Ciò che cambia e ciò che non cambia mai...



La vita vista dall’esterno è solo un flusso: tutto cambia, niente è costante. Ma vista dall’interno, nulla cambia mai. Il nucleo più intimo del tuo essere è sempre costante; questo è il centro immobile del mondo in movimento.

Si dice che Newton abbia detto: “Se riuscissi a trovare un centro immobile potrei cambiare il mondo intero”. Ma non riuscì a trovarlo, perché cercava nella direzione sbagliata, cercava all’esterno. Lì non è possibile trovarlo: niente resta mai uguale, neanche per due istanti consecutivi.

Il cambiamento è la legge. Anche se non lo vedi, le cose stanno cambiando. Non solo i fiumi e gli oceani, ma anche le rocce e le montagne stanno cambiando: cambiamenti lenti, cambiamenti invisibili, ma il cambiamento accade continuamente. E dove c’è cambiamento c’è morte; il cambiamento non può avvenire senza la morte. Cambiamento significa che qualcosa muore e qualcos’altro nasce; una cosa muore, un’altra nasce. Il cambiamento è il passaggio tra la morte e la nascita.

Ma nel profondo di te, dove Newton non ha mai guardato, dove altrimenti lo avrebbe trovato... Buddha l’ha trovato, Gesù l’ha trovato, Lao Tzu l’ha trovato, Zarathustra l’ha trovato, perché non Newton? Ma non si è mai guardato dentro. Può essere trovato solo nel mondo interiore. Più vai in profondità, più ti allontani dal cambiamento. E c’è un punto, un singolo punto – chiamalo il tuo sé, anima, coscienza, verità – da dove esisti, da dove prendi tutte le tue energie vitali. È costante, assolutamente costante. È semplicemente lo stesso, sempre lo stesso.

Ecco perché tutti vivono un fenomeno strano: che se chiudi gli occhi e ti guardi dentro non puoi dire quanti anni hai. Giovane, vecchio, non puoi dirlo; vent’anni o ventuno o cinquanta o sessanta o settanta, non puoi dirlo. Se guardi dentro di te semplicemente non hai età. Sei lo stesso di quando eri bambino. Anche se adesso hai ottant’anni!

Nel nucleo più intimo del tuo essere c’è qualcosa che è sempre lo stesso, immobile. Quello è il centro dell’esistenza, il centro del ciclone. Fuori c’è il ciclone, dentro c’è il centro. E una volta compreso, hai compreso che non c’è morte, perché ciò che è costante non può fare esperienza della morte; non può nemmeno fare esperienza della nascita. Non conosce nascita né morte. È sempre esistito.

C’è una strana affermazione di Gesù. Qualcuno gli chiese: “Che ne dici del nostro grande padre, Abramo?” e Gesù disse: “Prima che Abramo fosse, io sono”. Ora, c’è un divario di almeno tremila anni tra Abramo e Gesù, ma la sua affermazione è immensamente significativa. Dice: “Prima che Abramo fosse, io sono”. Indica l’eterno, il senzatempo, l’interiore, l’immortale.

 

Testo di Osho tratto da: Snap Your Fingers, Slap Your Face and Wake Up!

 


Lettera criptica su "speranza" nella scienza...

 


Ti  ricordi Alba? 

Avevo promesso di dedicarti una poesia e ti avevo anticipato –senza volerlo- che sarebbe stata una poesia sulla “naja”, sul periodo più schematico e duro che un uomo, un maschio, deve affrontare. Ma come faccio a spiegartelo? 

Tu sei Alba

e non Albo.

Magari pensi di essere un “album” –chissà?-  nel quale vorresti raccogliere tutti i tuoi desideri e propensioni dall’infanzia ad oggi,  e forse sei proprio un Album… 

Ma torniamo all’alba, quanti giorni mancano all’alba?

La canzone del Silenzio diceva “brutta burbetta va in branda,  va a dormir, mentre l’anziano va fuori a divertir, a divertir…”.   La tromba suonava per tutti ma gli anziani uscivano in permesso e le reclute restavano consegnate in caserma a fare i servizi, tutti i servizi…  

Ecco per te che non hai ancora vissuto  quell’esperienza  com’è possibile capire l’attesa dell’alba?

Questa naja che è la cosa più stupida  che ci sia,  che ti obbliga a seguire gli ordini di chi sa cosa va fatto, gli ordini del potere non si discutono… Pulire i cessi tre volte? Benissimo e subito dopo vengono  lordati da chi te li ha fatti pulire, non perché  dovesse andare al cesso, no! Solo per farti vedere chi è che comanda, chiaro?

E chi è che comanda nella tua vita,  Alba?

Sai che io sono uno spiritualista e sono però anche laico, diciamo che mi  inserisco nel filone laico spiritualista, in cui non si crede in un dio personale ma si “accetta” la legge del karma, del bene e del male, dell’evoluzione e della liberazione dall’ignoranza, diciamo che è  una “via” per uscire dalla naja di questa vita. 

Nel buddismo tibetano, ad esempio, c’è una totale ammissione delle varie forme del potere, esiste la scuola sinistra e quella destra, esiste il misticismo e la stregoneria, entrambe le scuole sono riconosciute come valide, dal punto di vista della mente, solo che il misticismo ti fa intravedere l’alba e la stregoneria ti mostra  la notte buia (l’alba può aspettare.)!

Perché ti dico questo, cara Alba? Ma è semplice ed ovvio, per noi occidentali la scienza è come la stregoneria, in Tibet usano i mantra e le incantazioni  mentre  qui gli scienziati  producono  meraviglie attraverso le formule e gli esperimenti. Ti ricordi il dottor Hyde?  E Frankestein? Ti ricordi il dottor Mengele, bravo medico, lavorava per lo stato e faceva interessanti esperimenti, dal punto di vista scientifico perfettamente giustificati, anzi lo stato lo incitava a sperimentare, tanto non mancavano le cavie… 

Aspetta, aspetta, cosa c’entra tutto ciò con gli ogm? Gli organismi geneticamente modificati?    OGM = Ordine  Genere  Migliore. Stanno anche nei vaccini salvifici di speranza. Ma lo conosci il proverbio  “Il meglio è nemico del bene”?



Aspetta, aspetta Alba, se è la scienza a portare avanti gli esperimenti c’è una garanzia di serietà  –mi dici-  la ricerca è necessaria per la scienza e lo stato promuove la ricerca… Giusto… ma chi fa questi esperimenti  per lo stato? Chi è che comanda? Chi sta sperimentando i modi migliori per stabilire un ordine  garantito dalla scienza?

