La meditazione è lo Yoga supremo...

 


Tutto ciò che è noto col nome “Yoga” è solo un’introduzione. Le posizioni del corpo, asana, e le tecniche di respirazione servono solo a preparare il corpo. Ma molti si fermano lì e pensano “questo è tutto” e sprecano praticamente tutta la vita in una specie di ginnastica. Ottima di per sé, non c’è niente di male in essa – fa bene alla salute, dona vitalità, prolunga la vita – ma alla fine non ha significato. Che tu viva settant’anni o ottanta non importa, se vivi una vita senza senso. Non importa affatto se sei sano o malato. In fondo solo una cosa conta: se sei stato in grado di conoscere te stesso oppure no, tutto il resto è irrilevante. E non sto dicendo di non cercare di stare in salute; sii sano, ma ricorda che non è quello l’obiettivo. È bello avere un corpo sano, un veicolo sano va sempre bene. Ma è proprio come l’automobile: hai una bella macchina, in condizioni perfette, ma se non hai una direzione da prendere, persino il motore più perfetto è inutile, ti metterai nei guai. Se continui a correre qua e là senza una direzione, impazzirai. Il corpo è un meccanismo, un meccanismo molto bello; usalo, ma deve essere usato per qualcosa di più elevato.

Il significato arriva sempre dall’alto. Se non ti impegni in qualcosa di più grande di te, rimarrai privo di significato. E dhyana è quel qualcosa più grande di te: più grande della tua mente, più grande di tutti i tuoi sogni e aspettative, più grande di quanto tu possa mai concepire. E quando un uomo si impegna nella meditazione, la vita inizia ad avere un significato. All’improvviso inizi a prendere forma. Non sei più una folla interiore, inizi a integrarti: in te sorge un centro. L’unico scopo della meditazione è creare un centro in te. In questo momento sei solo una circonferenza, nessun centro.

Ci sono molti “io”, ma nessun “IO” e ogni “io” a turno finge di essere l’”IO” con la I maiuscola. Quando sei arrabbiato un “io” diventa dominante e quando ami è un altro “io” che diventa dominante; e non parlano nemmeno tra loro. Quindi ciò che decidi con rabbia si annulla con l’amore e ciò che decidi con amore si annulla nella rabbia. E pensi di avere un “IO”, ma non ce l’hai. Quando hai un “IO” la tua vita ha ordine, non è più nel caos. Ma normalmente le persone vivono nel caos, non hanno alcun ordine. E ricorda: l’ordine è vita e il caos è morte. Vivere nel caos non è vivere.

Quindi metti tutta la tua energia nella meditazione. Mantieni un obiettivo nella tua visione: che devi creare un centro in te. Con quel centro che sorge, con quel “maestro” che entra in gioco, tutti i tuoi sensi iniziano semplicemente a seguirti; non è necessario controllarli. Basta la presenza stessa di quell’”IO” dentro di te; la sua presenza mette tutto in ordine. Quindi pensa, contempla, medita sempre di più, trova vie e mezzi... E ci sono milioni di vie e mezzi. Una volta fissato l’obiettivo, troverai le tecniche giuste. Quando la tua energia è motivata, inizia a trovare la sua strada.

Io sono qui solo per motivarti, per darti un determinato obiettivo. Una volta che l’obiettivo diventa per te così importante da essere una questione di vita o di morte, non c’è più paura, nessun problema: troverai la strada giusta per raggiungerlo. L’obiettivo deve solo diventare un desiderio così intenso da essere come una fiamma dentro di te. 1

 

Per questo dico che l’unica cosa essenziale, il vero nucleo di ogni religione, di tutto lo Yoga, di tutti i metodi di ricerca, è la meditazione.

Si dovrebbe mettere da parte tutto ciò che non è essenziale. Puoi usare le cose come trampolini, ma non di più, solo come trampolini. Non devi preoccuparti troppo di loro. Tutta la tua preoccupazione dovrebbe essere concentrata; dovresti muoverti come una freccia verso la meditazione, solo allora in questa piccola vita, in così poco tempo, con potere ed energia a disposizione e con così tanti problemi che ti circondano, puoi sperare che la freccia raggiunga il bersaglio.

E nel momento in cui conosci qualcosa della meditazione – non su di essa, ma il suo vero sapore – arriva una grande liberazione, un grande sollievo. All’improvviso tutte le tensioni scompaiono: ansie e angosce non si trovano più.

A volte mi sforzo di trovare un po’ di ansia, ma non ci riesco, semplicemente non funziona. Ci ho provato in tutti i modi possibili, ma arrivo sempre alla stessa conclusione: non funziona.

Una volta assaporata la meditazione, è impossibile trovarsi nell’infelicità. La beatitudine diventa inevitabile, una doccia naturale, e continua a scendere, come fiori che piovono dal cielo. 2





Testi di Osho tratti da:

1. Hallelujah! #12
2. Nirvana now or never #3

 

Inferno e paradiso... nell' "Io"

 


C’è uno spettro di realtà che ci convince della sua supremazia e oggettività. Ma non è che il riflesso effimero di una fonte artificiale di luce cosparsa sul mondo. Se la politica del mercato non ha più le doti per dedicarsi agli uomini, gli uomini possono ora liberarsi dal conosciuto e dare il meglio e il segreto di sé.

Le critiche alla politica svenduta ai mercanti, il suo ruolo di portavoce e zerbino che, in un mondo democratico, basterebbero alla rivoluzione, non solo non cambiano nulla, ma dimostrano, se ce ne fosse ulteriore bisogno, la portata dell’onda che ha già investito e stravolto la relazione analogica che ogni uomo aveva con il mondo. Ciò implica la negazione dell’ordine naturale. È un’analisi che non tutti hanno il tempo di elaborare. Un tempo lucifericamente ridotto dall’imposizione della dimensione digitale.

L’onda avanza, travolge tutto, tranne i pochi surfisti che la stanno cavalcando e l’hanno pazientemente messa in moto, sospinta, alimentata. La politica, analogicamente intesa, è svanita, disciolta nell’individualismo di chi doveva pretenderla e di chi doveva praticarla. Reliquia senza valore e corpo delle macerie che coprono la terra.

