Pensiero animalista e dottrina avventista

 




Ellen G. White, i cui scritti ricordiamo sono per gli Avventisti ‘una continua ed autorevole fonte di verità e provvedono al conforto della chiesa, alla sua guida, alla sua istruzione e alla sua correzione’, ha affermato le seguenti cose sulla carne:  ‘L’al­imentazione carnea è dannosa alla salute, e tutto ciò che agisce sul corpo ha un effetto corrispondente sulla mente e sull’anima (…) la carne si deve sostituire con cibi sani e non molto costosi (…) Come possono coloro che cercano di diventare puri, gentili e santi, per poter godere la compagnia degli angeli celesti, continuare ad usare come cibo delle cose che hanno un influsso così dannoso sull’anima e sul corpo?…’ Ed ancora: ‘Mi è stato mostrato che la carne ingerita tende a sollecitare gli istinti più bassi della natura umana.  Questo alimento priva uomini e donne dell’amore e della simpatia che dovrebbero caratterizzare i loro rapporti e permette che gli istinti più bassi dominino le facoltà più elevate dell’animo (…) 

Non vogliamo noi dare una decisa testimonianza contro il soddisfacimento di appetiti pervertiti? I ministri del Vangelo proclamano le più solenni verità che mai siano state date ai mortali. Essi vorranno forse dare il cattivo esempio di ritor­nare alle pignatte di carne dell’Egitto? (…) Quanto all’alimenta­zione carnea, noi dovremmo educare la gente a eliminarla. L’uso della carne è contraria al migliore sviluppo delle facoltà fisi­che, mentali e morali’.

Franco Libero Manco



SCHOPENHAUER, KIERKEGAARD, NIETZSCHE. Il “CONTINGENTISMO” ED IL PRAGMATISMO

 


In questo articolo accenneremo brevemente ad una serie di filosofi, e di scuole filosofiche dell’800 di stampo irrazionalista, sorte come reazione, sia all’idealismo di Hegel (che manteneva comunque un impianto razionalista derivato da influenze illuministe), sia alla fiducia assoluta nella scienza e nella tecnica dimostrata dalle correnti positiviste, da molti governi sostenitori del capitalismo, ed anche da molti scienziati e da ambienti politicamente socialisti(1)(2)(3).




Contemporaneo ed avversario dichiarato di Hegel (considerato un ciarlatano) fu il tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860), che nell’opera più importante: “Il Mondo come Volontà e come Rappresentazione” del 1819, ripubblicata ed ampliata nel 1844, pur dichiarandosi seguace di Kant ed ammettendo l’esistenza dei fenomeni, ha poi precisato che la rappresentazione della realtà esterna sarebbe illusoria ed i concetti derivati da essa solo costruzioni sterili della mente. L’unica realtà sarebbe la “volontà infelice” dell’uomo, che prova dolore per i limiti che sono imposti alla sua stessa volontà. Solo la creazione artistica (in cui la musica ha un ruolo privilegiato) può darci delle idee. La limitazione della volontà individuale, causata dalla compassione o da idee di giustizia, ci porta alla fine a contemplare il “nulla” (fatto che però può darci pace).

Il danese Soren  Kierkegaard (1813-1855), che frequentò a Berlino le lezioni di Schelling, nelle opere “Aut, aut” e “ Timore e Tremore” del 1843, “Il Concetto dell’Angoscia” (1844), “ La Malattia mortale” (1849), si pone essenzialmente il problema dell’esistenza individuale, così come faranno gli Esistenzialisti del ‘900. L’esistenza traversa una fase “estetica” di ricerca del piacere, che però ricade nell’angoscia; una fase “etica” in cui si dà delle regole; ed infine una fase “religiosa” in cui fronteggia l’assurdo del rapporto con Dio, la trasgressione del peccato e la contemplazione – in questo caso angosciosa - del “nulla”. L’opera di  Kierkegaard ebbe larga diffusione, come quella di Schopenhauer, nella seconda metà del secolo.

Il tedesco Friedrich  Nietzsche (1844-1900), nelle sue opere: “Così parlò Zarathustra” (1883-85) ed “Al di là del Bene e del Male    ” (1886), denunciò l’abbandono da parte dell’umanità di un presunto stato primitivo di ebbrezza “dionisiaca” per abbracciare una razionalità “nichilista” di cui l’autore ritiene responsabili la filosofia di Platone ed il Cristianesimo. Bisognerebbe invece andare al di là della morale comune per liberare la propria “volontà di potenza”, utilizzando tutte le proprie potenzialità e raggiungere lo stadio di “Super-Uomo”. La filosofia di  Nietzsche – finito comunque in manicomio – ha influenzato varie correnti irrazionaliste posteriori, ed anche il pensiero di movimenti politici totalitari, come il Nazismo.

