I lupi del Tao [racconto taoista]

 


“Maestro, mi devi aiutare” disse il visitatore. “Sono disperato.”
“Qual è il problema?” chiese il saggio.
“Ho grosse difficoltà a controllare la mia rabbia” disse il visitatore. “E’ come è fatta la gente. Li vedo criticare gli altri mentre ignorano completamente i loro difetti. Non voglio criticarli, perché non voglio essere come loro, ma la cosa mi fa arrabbiare moltissimo.”
“Vedo” disse il saggio. “Dimmi prima di tutto: non sei tu quello che è sfuggito per un pelo alla morte l’anno scorso?”
“Sì” annuì il visitatore. “E’ stata un’esperienza terribile. Mi sono addentrato troppo nella foresta e mi sono imbattuto in un branco di lupi affamati.”
“Cosa hai fatto?”
“Mi sono arrampicato su un albero appena in tempo, prima che mi raggiungessero. Erano lupi molto grossi e sono sicuro che mi avrebbero potuto sbranare.”
“Così eri in trappola?”
“Sì. Sapevo che non avrei potuto resistere a lungo senza acqua e cibo, così ho aspettato che abbassassero la guardia. Quando ritenevo di essere abbastanza al sicuro, saltavo giù, correvo fino all’albero seguente e mi arrampicavo di nuovo, prima che mi raggiungessero.”
“Sembra un incubo.”
“Sì, e la cosa è durata due giorni. Pensavo che sarei sicuramente morto. Fortunatamente, quando sono arrivato abbastanza vicino al villaggio, un gruppo di cacciatori si sono avvicinati e i lupi sono fuggiti.”
“Sono curioso su una cosa” disse il saggio. “Durante questa esperienza, ti sei mai sentito offeso dai lupi?”
“Cosa? Offeso?”
“Sì. Ti sei sentito offeso o insultato dai lupi?”
“Naturalmente no, Maestro. Non mi è neanche passato per la testa.”
“Perché no? Volevano sbranarti, non è vero? Volevano ucciderti, giusto?”
“Certo, ma… questo è ciò che i lupi fanno! Erano solo se stessi. Sarebbe assurdo sentirsi offesi per questo.”
“Eccellente! Adesso pensiamo a questo mentre esaminiamo il tuo caso. Criticare gli altri senza essere coscienti dei propri difetti è qualcosa che molti fanno. Potremmo quasi dire che è qualcosa che tutti noi facciamo di tanto in tanto. In un certo senso, i lupi affamati vivono in ciascuno di noi.
“Quando i lupi digrignano e si avvicinano, non te ne stai certamente lì ad aspettarli. Devi sicuramente fuggire se puoi. Allo stesso modo, quando la gente ti insulta o ti critica, non dovresti accettarlo passivamente. Dovresti certamente metterti in salvo mettendo quanta distanza possibile tra te e loro.
“Il punto cruciale è che tu puoi farlo senza sentirti offeso o insultato, perché queste persone quando lo fanno sono semplicemente se stesse. E’ nella loro natura di essere critici e ostili, così sarebbe assurdo offendersi. Non ha senso arrabbiarsi.
“La prossima volta che dei lupi affamati dall’aspetto umano ti attaccano, ricorda: è solo il modo in cui la gente è fatta, esattamente come hai detto tu quando sei entrato.”

Tratto da "Il Tao del Destino" di Derek Lin




La rivoluzione del filo di paglia...



La gente scopre qualcosa, impara come funziona, e si mette a sfruttare la natura pensando che sarà per il bene dell’umanità. Il risultato di tutto ciò, finora, è che il pianeta è diventato inquinato, la gente disorientata e noi abbiamo aperto le porte al caos del mondo moderno.

In questo podere noi pratichiamo l’agricoltura del non fare e mangiamo cereali, verdure e agrumi integrali e squisiti. Esiste una fondamentale e significativa soddisfazione nel solo fatto di vivere vicino all’origine delle cose. La vita è canto e poesia.

Il contadino divenne troppo occupato quando la gente cominciò ad analizzare il mondo e decise che sarebbe stato «bene» fare questo o quello. Questi trent’anni mi hanno insegnato che i contadini sarebbero stati meglio se quasi quasi non avessero fatto proprio niente.

Più la gente fa, più la società si sviluppa, più aumentano i problemi. La crescente devastazione della natura, l’esaurimento delle risorse, l’ansia dello spirito umano, tutte queste cose sono state provocate e diffuse dal tentativo dell’umanità di realizzare qualcosa. In origine non c’era nessuna ragione per progredire e non c’era nulla che dovesse essere fatto. Siamo arrivati al punto in cui non abbiamo altra via che portare avanti un «movimento» che non porti avanti niente.

Masanobu Fukuoka, in “La rivoluzione del filo di paglia – un’introduzione all’agricoltura naturale”




La figlia del tessitore e il Buddha

"Come con un bastone il pastore mena il suo greggee al pascolo, così la vecchiaia e la morte sospingono le vite degli esseri" (Dhammapada, 135).

In una città del Magadha di nome Alavi c’era una volta un povero vedovo che aveva una sola figlia e che per campare faceva il tessitore. La fanciulla sbrigava le faccende di casa, aiutava il padre e passava il tempo libero meditando sulla morte, come le era stato insegnato dal Buddha che era passato per Alavi qualche anno prima.

Un giorno accadde che il Buddha si trovò a ripassare per Alavi e, come si usava, si fermò in piazza per tenervi un discorso. La fanciulla avrebbe desiderato andare a rivedere il maestro per prenderne l’insegnamento, ma il padre le ordinò di restare ad aiutarlo. Lei, obbediente, restò in bottega. Ma a un certo punto il tessitore terminò la lana, ragion per cui dovette mandare la figlia a prenderne dell’altra.

Per andare dalla bottega al magazzino in cui il padre teneva la lana grezza, la ragazza doveva attraversare la piazza dove il Buddha sedeva circondato da monaci, discepoli paesani e forestieri curiosi, così, quando passò per di là col canestro in capo, il Buddha le fece cenno d’avvicinarsi.

