The Buddha




Spiritualità laica alla prova dei fatti... e la realtà dell'Io sono!

 


Eccomi qui a raccontarti il mio sogno, tu ci sei dentro ed anche molti altri.... ma per semplificare diamoci del "Tu", parliamo come se fossimo in due, giacché solo in termini duali possiamo parlare.

Spiegare è come giustificare, tu sei lì che sogni e mi dici di avermi incontrato nel tuo sogno poi ti svegli e mi chiedi "sai che ci siamo incontrati in sogno ed abbiamo fatto questo e quello, che ne dici?"

Rispondo iniziando dal discorso del karma (l'agire), non esiste karma, è tutto nel sogno, finché continuiamo a sognare facciamo varie interpretazioni del nostro sogno e cerchiamo di dargli un senso, lo chiamiamo causa-effetto oppure libera scelta o quello che ti pare, ma a che serve descrivere la verità del sogno? 

Per uscirne fuori, per un risveglio spirituale laico dal dualismo, si "consiglia" di non attaccarsi alle ragioni ed agli eventi del sogno ma di concentrarsi su colui che sogna, sull'io, sulla coscienza... senza seguire i pensieri, le intenzioni di questo o quello, bello o brutto….

A che serve ulteriore speculazione quando lo specchio non potrà darti mai alcuna sostanza? Solo il senso dell'essere, di esistere, è innegabile, non si può mettere in dubbio, è la sola certezza o "capitale" che abbiamo. Per esprimere questo essere diciamo "io sono", questo nello stato di veglia ed in sogno , ma persino nel sonno profondo o nello svenimento questo essere è implicito anche se –allora- non possiamo affermarlo, eppure siamo consapevoli... di esistere.

La coscienza non è un processo descrivibile in alcuna forma, la coscienza può essere sperimentata e direttamente conosciuta, il momento che cerchiamo di descriverla essa sfugge al nostro controllo, subentra l'astrazione del pensiero, eppure essa "assiste" anzi "consente" il pensiero, essa è testimonianza e causa prima di ogni andamento mentale. Purtroppo la mente usa il linguaggio duale e speculare e quindi non può descrivere ciò che è al di là dello specchio. La mente è il riflesso, la coscienza è la luce che si manifesta come riflesso. Essendo quindi questa coscienza l'unica ed assoluta verità puoi anche chiamarla "Dio" -se vuoi- nel senso che essa rappresenta la vera "esistenza presenza".

Per quel che riguarda la coscienza personale, o mente, essa è solo una rifrazione una "forma" della coscienza, variegata ed irripetibile, come una goccia d'acqua non è mai uguale all'altra, come una foglia non è mai uguale all'altra, come una granello di polvere non è mai uguale all'altro, nessuna coscienza individuale può essere uguale all'altra... questa diversità è la caratteristica della coscienza quando si manifesta nell'aspetto individuale. Ma questa "diversità" è possibile solo perché la coscienza (che è la matrice) nella sua espressione indifferenziata è alla base di ogni manifestazione vitale. La "consapevolezza" priva di attributi è il substrato necessario per svelare ogni attributo.

L'individualità della mente muore con la morte fisica ma non la pura coscienza che continua a manifestarsi in altre innumerevoli forme, la così detta anima individuale è una maschera, una proiezione fittizia, un personaggio nel sogno nella coscienza. Quanti personaggi sogniamo in un sogno e chi sono essi se non il sognatore stesso, ovvero la coscienza che sogna? Quindi, aldilà di ogni pensiero, religioso od ateo che sia, non si può negare "quell'io sono", l'unica verità.

E' questo "io sono" che viene definito l'unica Realtà, così è nel pensiero Platonico e persino nella Bibbia è detto: "I am that I am" - Io sono quell'io sono. Che senso ha continuare a menar il can per l'aia su un'esperienza ovvia, un'esperienza che non ha bisogno di essere confermata da alcuno, in cui solo lo sperimentatore è reale? Eppure il momento che ricominciamo a ragionare su questo "io sono" appaiono le inevitabili differenze di pensiero (religioni, interpretazioni, ideologie, filosofie) che, come dicevamo all'inizio, sono infinite quante le forme ed i nomi....?

Se dici "io lo penso.. e ci credo" vuol dire qui, ovvero "presenza -fissità" intendendo l'esser-ci in un luogo ed in un tempo. Sarai però d'accordo che l'essere non è condizionato dal luogo e dal tempo, l'essere è indipendente dal luogo e dal tempo e non ha nessun bisogno di riscontro per conoscere la sua esistenza, né serve conferma nel pensiero. Siccome siamo abituati a confrontarci, e sin qui abbiamo dialogato molto..., possiamo anche dire che "ci" siamo tutti dentro in questa elaborazione dell'esser-ci (sempre tu, io .. e tutti gli altri).

Ma se tu, indipendentemente dal confronto interpersonale, non fossi consapevole  di esistere "ab initium" -indipendentemente dalla "nostra" supposta esistenza- (e nota bene che ciò vale per ognuno di noi) potresti forse dire di non esistere? Potresti affermare oggettivamente e soggettivamente di non esistere se non avessimo questo confronto letterario?  Forse hai bisogno di guardarti alla specchio per conoscere la tua esistenza? 

Ma nel girare in tondo in tondo ci sembra di compiere un percorso e siccome siamo abituati a considerare l'esistenza quando si manifesta sotto forma di "pensiero" e –chiaramente- siccome il pensiero, come la parola e come ogni concetto, è per sua natura condivisibile (in quanto si presuppone che possa essere trasmesso ad un "altro"), qualsiasi considerazione appaia nella nostra mente diventa per noi un assioma, una verità, che "possediamo" in comune, ma -attento- a chi appare quel pensiero? Prima di poterlo condividere, chi è quell'io cosciente che lo percepisce (e successivamente lo condivide)?