Bertrand Russell, e sostanzialmente anche Ludovico Geymonat, stroncano (giustamente, a parere di chi scrive) il pensiero di questi filosofi ritenuti irrazionalisti romantici. Nella seconda metà del secolo si deve segnalare anche il francese Émile Boutroux (1845-1921), la cui filosofia (che ebbe grande successo) fu definita “Contingentismo” in quanto egli riteneva che ogni branca del sapere fosse “contingente” (cioè irriducibile) rispetto ad altre. Essa contiene una polemica esplicita con il positivismo, lo scientismo, e la fisica meccanicistica in auge. Boutreaux si batte a favore dello spiritualismo e ritiene che la religione – basata sulla fede – sia incompatibile con la scienza, basata su verifiche sperimentali. Ritiene che la conoscenza sia un adattamento della realtà alla nostra mente mediante costruzioni “simboliche”. Su posizioni analoghe troviamo Félix Ravaisson-Mollien (1813-1900), sostenitore di uno spiritualismo religioso, e Charles Renouvier (1815-1903), secondo cui è la volontà che ci indica le verità da accettare.

Dubbi irrazionalisti sulla validità della scienza coinvolsero anche noti scienziati come il tedesco Emil Du Bois-Reymond (1818-1896) – che parlò di enigmi insolubili con i metodi della scienza – e come il francese Claude Bernard (1813-1878), che parlò della necessità di conoscenze più alte, di tipo metafisico. Già ne facemmo cenno nel numero dedicato ad Helmholtz (N. 82). Abbiamo anche ricordato (N. 80) la posizione assunta dal filosofo Spencer di valorizzazione della religione per affrontare il problema di un presunto “inconoscibile”.

Chiari aspetti irrazionalisti si trovano anche nell’ambito del “Pragmatismo” americano, corrente filosofica il cui “manifesto” è considerato lo scritto del 1878 di Charles Sanders Pierce (1839-1914): “Come rendere chiare le idee”. L’autore, che già abbiamo segnalato (N. 91) come valente filosofo logico, afferma che la verifica di un’idea è data, non dal fatto se sia vera, cioè se corrisponda alla realtà, ma dai risultati pratici a cui porta, ovvero se ci porta al successo. Per lui infatti conta solo la “razionalità dell’azione” ed il pensiero deve servire solo a realizzare azioni più efficaci. Per Pierce la verità è solo “l’opinione destinata ad essere accettata dall’ultimo di coloro che hanno investigato”.

Su una linea analoga si pose il pensiero di William James (1842-1910), medico e professore ad Harvard (come Pierce), autore dei “Principi di Psicologia” del 1890. Anche per lui è determinante, non la conoscenza (in cui non vi è differenza tra soggetto ed oggetto in un’ottica che ricorda il pensiero di Berkeley), ma l’azione. In un Universo, da considerarsi aperto ed indeterministico, dove nessuna realtà oggettiva sarebbe stabilita, siamo liberi di avere fiducia nei nostri mezzi personali e di poterci migliorare (“Migliorismo”), e dobbiamo scegliere le “credenze” più utili. Tra queste al primo posto James non pone le conoscenze scientifiche ma i postulati etico-religiosi, che sarebbero i più utili ad orientarsi correttamente nella vita.

Impostazioni analoghe, anche se più articolate, si possono trovare nel pensiero di John Dewey (1859-1952), professore all’Università del Michigan, a Chicago ed alla Columbia di New York, considerato il massimo filosofo statunitense di tendenze pragmatiste. Anche Dewey sostiene che – nell’ambito di una realtà articolata ed aperta, di cui bisogna considerare tutti i livelli, fisico, psicologico e spirituale – l’intelligenza deve servire, non tanto alla scoperta della verità, quanto alla vita pratica (“Strumentalismo”). Il pensiero ha un’origine ed un fine pragmatico. La conoscenza è data da un processo (chiamato “indagine”) di adattamento reciproco tra soggetto e fatti esterni, il cui scopo è l’autoconservazione. Anche la logica ha un fine pratico e deve servire solo a riorganizzare i fatti. Le convinzioni che ne scaturiscono sono buone solo se portano a risultati positivi (indipendentemente dal loro contenuto di verità). La morale è solo un mezzo per risolvere problemi. L’educazione è importante in quanto ci deve dare gli strumenti per affrontare la realtà della vita. Essa deve curare sia gli aspetti materiali della vita, sia quelli spirituali.

Bertrand Russell criticò duramente il pensiero del suo contemporaneo Dewey, accusato di voler manipolare i fatti – quasi preso da una volontà di potenza - invece di analizzarli razionalmente e studiarne le cause. Ne seguì una vivace polemica, in cui chi scrive prende chiaramente posizione a favore di Russell.

Vincenzo Brandi





(1) L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti ed. 1972
(2) W. Adorno e altri, “Storia della Filosofia”, Laterza 1987
(3) B. Russell, “Storia della Filosofia Occidentale”, TEA 1995, originale 1945


(*) L'articolo è tratto dal libro "Conoscenza, Scienza e Filosofia", di cui si può chiedere copia all'autore scrivendo a brandienzo1940@libero.it

Osserva te stesso, osserva il tuo essere...



Visitatore: Quale è il metodo  per ottenere il distacco?

Maharaj: Non c'è niente da ottenere. Abbandona le immaginazioni e conosciti per ciò che sei. La conoscenza di sé è distacco. Ogni desiderio è dovuto a un senso di carenza. Quando sai che non ti manca niente, che tutto ciò che esiste è te ed è tuo, il desiderio cessa.

Visitatore: Per conoscere me stesso, devo praticare la consapevolezza?

Maharaj: Non c'è niente da praticare. Per conoscere te stesso, sii te stesso. Per esserlo, smetti di immaginarti come 'questo' o 'quello'. Sii e basta. Lascia emergere la tua natura. Non disturbare la mente con la ricerca.