Si dice che non sia possibile resistere alla chiamata d’un Buddha, perciò la ragazza, nonostante il suo primo dovere, secondo il costume indiano, fosse l’obbedienza al padre, s’avvicinò al Buddha e si prostrò ai suoi piedi.

Il maestro le chiese: «Da dove vieni?».
«Non lo so» rispose.
«E dove vai?» chiese ancora il Maestro.
«Non lo so», rispose ancora.
«Non lo sai?» chiese ancora lui.
E lei: «Sì, lo so». «Lo sai?» incalzò il Buddha.
E lei: «No, non lo so». Mentre avveniva questo singolare colloquio, la gente attorno cominciò a mormorare: «Che stupida ragazza, non sa che dire e così s’impappina. Direbbe qualunque cosa pur di compiacere il Buddha». Il Buddha udì il mormorio della gente e alzò una mano per far cessare il brusio.

Poi, rivolto all’uditorio disse: «Non avete capito nulla. E ora ve lo dimostro».

Disse alla ragazza: «Perché, quando ti ho domandato “da dove vieni” tu m’hai risposto “non lo so”?».
«Signore, tu m’hai visto arrivare col canestro vuoto, perciò sapevi che venivo dalla bottega di mio padre; così ho pensato che mi chiedessi da dove sono venuta in questo mondo. E questo, signore, io non lo so».

Il Buddha sorrise e le chiese ancora: «E come mai hai risposto “non lo so” quando ti ho chiesto “dove vai?”».
«Perché, signore, era evidente che col canestro stavo andando a prendere la lana per il telaio, perciò ho pensato che mi chiedessi dove andrò una volta finita la mia vita in questo mondo, e questo, signore, io non lo so».
Il Buddha sorrise ancora. «E quando ti ho chiesto “lo sai?”, perché mi hai risposto “lo so”?».
«Una cosa sola so: che devo morire, per questo ho risposto che lo so».

Il Buddha sorrise per la terza volta: «E quando ti ho chiesto ancora “lo sai?”, perché mi hai risposto “non lo so”?».
«Perché, Signore, io so solo che dovrò morire, ma dove, come, quando e perché questo avverrà io non lo so».

A questo punto il Buddha, dopo averla lodata per la sua saggezza, la benedisse e la lasciò andare, non senza aver prima svelato ai presenti che la giovinetta aveva conseguito da tempo il primo grado di risveglio.



La donna ed il miracolo dell'amore...

 


Le donne, diceva Sathya Sai Baba, hanno più qualità spirituali dell’uomo. Alla donna è stato affidato il compito di portare l’uomo verso il risveglio spirituale. E’ lei, con le sue qualità materne, a portare in alto l’uomo. Ma quale uomo? L’uomo che non si allontana da lei, che la tiene per mano, che la stima, la rispetta e la ama. Il Maestro diceva che se in una casa ci sono donne che piangono, nessuno fra quelle mura potrà vivere felicemente. Se la famiglia non ha le benedizioni della Dea della casa, quella famiglia non ha serenità neé prosperità. Nessuno, continua Sai Baba, conta come la madre che è il vero simbolo dell’Amore. La donna ha il cervello destro più attivo rispetto a quello dell’uomo. La parte destra del cervello è quella della creatività, dell’intuizione, del contatto con il proprio Sé. La parte sinistra del cervello è quella della razionalità analitica e logica.

Un essere armoniosamente evoluto ha entrambi i lobi cerebrali che lavorano insieme, in armonia ed amore. Finché uomini e donne non raggiungono l’equilibrio fra il maschile ed il femminile , trovano un beneficio ed una compensazione nello stare insieme. Il maschile (yang) cede un po’ di sé al femminile (Yin), e viceversa. Tutti conoscete il simbolo del Tao, dove bianco e nero, maschile e femminile si incontrano, e si compenetrano.

Scienza e Spirito









Pensieri "edificanti" misti...

 


"La ricerca della realtà è la più pericolosa delle imprese, perchè distruggerà il mondo in cui vivi. Ma se sei spinto dall'amore per la verità e per la vita, non hai niente da temere. Cerca di capire: ciò che tu pensi sia il mondo, in realtà è la tua stessa mente. L'essere umano prende per sacrosante verità le più incredibili affermazioni sul suo conto. Gli hanno detto che è il corpo, che è nato e che morirà, che ha degli obblighi e che deve imparare a farsi piacere ciò che piace agli altri e ad aver paura di ciò che gli altri temono. Figlio in tutto e per tutto della società e dei condizionamenti, vive di ricordi e agisce per abitudine. Ignaro di se stesso e dei propri veri interessi, persegue falsi obiettivi ed è sempre frustrato. La sua vita e la sua morte sono penose e prive di senso, apparentemente senza vie d'uscita. Ma c'è una scappatoia a portata di mano; non la conversione ad un altro ordine di idee, ma la liberazione da ogni idea e modello di comportamento precostituiti."

"Il mondo che abbiamo creato è il prodotto del nostro pensiero e dunque non può cambiare se prima non modifichiamo il nostro modo di pensare."
"Gli uomini non sono schiavi del fato, ma solo delle loro menti."

(Nisargadatta Maharaj - Albert Einstein - Theodore Roosevelt)

C'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria...

 


Nonostante le ultime facciate siano tenute in piedi dai mucchi di calcinacci già crollati, il sistema occidentale, esaurito nel potere e nell’economia, sta volgendo al termine. Nel crollo che tutto sta trascinando con sé, si nascondono però opportunità di rinascita.

Nella contrazione generale che tutto ha coinvolto, c’è uno spazio che si espande e respira sotto le macerie della postmodernità. È una vena sottotraccia che non ha ancora il linguaggio idoneo per uscire e pubblicarsi, ma lo troverà. Si tratta delle voci di coloro che in tutto questo degradante decorso, che alcuni non esitano a chiamare catastrofico, riconoscono la presenza arimanica del suo genitore, il materialismo tout court.