No, mia cara,  non  è come sembra a te, anzi, è proprio notte fonda, l’alba ha da venì (come baffone),  e  succederà quando lo decide l’anziano, non  secondo il naturale turn over del pianeta, no lo decide la scienza quali sono i meccanismi della vita che fanno comodo! E se il cesso è pulito ci pensa l’anziano a risporcarlo subito,  così possiamo rimetterci all’opera, noi burbette dobbiamo sempre avere qualcosa da fare, non possiamo stare a pensare con la nostra testa, ci pensa l’anziano, lo scienziato e lo stato,  che  son  la stessa cosa. E se c’è qualche dubbio sulla morale del sistema… nessuna paura ecco qui il cappellano (o lo psicanalista) che confessa e ti perdona le tue seghe inutili e disperate.

Alba, quanto manca all’alba?  Ma tu studi sul computer e fai i conti: “ecco qui lo dice  wikipedia” – “ecco qui sta scritto così e lì cosà”. Ma tu lo senti l’odore del giorno, sei addormentata o ti stai destando? Aspetti il “miglioramento” od hai capito il senso del proverbio? Forse la scienza potrebbe aiutarti a trovare un “ordine di genere migliore” – né maschio né femmina, né buono né cattivo, né giusto né sbagliato, né religioso né ateo, né malato né sano,  semplicemente “amorfo”?  

Ti piacerebbe davvero…?  Un ordine che ti da   speranza  per accelerare i tempi verso l’alba? 

Purtroppo la speranza è come l’ideale, la sai la barzelletta vero?

E tu ci sei o ci sarai? Se ci sarai vuol dire che non ci sei (e mai ci sarai)  ma se ci sei non  significa nulla che ci sarai. Se ci sei allora è fatta, significa che anche per te è giunta l’alba. Hai visto che non era poi così difficile e strano, succede tutto per conto suo.

“Viene la primavera e l’erba cresce da sé”… 

Tuo affezionato,  Paolo D'Arpini 










Canzoncina in sintonia:    https://www.youtube.com/watch?v=rVva_13MylQ

Ecologia sociale e famiglia allargata...



Il ripristino della "famiglia allargata" è una delle soluzioni possibili al deterioramento sociale e della unione matrimoniale corrente che tanti danni sta procurando alla società. I primi danni sono avvenuti attraverso lo scollamento familiare che, con il deteriorarsi del sistema patriarcale, sta trascinando la società umana in un imbarbarimento di rapporti inter-familiari. 


In questa società consumista i due genitori perlopiù lavorano entrambi all'esterno della casa, per motivi economici o di "emancipazione" femminile, come si dice oggi...  Il risultato è che la prole -se non è completamente assente perché da fastidio al menage- viene abbandonata a se stessa, in istituti od in mano a baby sitters o davanti al televisore a rimbambirsi. Gli anziani, che una volta svolgevano all'interno della famiglia un importante ruolo di mantenimento della cultura e di assistenza ai giovani, sono anch'essi emarginati e ridotti all'ospizio o se tenuti in casa sono comunque visti come mera fonte di guadagno, per via delle pensioni, e non possono esercitare il ruolo che la natura sin dai tempi più antichi aveva loro concesso, quello di trasmettitori della saggezza popolare.


Altro problema grave della famiglia attuale, monogama (ma per modo di dire), è che la spinta verso la virtualizzazione dei rapporti, sancita dal proliferare in tv, al cinema, sui giornali e su internet di modelli dissacratori e pornografici, ha portato anche ad un ampliamento dell'esercizio di prostituzione (maschile e femminile) in tutte le sue sfaccettature, sia virtuali che sessuali. Insomma i rapporti umani sono talmente deteriorati che l'unica via di salvezza sembra proprio il ritorno alla famiglia promiscua che contraddistingueva l'antica civiltà matristica, cioè prima dell'avvento del patriarcato e delle religioni monoteiste.


Proprio in questi giorni ho terminato di leggere un interessante libro scritto dall'amico Carlo Consiglio, naturista e vegetariano, emerito professore di zoologia alla Sapienza di Roma e presidente della LAC. Il titolo è "L'Amore con più partner", con prefazione di Luigi De Marchi, psicologo sociale e politologo di fama internazionale. Mi sono trovato perfettamente d'accordo con quanto espresso nel testo ed ammetto che parecchie delle conclusioni alle quali è giunto l'amico Carlo le ho riconosciute come mie e rientranti nel filone dell'ecologia sociale e dell'ecologia profonda di cui mi occupo da anni. Infatti togliendo l'esclusiva al modello monogamo della famiglia si possono facilmente creare soluzione sociali più in accordo con i tempi in cui viviamo.


Ed a riprova di ciò vi sottopongo un articolo da me scritto alcuni anni fa proprio su questo tema.


L’esercizio della prostituzione non ha età, sia in forma sacrale come avveniva nei templi dedicati alla Dea, sia in forma mascherata come nel caso delle etere greche o delle geishe giapponesi, sia nel modo compassionevole come per quelle donne che occasionalmente nei paesi "assistevano" maschi non maritati in cambio di vivande e compagnia, sia nel modo così detto "volgare" cioè con l’adescamento per strada, la prostituzione peripatetica, ed ancora tanti sono i modi e le maniere della concessione carnale per soddisfare una necessità fisiologica (perlopiù dei maschi) in cambio di prebende e denaro. Certo la prostituzione è una consuetudine antica, ma non così antica come si vorrebbe far credere....


Infatti è solo con l’affermarsi del patriarcato, circa cinquemila anni fa, e con la pratica del "matrimonio" che nacque nella società l’uso di "pagare" la donna. Il matrimonio stesso è una forma di accaparramento della donna, all’inizio per ottenere da lei qualche prole e successivamente per semplice sfogo sessuale. Ancora oggi in alcune civiltà asiatiche, in cui ancora si manifestano tracce del primo modello patriarcale, esistono i cosiddetti "matrimoni a tempo", eufemismo per garantirsi i favori di una donna per un breve periodo....


In occidente con l’avvento del cristianesimo, che ha sancito il matrimonio come vincolo indissolubile e sacramentale, è andata vieppiù affermandosi l’esigenza della prostituzione. Insomma si può tranquillamente affermare che la prostituzione è una diretta conseguenza del vincolo matrimoniale.