Visitatore: Ci vorrà molto tempo, se mi limito ad aspettare la realizzazione.

Maharaji: Cosa devi aspettare, se è già qui e ora? Devi solo osservare e guardare. Osserva te stesso, osserva il tuo essere. Tu sai di essere e ne sei contento. Abbandona ogni immaginazione, è tutto qui. Non fare affidamento sul tempo. Il tempo è morte. Chi aspetta, muore. La vita è solo nel momento presente. Non parlarmi di passato il futuro, perché esistono solo nella tua mente.

Visitatore: Anche tu morirai.

Maharaji: Io sono già morto. Nel mio caso, la morte fisica non farà differenza. Io sono l'essere senza tempo. Sono libero dal desiderio e dalla paura, perché non ricordo il passato e non immagino il futuro. Se non ci sono nomi e forme, come possono esserci desideri e paure? La mancanza di desideri porta l'assenza di tempo. Io sono sicuro perché ciò che non è non può toccare ciò che è. Tu ti senti insicuro perché immagini il pericolo. Naturalmente il tuo corpo è complesso e vulnerabile, e va protetto. Ma non è te. Se realizzi che il tuo essere è inattaccabile, sei in pace.

Nisargadatta Maharaj












P.S.  La gente teme di morire perché non sa che cos'è la morte. La morte dà libertà e potere. Per essere nel mondo, devi morire al mondo. Allora l'universo è tuo, diventa il tuo corpo, un'espressione e uno strumento. La felicità di essere assolutamente libero è indescrivibile. Il saggio è già morto, e ha visto che non c'era da aver paura...” (Nisargadatta Maharaj)

Il destino dell'Italia secondo Sathya Sai Baba

 


"Se lʼItalia non si è ancora fatta a pezzi, é per via delle benedizioni dei grandi santi. Questa è la terra di Dio. Questa é la terra dei santi. Tutti loro non sono andati da nessuna parte. Sono tutti qui, vi proteggono, sono qui a dirvi la verità.

Ci saranno momenti molto gloriosi più avanti e ciò che sta per accadere nel futuro e che potrete testimoniare nella vostra vita è di gran lunga al di là di quanto sia mai accaduto nella storia dellʼumanità. Questo tempo meraviglioso è davanti a noi. Siate preparati. Siate fiduciosi.

In tempi a venire, la Divinità in ciascuno sorgerà e molte persone in tutto il mondo predicheranno la verità che tutti sono Uno. Coloro che non riusciranno a capire questa verità periranno, proprio come le piante muoiono quando le stagioni cambiano. Coloro che seguono il percorso del dharma (cioè della giustizia) saranno protetti dal dharma.

Verrà un momento in cui in tutto il mondo ci sarà soltanto una religione: la religione dell’amore. Le persone saranno stufe della meschinità, dell’egoismo, dell’avidità e dell’odio e porranno fine a tutto ciò. Si sveglieranno alle necessità del mondo e diventeranno altruiste, poiché il futuro non gli lascerà scelta. In futuro, non ci sarà spazio, opportunità od occasione per gli egoisti, in quanto essi periranno come risultato delle loro stesse azioni, senza l’intervento di nessun altro.

Se non si adatteranno al futuro, dovranno andarsene, proprio come gli alberi periscono quando la stagione cambia, secondo la legge dell’evoluzione. Lʼevoluzione è l’unica via. Il futuro è per il Divino, non per chi è semplicemente umano. Se non vi eleverete per diventare divini, non sarete adatti al futuro.
Le campane che suonano per annunciare questa nuova era sono al contempo campane d’allarme, perché vi ricordano quanto ancora deve essere fatto: sì, sono un promemoria. Perciò, questi sono tempi che offrono molte opportunità.
 
Dovete cambiare in meglio.

Vi sto spaventando? Non c’è nulla di cui aver paura. Questi esami ci devono essere: alla fine dell’anno tutti devono sostenere gli esami. Perché avere paura quando l’insegnante è con voi e sta insegnando? Se ce la mettete tutta, imparerete la materia e passerete facilmente tutti gli esami.

Questi cambiamenti avverranno nei prossimi anni e molto rapidamente.

Dal 2020 al 2027 ci saranno dei cambiamenti rilevanti nel modo di pensare e nel modo di vivere della gente. Ogni cosa andrà incontro a uno straordinario mutamento. Ciò che potrebbe apparire come distruzione e annientamento è in realtà un processo di purificazione e ricostruzione.
Srishti, sthiti, laya (creazione, conservazione e distruzione) sono tutte parti dell’opera di dio.

Dovete rimuovere le erbacce affinché possa crescere l’albero. Il mondo deve subire un cambiamento improvviso di grande entità. Questi sono i dolori che bisogna subire, i dolori del parto, per far nascere la Nuova Era.

Succederà. Nessuno può fermarlo, né può evitarlo, perché non c’eʼ scelta, fa parte del piano. Se seguite il piano, sperimenterete la felicità; se resistete, sperimenterete la sofferenza.

Vedrete.

Generalmente, ogni volta che predico qualcosa la gente non comprende, in quanto non l’ha mai visto prima e non sa cosa possa essere. Tuttavia, gradualmente, anno dopo anno, vedrete il cambiamento.