Quella massa di energia che sta sopraffacendo il mondo umanistico ha una matrice razionalista. La stessa che ci ha fatto credere che la scienza fosse la verità, che tutto ciò che essa non definiva, catalogava, misurava non solo fosse contorno, ma soprattutto fosse risibile, non avesse la dignità per essere ascoltato, per fare a pieno titolo parte delle politiche, dei pensieri e dei valori indispensabili per realizzare e condurre una vita a misura d’uomo, l’unica capace di spargere benessere.

Una matrice cartesiana, che ha ridotto la vita a due dimensioni e che ci ha fatto credere ad un progresso lineare, infinito. In cui trovavamo la dimostrazione vivente della sua inequivocabile attendibilità. Quella che senza clangore – come si sarebbe immaginato – ha imposto alla politica le soluzioni tecniche; ha tolto l’etica e ha messo la scienza, ha eliminato la natura e impiantato il diritto. Ha abbandonato la generazione in estinzione e si sta prendendo cura dei piccoli, affinché a breve siano buoni esecutori di logiche che crederanno le sole possibili. Non è chiaro a molti che la natura divisoria della scienza, il suo gene oggettificante e definente non è che l’astuta espressione del male. Scambiata dagli uomini come verità, si afferma in noi e noi seguitiamo a propugnarla.

Ma la matrice razionalista è un’egregora che ci tiene lontani dalla verità della vita. Che ci impone la logica della forma e della quantità. Che ci fa correre ad erigere qualunque torre di babele si ritiene possa soddisfare desideri e autostima, che ci rende ciechi su quanto siamo noi stessi a produrci dolore e malattia. Un humus mentale dal quale possiamo emanciparci per poter, al contrario, realizzare serenità e salute.

L’onda razionalista non risparmia nulla. La foga digitalizzante che porta in sé travolge tutto, prioritariamente i pensieri. La sua idolatria, insieme a quella nei confronti della tecnologia, è una conversione richiesta al fine di eludere la tassa esiziale emessa dal potere. La sua velocità è tale che nulla è concesso oltre all’apparenza e al consumo. Ogni approfondimento lascia il tempo che trova, come in una lotta senza pari.

Non concede neppure aggregazioni tra pari posizioni critiche, ognuna delle quali è presa in un modo misto di angoscia, depressione, rabbia, indignazione, stupore, incredulità, idee violente, attesa, speranza che l’onda sia solo un sogno, un incubo e che in quanto tale, nonostante l’incontenibile emozione con la quale ci scuote fino in fondo, fino all’ultimo mattone di identità e sicurezza, alla fine passerà. Come se alla fine ci svegliassimo, ricordandolo con terrore per poi dimenticarlo ed esorcizzarlo. Per poi, ritornati in noi, con nuova consapevolezza e relativo potere che prima non sapevamo di avere, scoprire quali siano i valori effimeri, quali gli essenziali e, nel frastuono assordante dell’onda progressista, distinguere chiaramente le sirene che ci avevano sottratto a noi stessi.

Ma il vero sogno, più segreto e nascosto, è un altro. La sua apparente veridicità sta in una sola parola: identificazione. Qualunque oggetto d’attenzione con il quale ci identifichiamo da un lato comporta la nostra massima partecipazione alla sua difesa e dall’altro, proprio per questo, rende di fatto l’oggetto superiore agli altri. È quello che accade con l’io. È a causa di questo sogno che il termine risvegliato acquisisce senso.

Finché ci identifichiamo con il nome, la professione, il ruolo, i sentimenti che ci attraversano, non possiamo fare altro che muoverci nel buio di quanto crediamo in sostituzione di quanto siamo. Attribuendoci il bene, non possiamo che perpetrare il male. Esso attraversa le persone come la tensione un cavo di rame, ma colpevolizzarle e, di conseguenza, autoreferenzialmente assolverci è l’arguto gioco luciferino.

I cristiani lo chiamano inferno.

Lorenzo Merlo 




Commento/integrazione di Paolo D'Arpini

Inferno e paradiso. 

Vi racconto una storiella  zen messa in scena  in una grotta di Calcata, tanti anni fa...

Un giorno un samurai, un grande soldato, andò dal maestro spirituale Hakuin e chiese: “Esiste un inferno? Esiste un paradiso? Se esistono l’inferno e il paradiso, da dove si entra?”. Era un semplice guerriero. I guerrieri sono privi di astuzia nelle mente. I guerrieri conoscono solo due cose: la vita e la morte. Il samurai non era venuto per imparare una dottrina, non voleva dogmi, voleva sapere dov’erano le porte per evitare l’inferno ed entrare in paradiso. 

Hakuin chiese: “Chi sei tu?”. Il guerriero rispose: “Sono un samurai”. In Giappone essere un samurai è motivo di grande orgoglio. Significa essere un guerriero perfetto. Un uomo che non esiterebbe un attimo a dare la vita. “Sono un grande guerriero. Perfino l’imperatore mi rispetta”. Hakuin rise e disse: “Tu, un samurai? Sembri un mendicante!”.  L’uomo si sentì ferito nell’orgoglio. Sfoderò la spada, con l’intenzione di uccidere Hakuin. Il maestro rise: “Hai una spada? Sicuramente non sarà affilata" Il samurai colmo d'ira si preparò a colpire il saggio. E Hakuin replicò: "Questa è la porta dell’inferno”.  Il samurai rinfoderò la spada e Hakuin disse: “Qui si apre la porta del paradiso”. 

(L’inferno e il paradiso sono dentro di te. Entrambe le porte sono dentro di te. Quando ti comporti in modo inconsapevole, si apre la porta dell’inferno; quando sei attento e consapevole, si apre la porta del paradiso. La mente è entrambi il paradiso e l’inferno, perché la mente ha la capacità di diventare sia l’uno che l’altro. Ma la gente continua a pensare che tutto esista in un luogo imprecisato all’esterno.) 