Senza la prima persona, senza l'essere in prima persona, come è possibile divenire coscienti dell'altro? E del qui ed ora, etc. etc. etc. Questo bel discorso, perciò, non implementa la nostra esistenza, il nostro essere coscienti, se non -forse- per il "sospetto" (ma è una certezza) che "io sono quel che tu sei..". Io sono e quindi tu sei e quando tu sei io sono allo stesso tempo, ecco-ci siamo riflessi l'un nell'altro, quindi tu ed io siamo la stessa identica cosa: coscienza.

Continuando nel riverbero vedi ora la "specularità" delle forme? Ma per i fatti pratici accettiamo la separazione, come in un sogno, questo è il gioco della coscienza....

Paolo D'Arpini















"La vita è sogno" (Calderon de La Barca)

Thich Nhat Hanh: "Chiamatemi con i miei veri nomi"



Chiamatemi con i miei veri nomi.  

Non dire che domani me ne andrò, perfino oggi sto arrivando di nuovo. Guarda profondamente: ad ogni secondo arrivo, per essere un getto primaverile; un uccellino, con piccole ali ancora fragili: sto imparando a cantare nel mio nido nuovo; per essere un bruco nel cuore di un fiore; un gioiello che si nasconde nella pietra. Ancora arrivo, per ridere e piangere, per aver paura e per sperare. Il ritmo del mio cuore è la nascita e la morte di tutto ciò che vive. 

 Sono un insetto che si trasforma sulla superficie dell'acqua. 

 E sono l'uccello che si lancia giù per inghiottire l'insetto. 

Sono una rana che nuota felice nella chiara acqua dello stagno. 

 E sono il serpente che, silenzioso, si ciba della rana. 

Sono un bambino in Uganda, tutto pelle e ossa, le mie gambe esili come canne di bambù, e sono anche il mercante che vende armi mortali all'Uganda. 

Io sono la bambina dodicenne profuga su una piccola barca, che si getta nell'oceano dopo essere stata violentata da un pirata. 

E sono anche il pirata, il mio cuore ancora incapace di vedere e di amare. 

Sono un membro del Politburo, con un enorme potere nelle mie mani. 

E sono l'uomo che deve pagare il suo "debito di sangue" alla sua gente, morendo lentamente in un campo di lavori forzati. 

 La mia gioia è come la primavera, così calda che fa sbocciare fiori su tutta la Terra. Il mio dolore è come un fiume di lacrime, così vasto che riempie tutti i quattro oceani. 

Per favore chiamatemi con i miei veri nomi, perché io possa udire tutti i miei pianti e tutte le mie risa insieme, perché possa vedere che la mia gioia e il mio dolore sono una cosa sola. 

Per favore, chiamatemi con i miei veri nomi, in modo che mi possa risvegliare e la porta del mio cuore sia lasciata aperta, la porta della compassione. 

 Thich Nhat Hanh


La scoperta del DNA...



DarwinNaegeli Weismann avevano ipotizzato che la trasmissione dei caratteri ereditari fosse dovuta a minuscoli elementi (invisibili con i mezzi dell’epoca) contenuti nelle cellule(1). Intorno al 1910 queste ipotesi risultarono in sintonia, sia con le teorie sulle mutazioni genetiche sviluppate da De Vries  all’inizio del secolo XX, sia dai noti esperimenti condotti dal biologo statunitense Thomas Hunt Morgan sul moscerino da frutta (“Drosophila“: vedi N. 116). Tuttavia, se il meccanismo era chiaro, i mezzi dell’epoca non avevano ancora permesso di individuarne l’agente materiale della trasmissione dei caratteri ereditari compreso nella cellula.

Solo a metà del ‘900 furono individuati gli agenti genetici responsabili, sia della trasmissione dei caratteri ereditari, che dell’evoluzione. Si tratta dei “geni”, strutture presenti nelle cellule degli organismi viventi in varie forme alternative (“alleli”), alcune “dominanti” che si ritrovano nella prima successiva generazione di animali o piante, altre “recessive”, che si manifestano nella seconda generazione e nelle successive in proporzioni fisse. I geni sono compresi nella struttura delle macromolecole di DNA (acido deossiribonucleico) costituite da una doppia elica che contiene quattro basi azotate (Adenina, Timina, Citosina, Guanina), più un gruppo fosfato e uno zucchero a 5 atomi di Carbonio. Le eliche di DNA sono a loro volta contenute insieme a gruppi di proteine nei filamenti colorati (“cromosomi”) presenti nei nuclei cellulari e scoperti già nell’800 (vedi N. 85).

L’acido nucleico e la sua funzione furono scoperti da O.T. AveryC. McLeod e M. McCarthy nel 1944 con le loro esperienze sui batteri della polmonite, e poi confermati nel 1953 da A. Hershey M. Chase. Sfruttando la diffrazione a raggi X - sperimentata già da Max Von Laue (1879-1960) all’inizio del secolo XX, che gli valse il premio Nobel nel 1914 - la ricercatrice britannica Rosalind Franklin (1920-1958) e l’altro britannico Maurice Wilkins effettuarono negli anni ’50 analisi molecolari dell’acido nucleico, in forma cristallina, con raggi X.