Con i suoi figli, l’agnosticismo, il positivismo, il capitalismo, lo scientismo, l’imperialismo; con i suoi nipoti, l’opulenza, l’individualismo, l’edonismo, il culto della personalità e quello del denaro; con i suoi dogmi, il progresso ad infinitum, la tecnologia, il tempo lineare, l’apparire, la prevaricazione del diritto sulla natura, esso forma una famiglia piuttosto invadente e pesante, che elegge la conoscenza logico-cognitiva quale sola idonea a realizzare sapere e verità, e che contemporaneamente oscura e mortifica l’intelligenza del cuore, la conoscenza già presente nell’essere, la bellezza e il talento di ognuno, il senso del bene comune, l’equilibrio individuale e sociale. In generale, tutto ciò che non fa profitto.

Quelle voci sottotraccia appartengono a uomini e donne mute, da molto senza rappresentanza, antesignane dell’astensionismo. Consapevoli che politica e popolo non hanno più alcuna relazione etica, ma rotte diverse e indipendenti.

Ognuna di quelle voci opera a modo suo per estendersi, per aggregarsi in una forza comune. Parlano con circospezione di spiritualità, sanno che può essere facilmente fraintesa e censurata, derisa e vessata proprio da chi si vanta in tutti i colori d’essere paladino dei deboli.

Quegli uomini e quelle donne evitano di citare che stanno solo cavalcando le vie già tracciate dai Maya, dai Toltechi, dagli Egizi, dal Buddhismo, dalla Qabbalah, dal Taoismo, dai Veda e da altre tradizioni tra cui il Cristianesimo – quello vero, non quello posticcio, bigotto e superficiale diffuso a megafono dalla vulgata della religione.

Si aspettano ritorsioni d’ordine vario, soprattutto esclusioni o – perché no – accusa di fascismo, perché sanno che quelle vie per qualcuno, siccome non si possono toccare, siccome la scienza dice che non ci sono, non esistono, non sono misurabili, siccome non sono confermate dal metodo, non vanno bene.

Sanno che i censori sono quelli che risolvono la questione metafisica accusando di ciarlatanismo, convinti, con giusta causa, che la maggioranza crederà a loro. La gestione del virus e della guerra ucraina non bastano infatti ad aprire gli occhi alla moltitudine di genuflessi ubbidienti scientisti. Sono serenamente e convintamente prostrati, hanno tutta la loro famiglia culturale a proteggerli.

Eppure, come con le diete dove, indipendentemente dai risultati, non impari nulla su te stesso e sugli uomini, anche il metodo, che ci addestra a credere solo e soltanto alle predefinite risposte che lo rispettano, impedisce di maneggiare i limiti del materialistico dominio sulla concezione del mondo e tutti i suoi particolari. Per ontologia, in esso non v’è alcuna maieutica, soltanto il necessario per ridurre la realtà a macchina e meccanismo. Inchinati al metodo razional-scientista, non c’è modo di evolvere, se non tecnicamente e tecnologicamente. Tutto il resto, la dimensione sottile ed energetica, castrata sul nascere, recede nell’oblio delle consapevolezze.

Le persone che avvertono la brace sotto le macerie del sistema al collasso – si veda se necessario l’opinione dell’idiota e mostro Putin, come lo definiscono i nostri maestri occidentali, del 9 maggio 2023 – sanno di essere al cospetto di un inesorabile cambiamento storico. Avvertono la storia e l’universo. Vedono la fine della monopolarismo e del modello unico in nome del quale l’Occidente produceva valori, modelli, criteri e verità al fine di esportarli nel resto del mondo e restare in sella al mondo. Sentono il cambio di frequenza energetica del cosmo, sanno che l’uomo non potrà sottrarvisi. Sanno che in tutto ciò risiedono le premesse di un atto evolutivo verso una convivialità nuova.

La latente fioritura delle consapevolezze relazionali della fisica quantistica ne è un segno, in particolare la sua idoneità a svelare la verità del mondo alogico, ovvero di tutto ciò che non sta entro la piccola scatoletta del razionale. Sebbene la sua diffusione nel sociale, la sua penetrazione nella cultura, nell’educazione e nella politica avranno bisogno di tempo per compiersi, è sulla sua presenza che si fonda l’avvento del nuovo paradigma.

All’interno di questo, la spiritualità non genera più un senso di inadeguatezza nelle persone che credono sia una suggestione senza diritto di essere. Spirituale ha un senso elementare. Significa semplicemente riconoscere che dietro ogni nostra espressione creativa, ma anche replicativa, c’è un cuore immateriale, come un’idea, come spesso si usa sintetizzare il cerchio della vita.

Ma significa anche essere nel qui ed ora. Ovvero emancipati nei confronti delle interpretazioni che proiettiamo, credendo appartengano a ciò che vediamo. Una specie di formula alchemica spesso impropriamente declamata. Essere sul pezzo, per dirla in gergo giornalistico, o concentrazione, in quello psicologico; in termini esoterici, essere quanto stiamo facendo, annullare il tempo, divenire eternità. Essere quindi creativi e forti, al meglio delle nostre potenzialità.

Il contenuto della dimensione spirituale si riconosce anche con un sinonimo adatto a questi tempi: benessere fisico e interiore. È una percezione che, come qualunque altra dote, va coltivata ed è allenabile. Come ogni percorso, ha la sua durata, le sue difficoltà, le sue ricadute. Che corrisponderanno in modo direttamente proporzionale alla motivazione di cui disponiamo. È un percorso senza culmine, non soggetto al materialistico, quantitativo positivismo. È una ricerca permanente, da compiersi senza la pretesa del successo. Arrivati in vetta, infatti, altre cime da salire ci si mostrano, altrettanto lontane e impegnative, ma tutte raggiungibili se mossi dalla propria misura, non più in preda a ideologie sotto forma di interessi personali, di orgoglio, di egocentricità.