Durante i periodi storici moralistici e fino alla legge Merlin in Italia il "turpe commercio" era stata regolato nelle così dette "case chiuse", ovvero si erano tolte le prostitute dalla strada per evitare adescamenti scandalosi in periodi in cui i "colletti duri" nella società dettavano legge ma è stato solo un ipocrita sotterfugio. Oggigiorno con la liberalizzazione dei costumi (sarebbe meglio dire con la perdita della decenza) la prostituzione vagante, come pure quella domiciliare, telefonica, telematica ed in ogni altra forma possibile ed immaginabile, è diventata la norma nel rapporto fra i sessi. Non c’è più confine fra chi si prostituisce istituzionalmente, part time, a tempo pieno, su internet, nei pub, nella via, in famiglia, in vacanza, al cesso, che sia maschio o femmina non importa, chiunque in questa società è dedito alla prostituzione.... questa è la triste verità.... Ed il risultato è solo una maggiore alienazione ed un gran senso di solitudine.....


Trovo perciò assurda ogni pretesa dei governi di "regolamentare la prostituzione" quando nei fatti lo scopo è solo quello di reperire nuove fonti di entrata per l’erario e non per sanare i mali correnti dell’ipocrisia..... perbenista. Allora, se proprio si vuole affrontare il problema, in primis, evitiamo il vincolo matrimoniale che - come abbiamo visto- è la causa prima di questo scollamento sociale e della perdita di spontaneità e dignità nei rapporti fra uomo e donna. Tra l’altro non c’è nemmeno più la scusa che il matrimonio serva per proteggere i figli "che son curati e educati dalle madri che stanno in casa a far le casalinghe", lo sappiamo tutti che quella della casalinga è una categoria in estinzione. Tutte le donne infatti se vogliono campare debbono sbattersi a cercare un lavoro, come i loro uomini, oppure.... prostituirsi..


Togliendo l'obbligo istituzionale e religioso della famiglia tradizionale, composta di marito e moglie, e recuperando una morale interpersonale di spiritualità laica, si possono facilmente ricreare soluzione fantasiose, le cosiddette famiglie aperte o "piccoli clan", che di fatto stanno già nascendo più o meno di straforo e senza alcun riconoscimento ufficiale (il massimo al quale si è arrivati ma sempre in termini "monogamici" è l’unione fra 2 persone dello stesso genere). L’idea della famiglia allargata, con più femmine e maschi assieme od in altra combinazione prediletta, è l’unica speranza per risollevare le sorti della solidarietà e cooperazione fra cittadini, giovani e vecchi, che oggi non trovano una dimensione umana e culturale a loro consona. Si può definire "ecologia sociale", una sezione dell’ecologia profonda. Tante persone mi telefonano e mi chiedono: "dov’è che c’è una comune od un eco-villaggio in cui potrei andare a vivere?", questo è già un segnale che la famiglia allargata sta entrando nella mentalità sociale corrente. Solo che uno vorrebbe trovare la pappa fatta, ovvero la comune idilliaca già bell’è pronta e collaudata, invece per un risultato "ad personam" occorre rimettersi in gioco e soprattutto smetterla con i criteri speculativi del "do ut des" e del cercare gli stessi "conforts" della società consumista pure nelle nuove aggregazioni.


Basterebbe questo ad interrompere il processo "prostitutivo" maschile e femminile? Forse... se accompagnato da sincerità e pulizia di cuore e di mente. Sicuramente spariglierebbe le carte e farebbe nascere nuovi esempi di sanità pansessuale nella società umana.


Paolo D’Arpini




Valle del Treja. La culla della civilizzazione falisca...

 


A valle della stretta di Orte, dopo aver ricevuto le acque del Nera, il fondovalle del lume Tevere si allarga gradatamente e, prima di compiere la grande ansa che si è dovuto aprire intorno al monte Soratte, viene accresciuto, quasi nello stesso punto, a sinistra dal torrente Aia ed a destra dal Treja. Questo luogo per secoli ha rappresentato il crocevia di due importanti civiltà italiche, quella Falisca e quella Sabina. Tutta l’area è dominata dalla massiccia presenza del Soratte, una montagna ritenuta sacra, che si solleva unica ed atipica, con il bianco del suo calcare, nel piatto paesaggio vulcanico che la circonda. Questa era la sede del Dio Soranus, l’antico nome di una divinità solare, che dall’alto protegge tutto l’Ager Faliscus.

I Falisci sono una popolazione di origine indoeuropea che prosperarono nell’area bagnata dal fiume Treja e dai suoi affluenti. Questo complesso sistema di corsi d’acqua forma un bacino idrografico piuttosto ampio che, infatti, coincide con la regione anticamente conosciuta come “Agro Falisco”.

Questo territorio è geograficamente delimitato da una serie di colline che si aprono verso nord-est. La parte interiore del bacino ha un andamento Est-ovest, mentre la parte più alta tende verso Nord-est. È in questo settore che si trovano i rilievi maggiori. quali la macchia di Monterosi (mt. 430), Il Monte Roccaromana (mt 812) ed il Monte Calvi, tutti appartenenti all’apparato vulcanico Sabatino; mentre Poggio Cavaliere (mt 809). Poggio Maggiore (mt. 622) ed il Monte San Rocco (mt. 700) fanno parte del complesso Vicano. Nella parte interiore del suo bacino il Treja scorre essenzialmente verso Nord, seguendo in senso inverso la direzione del primordiale percorso del Tevere (Paleotiber) mentre in prossimità di Civita Castellana cambia bruscamente direzione volgendosi a confluire nel Tevere.

Amministrativamente il bacino del Treja è compreso fra le due province di Roma (Rignano Flaminio, Sant’Oreste, Magliano Romano, Mazzano Romano, Campagnano di Roma, Sant’Oreste, Morlupo, Capena, ed altri) e Viterbo (Bassano Romano, Calcata, Capranica, Faleria, Corchiano, Caprarola, Castel Sant’Elia, Civita Castellana, Sutri, Monterosi, Nepi, Ronciglione, ed altri), complessivamente la popolazione residente nell’intero bacino è di circa 200.000 abitanti e la sua estensione è di poco più di 700 chilometri quadrati. Probabilmente questa è la ragione che ha permesso la conservazione degli ecosistemi vegetali delle forre del Treja, aree troppo impervie e di difficile utilizzazione agricola.