Queste analisi permisero l’esame e la determinazione della struttura delle molecole di DNA. Analisi simili permisero anche lo studio dell’emoglobina e della mioglobina in forma cristallina, ed anche di un secondo acido nucleico presente nel nucleo della cellula e nel citoplasma: l’acido “ribonucleico”, indicato con l’acronimo RNA. Esso non contiene direttamente le caratteristiche genetiche come il DNA, ma partecipa in due forme distinte (m-RNA e t-RNA) alla trasmissione delle informazioni genetiche ed al trasferimento del materiale genetico.

In seguito a queste ricerche, Maurice Wilkins ottenne nel 1962 il Nobel per la Medicina per la scoperta della struttura del DNA insieme all’altro britannico Francis Crick (1916-2004) ed allo statunitense James Dewey Watson. Questi ultimi due avevano scritto articoli sull’argomento già negli anni ’50. Non fu assegnato il premio alla Franklin, che aveva materialmente effettuato le ricerche con raggi X, a causa della morte prematura per cancro alle ovaie della ricercatrice. Il fatto che dai vincitori del Nobel non fosse pienamente riconosciuto il suo contributo decisivo fu fonte di molte polemiche.

Nel 1956 il biologo statunitense di origine indonesiana Joe Hin Tjio e lo svedese Albert Levan avevano scoperto che i cromosomi nella specie umana sono 46 per ogni cellula (22 coppie più una coppia sessuale), mentre, ad esempio, vi sono solo 4 coppie di cromosomi nel moscerino della frutta, 19 coppie nel gatto, nel leone, nella tigre e nel maiale, e 32 nel cavallo. Nel 1966 gli “alleli” compresi nei geni furono divisi in 7 gruppi mentre prima erano divisi solo in X ed Y. Si è già visto all’articolo precedente che esiste una coppia formata da un doppio X per le donne (per questo dette “omozigote”) mentre i maschi hanno una coppia X - Y (“eterozigoti”).

Il fisico ex- sovietico Gamow (N. 109) ed altri ricercatori studiarono poi la trasmissione del codice genetico ed il processo secondo cui il DNA, in cui compaiono in varie posizioni le quattro basi azotate di cui si è scritto sopra, presiede alla produzione dei 20 aminoacidi fondamentali necessari alla formazione delle proteine. Ciò avviene attraverso la diversa combinazione delle 4 basi che possono formare 64 diverse “triplette”, ognuna delle quali fornisce una particolare informazione(3). Si è anche potuto constatare che le piccole mutazioni nei geni che influenzano il codice genetico possono essere causati da molti fattori ambientali, ad esempio di tipo chimico, o radiazioni (usate anche per accelerare le mutazioni nell’esperimento sui moscerini), o anche biologici come particolari enzimi.

Quindi le mutazioni possono essere causate anche artificialmente ed attualmente gli studi relativi sono – almeno ufficialmente - indirizzati alla prevenzione di malattie ereditarie piuttosto che a discutibili ricerche eugenetiche(2). Nel campo agricolo le mutazioni genetiche sono indotte per creare gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati) che teoricamente dovrebbero servire a rendere più redditizie le coltivazioni alimentari ed eliminarne malattie e parassiti, ma che spesso sono stati usati in modo subdolo, incontrollato e vessatorio nei confronti degli agricoltori (ad esempio producendo semi che non possono essere utilizzati per nuove semine) per aumentare i profitti delle multinazionali. Torneremo sull’argomento nelle conclusioni.

Vincenzo Brandi -  “Conoscenza, scienza e filosofia” 





























(1) L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970-1972

(2) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Fisher”

(3) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Gamow” 

Aumentano gli eremiti vegetariani... per sfuggire al sistema consumista



“Aumenta il numero degli eremiti che tornano a stretto contatto con la natura, favorendo gli ecosistemi e la biodiversità, presidiando e manutenendo il territorio, esercitando meditazione e contemplazione, elevando la propria spiritualità e senza alcun onere per la collettività…”  –  (Claudio Martinotti Doria) 

Dovrei raccontare anche la mia esperienza eremitica, vissuta  in diversi anni di ritiro nelle grotte e nelle capanne del Tempio della Spiritualità della Natura di Calcata.  Ricordo  a questo proposito anche l'esperienza di  Mario Dumini, che conobbi a Roma nel 1974, quando facevo vita eremitica cittadina, in Via Emanuele Filiberto, (senza luce elettrica né acqua corrente e vivendo di erbe selvatiche raccolte nei parchi, un'esperienza durata un paio d'anni),  fu Mario stesso che mi indicò Calcata come luogo di ritiro stabile.  Successivamente Mario si stabilì in una grotta di San Vittorino, facendo vita solitaria  (vedi:  http://marioduminieremita.weebly.com/chi-e-leremita.html)

Ricordo anche il caso di Marco, fuggito alcuni anni fa dalla società dei consumi, arrestato con l’accusa di coltivazione abusiva di canapa sui monti di Sambuca Pistoiese. E’ lì che da quasi quindici anni aveva scelto di vivere come eremita originario della provincia di Varese.  E’ un laureato alla Bocconi di Milano dove discusse la tesi “Metodologie di valutazione ambientale e sviluppo sostenibile”. Una mente brillante e una famiglia benestante alle spalle che lo hanno portato a diventare un product manager dell’Italaudio, storico distributore nazionale del gruppo Yamaha fino al 2001 quando, come lui stesso ha raccontato, mentre si trovava all’Holiday Inn di Manhattan  maturò la decisione di staccare la spina e a giugno dello stesso anno era in mezzo ai boschi delle montagne Pistoiesi, senza carta di credito in tasca, senza auto ma soprattutto senza il ritmo frenetico che imponeva il lavoro e l’azienda. Un ritmo e un lavoro che, racconta l’ex manager, servivano solo per soddisfare bisogni secondari, indotti dal sistema. Marco invece ha scoperto di voler vivere in mezzo alla natura seguendo i suoi tempi, quelli delle stagioni, e diventando vegetariano…  

E questo sembra il destino di tutti gli eremiti, ovvero: diventare vegetariani. Ma è normale che sia così, poiché vivendo nella natura e rinunciando alla società dei consumi le erbe selvatiche sono il cibo più accessibile (a questo proposito segnalo un mio scritto storico sulla conoscenza erboristica fatta a Calcata.  (Vedi: http://www.circolovegetarianocalcata.it/alimentazione-ed-ecologia/).