Muovendosi attraverso se stessi, spogliati dalle autoreferenziali infrastrutture culturali, ci si trova al cospetto di un mondo che, sebbene formalmente identico, è sostanzialmente differente.

Mentre nella fisica quantistica – ma l’avevano detto le Tradizioni da migliaia di anni – dove, a seconda dell’interlocutore, il comportamento delle particelle varia ed esse possono avere carattere ondulatorio o materico, e dove il fenomeno dell’entanglement tende a dimostrare la verità di un mondo alogico libero dall’impostura del tempo-spazio lineare, da quella tridimensionale e da quella della materia quale esclusiva verità, la realtà oggettiva ha ragione d’essere solo in un campo chiuso. Ovvero dove tutto si muove come in una macchina, cioè dove tutte le parti conoscono il loro ruolo e lo eseguono pedestremente. Come in un gioco di società, in una gara sportiva, come in ambito matematico, come nel meccanismo di un orologio. Diversamente, in campo aperto, in tutte le inorganizzabili e impianificabili relazioni umane, credere nella realtà oggettiva è una vera dimostrazione dell’arroganza scientista della conoscenza cognitiva. In ambito aperto sarebbe più opportuno parlare di realtà nella relazione, quale quantistico fenomeno, in quanto dipende da noi, dal nostro sentimento e dall’emozione che ci contiene.

La realtà è dunque una o un’altra in funzione dell’interlocutore, dei sentimenti e delle emozioni. Così descritta, la distanza dalla pretesa oggettività affermata dalla cultura logico-razionalista è massima. Contemporaneamente mostra la sua natura magica. Una natura inaccessibile con gli strumenti del materialismo e, in quanto tale, relegata al ciarlatanismo dalla cultura scientista oggi dominante.

Dunque, una magia dalla quale è doveroso guardarsi, per chi è privo delle consapevolezze opportune. Ma una banalità per chi ha invece il necessario per osservarne la verità, per ricrearne le dinamiche, e dalla quale non si può più prescindere.

Quanto osservato e riferito dalla fisica quantistica non riguarda solo i laboratori dell’infinitamente piccolo. Si presta infatti anche a descrivere la realtà ordinaria. Riguarda quello che pensiamo, facciamo, sentiamo, vogliamo, crediamo.

Se prima vedevamo le cose solo separate, elementi della realtà come il comò, le pattine e il centrino lo sono di un salotto, se prima potevamo usare la forza, forse anche la semplice intelligenza dialettica per sopraffare il prossimo, ora, in modalità quantica, dalla cima di certe consapevolezze, le cose appaiono nella loro contiguità. Significa anche che gli altri sono dei noi a tutti gli effetti, che sopraffare e prevaricare il prossimo è immettere nel reale forze sconvenienti a tutto. Significa avere coscienza che siamo totalmente responsabili della realtà individuale e sociale che viviamo. Essere consapevoli che, senza il nostro autentico impegno, non potremo lasciare alle future generazioni una cultura diversa dall’attuale status quo. Cioè quella delle opposte fazioni, della negazione del rispetto, dell’impiego della forza oggi sempre meno bruta, ma sempre più sottilmente digitale. Significa dedicarsi al superamento dell’egoico dualismo, origine di tutti gli scontri, per realizzare la realtà attraverso il modo della relazione.

La concezione di una realtà attraverso il modo della relazione permette di riconoscere che quanto ci appare ovvio e vero non è che l’appiattimento del nostro genio nei confronti delle descrizioni della realtà che abbiamo appreso dai genitori, dall’ambito di nascita e infanzia, scuola, voci da noi accreditate.

Ma ora che anche la fisica, nel suo passo quantico, ha raggiunto le prospettive che necessariamente relegano la scienza classica a dato minore e autoreferenziale, ora che è divenuto evidente che averla creduta assoluta risulta quantomeno inopportuno alla conoscenza, i signori scientisti, per restare fedeli al culto della Scienza, dovrebbero avvedersi e rivedersi.

Fu impugnando la torcia dei lumi che si credette di poter ridurre la vita a sola materia. Socialmente parlando, fu facile trasferire quelle convinzioni e reificare via via ogni cosa. Tutto ruotò e ancora ruota attorno al perno dell’economia. Niente ha finora potuto godere di più attenzioni del Pil, della produttività, del denaro. E se quello era il perno, sotto al giogo a tirare la pietra della macina c’eravamo tutti noi.

C’è di mezzo un’ecologia della mente, senza la quale convinzioni e dogmi continueranno a intossicarci, a ucciderci vicendevolmente e da soli. Oggi siamo avveduti delle carte che abbiamo in mano. Non vogliamo più giocarle dietro consiglio di qualcuno o di qualcosa d’altro che non sia il nostro sentire. Non vogliamo più creare società, uomini dominati dalla paura che obbliga ad anelare sicurezza, che impedisce di volare, che castra l’atteggiamento creativo, la potenza più infinita. Né individui e società alienate, psicopatiche, per le quali è ordinario e comprensibile lo sfogo della violenza sugli altri e su di sé. Il progresso ci ha messo all’angolo di noi stessi. Ci ha comprato come con gli specchietti comprava i nativi e i colonizzati. È bastato un benefit o un mutuo per la tv al plasma. Ci ha devastato lo spirito creativo. L’uomo del nuovo paradigma potrà recuperarlo.

Lorenzo Merlo




"Frammenti di un insegnamento sconosciuto" di Pëtr Dem'janovič Uspenskij

 



Sapere ed Essere -  La gente attribuisce al sapere un grande valore, ma non sa attribuire un valore all’Essere, e non si vergogna del livello inferiore del proprio Essere. Questa preponderanza del sapere sull’Essere è riscontrabile nella cultura attuale. L’idea del valore e dell’importanza del livello dell’Essere è stata completamente dimenticata. Nessuno capisce che il grado del sapere d’un uomo è una funzione del grado del proprio Essere. 