Dalla Stanzeta del Pastore all'economico Mercatino della Natura...



Domenica 14 settembre 2008, la mia permanenza nella Stanzetta del Pastore è stata veramente poco proficua, la sola persona che è venuta a consultarmi sull'oroscopo cinese, una signora un po’ rinsecchita inviatami dal un professore medico che ha casa a Calcata, non sembra interessata al mio discorso, sugli elementi e gli archetipi, continua ad agitarsi e di tanto in tanto esce nervosa a cercare gli amici. Evidentemente ha problemi emozionali ed infatti individuata sulla mano la sua carenza nel Legno (preposto alle emozioni e sentimenti) le consiglio la “cura delle piante” (ovvero dedicarsi al giardinaggio, anche fatto in piccolo sul terrazzo di casa) per poter integrare l’elemento in chiave psico naturale,  ricevendo dalle piantine riconoscenti, per simpatia, lo stimolo ad aprirsi all’amore indifferenziato (si dice anche compassione per tutte le creature). Purtroppo non mi pare che questo bel discorso trovasse in lei un terreno fertile e così finita la sessione lei, alquanto nervosa ed insoddisfatta (forse perché non l’avevo turlupinata con i soliti trucchetti degli indovini) mi chiede “Quant’è per il consulto?” e come al solito le rispondo “un’offerta volontaria a piacer suo”.

Il piacere non è stato eccessivo, evidentemente, giacché la signora tirate fuori dal borsellino alcune monetine  me le mette in mano e se ne và ancora più rinsecchita di quando era entrata.

Ecco, l'indomani mattina con l’incasso risicato di 3 euro e cinquanta di ieri  e qualche altro risparmio mi  avvio a piedi verso il paese nuovo di Calcata, come ogni giorno. Che bisogno c’è di preoccuparsi? Qualcosa succede sempre e la strada è piena di avventure… Mi fermo prima a governare la maiala vietnamita che diventa sempre più grassa e vecchia, scendo un attimo all’orto selvaggio dove crescono solo cicorie ed erbe selvatiche, occhieggio una piantina di pomodori tardivi,  troppo piccoli e verdi per esser colti… Proseguo ed arrivo al baretto all’incrocio di via Circonvallazione, e qui compio il rito della colazione, cappuccino e cornetto, la ragazza è gentile e mi sorride. “Quant’è..?” chiedo anche se già conosco il prezzo “Un euro e sessanta” mi fa lei ed io pago ringraziandola, con quello che mi rimane vado al supermercatino dove solitamente acquisto alcuni generi di prima necessità e lì scopro che c’è una cassetta con su scritto “pomodori caserecci 1 euro al chilo"…

Woaoww, miracolo, solo un euro per dei pomodorini invernali tondi e gialli (si chiamano invernali perché si conservano per diversi mesi), bioregionali e biologici, ne prendo due chili ed anche un cetriolo che sta nel mucchio “anche questo è casareccio?” domando “certo -mi fa la ragazza del banco- è del marito di Cesarina (nota bene “è del marito di Cesarina”).

Insomma al supermercatino son stato proprio fortunato ed ancor di più all’uscita mentre torno a casa, ad un altro angolo  di via Circonvallazione, trovo per terra parecchie melucce buonissime e mezze bacate cadute per l’acquazzone di ieri l’altro, l’albero di mele sta lì in un angolo di terra che nessuno  cura. Faccio almeno tre chili di mele gialle e verdi, così ho la frutta per l’incontro di stasera (lettura romantica con la luna piena) e non è finita qui, infatti mentre ridiscendo al paese vecchio raccolgo per terra tre fichetti neri e dolcissimi che mi son mangiato appena rientrato a casa.

“Anche oggi l’abbiamo sfangata... -mi dico soddisfatto-  Non si muore di fame facendo la spesa all'economico mercatino della natura"

Paolo D'Arpini *







* L'autore metidabondo che pensa al libro di  prossima uscita: "L'alimentazione bioregionale" 


Articoli collegati:  

https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2023/02/discorso-aperto-sullalimentazione.html


http://www.lteconomy.it/blog/2023/02/10/alimentazione-bioregionale-di-paolo-darpini-di-prossima-uscita/

Pollan Michael: "La memoria è nemica dello stupore"

 



La memoria è nemica dello stupore, che non alberga in altro luogo che non sia il presente. Ecco perché, a meno che non si sia bambini, lo stupore dipende dalla dimenticanza, cioè da un processo di sottrazione. Di solito pensiamo alla droga come a un’esperienza aggiuntiva: spesso si dice che le droghe “distorcono” la percezione normale e aumentano e dati sensoriali (“aggiungendo” le allucinazioni, per così dire) ma potrebbe essere vero il contrario, cioè che il loro compito sia quello di togliere alcuni filtri che la coscienza normalmente interpone tra noi e il mondo. 


Perlomeno, fu questa la conclusione raggiunta da Aldous Huxley nel 1954 il “Le porte della percezione”, resoconto dei suoi esperimenti con la mescalina. Secondo Huxley, la droga (estratta dal peyote, il fiore di un cactus del deserto) disattiva la “valvola riducente” della coscienza, la sua definizione della facoltà ordinatrice di ogni giorno della mente conscia. La valvola riducente fa sì che non siamo schiacciati dalla “pressione della realtà”, ma ha un prezzo, perché il meccanismo ci impedisce di vedere la realtà come veramente è. Le intuizioni dei mistici e degli artisti derivano dalla loro speciale capacità di spegnere la valvola di riduzione della mente. Non sono certo che qualcuno di noi abbia mai percepito la realtà “come veramente è” (come faremmo a saperlo?), ma Huxley è convincente nel descrivere lo stupore che si verifica quando riusciamo a sospendere il nostro consueto modo verbale e concettuale di vedere. (E’ assolutamente sincero quando scrive della bellezza delle pieghe di un tessuto, di una sedia da giardino e di un vaso di fiori: “Vedevo quello che Adamo aveva visto al mattino della sua creazione: il miracolo, momento per momento, della nuda esistenza.”) 