 

Ed ho continuato la mia ricerca per una sopravvivenza bioregionale anche dopo il mio trasferimento a Treia, nelle Marche.   (Vedi: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2020/10/alimentazione-bioregionale-per-una.html)

Paolo D'Arpini










Olismo, determinismo e habitat...

 


Siamo abituati a leggere interessanti dissertazioni sull’alternativa fra una concezione deterministica ed una olistica dell'ambiente e delle sue conoscenze. In questa direzione ho molto apprezzato un articolo di Monika Dos Santos in cui con esempi ed argomentazioni molto stimolanti fa comprendere come il dilemma determinismo/olismo è ben più di un tema ambientale.

Un'impostazione olistica delle proprie capacità razionali consente una connessione fra le varie conoscenze promuovendo l'informazione al livello superiore di patrimonio conoscitivo prima e di cultura dopo. È così possibile collegare le tematiche ambientali a quelle più generali dell'evoluzionismo e del rapporto fra esseri umani, animali e vegetali ai fini del recupero delle risorse alimentari e nutraceutiche.

E così anche possibile governare i cicli politici le relative dinamiche storiche. Da questa conoscenza diffusa ed olistica arrivano poi le risorse intellettuali ed il cerchio si chiude-necessarie a contrastare l'inquinamento che sta rivoluzionando le nostre vite. 

Per sviluppare questo processo cognitivo è però necessario che le nostre capacità intellettuali siano anche supportate da quelle psicologiche che devono essere educate proprio in rispetto della visione olistica della vita.

Luigi Campanella - II sesto sole



Dalla filosofia alla visione olistica...

 


Vorrei fare un breve exursus, sul processo di recupero della propria unitarietà con la vita, che mi ha consentito di giungere alla presente coscienza ed esperienza.

Personalmente sono un fautore del pensiero laico e quindi mi sono addentrato in me stesso seguendo questo filone. C’è tutta una corrente di pensiero che, partendo da Hegel  fino a Nietzche e Heidegger,  ha forgiato  il pensiero laico moderno, sia pure fra errori e svarioni concettuali, questo nuovo indirizzo è però riuscito a restituire all’individuo ed al suo progredire storico la responsabilità della formazione dei valori, che nel travaglio del dubbio e dello spirito critico riescono a rendere omaggio al principio della responsabilità personale quale fondamento della verità e del bene.

Il pensiero laico-agnostico  ha permesso a noi tutti, come umanità, di uscire dal conflitto fra Razionalismo, Religione e Scienza positiva. Il Razionalismo proclama l’eguaglianza naturale degli uomini, e l’identità della ragione in ciascuno di loro, la storia della scienza ci insegna invece che le verità razionali dichiarate a priori, necessarie ed eterne, sono delle astrazioni empiriche tardivamente conquistate nel corso dell’evoluzione umana.  Il Credo religioso a sua volta  insiste, con albagia e ferocia, non tanto sui problemi della condotta morale, quanto sulle basi dogmatiche della religione. Fuori di queste non c’è, secondo esso, vita spirituale.  Ne consegue che chi non è religioso è un essere maligno e pericoloso alla società.

Inutile dire che queste modalità di vivere la conoscenza sono del tutto nevrotiche, sganciate dall’evoluzione reale.

Per nostra fortuna stiamo assistendo non solo ad un progredire delle conoscenze scientifiche che annullano qualsiasi presupposto scientista e positivista, mi riferisco alla Fisica Post-Quantistica, al Nondualismo, alla Sincronicità di Jung, Plank, Chopra, scienziati che hanno elevato la ricerca scientifica alle vette del pensiero creatore, alle Neuroscienze che, al di là delle necessarie concessioni ad una visione meccanicistica del funzionamento della Mente, hanno colto l’interconnessione pensiero/emozione/corporeità, e con esse sono giunte alla dimensione transpersonale della società e dell'esistenza.

Secondo il sentire più evoluto dei nostri tempi, non può esistere separazione tra  materia e spirito, fra natura naturans e natura naturata, fra l'io e l'altro. E questa consapevolezza ha preso la forma di una nuova "trinità", che io individuo nella Ecologia profonda, nel Naturalismo e nella Spiritualità Laica,  espressi nella "memoria collettiva consapevole" che abbraccia l'intero svolgersi della vita nello spazio-tempo.

Siamo in piena visione olistica.  

Paolo D'Arpini





C'era una volta... un mondo

 


Non lo farò, ma vorrei togliermi. Vorrei sottrarmi dalla mia – e non solo mia – prospettiva, dalla quale si traguarda un mondo impazzito, una politica sul cui avvento nessuno di quelli accanto a me avrebbe mai scommesso alcunché, stupidamente certi che gli uomini mai l’avrebbero voluta realizzare.