In generale, oggi l’educazione si limita a formare la mente. Il bambino viene costretto ad imparare a memoria delle poesie come un pappagallo, senza capirci niente; e quando ci riesce, i genitori sono contenti. A scuola, dopo aver superato gli esami “con lode”, il ragazzo continua a non capire e a non sentire niente. Rispetto allo sviluppo della mente egli è un adulto di quarant’anni, ma nell’Essenza resta un bambino di dieci. 

Con la mente non ha paura di nulla, ma nell’Essenza è un pusillanime; la sua vita interiore è abbandonata a se stessa senza alcuna direzione. La sua morale è puramente automatica, esclusivamente esteriore. Proprio come ha imparato a ripetere le poesie a memoria, così si comporta con la morale. Se un uomo è sincero con se stesso deve ammettere che anche gli adulti, come i bambini, sono privi di morale.

LA NOSTRA MORALE È DEL TUTTO TEORICA E AUTOMATICA. 

Al bambino si insegna così: “Se qualcuno ti porge la mano, devi comportarti in questo modo”. Tutto ciò è puramente meccanico. In “questo” caso devi fare “quello”. E le cose, una volta fissate, non cambiano più. L’adulto non è diverso. Se qualcuno gli pesta un callo, reagisce sempre allo stesso modo. Gli adulti sono come i bambini e i bambini sono come gli adulti: entrambi reagiscono.

Petr D. Uspenskij



Documenti in memoria: "Il testo (quasi completo) dell’intervista non intervista di Paolo D'Arpini a Radio Alma Brussellando del 7 ottobre 2008"

 

“Andare con ansia di ricerca, con spirito umile, a imparare da quella grande fonte di sapienza che è il popolo” (Ernesto Che Guevara)


Sapete che ho il vezzo della "memoria"... e stavolta voglio sottoporvi una chicca storica  un po' misconosciuta, si tratta del testo quasi integrale della intervista da me rilasciata a Radio Alma Brussellando nel 2008. In essa potete leggere alcune considerazioni interessanti sul "mio pensiero" ed alcuni retroscena forse ancora ignoti...

Nel 2007 incontrai sul web una ragazza che chiamai Danielita, o talvolta Dulcinea, che lavorava a Bruxelles per la comunità europea. Di tanto in tanto ci siamo scambiati lettere e poesie, notizie sulla situazione politica ed ecologica, commenti ed informazioni sulla nostra vita... Insomma siamo stati due "amici di penna" come si diceva una volta. Poi Danielita mi introdusse a Radio Alma, dove una redattrice (Mari D di cui leggerete più avanti) mi convinse a rilasciare un'intervista per parlare di me e delle mie esperienze.  Accettai la proposta alla condizione che non sarei stato io a parlare alla radio bensì una terza persona che mi avrebbe "impersonato". Per questo compito fu scelto Massimiliano, un poeta, accettai  l'offerta anche perché dovete sapere che per parecchi anni a Verona io stesso mi facevo chiamare Massimiliano e mi spacciavo come filosofo e  poeta... Quindi mi sembrò una buona combinazione di essere interpretato da un "vero" Massimiliano e "vero" poeta...
Lascio da parte le reminescenze remote e passo alla trascrizione dell'intervista...

Il vostro affezionato, Paolo D'Arpini

Nell'immagine al centro l'autore sdraiato


Premessa di Mari D. Caro Paolo, le persone coinvolte sono Mari D e Massimiliano Bonne. In regia Dani M.
In radio Mari D. (e non Marilena, le due immagini corrispondono ma non i loro spiriti... sono due anime che appartengono alla stessa persona ma in qualche modo differiscono... l'una è proiezione dell'altra, l'altra trova in essa conforto, a volte scontro spesso anche ribellione... convivono in un sottile equilibrio di momenti ora colorati, ora tristi, ora intensi, ora folli o irosi... ebbene si, s'alimentano anche di sentimenti di cui spesso si tende a dimenticare, come l'ira non "funesta", ma creativa... fonte di analisi e riflessione).
Potremmo coordinarci e presentare il materiale in contemporanea sul sito della radio e il tuo. Che ne dici?
Poi io e Massimiliano (il poeta che ha interpretato alla radio Paolo D’Arpini n.d.r.) ti telefoniamo insieme. Così vi conoscete almeno telefonicamente. Ho evitato di farlo prima per rendere la recita più credibile. Ho preferito che tu andassi in onda quando il mio collega in radio, Georges Laurand non era con noi, per avviare un dialogo a due voci, il più vicino possibile alla tua intervista…
Mari D.


Testo: Intervista a Paolo D'Arpini - Brussellando 7 ottobre 2008

1. Raccontaci di te
"Giusto oggi scrivevo ad un’amica spiegandole ”...lavoro per un mezzo sderenato che si chiama Paolo D’Arpini, lo conosci?”.
In verità identificarsi con uno specifico nome forma non corrisponde assolutamente al vero ed inoltre se ci si identifica con la “persona” non si può fare a meno di assumerne i pregi ed i difetti, di accogliere le sue sfumature e macchie, ma siamo noi Arlecchino e Pulcinella? Per questo dicevo che “io” (in quanto coscienza) lavoro per quel personaggio Paolo D’Arpini, il quale solo attraverso la mia osservazione consapevole può manifestarsi e compiere le nefandezze a cui è avvezzo. Allo stesso tempo gli voglio bene come voglio bene a chiunque mi si presenti davanti, che entra nella mia sfera cosciente".

2.Questa è realizzazione?
"L’esperienza dello stato ultimo, della coscienza libera da identificazione, è esposta in varie scuole spirituali come: Satori, Spirito Santo, Samadhi, Shaktipat, etc. Di solito si intende che questa “esperienza” del Sé sia conseguente ad una particolare condizione di apertura in cui la “grazia” può manifestarsi ed impartire la conoscenza di quel che sempre siamo stati e sempre saremo.