Credo di avere compreso il concetto di “valvola riducente della coscienza” di Huxley, ma nella mia esperienza il meccanismo sembra leggermente diverso. Mi immagino la coscienza comune più come un imbuto  o, meglio ancora, come la strozzatura di una clessidra. In questa metafora, l’occhio della mente è in equilibrio tra passato e futuro, e decide quali, tra gli innumerevoli granelli dell’esperienza sensibile, passeranno attraverso la stretta apertura del presente ed entreranno nella memoria. Lo so, la mia metafora presenta qualche problema, primo fra tutti che alla fine tutta la sabbia scivola sul fondo della clessidra, mentre gran parte dei granelli dell’esperienza non superano mai la soglia del nostro interesse. Ma perlomeno rende l’idea che il ruolo principale della coscienza è eliminatorio e difensivo: mantenendo l’ordine percettivo, ci impedisce di essere travolti... 

Pollan Michael 





Dinamiche della comunicazione (secondo la percezione)...

 


Considerazioni sulle dinamiche della comunicazione e sue rappresentazioni a mezzo della meccanica classica e quantica. Il mondo sottile delle relazioni e della relativa creazione di realtà è rappresentabile dalla concezione quantica del mondo e dall’impossibilità di separare osservato da osservatore, come è tipico invece della concezione meccanicistica.

Secondo Marshall McLuhan, il medium è il messaggio. È una formula che dice molto, forse tutto, in quanto all’ambito della comunicazione.

Essa allude al fatto che la comunicazione, che si crede abitare le parole, le azioni o gli scritti, è una superstizione.

Salvo nel caso di un campo chiuso, per esempio quello matematico o quello di un gioco regolamentato, nonché tra complici, il messaggio che passa e che resta, ben più di quanto razionalisticamente si creda attaccato alle parole, è invece relativo all’emittente. E, in particolare, alla relazione fra destinatario della comunicazione ed emissario.

Quanto più il destinatario del messaggio accredita chi lo pronuncia, tanto più l’ascolto si compie e il rischio di comunicazione si eleva. Al contrario, ovvero quando il destinatario non accredita l’emittente, il contenuto del messaggio tende ad essere vuoto di valore, significato e potere.

È un’osservazione che possiamo compiere continuativamente. Per esempio, la parola del genitore nei confronti di un bimbo piccolo è la sola realtà. Il potere del verbo dell’adulto è così pieno che in esso si compie la magia di realizzare la realtà riconosciuta, in questo caso, dal bimbo come tale. È un processo sempre e solo di natura emozionale e, vedremo, dal carattere quantico.

Se fosse invece di stirpe razionale, come i razionalisti inconsapevolmente ritengono, ma praticamente confermano, l’aspetto relazionale non avrebbe peso negli innumerevoli contesti aperti, che caratterizzano appunto tutte le relazioni non regolamentate, come invece accade in quelle del citato campo chiuso.

Dunque emozionale, in quanto l’accredito che viene dato o non dato corrisponde ad un motto più o meno affettivo/anaffettivo. Sappiamo tutti quanto la dimensione di questo aspetto dia o meno significato e importanza alla relazione in questione.

Il carattere quantico della comunicazione in contesto relazionale, aperto è relativo alla realizzazione della comunicazione, all’equivoco o alla sua dispersione nel nulla di fatto, in quanto si realizza ciò che è affermato dal quantico principio di indeterminazione. Ovvero, che il comportamento della particella risente della presenza dell’osservatore nell’esperimento. Ugualmente avviene nelle relazioni aperte: non è possibile determinare con certezza il comportamento, la reazione del destinatario. A differenza di quanto tipico della meccanica classica, un cui pilastro esistenziale è che di un elemento della realtà si può sempre conoscere la quantità di moto e la posizione nello spazio, tanto in contesto relazionale aperto, quanto in quello quantico sussiste l’impossibilità di poter prevedere sia il comportamento della particella, sia quello dell’interlocutore. Come se entrambi, sotto stimolo, cogliessero dall’infinito una modalità di risposta. È una figurazione significativa, in quanto l’ambito relazionale aperto allude a universi diversi tra le parti, cioè infiniti personali, tra l’altro in costante, nuovamente imprevedibile, mutamento.

Dunque, la medesima proposizione, mutando di significato in funzione del destinatario, non è che una replica di quanto affermato dalla fisica quantica, come se il mondo subatomico e quello sentimentale fossero uno il riflesso dell’altro. Come se tanto in ambito umanistico, quanto in quello fisico, si potessero riscontrare le medesime dinamiche. Come se l’aggettivo sottile, spesso impiegato per riferire la realtà al di là del velo di Maya, avesse in quello subatomico, impiegato in fisica, una corrispondenza sostanziale.

Con queste premesse, si può pensare che la realtà nella relazione evincibile dalla fisica quantica – come lo era già dalla Scuola di Palo Alto e, soprattutto, da tutte le tradizioni sapienziali del mondo, in contrapposizione alla realtà oggettiva, misurabile e prevedibile, espressione della meccanica classica – possa rappresentare quanto avviene in contesto umano.

Sono considerazioni che permettono di riconoscere nei sentimenti e nelle emozioni fili magici che ci legano al mondo, rendendo tutte le cose contigue, così come l’entanglement e il principio di indeterminazione, a loro volta, pare esprimano e rappresentino. Fili di un tessuto inesistente e invisibile per la fisica classica. Dei quali non ha esigenza per gestire i contesti chiusi, quelli dall’oggettività condivisa, suo autentico regno. Tuttavia, a causa del suo inopportuno diritto di assolutismo culturale, con la sua autoreferenziale mania di essere la depositaria della verità assoluta, viene inopportunamente impiegata anche in quelli aperti causando, come l’elefante in cristalleria, una serie considerevole di inconvenienti.