Siate felici di essere testimoni di una tale Era. Non accade spesso. Tutti saranno divini, traboccanti di energia divina, vibranti di amore divino. Così diventerà il mondo intero.
Non ti preoccupare. Il futuro dell’Italia é al sicuro, ma il futuro non é come ti aspetti che sia. Il progresso non é al di fuori, ma é dentro.

Questa terra non sta per perire. Coloro che non appartengono allo spirito di questa terra, questi sì che periranno. Coloro che sono dharmici e spirituali continueranno a prosperare. Quando lʼEtà dellʼOro albeggerà, alcune piante sopravviveranno, alcune piante periranno. Alcune persone passeranno alla nuova era, alcune persone se ne andranno, poiché questa è lʼora più buia prima dell'alba.

Cʼeʼ così tanta irrequietezza nel mondo, ma questo va solo a dimostrare che lʼalba sta per arrivare presto; così Io vado in giro a parlare del grande messaggio di amore e di servizio, che vi aiuterà a sbarazzarvi delle vecchie abitudini di egoismo e attaccamento e vi aiuterà ad evolvervi nella nuova era.
Quindi, sì, è necessario preoccuparsi per tutti gli altri, ma in primo luogo, guardate dentro e vedete in che misura vi siete evoluti."

Sathya Sai Baba nel 2011

















Ringraziamenti Navyo Giovanni

Franco Battiato ed il Bardo Thodol

 


In un'intervista del 1998, Franco Battiato ha dichiarato che a ispirare “L'ombra della luce” dell'album Come un cammello in una grondaia (1991) è stato Il libro tibetano dei morti, uno dei testi che più lo hanno influenzato nella sua formazione umana e spirituale. Il Bardo Thodol – questo il titolo originale – che ci permette non solo di entrare nell'antica civiltà del Tibet ma entra anche nelle profondità dell’anima, conducendoci in un viaggio sugli aspetti sconosciuti del nostro io, un io che ad un tratto non ci appare più tanto solido e sicuro.

Catturato dal Bardo Thodol recitato presso il corpo del morto o del morente, Battiato si avvicina a quella luce, di cui però non si può che scorgere l’ombra; proprio la civetta, uccello che spicca il volo sul far del crepuscolo, lo sa bene. E lo fa con un testo pieno di amore per la vita, una canzone che invita a rendere puro il pensiero per accogliere la spiritualità e comprendere la vita come consapevolezza.

L’ombra della luce

UN SOFFIO, come tutto nella vita, accompagnato da una consapevolezza ulteriore, da un 'occhio interiore', che coglie l’essenziale.  Ci sono versi che risuonano nella nostra testa e si cantano da soli: 'E il mio maestro mi insegnò a cercare l'alba dentro l'imbrunire'; 'L'animale che mi porto dentro, che si prende tutto anche il caffè'; 'E ti vengo a cercare perché sto bene con te'; 'Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine'. Anche se non ce ne rendiamo conto, ci ha fatto cantare versi raffinatissimi di filosofi, Sufi, mistici".

UNA CONCEZIONE profondamente terrena e ascetica della vita in cui il senso di ciò che si è fa i conti con la smisuratezza dell’universo. La musica e la filosofia ci portano a riconoscere l’importanza fondamentale del nostro «sentire» in connessione con l’universo. La musica è il luogo della massima separazione e della più intima vicinanza. Un «oceano di silenzio» che è lo sgorgare di una nuova sorgente, alla ricerca di un vuoto che ci colma e che ci rinvia a noi stessi, di contro a questo tempo che riempie tutto per farci sprofondare in «un vuoto di senso» e in un «senso di vuoto».

DALLA RICERCA DI UNA RADICE comune del sapere sono arrivati a esplorare sonorità e modi di dire e pensare presenti a Oriente come a Occidente. Sono riusciti a creare un pensiero musicale cosciente che sfugge l’inganno della superficialità di un mondo che sempre meno riusciamo a comprendere. È nata così la voce, insieme doppia e unica, di un incontro che li ha consegnati a una verità innegabile. Battiato e Sgalambro hanno saputo vivere la generosità dell’arte che ricompone il tutto misterioso della condizione umana attraverso la musica del pensiero. E ci hanno insegnato a far parte di un volo come quello degli uccelli nello spazio tra le nuvole.

LA DIMENSIONE DEL SOGNO, del viaggio, anche solo del viaggio sognato, dentro l’evanescenza – particelle, atomi sonori in corsa in un intervallo di tempo a disegnare flussi cosmici, lo spazio in cui ancora siamo, pensiamo –; è l’ecosistema in cui si muove Battiato negli anni Settanta, tra Stockhausen, influssi filosofici e letterari, l’affiorare di armoniche improvvise a ottundere i suoni cuneiformi della sperimentazione. È un invito al viaggio; un vagabondaggio negli spazi siderali del cosmo in cui risuonano attriti molecolari, vettori luminosi di un moto browniano che balzano d’era in era, dalle origini rarefatte del mondo a un contemporaneo sospeso, come visto, ascoltato attraverso un filtro smerigliato nell’Ombrello e la macchina da cucire che ravviva la cosmogonia di suoni, elettronica, psichedelia respiro macchinismo universale.