Le formazioni vegetali tipiche sono rappresentate da una mescolanza di alberi a foglie caduche e di sempreverdi, definite dai botanici come boschi di transizione di querceti misti. Nel nostro caso alla presenza dei querceti misti è connessa una situazione di microclima locale determinato dalla particolare situazione orografica e del suolo. Gli alberi di questi boschi sono per la parte sempreverde il leccio e per la componente caducifoglia la roverella, il ceno, il tarpino nero e l’acero campestre. Nella spalla di tufo, libera da vegetazione, nidificano i passeri, mentre il gatto selvatico riposa al sole di piccole radure. Nelle cavità ricoperte di edera e vitalba si trovano i nidi dell’allocco e del gufo e la tana invernale del gufo.

I ruderi abbandonati o le grotte offrono riparo ai tassi ed alle volpi.

Nel fori dei muri nidificano i barbagianni mentre le cime dei grandi alberi e le crepe delle rocce più ripide permettono ai rapaci, come il falco lanario, di nidificare. Le acque limpide di alcuni fossi ospitano il bel gambero di fiume, che ancora si nasconde sotto i massi di tufo ed è una preda notturna della puzzola. Ma la fauna è sempre più messa a repentaglio da una dissennata utilizzazione del territorio che non risparmia nell’uso di fertilizzanti, anticrittogamici ed insetticidi e diserbanti, mentre l’edilizia induce a tagliare sempre nuove fette di territorio vergine. È per tutti questi motivi che dalle associazioni protezioniste, soprattutto la Legambiente di Civita Castellana ed il Comitato per l’Agro Falisco di Calcata, giungono continue sollecitazioni per arrivare ad un ampliamento dell’area protetta, allargandola a tutte le forre del bacino del Treja.

Tutto questo territorio è oggi sede di importanti attività umane. L’utilizzazione prevalente è quella agricola. Le attività industriali sono concentrate nell’area che gravita attorno al comune di Civita Castellana. Altra attività caratteristica è quella estrattiva, con la presenza di numerose cave di tufo, che in alcuni casi hanno modificato radicalmente l’assetto originario del paesaggio.

Per quanto riguarda gli aspetti colturali si ha una netta divisione fra la parte alta del bacino, in cui prevalgono i noccioleti e castagneti, e quella inferiore con i prati-pascoli e seminativi. Un po’ ovunque sono distribuiti oliveti e vigneti.

Nel territorio di Nepi, dove maggiore è la disponibilità di acqua superficiale, è particolarmente praticata l’orticoltura. La ceramica è l’attività industriale più diffusa, una tradizione che si ricollega alla grande quantità di oggetti in terracotta rinvenuti sin dal periodo falisco, ma oggi essa è fonte di grave inquinamento, provocato dai residui chimici degli impasti e dei colori, tra cui desta preoccupazione la presenza di piombo e cadmio. Infatti, malgrado gli impianti debbano essere dotati di depuratori, spesso questi non funzionano a dovere o addirittura non vengono nemmeno azionati.

Di conseguenza si possono incontrare nei fossi che confluiscono nel Treja grandi chiazze giallastre o bianche. C’è da dire però che il maggiore danno ambientale viene causato dagli scarichi civili dei numerosi centri urbani, in quanto le loro reti fognanti scaricano nel fiume senza essere minimamente depurate. Tuttavia anche se questo territorio è considerato un ambiente fortemente antropizzato si rinvengono ancora formazioni vegetali di tipo forestale, per lo più localizzate nella parte centrale del bacino del Treja, dove i corsi d’acqua, incidendo profondamente i depositi vulcanici, danno origine ad una serie di forre, che rappresentano un’unità morfologica di grande interesse naturalistico. Su queste ruvide pareti tufacee sono state scolpite le necropoli e le dimore rupestri che sono la caratteristica del paesaggio dell’Agro Falisco, infatti i Falisci trasformarono le rupi in schiere di facciate architettoniche. L’esecuzione di scavi nella roccia tufacea ed il suo uso particolare ha rappresentato un archetipo che servì come modello per le popolazioni avvicendatesi sul territorio. Il primo vero e proprio insediamento arcaico, la mitica Fescennium, è una città policentrica (risalente al 1200 a.C.) che è stata localizzata fra Narce, Pizzopiede e Monte Lisanti, proprio sulle rive del Treja, in un’area che attualmente ricade nei comuni di Calcata e Mazzano Romano. È perciò da qui che ebbe origine la tribù dei Falisci ed è qui che, con decreto regionale del Lazio del 1982, fu costituito il primo lembo dell’area protetta delle forre, denominato Parco suburbano della Valle del Treja. Invero l’Agro Falisco pullula di siti naturali, adatti alla edificazione, infatti molti sono i centri fortificati che punteggiano questo territorio.

Falleri (l’attuale Civita Castellana) fu la città più popolosa, anche se non assurse mai al ruolo di capitale, essendo la civilizzazione dei Falisci costituita in federazione di libere città stato. Altri centri importanti furono Nepet (Nepi), Sutrium (Sutri) e la già nominata Fescennium (Narce).

L’identità culturale del popolo falisco, anche dopo la definitiva conquista romana avvenuta nel 241a.C., rimase sotto fora di religione di cui Giunone Curite (Dea della fertilità) era la massima espressione. Durante il periodo romano il bacino del Treja fu attraversato dalla via Amerina che, all’altezza dell’attuale Monterosi deviava in direzione di Amelia (Umbria) edè lungo questa direttrice che si spostò la maggior parte della popolazione e delle attività. Fu durante le invasioni barbariche che le genti l’Agro falisco ripresero ad occupare i siti ben protetti del periodo pre-romano e nacquero così centri come Castel Porciano, Filissano, Stabia ed in particolare Castel Paterno (attualmente nel territorio comunale di Faleria) dove l’imperatore Ottone III stabilì la sua residenza nella speranza di restaurare il Sacro Romano Impero, ed i due centri storici di Calcata e Mazzano Romano, attualmente inseriti nel Parco. La struttura urbanistica di questi abitati era, ed è, molto semplice: una o due vie mediane longitudinali attraversate da più strette vie trasversali; al centro, la piazza grande con la chiesa, il municipio e le abitazioni dei nobili; all’estremità della parte accessibile era collocato il castello: come baluardo difensivo sormontato da una torre di avvistamento. Infatti in epoche di grandi sconvolgimenti era più sicuro abitare in posti piccoli ed isolati mentre in epoche con stabilità economica è più agevole abitare lungo le grandi vie di comunicazione. Ciò che è un ricordo del passato è facilmente verificabile ed attuale anche oggi. 

Narrazione di Paolo D’Arpini



(Fonti storiche da saggi di Paolo Portoghesi, Gianluca Cerri e Gilda Bocconi)

La meditazione è lo Yoga supremo...