Purtroppo dovuto all’accumulo di tendenze mentali “vasana” non sempre l’esperienza vissuta si stabilizza in permanente realizzazione. Il risveglio quindi non corrisponde alla realizzazione (oppure solo in rari casi di piena maturità spirituale). E qui ci troviamo di fronte ad un paradosso, da un lato c’è la consapevolezza inequivocabile dello stato ultimo che non può mai più essere cancellata, dall’altro un oscuramento parziale di tale verità in seguito all’attività residua delle vasana che continuano ad operare nella mente del cercatore…"

3.“Può la conoscenza essere persa una volta che è stata ottenuta?”
"La conoscenza una volta rivelata prende tempo per stabilizzarsi. Il Sé è certamente all’interno dell’esperienza diretta di ognuno, ma non come uno può immaginare, è semplicemente quello che è. Questa “esperienza” è chiamata samadhi. Ma dovuto alla fluttuazione delle vasana, la conoscenza richiede pratica per stabilirsi perpetuamente. La conoscenza impermanente non può impedire la rinascita. Quindi il lavoro del cercatore consiste nell’annichilazione delle vasana. E’ vero che in prossimità di un santo realizzato le vasana cessano di essere attive, la mente diventa quieta e sopravviene il samadhi. In questo modo il cercatore ottiene una corretta esperienza alla presenza del maestro. Per mantenere stabilmente questa esperienza un ulteriore sforzo è necessario. Infine egli conoscerà la sua vera natura anche nel mezzo della vita di tutti i giorni. C’è uno stato che sta oltre il nostro sforzo o la mancanza di sforzo ma finché esso non viene realizzato lo sforzo è necessario. Ma una volta assaggiata la “gioia del Sé” il cercatore non potrà fare a meno di rivolgersi a questa ripetutamente cercando di riconquistarla. Una volta sperimentata la gioia della pace nessuno vorrà indirizzarsi verso qualche altra ricerca"

4. Cosa vuol dire vivere in un luogo?
"Vivere nel luogo in cui si vive sapendo che è la nostra casa, significa essere quel luogo” Questo è il pensiero dell’ecologia profonda e corrisponde al sentire di chi non coglie alcuna differenza fra sé ed il luogo, di chi ritiene di esser figlio della terra. E la terra non ha cantoni esterni, la terra tutta è una ed indivisibile ovunque e comunque. La terra -e vorrei specificare- “questa terra di Tuscia” è lamia casa, per me che ci abito, assieme alla comunità di chi ci ha abitato prima di me e ci abiterà dopo di me. Ma il percorso del ritorno a casa - che è fisico e romantico allo stesso tempo- richiede una fatica ed una grande pazienza. Richiede accettazione da parte di chi accoglie e da parte di chi si avvicina… “Ospite” è sia chi riceve che colui che viene ricevuto, nella società umana, dei nobili esseri umani del mondo, così si definisce l’accoglienza….. Io personalmente sono anticamente originario della Ciociaria (di Arpino appunto) e quando si è “viandanti e senza patria” occorre stare attenti a come ci si comporta… a come ci esprime… Spesso mi sono interrogato su cosa significhi essere straniero, in effetti mi son sempre sentito straniero, un ebreo errante senza essere ebreo, anche quando abitavo a Roma (città in cui son nato), ed anche quando mi trasferii in Veneto dove vissi per molti anni, ovviamente anche a Calcata dove addirittura sono due volte straniero, sia per i calcatesi originari, che mi vedono come una jattura, l’iniziatore che ha portato tutti i forestieri a Calcata, e sono forestiero pure per la nuova comunità degli “artisti e bottegai” del centro storico, perché non mi sono mai uniformato alle norme del “teatrino” calcatese del fine settimana. E’ per questo che in uno dei miei “melodrammi” dicevo “quanti sono gli stranieri in Italia? Almeno il doppio di quelli dichiarati dall’Istat”. Forse dovrei dire che sono molti di più, giacché talvolta si può essere stranieri non solo se si è oriundi. Talvolta viene considerato estraneo, a Viterbo, uno originario di Vallerano o Ronciglione, e pure chi viene da un rione periferico come Bagnaia. Magari si è stranieri allorché non si è tifosi della stessa squadra di calcio, o se si parla con un negro per strada… o ci si veste in modo strano… Il destino crudele di noi “stranieri” lo conoscono in molti e non solo a Viterbo. Un amico straniero come me, Marco, che abita da anni a Blera, ha suggerito una soluzione raccontando la sua esperienza di lunga vita in campagna, facendosi accettare dal luogo stesso, ma forse questo gli è stato possibile perché il suo lavoro è rivolto alla terra… Diceva, Etain, un’altra straniera in terra di Tuscia: “Il fatto è che non è più nostra consuetudine cercare l’accordo con il luogo, considerandolo primario alla vita, solitamente riteniamo che sia la comunità a doverci accettare. Ma in verità il contenitore vero della nostra vita fisica e psichica è proprio il luogo, l’ambiente naturale, che ci ripara e nutre ed istruisce, se siamo pazienti e capaci di ascolto” Ritengo però che non si possa né debba evitare l’integrazione con la comunità, altrimenti c’è arroganza e separazione culturale nel voler mantenere la distanza con gli altri…. E’ pur vero che spesso non ci sentiamo accettati dal resto della comunità ma dobbiamo -come detto sopra- compiere un esperimento congiunto di avvicinamento al luogo ed ai suoi abitanti…. Così pian piano il ghiaccio si scioglie e dopo ripetute prove possiamo finalmente dire di essere tornati a casa, di aver riconosciuto e di essere stati riconosciuti"