“Tutto mi dà dolore: questa gente

che segue supina ogni richiamo

da cui i suoi padroni la vogliono chiamata,

adottando, sbadata, le più infami

abitudini di vittima predestinata;

il grigio dei suoi vestiti per le grige strade;

i suoi grigi gesti in cui sembra stampata

l’omertà del male che l’invade;

il suo brulicare intorno a un benessere

illusorio, come un gregge intorno a poche biade” (1)


La realtà supera la fantasia dell’incubo

Chi avrebbe pensato alla cancellazione delle identità e della cultura?

Chi l’avrebbe accreditata nella misura in cui sta digitalmente avvenendo?

Chi avrebbe previsto, se non come scherzo, l’abbattimento dei plinti analogici dell’umanità?

Chi avrebbe realmente pensato che, in nome del profitto e del potere, qualunque – ribadisco, qualunque – intervento interessato sarebbe stato messo in essere?

Chi avrebbe previsto le madri in affitto, il passaggio dalla concezione di atto dello spirito a quella del mercato?

Chi avrebbe mai considerato giusto equiparare la natura al diritto senza inorridire?

Chi non avrebbe liquidato con spallucce, senza crederci, l’idea che saremmo definitivamente divenuti individui senza valore, controllati, costretti e contenti di esserlo?

Chi avrebbe mai potuto prendere in considerazione l’idea che giornalisti, intellettuali e artisti in gran numero si facessero servitori del pensiero unico, abiurando alla loro missione di critica e allarme, più di quanto già riscontrato nei regimi totalitari?

Chi quella di un monopolio mediatico, vera origine del vento che soffia e orienta i pensieri?

Chi era arrivato a pensare che la capillarizzazione della paura sarebbe stata uno strumento con il quale ottenere inerme ubbidienza oceanica?

Chi aveva previsto che quella paura virale non sarebbe stato un culmine, ma rodaggio di un metodo che avrebbe spianato le asperità parlamentari della democrazia al fine di rivisitarla in forma totalitaria?

Chi aveva sottoscritto che i vaccini avrebbero ucciso più della malattia?

Che così tanti medici sarebbero caduti nell’incantesimo di un mondo senza Ippocrate?

Chi era stato tanto visionario da prendere in seria considerazione l’incubo del politicamente corretto, quello del genere a scelta, delle blasfemie in nome della cosiddetta inclusività?

Chi avrebbe creduto nell’abbraccio della maggioranza di noi all’economia verde e a quella circolare, alla sostenibilità, all’impatto e al chilometro zero come politiche risolutive, e non studiati diversivi per sollevarsi dal senso di colpa per l’agonia della terra? Chi avrebbe scommesso un solo copeco sull’ignavia della maggioranza, che in merito a quanto sta avvenendo non ha sussulti, lo considera progresso, lo esaurisce nel così va il mondo? Chi avrebbe considerato che avremmo accettato tutto ciò senza riconoscere che non si tratta d’altro che finire a sottostare ad una vita a punti?

Chi sarebbe arrivato a concepire l’idea che il David di Michelangelo potesse dare voce – ascoltata – ai neopuritani, con tanto di tempesta mediatica?

Chi avrebbe mai accreditato che qualcuno avrebbe pensato ancora a liste di proscrizione di uomini con pensieri differenti dal proprio?

Chi poteva immaginare che nostri simili – tutti rigorosamente giornalisti antifascisti progressisti – sarebbero divenuti censori, autoreferenziali verificatori di fatti, negatori di voci differenti da quella da cui prendevano i denari e le veline per propagandare quelle istituzionali?

Chi ha mai pensato si potesse arrivare a mandare al macero testi letterari perché contenenti parole che si vuole grottescamente impedire di pronunciare?

Chi si aspettava d’essere perseguito se invece di dire vigile del fuoco dici pompiere, di diversamente figo gobbo, di non tanto smilza grassa, di omosessuale checca.

Chi avrebbe creduto che qualcuno, certamente antifascista e antirazzista, non avrebbe fatto una piega davanti alla persecuzione di privati cittadini russi, al furto perpetrato nei loro confronti perché tali, alla deliberata esclusione sociale e politica di qualunque loro espressione storica e artistica?


Non più distopia, ordinaria realtà

E chi riesce a capacitarsi del fatto che il popolo dei divanisti, scientisti bastardi ma anche di razza, non sta facendo una piega davanti alla definitiva, radicale separazione dell’uomo dal trascendente e dalla natura a mezzo dei nuovi onnipotenti dei della scienza e della tecnologia?

Chi riesce ad accettare che l’ultimo uomo, quello che Nietzsche indicava come emblema della morte dell’uomo stesso, della sua potenza creatrice ed evolutiva, sia ora celebrato come emblema opposto, espressione ideale del vero uomo contemporaneo, più che mai fautore di una storia esaurita nell’agnosticismo? Una storia dove la sola etica alimentata è quella del profitto, la sola logica quella del costo-beneficio.

Chi non è sconvolto dal progetto di ignorantigizzazione mediatica, a cui abbiamo assistito tramite le prove generali con il covid e la guerra della Nato, che ne hanno confermato la bontà?

Chi può accettare che tutte le arti in senso lato non siano più tramandate entro i nuclei dal famigliare al regionale e al nazionale, non esprimano più una cultura e un’identità, una vera sapienza esclusiva, progressivamente soppiantate dai prodotti dell’industria per ragioni economiche, di mercato, indipendentemente da quanto ammonti il conto di ciò che, senza neppure farci caso, abbiamo cessato di coltivare, di maneggiare, di trasmettere, lasciando e riducendo a un tutore video-elettronico ciò che prima era bottega, impegno, prove, dedizione, amore?