 


Tutto ciò che è noto col nome “Yoga” è solo un’introduzione. Le posizioni del corpo, asana, e le tecniche di respirazione servono solo a preparare il corpo. Ma molti si fermano lì e pensano “questo è tutto” e sprecano praticamente tutta la vita in una specie di ginnastica. Ottima di per sé, non c’è niente di male in essa – fa bene alla salute, dona vitalità, prolunga la vita – ma alla fine non ha significato. Che tu viva settant’anni o ottanta non importa, se vivi una vita senza senso. Non importa affatto se sei sano o malato. In fondo solo una cosa conta: se sei stato in grado di conoscere te stesso oppure no, tutto il resto è irrilevante. E non sto dicendo di non cercare di stare in salute; sii sano, ma ricorda che non è quello l’obiettivo. È bello avere un corpo sano, un veicolo sano va sempre bene. Ma è proprio come l’automobile: hai una bella macchina, in condizioni perfette, ma se non hai una direzione da prendere, persino il motore più perfetto è inutile, ti metterai nei guai. Se continui a correre qua e là senza una direzione, impazzirai. Il corpo è un meccanismo, un meccanismo molto bello; usalo, ma deve essere usato per qualcosa di più elevato.

Il significato arriva sempre dall’alto. Se non ti impegni in qualcosa di più grande di te, rimarrai privo di significato. E dhyana è quel qualcosa più grande di te: più grande della tua mente, più grande di tutti i tuoi sogni e aspettative, più grande di quanto tu possa mai concepire. E quando un uomo si impegna nella meditazione, la vita inizia ad avere un significato. All’improvviso inizi a prendere forma. Non sei più una folla interiore, inizi a integrarti: in te sorge un centro. L’unico scopo della meditazione è creare un centro in te. In questo momento sei solo una circonferenza, nessun centro.

Ci sono molti “io”, ma nessun “IO” e ogni “io” a turno finge di essere l’”IO” con la I maiuscola. Quando sei arrabbiato un “io” diventa dominante e quando ami è un altro “io” che diventa dominante; e non parlano nemmeno tra loro. Quindi ciò che decidi con rabbia si annulla con l’amore e ciò che decidi con amore si annulla nella rabbia. E pensi di avere un “IO”, ma non ce l’hai. Quando hai un “IO” la tua vita ha ordine, non è più nel caos. Ma normalmente le persone vivono nel caos, non hanno alcun ordine. E ricorda: l’ordine è vita e il caos è morte. Vivere nel caos non è vivere.

Quindi metti tutta la tua energia nella meditazione. Mantieni un obiettivo nella tua visione: che devi creare un centro in te. Con quel centro che sorge, con quel “maestro” che entra in gioco, tutti i tuoi sensi iniziano semplicemente a seguirti; non è necessario controllarli. Basta la presenza stessa di quell’”IO” dentro di te; la sua presenza mette tutto in ordine. Quindi pensa, contempla, medita sempre di più, trova vie e mezzi... E ci sono milioni di vie e mezzi. Una volta fissato l’obiettivo, troverai le tecniche giuste. Quando la tua energia è motivata, inizia a trovare la sua strada.

Io sono qui solo per motivarti, per darti un determinato obiettivo. Una volta che l’obiettivo diventa per te così importante da essere una questione di vita o di morte, non c’è più paura, nessun problema: troverai la strada giusta per raggiungerlo. L’obiettivo deve solo diventare un desiderio così intenso da essere come una fiamma dentro di te. 1

 

Per questo dico che l’unica cosa essenziale, il vero nucleo di ogni religione, di tutto lo Yoga, di tutti i metodi di ricerca, è la meditazione.

Si dovrebbe mettere da parte tutto ciò che non è essenziale. Puoi usare le cose come trampolini, ma non di più, solo come trampolini. Non devi preoccuparti troppo di loro. Tutta la tua preoccupazione dovrebbe essere concentrata; dovresti muoverti come una freccia verso la meditazione, solo allora in questa piccola vita, in così poco tempo, con potere ed energia a disposizione e con così tanti problemi che ti circondano, puoi sperare che la freccia raggiunga il bersaglio.

E nel momento in cui conosci qualcosa della meditazione – non su di essa, ma il suo vero sapore – arriva una grande liberazione, un grande sollievo. All’improvviso tutte le tensioni scompaiono: ansie e angosce non si trovano più.

A volte mi sforzo di trovare un po’ di ansia, ma non ci riesco, semplicemente non funziona. Ci ho provato in tutti i modi possibili, ma arrivo sempre alla stessa conclusione: non funziona.

Una volta assaporata la meditazione, è impossibile trovarsi nell’infelicità. La beatitudine diventa inevitabile, una doccia naturale, e continua a scendere, come fiori che piovono dal cielo. 2





Testi di Osho tratti da:

1. Hallelujah! #12
2. Nirvana now or never #3

 

Inferno e paradiso... nell' "Io"

 


C’è uno spettro di realtà che ci convince della sua supremazia e oggettività. Ma non è che il riflesso effimero di una fonte artificiale di luce cosparsa sul mondo. Se la politica del mercato non ha più le doti per dedicarsi agli uomini, gli uomini possono ora liberarsi dal conosciuto e dare il meglio e il segreto di sé.

Le critiche alla politica svenduta ai mercanti, il suo ruolo di portavoce e zerbino che, in un mondo democratico, basterebbero alla rivoluzione, non solo non cambiano nulla, ma dimostrano, se ce ne fosse ulteriore bisogno, la portata dell’onda che ha già investito e stravolto la relazione analogica che ogni uomo aveva con il mondo. Ciò implica la negazione dell’ordine naturale. È un’analisi che non tutti hanno il tempo di elaborare. Un tempo lucifericamente ridotto dall’imposizione della dimensione digitale.

L’onda avanza, travolge tutto, tranne i pochi surfisti che la stanno cavalcando e l’hanno pazientemente messa in moto, sospinta, alimentata. La politica, analogicamente intesa, è svanita, disciolta nell’individualismo di chi doveva pretenderla e di chi doveva praticarla. Reliquia senza valore e corpo delle macerie che coprono la terra.

Quella massa di energia che sta sopraffacendo il mondo umanistico ha una matrice razionalista. La stessa che ci ha fatto credere che la scienza fosse la verità, che tutto ciò che essa non definiva, catalogava, misurava non solo fosse contorno, ma soprattutto fosse risibile, non avesse la dignità per essere ascoltato, per fare a pieno titolo parte delle politiche, dei pensieri e dei valori indispensabili per realizzare e condurre una vita a misura d’uomo, l’unica capace di spargere benessere.