5. Siamo come nuvole di pensiero che si fondono con la velocità del vento, parliamo con i mezzi che modernamente sono a nostra disposizione, forse non sono affascinanti come il vento, ma efficaci nel trasmettere?
"La nostra pratica di vita quotidiana ci ha insegnato a riconoscere il valore e l’importanza del cibo. Sia nella sua produzione che nel modo di consumarlo. Se il nostro cibo è caricato di energia spirituale naturale, che viene cioè da una spontanea manifestazione vitale, è sicuramente idoneo a mantenere il nostro equilibrio psicofisico. Questo cibo è quello che cresce nel luogo in cui viviamo (bioregione), in modo il più possibile naturale, e che viene consumato nella sua propria stagione di maturazione, in quantità moderate. Una dieta “satvica” (cioè spirituale) è basata su vegetali, cereali, legumi, frutta, semi, miele, latte materno e talvolta anche uova e derivati del latte. Questa è la dieta naturale dell’uomo, come dimostrano gli studi sull’anatomia comparata del compianto professor Armando D’Elia dell’AVI, e questa è la nostra dieta. Ma non per un fatto ideologico è solo una risposta spontanea alla propria natura. Quindi perché definirci “vegetariani”? Non potendo usare altra definizione (ecologicamente integrato… bioarmonizzato..?) ci diciamo vegetariani.
Per quanto riguarda la produzione del nostro cibo il primo passo da fare è divenire consapevoli di quello che spontaneamente cresce nel territorio in cui viviamo. Questo iniziale processo di osservazione e accomunamento con la terra è necessario per scoprire quali erbe e frutti eduli siano già disponibili in natura, cresciuti in armonia organolettica con il suolo e quindi esprimenti un vero cibo integrato per chi là vive. Lo stesso approccio conoscitivo va applicato verso la fauna selvatica che condivide la presenza in equilibrio naturale.
Il passo successivo è quello di sperimentare l’inserimento nel terreno prescelto di piante imparentate con quelle autoctone od in sintonia con esse. Questa graduale “promozione” non può essere vissuta con l’occhio distaccato di un botanico od agronomo, va invece interiorizzata come un’opera di alchimia fra noi e l’ambiente. Scopriamo così la nostra comune appartenenza alla vita che ci circonda in varie forme.

Il mio consiglio, dopo qualche passeggiata assieme a noi per riconoscere erbe e piante selvatiche commestibili, è quello di fare i compiti a casa, organizzando sul terrazzo, in giardino, ovunque sia possibile in città, piccole coltivazioni sinergiche ed integrative, come il prezzemolo, il basilico, peperoncino, salvia, topinambur, zucche rampicanti, etc."

                                Sofia Minkova: Logo della Fiera delle Arti Creative di Calcata

6. Sei stato promotore di eventi davvero particolari, tra cui la Fiera delle arti creative di Calcata, ce ne parli nel dettaglio?
"Valorizzare lo spirito creativo che contraddistingue il nostro territorio, da tempo un modello per l’artigianato, l’arte, la musica, il riciclaggio artistico, qualsiasi tipo di attività manuale e di ricerca culturale. Che questa “fiera delle arti creative” si manifesti con l’avvento della primavera è anche un segnale di rinascita per tutta la società.

Occorre aguzzare l’ingegno e trovare la via giusta per la fioritura armonica delle capacità creative dell’uomo. Indovinare il punto di incontro fra la società e l’ambiente. Questa capacità si manifesta dove c’è un sincero e concreto lavoro personale, teso a sviluppare le proprie capacità creative, anche in termini di “sopravvivenza creativa”. La manifestazione è stata pensata come un evento che nasce a Calcata e si allarga a spirale, una specie di “rito fescennino itinerante”. Nell’ambito bioregionale della Valle del Tevere già esistono piccoli nuclei di ricerca creativa andando loro incontro stabiliamo una parità policentrica fra i vari nodi territoriali.

La realizzazione di questo progetto è il semplice risultato di un vibrare in armonia, una rete di persone che si ritrovano nella danza in cerchio della vita. Un Circolo Virtuoso che intende annunciare una buona stagione del corretto agire nel mondo. Tu sei ciò che io sono. Ci auspichiamo pertanto che anche le Istituzioni e gli Enti imprenditoriali e camerali decidano di compartecipare a questo esperimento"

Miracle of Love

I am like the wind
No one can hold me
I belong to everyone
No one can own me
The whole world is my home
All are my family
(Neem Karoli Baba)


La mia Madre Spirituale Anasuya Devi


7. Paolo e le sue donne
"Ho sempre amato le donne da quando son nato, cominciando ovviamente da mia madre, poi le ho amate come sorelle (ne ho due) poi le ho amate come amiche (a scuola e nella vita in generale) e finalmente le amate come amanti e da esse ho avuto anche due figlie, che senza dubbio amo. Insomma il mio amore per le donne è totale, infatti amo anche la Shakti, l'energia divina o Madre Divina, Anasuya Devi,  che tutti ci compenetra, tant'è che una volta a Viterbo un amico ateo un po' misogino, Luigi Cascioli, mi definì "adoratore di Kali", pensando così di offendermi… io gli risposi con una parolaccia ma l'accusa di essere un seguace di Kali non la rinnegai, anzi mi fece piacere, anche perché è la verità! 

Continuando la mia storia vi dirò che sono un membro fondatore, assieme ad Antonio D'Andrea, del Movimento Uomini Casalinghi (che fa riferimento al matrismo storico) ed inoltre sono stato –credo- il primo ragazzo padre in Italia (dal 1985 allorché mi occupai a tempo pieno di mio figlio Felix, con delibera del giudice tutelare che me lo affidò) ed ho così esperimentato sulla mia pelle cosa significa avere un bambino piccolo da accudire, lavorare per guadagnare la pagnotta come una ragazza madre! Finalmente ora  che son diventato nonno di vari nipotini ed ultimamente  di una nipotina femmina, che si chiama Mila,  posso amare le donne pure come nipoti….