L’entrata a gamba tesa del meccanicismo (meccanica classica), in campo relazionale/aperto (meccanica quantica) si può comprendere riconoscendo la gabbia logica nella quale spadroneggia, alla quale attribuisce massimo accredito. Una scatola che non contiene la fisica quantistica, né lo spirito della vita. Così, una è costretta a ripetere, a causa del ritorno dei pochi elementi di cui la sua realtà chiusa è composta, ovvero soltanto quelli misurabili e quantificabili, mentre l’altra, disponendo dell’infinito di cui è composta, ha in sé il potere creativo. Pedagoghi, didatti e terapeuti ben lo sanno.

Come potrebbe non essere un fallaccio, quando l’ottuso intento reificatore delle persone tronfie di una presunta oggettività pretende di comprimere il mondo e l’altro entro categorie finite, fino a giudicarlo, condannarlo, esonerarlo, liquidarlo, eliminarlo? Fino a descriverlo e a credere definitivamente nella propria narrazione? Nessun arbitro di conoscenza potrà allora non alzare il cartellino per un rosso diretto.

Sarà il momento in cui l’oracolo e il miracolo non saranno più oggetto di razionalistico scherno, ma semplici dinamiche che la fisica classica non ha mezzi per conoscere, e che quella quantica è in grado di significare. Sarà il momento in cui il dominio di spirito, pensiero e azioni della cultura razionalistica perderà la sua egemonia.

Sarà allora banale osservare che il genitore realizzava una forza oracolare nei confronti della realtà che il bimbo si configurava.

Il massimo credito, ovvero la fede nell’emissario, concede al logos di questo il potere di spostare il punto di attenzione altrui, così come il genitore ne imponeva uno al bimbo. Se la ragione della nostra malattia o ossessione risiede in una certa concezione di noi stessi determinata dal desiderio di ottenere affetto, solo spostando l’attenzione da quella magnetica esigenza potremo cambiare stato. Potremo guarire.

Si tratta di esempi che, vestiti con altri stracci umani, sono presenti in tutte le dinamiche relazionali. Si tratta di riconoscere il potere creativo di cui, liberi dal conosciuto, possiamo disporre per migliorare noi e il mondo.

Lorenzo Merlo



Cos’è lo Zazen...?




Zazen è una profonda assenza di attività: non fai nulla all’esterno, non fai nulla all’interno.
Non è nemmeno meditazione, perché quando mediti stai ancora compiendo una sorta di sforzo, stai cercando di fare qualcosa: cantare un mantra, ricordare dio o persino ricordare te stesso. E questi sforzi creano delle increspature, questi sforzi creano delle vibrazioni e la tua esperienza diventa corrotta, non è più innocente. 
Zazen significa: siediti e stai seduto, nient’altro. Non c’è fare da parte del corpo, non c’è fare da parte della mente. È uno stato di non fare. Questo non significa che sei addormentato, perché anche il sonno è un fare. Ciò non significa che tu sia morto, perché se sei morto non puoi stare semplicemente seduto. Significa semplicemente che sei immensamente vivo, intensamente vivo, un fuoco di essere, ma non vai da nessuna parte. Sei una riserva di energia in attesa profonda. Stai solo aspettando che succeda qualcosa, senza tuttavia aspettarti nulla, perché l’aspettativa creerebbe nuovamente un’increspatura del pensiero e la mente entrerebbe in funzione. Tutto è sospeso. Respiri ed è tutto ciò che fai. Ma non è un fare, perché il respiro va da sé. Non devi fare altro che stare seduto in silenzio. 1



Un uomo che ha fatto esperienza di Zazen sa semplicemente che tutto ciò che arriva davanti agli occhi è semplicemente fenomenico, va e viene, proprio come le nuvole e i fiori. Tutto nel mondo, tranne il tuo essere, continua a evolversi in nuove forme. Trovare se stessi è trovare il centro del ciclone. Il mondo intero è un ciclone, ma una volta trovato il tuo centro, il ciclone scompare. Lo specchio rimane vuoto. Questo vuoto è buddhità. Questo nulla è la vetta suprema della coscienza. 
Un uomo che pratica Zazen arriva al punto di rendersi conto che tutto ciò che è visto è fenomenico. È fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Tutto continua a mutare. Questa è la definizione orientale di realtà e irrealtà. Irrealtà significa semplicemente ciò che muta. Eri un bambino, eri un giovane, diventerai vecchio. Questo è fenomenico, è irreale. Ma c’è qualcosa in te che non diventa mai nient’altro che se stesso. Nell’infanzia è lo stesso, nella giovinezza è lo stesso, nella vecchiaia è lo stesso. Nella morte è lo stesso. Un uomo di meditazione conosce il suo essere eterno. Il suo essere immortale. Non c’è morte per lui. 2


Cosa succede quando stai semplicemente seduto? Tutta l’energia che si muoveva nel corpo, fuori dal corpo, nelle azioni, non si muove più. Diventi un lago di energia. L’energia continua a raccogliersi, diventi una riserva. Nello Zazen non ti è nemmeno permesso ondeggiare o muovere il corpo, nemmeno un leggero movimento, quindi non investi alcuna energia nell’azione; tutta l’energia resta a tua disposizione. Continua a scivolare dentro. Ti riempie. Inizia a straripare. Quando arriva il momento in cui straripa, c’è il satori.
Satori è il momento in cui l’energia straripa.
Il pensiero si ferma un po’ alla volta. Ci vuole tempo, quasi tre giorni è il tempo. Se pratichi giorno e notte, continuamente, nel giro di tre giorni arriva il momento in cui l’energia è così tanta che semplicemente esplode.
Tutto si calma: un lampo improvviso all’interno. Tutto diventa chiaro: la chiarezza della percezione è raggiunta. Questo è ciò che in Giappone chiamano satori.
Io lo chiamo meditazione. È ciò che lo Zen chiama Zazen: stai semplicemente seduto, in un’attesa infinita... Osservi, sei vigile, consapevole, non vai da nessuna parte... E accade il miracolo dei miracoli… Ciò che stavi cercando e non sei mai riuscito a trovare, accade all’improvviso. 3