Una matrice cartesiana, che ha ridotto la vita a due dimensioni e che ci ha fatto credere ad un progresso lineare, infinito. In cui trovavamo la dimostrazione vivente della sua inequivocabile attendibilità. Quella che senza clangore – come si sarebbe immaginato – ha imposto alla politica le soluzioni tecniche; ha tolto l’etica e ha messo la scienza, ha eliminato la natura e impiantato il diritto. Ha abbandonato la generazione in estinzione e si sta prendendo cura dei piccoli, affinché a breve siano buoni esecutori di logiche che crederanno le sole possibili. Non è chiaro a molti che la natura divisoria della scienza, il suo gene oggettificante e definente non è che l’astuta espressione del male. Scambiata dagli uomini come verità, si afferma in noi e noi seguitiamo a propugnarla.

Ma la matrice razionalista è un’egregora che ci tiene lontani dalla verità della vita. Che ci impone la logica della forma e della quantità. Che ci fa correre ad erigere qualunque torre di babele si ritiene possa soddisfare desideri e autostima, che ci rende ciechi su quanto siamo noi stessi a produrci dolore e malattia. Un humus mentale dal quale possiamo emanciparci per poter, al contrario, realizzare serenità e salute.

L’onda razionalista non risparmia nulla. La foga digitalizzante che porta in sé travolge tutto, prioritariamente i pensieri. La sua idolatria, insieme a quella nei confronti della tecnologia, è una conversione richiesta al fine di eludere la tassa esiziale emessa dal potere. La sua velocità è tale che nulla è concesso oltre all’apparenza e al consumo. Ogni approfondimento lascia il tempo che trova, come in una lotta senza pari.

Non concede neppure aggregazioni tra pari posizioni critiche, ognuna delle quali è presa in un modo misto di angoscia, depressione, rabbia, indignazione, stupore, incredulità, idee violente, attesa, speranza che l’onda sia solo un sogno, un incubo e che in quanto tale, nonostante l’incontenibile emozione con la quale ci scuote fino in fondo, fino all’ultimo mattone di identità e sicurezza, alla fine passerà. Come se alla fine ci svegliassimo, ricordandolo con terrore per poi dimenticarlo ed esorcizzarlo. Per poi, ritornati in noi, con nuova consapevolezza e relativo potere che prima non sapevamo di avere, scoprire quali siano i valori effimeri, quali gli essenziali e, nel frastuono assordante dell’onda progressista, distinguere chiaramente le sirene che ci avevano sottratto a noi stessi.

Ma il vero sogno, più segreto e nascosto, è un altro. La sua apparente veridicità sta in una sola parola: identificazione. Qualunque oggetto d’attenzione con il quale ci identifichiamo da un lato comporta la nostra massima partecipazione alla sua difesa e dall’altro, proprio per questo, rende di fatto l’oggetto superiore agli altri. È quello che accade con l’io. È a causa di questo sogno che il termine risvegliato acquisisce senso.

Finché ci identifichiamo con il nome, la professione, il ruolo, i sentimenti che ci attraversano, non possiamo fare altro che muoverci nel buio di quanto crediamo in sostituzione di quanto siamo. Attribuendoci il bene, non possiamo che perpetrare il male. Esso attraversa le persone come la tensione un cavo di rame, ma colpevolizzarle e, di conseguenza, autoreferenzialmente assolverci è l’arguto gioco luciferino.

I cristiani lo chiamano inferno.

Lorenzo Merlo 




Commento/integrazione di Paolo D'Arpini

Inferno e paradiso. 

Vi racconto una storiella  zen messa in scena  in una grotta di Calcata, tanti anni fa...

Un giorno un samurai, un grande soldato, andò dal maestro spirituale Hakuin e chiese: “Esiste un inferno? Esiste un paradiso? Se esistono l’inferno e il paradiso, da dove si entra?”. Era un semplice guerriero. I guerrieri sono privi di astuzia nelle mente. I guerrieri conoscono solo due cose: la vita e la morte. Il samurai non era venuto per imparare una dottrina, non voleva dogmi, voleva sapere dov’erano le porte per evitare l’inferno ed entrare in paradiso. 

Hakuin chiese: “Chi sei tu?”. Il guerriero rispose: “Sono un samurai”. In Giappone essere un samurai è motivo di grande orgoglio. Significa essere un guerriero perfetto. Un uomo che non esiterebbe un attimo a dare la vita. “Sono un grande guerriero. Perfino l’imperatore mi rispetta”. Hakuin rise e disse: “Tu, un samurai? Sembri un mendicante!”.  L’uomo si sentì ferito nell’orgoglio. Sfoderò la spada, con l’intenzione di uccidere Hakuin. Il maestro rise: “Hai una spada? Sicuramente non sarà affilata" Il samurai colmo d'ira si preparò a colpire il saggio. E Hakuin replicò: "Questa è la porta dell’inferno”.  Il samurai rinfoderò la spada e Hakuin disse: “Qui si apre la porta del paradiso”. 

(L’inferno e il paradiso sono dentro di te. Entrambe le porte sono dentro di te. Quando ti comporti in modo inconsapevole, si apre la porta dell’inferno; quando sei attento e consapevole, si apre la porta del paradiso. La mente è entrambi il paradiso e l’inferno, perché la mente ha la capacità di diventare sia l’uno che l’altro. Ma la gente continua a pensare che tutto esista in un luogo imprecisato all’esterno.) 



Dalla Stanzeta del Pastore all'economico Mercatino della Natura...



Domenica 14 settembre 2008, la mia permanenza nella Stanzetta del Pastore è stata veramente poco proficua, la sola persona che è venuta a consultarmi sull'oroscopo cinese, una signora un po’ rinsecchita inviatami dal un professore medico che ha casa a Calcata, non sembra interessata al mio discorso, sugli elementi e gli archetipi, continua ad agitarsi e di tanto in tanto esce nervosa a cercare gli amici. Evidentemente ha problemi emozionali ed infatti individuata sulla mano la sua carenza nel Legno (preposto alle emozioni e sentimenti) le consiglio la “cura delle piante” (ovvero dedicarsi al giardinaggio, anche fatto in piccolo sul terrazzo di casa) per poter integrare l’elemento in chiave psico naturale,  ricevendo dalle piantine riconoscenti, per simpatia, lo stimolo ad aprirsi all’amore indifferenziato (si dice anche compassione per tutte le creature). Purtroppo non mi pare che questo bel discorso trovasse in lei un terreno fertile e così finita la sessione lei, alquanto nervosa ed insoddisfatta (forse perché non l’avevo turlupinata con i soliti trucchetti degli indovini) mi chiede “Quant’è per il consulto?” e come al solito le rispondo “un’offerta volontaria a piacer suo”.