L’INIZIO DEL TEMPO (materia, suono posti in posizione fetale), l’inizio delle cose, è come sognato, immaginato: «l’inconscio ci comunica coi sogni frammenti di verità sepolte». Viene in mente William Blake quando scrive che nulla esiste che prima non sia stato sognato: ecco, Battiato riporta alla luce, a un livello di concretezza smagliante, sonante, la cosa sognata, come se l’origine, l’inizio di tutto non fosse che il sogno di una cosa.

SENZA STORIA: piuttosto mito, al limite ucronia come futurizzazione del mito (ad esempio in Mondi lontanissimi), e poi mitobiografia, cioè racconto di sé attraverso le opere, il pensiero, l’immaginazione già stati, i gradi di una memoria arcana quanto personale, indizi concreti dell’inclinazione dell’uomo a scoprire il mito, a scoprirsi in quanto parte di questa enorme mitopoiesi che è il mondo. È il mito sintetizzato, in Mesopotamia, dove, come testimoni della «prima goccia bianca, che spavento/ e che piacere strano/ e un innamoramento senza senso/ per legge naturale a quell’età»; testimoni di quella stilla iniziatica, la cui fuoriuscita allo stesso tempo si stanzia, feconda la terra e porta lontano, dà vertigine, ti sposta in una dimensione atavica, una via lattea grondante, d’eco. Qui «scocca la sua nota, dolce come rosa» (Gesualdo da Venosa), scocca la prima goccia di Pollution – in una scabra meccanica di note – prima di divenire stillicidio nel capolavoro Sequenze e frequenze, diciassette minuti di deliquio elettronico, di proto-techno all’inizio di Sulle corde di Aries, e poi in Clic, quando No U Turn aprirà la strada alla techno di Proprietà Proibita. Folate d’elettronica, di synth, e il ritmo incalzante, costante delle percussioni, in cui stiamo ancora ballando, con scatti robotici e sinuosi, seriosi e canzonatori, al ritorno dal sogno.



(Su  segnalazione  di Ferdinando Renzetti)

Biospiritualità nella vita quotidiana...

 


Volendo abbracciare in un unico contesto il concetto di spirito e di vita, come presumibilmente avveniva durante il periodo gilanico, un tempo in cui c’era solidarietà, impegno civile, coscienza dell’ambiente, della fatica e dei pericoli ma allo stesso tempo spensieratezza, e desiderando riportare quella esperienza unitaria nella nostra vita quotidiana mi sono ritrovato a dover decidere quale parola potesse maggiormente indicare quel pensiero. 

Durante uno scambio epistolare con l’amico bioregionalista Stefano Panzarasa, matrista convinto, lui ha suggerito di usare il termine “religiosità della natura”, come proposto dal filosofo Thomas Berry.  La parola in se stessa è molto evocativa di un ri-congiungimento con l’anima naturale.
Allo stesso tempo il significato di religione (dal latino religio) è “ri-unire” ma non si può affermare che la vita abbia mai avuto separazioni in se stessa.. Se avesse subito una separazione non sarebbe più vita... Infatti nel periodo matristico anche la morte era considerata una fase nel processo vitale. Quindi parlare di religione della natura può essere fuorviante. Poiché in natura è già un tutto unito, un unicum. Preferirei magari usare la parola “biospiritualità”, neologismo antico e nuovo per descrivere ciò che è sempre stato e sempre sarà….

A volte, sembra che le parole nascono per creare discordia fra gli uomini… L’incomprensione sorta con la diversità dei linguaggi, volendo comprendere l’altro attraverso il linguaggio, è alla base delle antipatie che gli esseri umani percepiscono gli uni verso gli altri… Prova ne sia il negro che ci parla in bantu viene visto con sospetto e timore, mettete che lo stesso negro si mette a parlare in italiano, o addirittura nel nostro dialetto familiare, ecco che improvvisamente diviene uno di noi,  un fratello di colore diverso.

Questa verità l’ho potuta sperimentare svariate volte a Calcata dove la comunità etnica è molto variegata però siccome parlavamo tutti allo stesso modo, al massimo con un leggero accento straniero (tra l’altro ognuno di noi aveva un leggero accento d’origine essendo tutti forestieri), ecco che diventavamo  comunque tutti calcatesi,  indipendentemente se siculi, romani, veneti, europei est ovest, americani nord sud, africani, etc. etc.

Il linguaggio comune unisce  ed all’inizio tutti gli umani parlavano la stessa lingua, il “nostratico” viene chiamato in glottologia, poi da quella radice, nella diaspora umana planetaria, sono sorti rami e ramoscelli sempre più diversi.  La mitologia della torre di Babele è simbolica ma veritiera. Gli uomini appena salvatisi dal diluvio universale invece che andare a ri-abitare il pianeta, ridiventato fertile dopo il cataclisma, si concentrarono tutti in un luogo e cominciarono ad erigere un monumento di ringraziamento a Dio (forse però a quel tempo era la Dea), simbolicamente questa torre zigurratica saliva sempre più in altezza (per arrivare in cielo) ma l’uomo è fatto per la terra e così Dio (o la Dea) confuse i linguaggi.. e gli uomini che non potevano più comprendersi si allontanarono in gruppi omogenei alla conquista del mondo.. chi qua chi là, chi su e chi giù, finché tutto il pianeta fu abitato.