Chi può prestarsi ad accettare che sia un algoritmo a scegliere al posto nostro se abbiamo ancora in noi il necessario per discernere cosa è opportuno e cosa no?

Chi non esce di senno quando vede la pubblicità – e insieme a questa molte, moltissime altre – che esordisce con “la scienza ci dice che il cane ha un olfatto superiore al nostro”?

Chi non si dispera davanti alla moltitudine prostrata davanti all’altare dell’intelligenza artificiale, convinta che si tratti realmente di qualcosa di simile o superiore all’uomo, e contemporaneamente ignara del fatto che sta riducendo la sua stessa intelligenza a quella di una macchina?


Anche un esclamativo imprevisto

In tanta sequela di interrogativi, c’è un imperativo altrettanto sconcertante, e questa volta a favore di un cambio del paradigma geopolitico. L’idea di svincolarsi dal dollaro e quella di creare un mondo multipolare sono ormai intenti in atto e in veloce evoluzione e non possono che essere al momento considerate buone notizie. Osserviamo infatti gli accordi tra paesi fino a ieri senza relazioni diplomatiche da molti anni, il codazzo di governi non più disponibili a sottoscrivere inermi l’egemonia dello Zio Sam, la cui somma di popolazione è nettamente superiore a quella del mondo atlantico. Non solo. A tutto ciò si aggiungono anche la battaglia antirepubblicana in ambito nazionale Usa, le visite europee alla spicciolata a Pechino, la messa in guardia cinese sugli yankee in merito a Taiwan, il non allineamento turco alla Nato e altro ancora.


Tanto per fare nomi

George Orwell (2) e Aldous Huxley (3) a parte, più che visionari, semplicemente aggiornati sugli intenti all’ordine del giorno dei temi discussi e delineati – quali prospettive politiche da intraprendere quanto prima – nella Fabian society, della quale erano stati soci, qualcuno era già arrivato a delineare tanto precipitare della politica e della cultura. Escludendo anche tutti coloro che hanno visto nella democrazia il peggiore dei mali, ovvero tutti quelli che avevano consapevolezza delle dinamiche e delle forze disponibili al potere quando, come oggi, condiviso dalle masse, i seguenti sociologi e studiosi ci avevano già in qualche modo messo sul chi vive nei confronti del presente in corso.


Tra questi, anche Jeremy Bentham con il suo Panottico (4), precursore dell’imminente chip sottocutaneo.


Herbert Marcuse in L’uomo a una dimensione, con la predizione della crescita del controllo totalitario attraverso l’abbondanza, il permissivismo e la soddisfazione popolare nei confronti della tecnologia, nonché la fallace attribuzione del diritto alla maggioranza fondata sull’idea che gli individui siano capaci di scegliere per la collettività, ma di fatto null’altro che consolidamento del conformismo.

“Nessuna meraviglia, dunque, se nelle aree più avanzate di questa civiltà i controlli sociali siano stati introiettati al punto in cui persino la protesta individuale resta colpita alle radici. Il rifiuto intellettuale ed emotivo di «allinearsi» sembra essere un segno di nevrosi e di impotenza” (5).


Ernst Bloch in Eredità di questo tempo, con la sua radicale critica alla politica e alla cultura esaurita o celebrativa della tecnologia, dell’industria e del razionalismo, ci fa presente che, in nome dei mercifici miti del progresso, viene irreversibilmente buttato al macero il fondante patrimonio umanistico dell’umanità. Premesse del suo multiversum, che è tanto più patologico e destabilizzante quanto più non riconosciuto nella sua necessità. Non comprendere, accogliere, tenere a sé e valorizzare l’eredità culturale, autentico sistema immunitario e contemporaneamente garanzia evolutiva, in quanto il solo idoneo a muoversi a propria misura, non riconoscere in sostanza il bene della molteplicità valoriale che si sta buttando a mare in nome del progresso, non può che essere premessa di squilibri, contraddizioni, scollamenti, inconvenienti, conflitti, malattie. Null’altro che la vocazione all’effimero, attraverso una vanesia emancipazione dal sacro.

“[...] attraverso il relativismo e l’abbattimento generale si aprono un varco bisogni e riserve provenienti dalla preistoria, come un magma che buca una crosta sottile” (6).


Ivan Illich, che in tutti i suoi lavori non ha cessato di mettere in evidenza cosa di fine e sostanziale passava insieme al crasso ed effimero progresso. Dai suoi lavori si potevano raccogliere a piene mani le critiche alle forze che ci hanno ormai spinti oltre il ciglio dell’abisso esistenziale.

“La terza illusione consiste appunto nel credere che la rivendicazione pubblica dei diritti porti senz’altro a salvaguardare le libertà. Di fatto, quanto più una società affida ai professionisti l’autorità legale di definire i diritti, tanto più le libertà dei cittadini si dissolvono” (7).


Edgar Morin, con la sua critica alla modernità.

“Tuttavia, la disintegrazione di una cultura sotto l’effetto distruttivo di una dominazione tecnico-civilizzatrice è una perdita per tutta l’umanità, la cui diversità di culture costituisce uno dei tesori più preziosi” (8).


Ernst Jünger, facilmente contestabile dai democratici e dai progressisti per conclamata inettitudine di agnostica ontologia, il cui svincolato pensiero non aveva avuto paura di contraddire quello misero della massa dei pusillanimi benpensanti.