Il piacere non è stato eccessivo, evidentemente, giacché la signora tirate fuori dal borsellino alcune monetine  me le mette in mano e se ne và ancora più rinsecchita di quando era entrata.

Ecco, l'indomani mattina con l’incasso risicato di 3 euro e cinquanta di ieri  e qualche altro risparmio mi  avvio a piedi verso il paese nuovo di Calcata, come ogni giorno. Che bisogno c’è di preoccuparsi? Qualcosa succede sempre e la strada è piena di avventure… Mi fermo prima a governare la maiala vietnamita che diventa sempre più grassa e vecchia, scendo un attimo all’orto selvaggio dove crescono solo cicorie ed erbe selvatiche, occhieggio una piantina di pomodori tardivi,  troppo piccoli e verdi per esser colti… Proseguo ed arrivo al baretto all’incrocio di via Circonvallazione, e qui compio il rito della colazione, cappuccino e cornetto, la ragazza è gentile e mi sorride. “Quant’è..?” chiedo anche se già conosco il prezzo “Un euro e sessanta” mi fa lei ed io pago ringraziandola, con quello che mi rimane vado al supermercatino dove solitamente acquisto alcuni generi di prima necessità e lì scopro che c’è una cassetta con su scritto “pomodori caserecci 1 euro al chilo"…

Woaoww, miracolo, solo un euro per dei pomodorini invernali tondi e gialli (si chiamano invernali perché si conservano per diversi mesi), bioregionali e biologici, ne prendo due chili ed anche un cetriolo che sta nel mucchio “anche questo è casareccio?” domando “certo -mi fa la ragazza del banco- è del marito di Cesarina (nota bene “è del marito di Cesarina”).

Insomma al supermercatino son stato proprio fortunato ed ancor di più all’uscita mentre torno a casa, ad un altro angolo  di via Circonvallazione, trovo per terra parecchie melucce buonissime e mezze bacate cadute per l’acquazzone di ieri l’altro, l’albero di mele sta lì in un angolo di terra che nessuno  cura. Faccio almeno tre chili di mele gialle e verdi, così ho la frutta per l’incontro di stasera (lettura romantica con la luna piena) e non è finita qui, infatti mentre ridiscendo al paese vecchio raccolgo per terra tre fichetti neri e dolcissimi che mi son mangiato appena rientrato a casa.

“Anche oggi l’abbiamo sfangata... -mi dico soddisfatto-  Non si muore di fame facendo la spesa all'economico mercatino della natura"

Paolo D'Arpini *







* L'autore metidabondo che pensa al libro di  prossima uscita: "L'alimentazione bioregionale" 


Articoli collegati:  

https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2023/02/discorso-aperto-sullalimentazione.html


http://www.lteconomy.it/blog/2023/02/10/alimentazione-bioregionale-di-paolo-darpini-di-prossima-uscita/

Pollan Michael: "La memoria è nemica dello stupore"

 



La memoria è nemica dello stupore, che non alberga in altro luogo che non sia il presente. Ecco perché, a meno che non si sia bambini, lo stupore dipende dalla dimenticanza, cioè da un processo di sottrazione. Di solito pensiamo alla droga come a un’esperienza aggiuntiva: spesso si dice che le droghe “distorcono” la percezione normale e aumentano e dati sensoriali (“aggiungendo” le allucinazioni, per così dire) ma potrebbe essere vero il contrario, cioè che il loro compito sia quello di togliere alcuni filtri che la coscienza normalmente interpone tra noi e il mondo. 


Perlomeno, fu questa la conclusione raggiunta da Aldous Huxley nel 1954 il “Le porte della percezione”, resoconto dei suoi esperimenti con la mescalina. Secondo Huxley, la droga (estratta dal peyote, il fiore di un cactus del deserto) disattiva la “valvola riducente” della coscienza, la sua definizione della facoltà ordinatrice di ogni giorno della mente conscia. La valvola riducente fa sì che non siamo schiacciati dalla “pressione della realtà”, ma ha un prezzo, perché il meccanismo ci impedisce di vedere la realtà come veramente è. Le intuizioni dei mistici e degli artisti derivano dalla loro speciale capacità di spegnere la valvola di riduzione della mente. Non sono certo che qualcuno di noi abbia mai percepito la realtà “come veramente è” (come faremmo a saperlo?), ma Huxley è convincente nel descrivere lo stupore che si verifica quando riusciamo a sospendere il nostro consueto modo verbale e concettuale di vedere. (E’ assolutamente sincero quando scrive della bellezza delle pieghe di un tessuto, di una sedia da giardino e di un vaso di fiori: “Vedevo quello che Adamo aveva visto al mattino della sua creazione: il miracolo, momento per momento, della nuda esistenza.”) 

Credo di avere compreso il concetto di “valvola riducente della coscienza” di Huxley, ma nella mia esperienza il meccanismo sembra leggermente diverso. Mi immagino la coscienza comune più come un imbuto  o, meglio ancora, come la strozzatura di una clessidra. In questa metafora, l’occhio della mente è in equilibrio tra passato e futuro, e decide quali, tra gli innumerevoli granelli dell’esperienza sensibile, passeranno attraverso la stretta apertura del presente ed entreranno nella memoria. Lo so, la mia metafora presenta qualche problema, primo fra tutti che alla fine tutta la sabbia scivola sul fondo della clessidra, mentre gran parte dei granelli dell’esperienza non superano mai la soglia del nostro interesse. Ma perlomeno rende l’idea che il ruolo principale della coscienza è eliminatorio e difensivo: mantenendo l’ordine percettivo, ci impedisce di essere travolti... 

Pollan Michael 





Dinamiche della comunicazione (secondo la percezione)...

 


Considerazioni sulle dinamiche della comunicazione e sue rappresentazioni a mezzo della meccanica classica e quantica. Il mondo sottile delle relazioni e della relativa creazione di realtà è rappresentabile dalla concezione quantica del mondo e dall’impossibilità di separare osservato da osservatore, come è tipico invece della concezione meccanicistica.

Secondo Marshall McLuhan, il medium è il messaggio. È una formula che dice molto, forse tutto, in quanto all’ambito della comunicazione.