Certo questa è una favola ma fa pensare come la differenza delle lingue allontani l’uomo dall’uomo. Sarà per questo che in ogni epoca un potere emergente cerca di stabilirsi attraverso una lingua? Sicuramente è avvenuto così.. il sanscrito, il greco, il latino… ed ora l’inglese, come lingue veicolari temporali, ne sono riprova.

Ma aspetta aspetta, non intendevo fare un discorso semantico linguistico,  anzi, volevo parlare dell’unico elemento che è in grado di unire e di far riconoscere l’uomo in se stesso e agli altri come manifestazione della stessa matrice vitale. Questo elemento è la “coscienza-intelligenza”, che unisce tutti i viventi e -in latenza- anche il mondo inorganico.

Questa coscienza/intelligenza è stata definita da tempo immemorabile “spirito” (diverso da anima che sottintende una personalità individuale). Lo spirito tutti ci accomuna e la “spiritualità laica” è la comprensione sincretica che ognuno compartecipa allo spirito. Spirito e vita sono consequenziali ed inseparabili. Perciò lo spirito non può divenire mai appannaggio di alcuna religione, poiché le religioni sono create da e per le anime, per le persone che si considerano separate. Per tale ragione spesso definisco la vera spiritualità come “laica” (dall’antico significato del greco “laikos” al di fuori di ogni contesto sociale e religioso).


Questo termine, spiritualità laica, non piace a molti.. oppure alcuni cercano di spiegarla a modo loro, come una forma di credo para-religioso, si professano “spiritualisti laici” i massoni, i cristiani che conducono vita secolare, gli aderente alle nuove religioni new-age, etc. Mentre altri, completamente contrari al concetto di “spirito” negano che possa esistere una qualsiasi spiritualità in qualsivoglia forma.

Insomma, per fare chiarezza e definitivamente sancire l’indissolubilità tra spirito e materia, mi è venuto in mente di spiegare questa spiritualità laica come “biospiritualità”, in modo che così siano tutti felici e contenti, sapendo che vita e spirito sono la stessa cosa. E cosa si intende per biospiritualità? Vuol dire che il più alto ottenimento si ottiene qui ed ora, non in qualche altro luogo od in qualche altro tempo. Non siamo in in esso ogni momento dell’esistenza. La Realtà Suprema non è in un altrove ed a parte da questa esistenza. La Terra, l’Universo ne sono impregnati. 

Biospiritualità è l’espressione, l’odore sottile, il messaggio intrinseco, che traspira dalla materia tutta. 

Il sentimento di costante presenza indivisa.. la consapevolezza dell’inscindibilità della vita, riconoscibile in ogni sua forma e componente, partendo dal “soggetto” percepiente, questa è la pratica stabile dell’essere biospirituale. La conoscenza suprema significa sapere che tutto quel che “è” lo è in quanto tale. Perché l’esistente è uno, non può esserci “altro”…

Ed infatti l’ostacolo posto dalle religioni è proprio quello di immaginare uno stato “altro” da ottenere, superiore od inferiore che sia, diverso da quello presente. Ma allorché l’oscuramento viene rimosso dal cuore dell’uomo, improvvisamente ci troviamo a Casa. Possiamo definire questo stato “liberazione” dall’illusorio senso di separazione, poiché la biospiritualità non può ammettere separazione ma solo diversità nei modi espressivi e nelle forme esteriori.

Al momento opportuno ognuno di noi sentirà l’impulso a riconoscersi in quel che è ed è sempre stato.. e questo è lo scopo della biospiritualità. Ed è un modo per andare verso la nuova era ecozoica auspicata da Thomas Berry.


Paolo D'Arpini
Rete Bioregionale Italiana











OTTIENI CIÒ CHE HAI GIÀ



Il fatto che dio ti protegga è una benedizione, ma la benedizione è possibile solo se sei in beatitudine. Questa è una delle leggi fondamentali della vita: se hai, avrai di più, se non hai, perderai anche quello che hai. È una legge molto strana, ma bisogna capirla. Non c’è niente da fare, bisogna seguirla: è così.

È così nel mondo comune, è così nel mondo interiore. Il ricco diventa più ricco, perché il denaro attira più denaro; e il povero diventa più povero. Lo stesso vale anche nel mondo interiore: la persona beata diventa più beata; tutte le benedizioni di dio si riversano su di lei. La persona infelice diventa più infelice. Ottieni solo ciò che hai già, perché ciò che hai diventa una forza magnetica che attrae qualcosa di simile a sé. È come quando un ubriacone arriva in città: presto troverà altri ubriaconi. Se arriva un giocatore, presto incontrerà altri giocatori. Se arriva un ladro, troverà altri ladri. Se arriva un ricercatore della verità, troverà altri ricercatori. Qualunque cosa creiamo in noi diventa un centro magnetico, crea un certo campo di energia. E in quel campo di energia le cose iniziano ad accadere.

Quindi, chi vuole la benedizione di dio, deve creare tutta la beatitudine di cui è capace, deve fare del suo meglio; e la sua beatitudine diventerà mille volte più grande. Più ne hai, più ne arriverà. Una volta compreso questo segreto, si diventa sempre più ricchi interiormente e sempre più profonda è la gioia. E non c’è fine all’estasi, bisogna solo iniziare nella giusta direzione.