“«I veri pregiudizi», scrive Jünger, «sono invisibili». [...] Lo stile del pregiudizio contemporaneo ha il carattere della inconsapevole uniformità, l’aspetto obiettivo dell’informazione, l’irresponsabilità dell’apparato burocratico, la credibilità scientifica della statistica, la ‘naturalezza’ di un inedito e globale ‘senso comune’ dell’uomo” (9).


Pier Paolo Pasolini, che come pochi era stato radicale nella critica alla modernità, che forse come nessuno si muoveva agile facendosi beffa dell’armatura ideologica che a tutti imponeva goffi, macchinosi, difensivi e invasivi movimenti di pensiero, e che, contemporaneamente, era riuscito a farsi ascoltare e avere o prendersi uno spazio intellettuale di rilievo, pur tuttavia è rimasto lettera materialmente morta, ma di fatto spiritualmente umana, quindi immortale.

Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della società dei consumi” (10).


Michel Foucault, citato in ultimo nonostante disponibile, più degli altri, sulla bocca di tutti. Il suo Sorvegliare e punire non era uno studio sociologico, ma un urlo. Verso cui oggi non si avverte neppure più l’esigenza di tendere l’orecchio, per ascoltarne qualche residuo eco. Il deserto che è in noi non lo permette.

“Se il decollo economico dell’Occidente è cominciato coi processi che hanno permesso l’accumulazione del capitale, possiamo dire, forse, che i metodi per gestire l’accumulazione degli uomini hanno permesso un decollo politico in rapporto a forme di potere tradizionali, rituali, costose, violente, che, ben presto cadute in desuetudine, sono state sostituite da tutta una tecnologia sottile e calcolata dell’assoggettamento” (11).


Contrordine

No! Foucault e compagnia citata erano arrivati a vedere tutto ciò che sta accadendo nella sola dimensione per loro possibile, quella analogica. Quella entro la quale chiunque era in grado di relazionarsi e riconoscere le dinamiche e le forze. Ora si sta tutto realizzando in altra modalità, che non ha nulla a che vedere con la solida materia della vita, che ogni soggetto poteva commisurare a sé. È la modalità digitale, nella quale neppure i numeri e le lettere mantengono il senso strutturale intorno a cui il corpo umanistico degli uomini era andato nel tempo costituendosi, utilizzando la diversità come informazione utile al proprio equilibrio ed evoluzione. E non si citi la fisica quantica per sostenere il valore dell’idolatria della digitalizzazione. Essa è semmai utile per rappresentare la dimensione magica della vita che, per quanto razionalisticamente derisa e denigrata, è ancora negli uomini, seppur inetti a riconoscerla, per arricchire la propria invulnerabilità, stabilità e forza. Tutte doti ora cercate fuori, nei cosiddetti celebrati esperti e nelle app. Magia, in quanto autentico lato segreto dell’analogico, così come rappresentato dalla fisica quantica e classica, la cui unione permette di avvedersi dell’intero.

Ora non più. L’evidenza cui credere, a cui riferirsi è quella digitale. La società imperfetta, risultante degli umori e dell’eros, non interessa più. Ad essa si preferisce quella disumana e vettoriale degli algoritmi. Tutti naturalmente venduti senza possibilità di guasto.

Ora lo zero e l’uno fanno più testo. Fanno tutto. Fanno aurora e crepuscolo, poesia e arte, genio e superamento. Così crederanno coloro che, venendo al mondo, impareranno a suon di click e lo faranno da seduti, perché camminare non servirà più. Le narrazioni leggendarie dell’epoca analogica verranno sostituite da altre, virtuali. Il tempo – loro lo sanno – gioca a favore del neonato mostro sociale.

Al posto della nostra motivazione a conoscere noi stessi, disporremo di dati che, come vuole il più ordinario degli scientisti, saranno utili a riconoscere cosa ci serve, a dirci dove andare, cosa fare, quando essere puniti se non rispettosi delle norme, regole e leggi del Nuovo Ordine Mondiale. Per merito di un’app, sapremo che i cani hanno un fiuto raffinato. E per merito dei like, guadagneremo punti per la tessera della vita prevista dalla Identità digitale europea.

Dunque quegli avvertimenti non sono bastati. A dire il vero, non erano bastati neppure all’epoca che avrebbe potuto farli propri e farne cultura. Oggi qualunque territorio di relazioni è virtuale, quindi disumano. In quanto tale privo di potere creativo, ma con pieno potere di replicazione, limitazione e controllo. E quando gli uomini si avvedranno del trucio olio di ricino che hanno volentieri bevuto – questo sì che lo si può prevedere –, sarà troppo tardi.


Vorrei togliermi

Vorrei togliermi, per recuperare il benessere che lo sgretolamento della realtà mi ha sottratto. Per non avere più a che fare coi farabutti del buon senso, evocato ogni volta al cospetto di ciò che non sono in grado di intellegere, con i progressisti degli arcobaleni, capaci ancora di gridare al fascista e non vedere la voragine a cui hanno acconsentito e che hanno promosso, entro la quale vortica il gorgo che non risparmierà neppure loro, quando si avvedranno che avevano lottato e si erano indignati per tutti i diversivi che i piloti di questa satanica deriva avevano gettato in campo. Nient’altro che pastura per allineati e coperti, capaci di sostenere che “se non ti vaccini, ti ammali e muori” era un semplice slogan; capaci di credere che la guerra sia dell’Ucraina e non degli americani; capaci di sostenere che a Odessa non c’è stata alcuna mattanza nazi-ucraina, perché “l’ha detto l’Onu”.