Questo è il significato della parola “zazen”. “Za” significa stare seduti senza fare nulla. E “zen” significa: mentre stai seduto senza fare nulla ricadi su te stesso, incontri te stesso, vedi te stesso. Questo è zen, dhyana, meditazione.
La parola “zazen” è bellissima.
“Seduti a guardare dentro di sé”, questo è il significato.
L’uomo è più della somma dei suoi atti, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti. Dietro gli atti, i pensieri e i sentimenti c’è un altro uomo: ciò che è, ciò che è essenzialmente. Ma molto raramente, se non mai, qualcuno si mostra nel suo essere essenziale. Pochissimi raggiungono quel punto del loro essere essenziale, il fondamento del loro stesso essere. E coloro che lo raggiungono, e solo loro, sanno che la vita è una benedizione. Una gioia pura, una festa eterna. 4


La vera padronanza accade quando non è più necessario alcuno sforzo, quando tutti gli sforzi possono essere abbandonati. La vera padronanza accade quando non è più necessario alcun metodo, quando tutti i metodi possono essere abbandonati. La vera padronanza è quando la meditazione non è più una cosa da fare, ma è diventata il tuo stato.
Ci vivi, ci cammini, ti ci siedi: “Seduto nello Zen, camminando nello Zen”.
Ci mangi dentro, ci dormi dentro. CI SEI DENTRO!
Arriverà quel momento.
Ma all’inizio devi andarci con tutta la tua energia. Ricorda, così come l’acqua evapora a cento gradi – non a novantanove, non a novantanove virgola nove, ma esattamente a cento gradi – così quando metti in gioco la tua energia totale, cento gradi, immediatamente il metallo si trasforma in oro. Immediatamente l’energia che si stava spegnendo fa un giro di centottanta gradi e due occhi diventano uno solo. E dopo, tutto ciò che è interiore e tutto ciò che è esteriore si illumina. 5



Se ti siedi semplicemente e non fai nulla, a poco a poco la mente si assesta, perché non c’è niente da fare, non è più necessaria. All’inizio si ribella, pensa di più e i pensieri turbinano in un folle vortice interiore, ma se continui a stare seduto, perdono la loro ragione di essere. A poco a poco la polvere si deposita, i pensieri scompaiono, appaiono gli intervalli. In quegli intervalli, è possibile la comprensione. Quando i pensieri non ci sono, pensare è possibile. Quando non hai pensieri nella mente, tutta l’energia che è impegnata a pensare, nei pensieri, è rilasciata, diventa la tua consapevolezza.3







Testi di Osho  tratti da:

1. Come Follow To You, Vol. 4 #5
2. The Original Man #6
3. Nirvana The Last Nightmare #2
4. This Body The Buddha #6
5. The Secret of Secrets, Vol.1 #9

 

Fonte: Osho Times n. 287 

RAZZISMO E IPOCRISIA DEMOCRATICA - Evian 1938, quando le democrazie tradirono gli ebrei...

 


Giunto al potere nel Gennaio del 1933, Hitler attuò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania. L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei tedeschi trovò, però, forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, dove i trentadue Stati aderenti alla Società delle Nazioni avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni.

     Le uniche nazioni che accettarono di accogliere i rifugiati ebrei furono la Repubblica Dominicana e la Bolivia. Tutte le altre, con motivazione che oggi potremmo definire sconcertanti, rifiutarono ogni forma di accoglienza, soprattutto USA, Francia e Gran Bretagna, le nazioni che maggiormente si erano prodigate - a parole - a favore degli ebrei… Il resto lo conosciamo.

Circolo Culturale Excalibur 











Nota - Per avere copia del libro, autografata dall'autore, scrivere a: circolo.excalibur@libero.it

Una domanda facile facile: "Chi sei tu ?"...

 

Se vi chiedessi chi siete, cosa mi rispondereste? La maggior parte delle persone che conosco pensano di essere un corpo ed i pensieri che popolano la propria mente. Fino a qualche tempo fa anch'io la pensavo così. Poi un giorno ho scoperto che in realtà sono l'amministratore del mio corpo e della mia mente. Certo che ero un amministratore fallimentare: il corpo sfuggiva al mio controllo ammalandosi e la mente era popolata di pensieri che non controllavo. Non ero io che guidavo ma corpo e mente che guidavano me verso l'autodistruzione fisica e pensieri automatici indipendenti dalla mia volontà.

Come se portando un cane al guinzaglio improvvisamente vi accorgete che è il cane a portarvi al guinzaglio.


Una scoperta sorprendente: non sono libero. 


Ma cos'è la libertà? Per diversi anni ho praticato la meditazione yoga ed ho imparato a controllare il corpo e soprattutto i pensieri che affollavano la mia mente. Lo yoga, come anche anche altre discipline olistiche è un ottimo strumento per tornare ad essere i padroni della propria vita e sperimentare la libertà. Ma purtroppo spesso accade che lo yoga viene praticato come una ginnastica e quindi diventa un passatempo o come una dottrina di fede e quindi diventa una religione. 


Fin quando non si prende coscienza che la strada della liberazione si può percorrere solo imparando ad ascoltare i bisogni del corpo, proprio come fa una madre con il proprio neonato. Il corpo è il nostro maestro di vita, il vero guru che non mente mai. Trattando male il nostro corpo ci incateniamo con le nostre mani e soprattutto perdiamo il controllo della nostra mente.


Nasciamo liberi e veniamo istruiti dagli "adulti" a diventare schiavi. Infatti diceva Gesù: se non ritornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli, ovvero non riconquisterete la libertà.


Paolo Mario Buttiglieri





Mio commentino: "Anch'io ho posto la domanda "Chi sei tu?", come titolo di un mio recente libro, mi permetto di consigliarlo ai lettori di questo blog...



Qui una recensione:  https://gognablog.sherpa-gate.com/tornare-a-se/


Filosofi del '900 critici verso la scienza sperimentale...