La sensazione di essere un estraneo deve essere trascesa, perché è fondamentalmente sbagliata. Facciamo parte dell’esistenza, non siamo estranei. Siamo onde dell’oceano, non siamo estranei all’oceano. Come possiamo essere estranei all’oceano? Nasciamo dall’oceano, ci viviamo, un giorno ci spariremo dentro. Ne facciamo parte. Questa esistenza è la nostra casa. Non siamo estranei; anche se volessimo non riusciremmo a starne fuori, ne facciamo parte. 

Non c’è alcun luogo dove andare, non possiamo uscire dall’esistenza, è tutto dentro. Non c’è un confine dove l’esistenza finisce e possiamo saltarne fuori. Il pesce può uscire dall’oceano, ma noi non possiamo uscire dall’esistenza, è impossibile. Ovunque siamo, siamo radicati nell’esistenza.

Questo è il sentimento religioso fondamentale. Una persona non religiosa sente di essere uno straniero, un estraneo, un alieno. Quella sensazione è cresciuta molto in questo secolo. In tutto il mondo tutte le persone intelligenti soffrono di uno strano tipo di malattia. La malattia può essere chiamata “sensazione di essere estranei”, di non appartenere all’esistenza, che l’esistenza non ci appartiene, che siamo solo degli incidenti, che non stiamo adempiendo a nessuno scopo, che non siamo necessari, che le cose andrebbero benissimo senza di noi, che siamo superflui. Tutto questo è totalmente sbagliato, assolutamente sbagliato.

Persino un minuscolo filo d’erba è intrinseco, non accidentale. È importante quanto la stella più grande. Senza di lui l’esistenza non sarà la stessa, qualcosa mancherà, rimarrà uno spazio vuoto. Non è superfluo, niente è superfluo. Quando lo capisci, tutta la paura scompare e arriva un grande rilassamento naturale. Diventi capace di riposare, perché questa è la nostra casa.

Percepire l’esistenza come “casa”, sentire che è nostra madre, nostro padre, che gli alberi e le montagne e le stelle sono la nostra famiglia, è l’esatto significato della parola “dio”.

E dio è dolce! E anzi, il fenomeno più dolce, il fenomeno più delizioso è dio. Chi ha assaggiato dio ha assaggiato il nettare. Diventa immortale, non sa nulla di nascita e morte. Per lui il tempo diventa irrilevante, inizia a vivere nell’eternità.

Man mano che si va in profondità nella meditazione, la vita diventa sempre più dolce, piena di canzoni, musica, gioia. Migliaia di fiori sbocciano e tutto l’anno è primavera. E tutto diventa profumato di dio, perché tutto è pieno di dio. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un modo per vederlo; e la meditazione è il modo.

I miei sannyasin devono vivere una vita di beatitudine, questa è la loro meditazione. Devono abbandonare ogni serietà, devono diventare più giocherelloni. Devono considerare la vita non come un problema, ma come un mistero. Se lo consideri un problema diventi serio, perché allora sorge una grande tentazione di risolverlo ed è irrisolvibile. Ti porterà a una serietà sempre maggiore, alla frustrazione, alla tristezza.

Non è possibile arrivare a una conclusione. Sì, potresti trovare molte risposte, ma ogni risposta creerà più domande di quante ne risolverà. Ecco perché i filosofi, i teologi, diventano molto seri. Perdono ogni giocosità. Dimenticano cosa significa essere leggeri e se dimentichi cosa significa essere leggero dimenticherai cosa significa essere pieno di gioia, perché sono due aspetti dello stesso fenomeno. Essere leggeri è un requisito fondamentale affinché la gioia accada.

La gioia accade solo negli stati d’animo leggeri. 

Non prendere la vita come un problema, non è affatto un problema. È un mistero da vivere, non da risolvere; è da godere, ballare, amare, cantare, ma non da risolvere. Non è un enigma, non è una sfida a risolverla. È una sfida a esplorarla, con meraviglia, con stupore, come un bambino.

Per i miei sannyasin la beatitudine è meditazione e più diventi beato, più diventi meditativo. Quindi impara a essere allegro; prendi le cose come divertimento. Tutto deve essere preso come divertente, persino la morte.

Se riesci a vivere la vita come se fosse solo un ruolo che stai interpretando in una commedia, sei diventato un sannyasin.

La beatitudine è dio. Non esiste altro dio: essere beati è essere divini.


Osho

 

Tratto da: Osho. The Imprisoned Splendor

Anche gli altri animali sono esseri umani

 


A partire dalla fine degli anni '80 del secolo scorso, quando ancora il circolo vegetariano VVTT aveva sede a Calcata, abbiamo raccolto migliaia di firme  affinché lo status di "esseri umani" venisse riconosciuto a tutti gli animali. 