Vorrei togliermi. Non so come combattere. Non credo serva. Gli inermi, contemporanei a noi ma che non traguardano il mondo dalla nostra stessa mira, non potranno essere vinti. La loro priorità è stare entro le righe, banale trucchetto per cavalcare i tempi ed essere felici in coda alla funivia che li porta a sciare. Nessuna marea si può fermare. Si può solo attendere che receda per un cambio di frequenza. È per questo che non mi toglierò dalla penosa realtà in corso. Le piccole energie personali non devono cedere sotto i colpi di maglio di quest’epoca inconcepibile, che ci avrebbe fatto perdere qualsiasi scommessa. Sarebbe esserle spiritualmente complice.


Citazioni

“Il termine «totalitario» [...] non si applica soltanto ad una organizzazione politica terroristica della società, ma anche ad una organizzazione economico-tecnica, non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti” (12).


“Le forme prevalenti di controllo sociale hanno carattere tecnologico in senso nuovo. [...] Nell’epoca contemporanea [...] i controlli tecnologici appaiono essere l’incarnazione stessa della Ragione a vantaggio di tutti i gruppi ed interessi sociali, in misura tale che ogni contraddizione sembra irrazionale e ogni azione contraria impossibile” (13).


“Ma “crisi” […] non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l’escalation del controllo (sulla gente ndt). Può invece indicare l’attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero” (14).


“In pochi decenni il mondo si è amalgamato. Le reazioni degli uomini agli eventi quotidiani si sono standardizzate. Le lingue e le divinità possono ancora apparire differenti, ma ogni giorno altra gente si aggrega a quell’enorme maggioranza che marcia al ritmo della medesima megamacchina.” (15).


“Estesa al mondo intero, questa industrializzazione dell’uomo provoca la degradazione di tutte le lingue, e diventa difficilissimo trovare le parole che parlino di un mondo opposto a quello che le ha generate. La lingua riflette il monopolio che il modo di produzione industriale esercita sulla percezione e la motivazione” (16).


“[...] l’irruzione tecnico-industriale sul globo tende a sopprimere molte diversità umane, etniche, culturali. Lo stesso sviluppo ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti, e conduce alla crisi profonda di civiltà che affligge le società prospere dell’Occidente” (17).


“In un’epoca contraddistinta dall’ambiguità delle cose, dal confondersi dei generi, dal moltiplicarsi e dal sovrapporsi dei punti di vista e allo stesso tempo dal tendere da parte dell’intero pianeta verso uno «stile globale», per Jünger occorre in primo luogo saper discernere l’uniformità del pregiudizio dai segni che indicano il processo nella direzione dell’unificazione della terra. Non si può credere ai contabili dell’esistente che di fronte all’innegabile fluidità delle cose si appellano all’evidenza dei fatti e parlano, ‘cifre alla mano’, di un’unica ‘verità del senso comune’, di una palese evidenza della ‘realtà’” (18).


Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana” (19).


[...] i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane” (20).


[...] mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – [...] non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo” (21).


Altre mode, altri idoli,

la massa, non il popolo, la massa

decisa a farsi corrompere

al mondo ora si affaccia,

e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video

si abbevera, orda pura che irrompe

con pura avidità, informe

desiderio di partecipare alla festa.

E s’assesta là dove il Nuovo Capitale lo vuole.

Muta il senso delle parole:

chi finora ha parlato, con speranza, resta

indietro, invecchiato.

Non serve, per ringiovanire, questo

offeso angosciarsi, questo disperato

arrendersi! Chi non parla, è dimenticato” (22).


“La crescita di una economia capitalistica ha richiesto la modalità specifica del potere disciplinare, di cui le formule generali, i processi di assoggettamento delle forze e dei corpi, l’«anatomia politica» in una parola, possono venir messe in opera attraverso regimi politici, apparati o istituzioni molto diverse fra loro” (23).


Lorenzo Merlo





Note bibliografiche

  1. Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Milano, Garzanti, 1976, p. 96.

  2. George Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 2016.

  3. Aldous Huxley, Il mondo nuovo. Ritorno al mondo nuovo, Milano, Mondadori, 2009.

  4. Jeremy Bentham, Panopticon ovvero la casa d’ispezione, Venezia, Marsilio, 2002.

  5. Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1976, p. 29.

  6. Ernst Bloch, Eredità di questo tempo, Milano, Mimesis, 2015, p. 157.

  7. Ivan Illich, Disoccupazione creativa. Un nuovo equilibrio tra le attività svincolate dalle leggi di mercato e il diritto all’impiego, Milano, red!, 2013, p. 67.

  8. Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Cortina, 2001, p. 58.

  9. Maurizio Guerri, Ernst Jünger. Terrore e libertà, Milano, Bianca e Volta, 2007, p. 186.

  10. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975, p. 27.

  11. Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1993, p. 240.

  12. Herbert Marcuse, op. cit., p. 23.

  13. Ivi, p. 29.

  14. Ivan Illich, op. cit., p. 20.

  15. Ivi, p. 21.

  16. Ivan Illich, La convivialità. Una proposta libertaria per una politica dei limiti allo sviluppo, Milano, red!, 2013, p. 118.

  17. Edgar Morin, op. cit., p. 70.

  18. Maurizio Guerri, op. cit., pp. 187-88.

  19. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari cit., p. 28.

  20. Ibidem.

  21. Ivi, p. 59.

  22. Pier Paolo Pasolini, Poesie. Le ceneri di Gramsci. La religione del mio tempo. Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1975, p. 117.

  23. Michel Foucault, op. cit., p. 241.