 


Oltre a filosofi apertamente irrazionalisti (come Bergson, Heidegger, Jaspers) ed idealisti (come Bradley, Croce o Gentile), delle cui filosofie ci interesseremo in un prossimo articolo, è necessario segnalare le figure di alcuni filosofi, che – pur partendo a volte da posizioni vicine a quelle empirico-logiche del Circolo di Vienna (N. 106) – sono approdati a posizioni critiche verso la scienza sperimentale, basata sul principio di induzione (che consiste nel risalire dai singoli fatti sperimentali ad una legge generale) e sulla verifica sperimentale delle teorie(1)(3)(7).

L’austriaco Karl Popper  (1902-1994), dopo essersi staccato dal Circolo di Vienna, ne contestò le posizioni “neo-positiviste” dichiarandosi contrario allo “scientismo”. Il criterio della “verifica” sperimentale dell’enunciato scientifico non sarebbe valida, ma andrebbe sostituito con il criterio della “falsificazione”. Ogni teoria (che – secondo Popper - è molte volte di origine metafisica, e non sperimentale, e nascerebbe da nostri schemi mentali, intuizioni e ragionamenti logici preesistenti all’esperienza), per essere considerata scientifica, dovrebbe dare sempre la possibilità a chi la esamina di dimostrarne la falsità. Ciò avverrebbe controllando le singole conclusioni che si potrebbero ricavare per via strettamente logico-deduttiva a partire da un’asserzione di carattere generale che la teoria dovrebbe sempre contenere per essere considerata scientifica. Basterebbe una singola conclusione contraddittoria per “falsificare” l’intera teoria. Quindi, non sarebbe mai possibile verificare la verità di una teoria, ma solo verificarne la falsità.

Popper, di fede liberale ed anti-comunista, e sostenitore di una “open society” dove tutte le opinioni (anche quelle metafisiche) dovevano essere poste a confronto, affermava che le teorie di Marx non sarebbero scientifiche perché non obbedirebbero al criterio della falsificazione. Il principio di induzione non sarebbe mai valido. Sia l’induzione per “enumerazione” illustrata da Aristotele (in cui si esaminano un gran numero di casi per costruire un’affermazione generale), sia il criterio di “eliminazione” adottato da Bacone e Stuart Mill, in cui si scartano man mano le ipotesi che non rispondono ai fatti, non hanno valore perché i casi e le ipotesi sono infiniti ed è sempre possibile trovare un caso per cui la teoria sia falsa.

Coerentemente con queste posizioni Popper auspicava che – in alternativa alla Scienza sperimentale – si tornasse ad una Scienza “dimostrativa”, e giungeva ad affermare che anche una buona teoria metafisica coerente andrebbe presa in considerazione per essere sottoposta al criterio della “falsificazione”. Popper metteva in evidenza l’importanza della connotazione sociale e persino della psiche dello sperimentatore nella formulazione delle teorie, anche se poi parlava anche dell’importanza della verifica sperimentale che porta all’eventuale falsificazione.

Willard Von Orman Quine (1908-2000), ex frequentatore dello stesso circolo, considerato il massimo filosofo americano del secolo, professore ad Harvard, nega che vi sia differenza tra enunciati analitici (basati sulla logica) e sintetici (basati sull’esperienza), e quindi “verificabili” sperimentalmente con una “riduzione” alle osservazioni sperimentali di partenza, posizione sostenuta dai neo-positivisti del Circolo di Vienna e da Bertrand Russel (N. 106).

Nell’opera “I due dogmi dell’Empirismo” si ripromette di sconfessare l’empirismo. Ad ogni evidenza empirica possono corrispondere molte teorie diverse di varia natura, a seconda del contesto in cui stiamo agendo, e le teorie sono sempre complesse e riconducibili all’esperienza solo con molte mediazioni. Quine giunge a sostenere che credere nell’esistenza degli Dei omerici avrebbe la stessa dignità teorica del credere nelle onde elettromagnetiche!

Inoltre anche il linguaggio con cui esprimiamo un enunciato dipende dal contesto, e quindi il suo significato rimane ambiguo. Famoso è il suo esempio, divenuto quasi una barzelletta: cosa significa la parola “gavagai!” urlata da un selvaggio? Può assumere tanti significati a seconda dei punti di vista, per cui non è possibile prescindere dal contesto reale in cui viene pronunciata e dall’ambiguità dei molti significati del linguaggio.

Quine riprende anche un’idea del fisico francese, e storico della ricerca scientifica Paul Duhem (1861-1916) già sostenitore delle teorie convenzionaliste ed energetiste di Mach (N. 95). Secondo Duhem e Quine ogni teoria scientifica è una somma di tante singole teorie (concezione “olistica”, dal greco antico “olùs”, che significa “tutto”). È quindi molto difficile “falsificarla” (ed anche “verificarla” sperimentalmente, in accordo con le concezioni “riduzioniste” dei neo-positivisti) in quanto non è chiaro quale particolare teoria stiamo considerando falsa (o vera); per cui restano molti margini di ambiguità sulla validità di una teoria complessiva e possibilità di correzioni parziali per validarla.

Nonostante queste posizioni che sembrano portarlo verso forme di scetticismo antiscientifico, Quine mantenne una pur critica fiducia nella struttura della realtà, rappresentata dalla fisica (“Fisicalismo”). Egli fu inoltre sostenitore di una “Scienza naturale” in cui l’apprendimento umano dipende dalla fisiologia (intesa come potenzialità concreta delle terminazioni nervose) e dalla psicologia dell’individuo concreto, che egli interpreta essenzialmente in maniera comportamentale (“Behaviorismo”: vedi N. 100).

Decisamente più astioso verso la conoscenza scientifica basata sull’esperienza è il pensiero di un allievo di Popper e Wittgenstein, l’austriaco Paul Feyerabend (1924-1994) poi vissuto in Gran Bretagna, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Italia e Svizzera. Egli nelle opere “Contro il Metodo” del 1975, e “La Scienza in una Società libera” del 1978, critica l’intera tradizione razionalista e positivista, e persino il “razionalismo critico” del maestro Popper. La Scienza non va valutata per i presunti valori di conoscenza, ma pragmaticamente per i contributi, o gli ostacoli, posti al progresso umano. Essa sarebbe determinata da fenomeni storico-culturali, che variano continuamente, e sarebbe priva di oggettività. Feyerabend attacca apertamente anche Galilei, che in realtà non avrebbe seguito coerentemente il suo stesso metodo sperimentale. Feyerabend sottolinea il soggettivismo dello sperimentatore. Afferma che la scienza è vicina al mito e non è detto che sia la forma di conoscenza migliore. Gli scienziati adattano le loro ricerche alla loro ideologia ed alle esigenze dei loro referenti.