8. Libertà di amare e di essere amati
"La coppia monogamica che noi conosciamo non è un riscontro dell'amore o perlomeno non lo è nel modo in cui essa viene oggi vissuta. E qui dobbiamo iniziare un percorso per capire cos'è il libero amore ed in quali modi esso si manifesta. Cominciamo ad esaminare la propensione evolutiva che dall'inizio della specie spinse le donne in età feconda spontaneamente e liberamente ad unirsi con quei maschi che ritenevano più idonei alla sopravvivenza, tali maschi erano molto probabilmente i più intelligenti, cioè quelli che mostravano di possedere un patrimonio di conoscenze ed una maggiore adattabilità all'ambiente ed alle condizioni sociali, in grado di far progredire la specie. Mai un maschio sceglieva una donna se non contemporaneamente all'accettazione di lei. La selezione, sino a circa cinquemila anni fa (siamo in pieno periodo matrista) veniva sempre sancita dalle femmine ed è per questo che l'umanità ha mantenuto una costante spinta evolutiva, lenta ma consona alla propagazione sul pianeta. Questa qualità "elettiva" è stata una risposta evolutiva nonché afflato emozionale endemico.

Forse con l'avvento dell'allevamento e dell'agricoltura (e del surplus produttivo conseguente) pian piano questo approccio fra i sessi fu corrotto dal modello utilitaristico e possessivo patriarcale in cui alcuni maschi furono in grado di "acquistare" una femmina (matrimonio) per fini riproduttivi. Questa tendenza divenne sempre più forte con l'affermazione delle religioni monoteiste che sancirono la sudditanza femminile in forma definitiva e la consuetudine del matrimonio divenne una regola sociale obbligatoria. Da quel momento scomparve –o quasi- l'amore ed apparve la prostituzione e la "infedeltà". Ma cosa vuol dire prostituzione? Non è forse una forma di "matrimonio" limitato ad un breve lasso di tempo per la mera soddisfazione sessuale? E cos'è l'infedeltà se non la spontanea aggiustatura, lo sfogo, per un rapporto coniugale obbligato? Insomma la conseguenza dello sposalizio sancito per legge. E ove si manifestano prostituzione ed infedeltà vuol dire che l'amore non è più sincero e schietto ma solo una comoda formula sociale ed economica, insomma un commercio… un gioco di potere.

Il "libero" amore come riscoperta della piena libertà espressiva è quindi la sola riposta alla condizione corrente in cui l'anormalità è diventata norma.
Ma il libero amore presuppone il rapporto fra persone libere, un rapporto non preconfezionato, né legato ad interessi altri se non l'amore stesso quindi non può esser mercenario in alcuna forma, né –ovviamente- il risultato di prevaricazione o plagio fisico o psichico. Libero amore è l'incontro fra esseri umani consenzienti che durante un percorso di vita scelgono spontaneamente di sostenersi reciprocamente e condividere esistenza intelligenza e sessualità. Un tale amore non è nemmeno limitato ai rapporti eterosessuali e può essere allargato in vari modi ed in diverse sfaccettature di convivenza, purché intimamente accette dagli interessati. In questo contesto di libertà amorosa c'è una grande responsabilità emozionale ed etica, infatti se non si presentano le caratteristiche delle piena libertà espressiva tali persone "libere di amare e di venir riamate" non potranno mai ricorrere a forme divergenti. Restando ognuno fedele alla sua stessa onestà e propensione in caso di mancanza di partners idonei (e rifuggendo da tendenze sostitutive…) colui che sinceramente ama (senza abbassare il livello del suo amore o scendere a compromessi fallaci) si limita all'astinenza. Si astiene cioè da ogni rapporto che devierebbe od offuscherebbe la pienezza della sua emancipazione. Un libero amante non potrà sottostare a compromessi di ruolo per il semplice soddisfacimento di stimoli sessuali o vantaggi sociali.

Negli ultimi duemila anni malgrado l'apparente sviluppo tecnologico e scientifico abbiamo notato un costante e continuo abbassamento del livello emozionale, morale e dell'intelligenza. Viviamo in una società sempre più superficiale e violenta soprattutto nei confronti delle donne e dei più deboli ma -allo stesso tempo- con l'ipocrita pretesa di mantenere una morale monogamica, una facciata di rispettabilità, nella convenzione ed accettazione di fasulle norme comportamentali di facciata. Allo stesso modo è sorta l'anomalia della castità come "regola" religiosa, la castità può essere solo la conseguenza della fedeltà ad una elevata qualità amorosa (anche in senso mistico) non una pre-condizione alla funzione sacerdotale (un "bargain" come dicono gli inglesi…). L'imposizione forzata della castità porta ad inibire violentemente la propria sessualità, conduce a un falso senso di superiorità, e –spesso- a forme improprie di sessualità perniciose per se stessi e gli altri. Per lo stesso motivo non si può considerare "normale" un rapporto di coppia stabilmente monogamo quando è solo adattamento alle convenienze sociali.

La finzione è arrivata a tal punto che ormai la depravazione è diventata una specie di sfogo consentito. L'ipocrisia impera sovrana ed abbiamo la sfacciataggine di chiamarla "amore coniugale" o "castità sacerdotale" mentre il libero amore vien considerato lo sfogo bestiale di persone prive di ogni decenza. Così van le cose… ma non per tutti! 

Ed ora giungiamo ad una conclusione. Evidentemente la natura ha deciso di passare attraverso le tappe sin'ora descritte, dal matrismo al patriarcato, mi sembra però che il tempo sia maturo per un superamento di entrambi questi modelli, per giungere ad una vera liberazione sessuale. Essa può manifestarsi solo nell'assoluta pariteticità dei sessi, nell'indifferenziato ed ecologico erotismo-amore, dialogo dell'Umano. Se riusciamo a staccarci dalla schiavitù ed incombenza del "livello" delle nostre qualità sessuali allora avremo veramente raggiunto la "liberazione sessuale" ed a quel punto non avrà più alcun senso discutere di valenze…. il sesso è solo energia, incontro fra gli opposti, frizione creatrice, amore..."

(L'intervista continuerebbe, ma qui la interrompo...)

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Post Scriptum

Ringrazio Danielita per avermi presentato Mari D. che ovviamente ringrazio per aver creduto in questa intervista non intervista. Ringrazio Massimiliano per essersi prestato al gioco di interpretarmi.
Ciao a tutti, P. D’A.