Essa allude al fatto che la comunicazione, che si crede abitare le parole, le azioni o gli scritti, è una superstizione.

Salvo nel caso di un campo chiuso, per esempio quello matematico o quello di un gioco regolamentato, nonché tra complici, il messaggio che passa e che resta, ben più di quanto razionalisticamente si creda attaccato alle parole, è invece relativo all’emittente. E, in particolare, alla relazione fra destinatario della comunicazione ed emissario.

Quanto più il destinatario del messaggio accredita chi lo pronuncia, tanto più l’ascolto si compie e il rischio di comunicazione si eleva. Al contrario, ovvero quando il destinatario non accredita l’emittente, il contenuto del messaggio tende ad essere vuoto di valore, significato e potere.

È un’osservazione che possiamo compiere continuativamente. Per esempio, la parola del genitore nei confronti di un bimbo piccolo è la sola realtà. Il potere del verbo dell’adulto è così pieno che in esso si compie la magia di realizzare la realtà riconosciuta, in questo caso, dal bimbo come tale. È un processo sempre e solo di natura emozionale e, vedremo, dal carattere quantico.

Se fosse invece di stirpe razionale, come i razionalisti inconsapevolmente ritengono, ma praticamente confermano, l’aspetto relazionale non avrebbe peso negli innumerevoli contesti aperti, che caratterizzano appunto tutte le relazioni non regolamentate, come invece accade in quelle del citato campo chiuso.

Dunque emozionale, in quanto l’accredito che viene dato o non dato corrisponde ad un motto più o meno affettivo/anaffettivo. Sappiamo tutti quanto la dimensione di questo aspetto dia o meno significato e importanza alla relazione in questione.

Il carattere quantico della comunicazione in contesto relazionale, aperto è relativo alla realizzazione della comunicazione, all’equivoco o alla sua dispersione nel nulla di fatto, in quanto si realizza ciò che è affermato dal quantico principio di indeterminazione. Ovvero, che il comportamento della particella risente della presenza dell’osservatore nell’esperimento. Ugualmente avviene nelle relazioni aperte: non è possibile determinare con certezza il comportamento, la reazione del destinatario. A differenza di quanto tipico della meccanica classica, un cui pilastro esistenziale è che di un elemento della realtà si può sempre conoscere la quantità di moto e la posizione nello spazio, tanto in contesto relazionale aperto, quanto in quello quantico sussiste l’impossibilità di poter prevedere sia il comportamento della particella, sia quello dell’interlocutore. Come se entrambi, sotto stimolo, cogliessero dall’infinito una modalità di risposta. È una figurazione significativa, in quanto l’ambito relazionale aperto allude a universi diversi tra le parti, cioè infiniti personali, tra l’altro in costante, nuovamente imprevedibile, mutamento.

Dunque, la medesima proposizione, mutando di significato in funzione del destinatario, non è che una replica di quanto affermato dalla fisica quantica, come se il mondo subatomico e quello sentimentale fossero uno il riflesso dell’altro. Come se tanto in ambito umanistico, quanto in quello fisico, si potessero riscontrare le medesime dinamiche. Come se l’aggettivo sottile, spesso impiegato per riferire la realtà al di là del velo di Maya, avesse in quello subatomico, impiegato in fisica, una corrispondenza sostanziale.

Con queste premesse, si può pensare che la realtà nella relazione evincibile dalla fisica quantica – come lo era già dalla Scuola di Palo Alto e, soprattutto, da tutte le tradizioni sapienziali del mondo, in contrapposizione alla realtà oggettiva, misurabile e prevedibile, espressione della meccanica classica – possa rappresentare quanto avviene in contesto umano.

Sono considerazioni che permettono di riconoscere nei sentimenti e nelle emozioni fili magici che ci legano al mondo, rendendo tutte le cose contigue, così come l’entanglement e il principio di indeterminazione, a loro volta, pare esprimano e rappresentino. Fili di un tessuto inesistente e invisibile per la fisica classica. Dei quali non ha esigenza per gestire i contesti chiusi, quelli dall’oggettività condivisa, suo autentico regno. Tuttavia, a causa del suo inopportuno diritto di assolutismo culturale, con la sua autoreferenziale mania di essere la depositaria della verità assoluta, viene inopportunamente impiegata anche in quelli aperti causando, come l’elefante in cristalleria, una serie considerevole di inconvenienti.

L’entrata a gamba tesa del meccanicismo (meccanica classica), in campo relazionale/aperto (meccanica quantica) si può comprendere riconoscendo la gabbia logica nella quale spadroneggia, alla quale attribuisce massimo accredito. Una scatola che non contiene la fisica quantistica, né lo spirito della vita. Così, una è costretta a ripetere, a causa del ritorno dei pochi elementi di cui la sua realtà chiusa è composta, ovvero soltanto quelli misurabili e quantificabili, mentre l’altra, disponendo dell’infinito di cui è composta, ha in sé il potere creativo. Pedagoghi, didatti e terapeuti ben lo sanno.

Come potrebbe non essere un fallaccio, quando l’ottuso intento reificatore delle persone tronfie di una presunta oggettività pretende di comprimere il mondo e l’altro entro categorie finite, fino a giudicarlo, condannarlo, esonerarlo, liquidarlo, eliminarlo? Fino a descriverlo e a credere definitivamente nella propria narrazione? Nessun arbitro di conoscenza potrà allora non alzare il cartellino per un rosso diretto.

Sarà il momento in cui l’oracolo e il miracolo non saranno più oggetto di razionalistico scherno, ma semplici dinamiche che la fisica classica non ha mezzi per conoscere, e che quella quantica è in grado di significare. Sarà il momento in cui il dominio di spirito, pensiero e azioni della cultura razionalistica perderà la sua egemonia.

Sarà allora banale osservare che il genitore realizzava una forza oracolare nei confronti della realtà che il bimbo si configurava.

Il massimo credito, ovvero la fede nell’emissario, concede al logos di questo il potere di spostare il punto di attenzione altrui, così come il genitore ne imponeva uno al bimbo. Se la ragione della nostra malattia o ossessione risiede in una certa concezione di noi stessi determinata dal desiderio di ottenere affetto, solo spostando l’attenzione da quella magnetica esigenza potremo cambiare stato. Potremo guarire.

Si tratta di esempi che, vestiti con altri stracci umani, sono presenti in tutte le dinamiche relazionali. Si tratta di riconoscere il potere creativo di cui, liberi dal conosciuto, possiamo disporre per migliorare noi e il mondo.

Lorenzo Merlo