Su posizioni non molto diverse troviamo il professore di Harvard Nelson Goodman (1906-1998), che nell’opera del 1978 “Modi di costruire il Mondo” afferma che il mondo ha la struttura che noi gli diamo in base a ciò che pensiamo e facciamo. Su posizioni analoghe troviamo N.R. Hanson, secondo il quale gli scienziati costruiscono modelli entro cui i dati diventano per loro intellegibili (“Retroduzione”). Quindi nell’opera “I Modelli della Teoria Scientifica” del 1958 conclude che è il modello teorico ad organizzare le percezioni ed addirittura “creare i fatti”, e non viceversa.

Molte delle idee di Feyerabend e di Quine sono riprese dal noto storico statunitense della Scienza Thomas Samuel Kuhn (1922-1996), professore ad Harvard, Berkeley e ricercatore a Princeton(6). Per lui la Scienza si basa su alcuni “paradigmi” culturali, in cui sono presenti motivazioni politiche, religiose, ideologiche, che ne mettono in dubbio l’oggettività(5) (una tesi simile era stata sostenuta anche dal già citato Duhem che considerava la scelta di una teoria fisica come una costruzione simbolica dettata dalle condizioni storiche). Dopo periodi di “Scienza normale” che si basa su un certo paradigma, l’accumularsi di “anomalie”, cioè di contraddizioni, porta al crollo totale del paradigma che viene sostituito da un paradigma completamente nuovo, assolutamente “incommensurabile” con il precedente. Questo schema fu illustrato soprattutto nell’opera “La Struttura delle Rivoluzioni scientifiche” del 1962, anche se in seguito Kuhn tese a mitigare queste sue molto recise conclusioni approdando ad una visione ispirata ad una maggiore continuità nel progresso scientifico.

Su posizioni simili si schierò l’ungherese Imre Lakatos (1922-1974), ex allievo del marxista Lucaks ed ex esponente comunista, poi fuggito in Occidente nel 1956(8). Lakatos, molto legato sia a Kuhn che a Feyerabend, sostiene – come Quine e Duhem – che le teorie scientifiche sono un coacervo di teorie diverse con un nucleo comune. Quindi è semprea razionalità e dalla logica. Ritiene anche che esista una certa continuità tra le varie teorie che si susseguono, ognuna delle quali è valida in un certo ambito, salvo a subire modifiche ed approfondimenti per il verificarsi di nuove evidenze sperimentali (tesi sostenuta anche da Poincaré). Ritiene errate le critiche alla fisica sperimentale di Galilei - peraltro appassionatamente difeso dal fisico Renzetti(2) - condotte da Feyerabend e Duhem (che valorizzava, in alternativa, la fisica medioevale di Buridano e Oresme: vedi N. 30).

Un’altra forma di atteggiamento anti-positivista ed anti-scientifico – essenzialmente romantica, ed ispirata ad un pensiero del tipo di quello espresso da Rousseau – è quello che nel ‘900 è stato espresso dalla Scuola di Francoforte, ovvero l’Istituto per la ricerca Sociale fondato nel 1923 e poi chiuso dai Nazisti(1)(3)(5). La chiusura provocò la fuga negli Stati Uniti di quasi tutti i membri dell’Istituto, in gran parte ebrei, tra cui i filosofi Max Horckeimer (1895-1973) e Theodor Adorno (1903-1969), che nello scritto in comune “Dialettica dell’Illuminismo” del 1947 affermano che il progresso diventa regresso e che la ragione indifferente alla Natura è strumento di dominio.

Nella “Ecclissi della Ragione” – anch’essa del 1947 - Horkheimer criticherà ulteriormente la società industriale che sfrutta la Natura. Sulla stessa strada si pone Herbert Marcuse (1898 – 1979) che nell’opera “Eros e Civiltà” del 1955 parla di un’esistenza liberata dalla repressione sessuale che per lui è funzionale a questo tipo di società. Altre critiche alla società industriale capitalistica sono contenute nello scritto del 1964: “L’uomo ad una Dimensione”.

Queste idee diverranno idee portanti della frangia più radicale ed irrazionalista della grande rivolta studentesca del 1968 iniziata nell’Università di Berkeley. Alcune delle impostazioni di questo gruppo di filosofi sono state fatte proprie anche dall’ala più fondamentalista del moderno movimento ambientalista, dimentico che solo Scienza e tecnica potranno salvarci dal cattivo uso della Scienza e delle tecniche precedenti. A proposito delle più recenti posizioni ambientaliste, rimandiamo anche al ponderoso ed interessante libro dell’amico Giancarlo Paciello citato in bibliografia(4).

Vincenzo Brandi 
















(1) L. Geymonat, “Storia del Pensiero filosofico e scientifico”, VII, Garzanti Ed. 1970-1972

(2) R. Renzetti, “Dal mondo di Aristotele all’opera di G. Bruno e G. Galilei”, Tempesta 2016

(3) W. Adorno ed altri, “Storia della Filosofia”, Laterza 1987

(4) G.Paciello, “No alla Globalizzazione dell’indifferenza”, Petit Pleasure 2017

(5) Ciccotti, Cini ed altri., “L’Ape e l’Architetto”, FrancoAngeli, 2011

(6) S. T. Kuhn, “La Struttura delle Rivoluzioni scientifiche”, 1962

(7) R. Egidi, “La Svolta relativista dell’Epistemologia contemporanea”, Ed.FrancoAngeli

(8) I. Lakatos,”The History of Science and its rational reconstruction”, 1971