Ovviamente se ciò avvenisse comporterebbe immediatamente la chiusura di tutti gli allevamenti  e di tutti i mattatoi. Ricordo che inviai agli allora governanti quella richiesta, cercando di sensibilizzare anche l'allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, il quale ci rispose dicendo che non era nelle sue prerogative intervenire in tal senso. Beh, successivamente, anche per tacitare l'opinione pubblica,  passò almeno la legge contro il maltrattamento degli animali da compagnia, che oramai sono diventati a tutti gli effetti "compagni di vita" per molti umani. 
Purtroppo la stessa considerazione non è rivolta verso gli altri animali che ancora sono torturati  e vivisezionati, maltrattati in tutti i modi, uccisi per scopi culinari o per gioco e divertimento.  Qui rilevo che anche la chiesa cattolica  non considera la “pietas” verso i nostri consimili come una necessità etico-filosofica (per non dire religiosa e morale).
Paolo D’Arpini 

Racconto tratto dal libro  “Incontri con i santi”







La scimmia ed il Kalaò
Dopo un mese ad Abidjan mi sembra di aver conosciuto tutto della città, perlomeno nell’ambito dei rapporti e dei luoghi che mi erano consentiti. Chiacchierate attorno alla piscina dell’hotel più “in” (quello dove andavano i turisti americani) per stare a contatto con i ricchi, puntate nelle taverne africaine (frequentate da prostitute e gente di malaffare), nottate passate in terrazze della città vecchia fra i tamburi che ripetono senza sosta il loro richiamo verso l’istinto, qualche festa o cena nella villa di qualche annoiato patron francaise e soprattutto permanenze pomeridiane al famoso Kalaò, il bar riferimento dei viaggiatori e della scenografia, una specie di Harris Bar in Costa d’Avorio.
Ero ospite di una signora francese che aveva sposato un alto funzionario africano e poi si era separata e viveva un po’ allo sbando ed un po’ nel finto decoro in una casa normale di Cocodì, il quartiere elegante di Abidjan. Con me c’era anche una piccola banda di giovani avventurosi e di belle speranze, giunti anch’essi ognuno per proprio conto alle porte dell’Africa Nera. Uno svizzero, due francesi ed un altro italiano, oltre ad un meticcio che era anche l’amante della donna. Ripagavamo l’ospitalità con qualche poulet e qualche bottiglia di birra. A quel punto tutte le avventure che si potevano vivere ad Abidjan mi sembravano già vissute, le brochettes avec piment erano state tutte assaggiate, i ristoranti visitati, le ragazze frequentate, non mancava nulla e sentivo veramente di averne abbastanza della solita solfa e delle solite cose di un’apparentemente eterna “vacanza”. Sentivo la necessità di qualcosa di vero. Decisi un bel giorno di andarmene in brousse, di andare in qualche villaggio sulla costa, star da solo per scoprire nuovi agganci nuovi rapporti nuove situazioni. Salutai gli amici del Kalaò e partii, non ricordo come, forse su un pullman forse facendo autostop. Giunsi in un posto che era abbastanza lontano dalla città, dove non c’erano bouvettes né turisti, solo l’oceano e qualche rada villa. Gironzolavo attorno cercando un posto per piazzarmi e trascorrere il tempo in isolamento e riflessione. Percorrevo a piedi una strada che costeggiava l’oceano, sentivo il rumore forte dei flutti e delle onde, attorno a me alberi maestosi che mi riparavano dai cocenti raggi del sole. 
Ad un certo punto vidi in distanza una specie di tukul disabitato che stava a poca distanza dal mare, proseguii in quella direzione e scorsi, nascosta dalla vegetazione, una grande villa colonica di cui forse il tukul era una dependance, mi avvicinai all’ingresso per capire che aria tirava e proprio allora mi avvidi di una grossa scimmia che mi guardava. Era uno scimpanzé molto grande, alto all’incirca come me, muscoloso e sveglio. Mi sentivo un po’ a disagio ma osservando meglio scoprii che lo scimpanzé era legato ad una catena e capii che era stato messo lì di guardia per spaventare i passanti. Mi avvicinai ma restai a due passi dalla bestia, non aveva un’aria minacciosa, anzi mi ispirava molta pena. Pensate un animale così nobile ed intelligente costretto alla catena, davanti alla vastità della foresta e dell’oceano, solo per accontentare le esigenze di qualche riccone egoista. Rimasi per un bel po’ a fissare la scimmia ed anche lei mi guardava, sembrava che leggesse il mio sguardo.
Sentii l’impulso di avvicinarmi ancora e restai in silenzio davanti a lei con rispetto e compassione, non osavo avvicinarmi di più, la paura dell’animalità me lo impediva, allungai una mano come per salutarla ed in quel preciso istante la scimmia repentinamente si allungò al massimo della lunghezza consentita della catena e mi abbracciò. Si, mi prese fra le sue braccia muscolose e pelose e mi strinse al suo petto con forza. Pensai di svenire, immobilizzato in quell’abbraccio, ma non urlai, non tentai di scappare, ero esterrefatto, fermo, non volevo offenderla o creare una situazione reattiva in lei. Un momento indimenticabile in braccio a King Kong….. Ad un certo punto, non so dopo quanto, la scimmia aprì le braccia e mi lasciò andare, indietreggiai di un passo, non fuggii, e continuai a guardarla per capire cosa mi avesse voluto dire. Mi accorsi allora che era una femmina.
Ormai era scesa la sera mi allontanai e mi sdraiai nella capanna, con il vento ed il mare che ululavano divertiti della mia angoscia, rimasi in un trepido ascolto. Ero così sconvolto, così stranito, che la notte non riuscii a chiudere occhio, quel tukul mi sembrava l’ingresso dell’ade, una voce inconscia mi diceva che dovevo lasciarmi andare alle forze oscure della natura, mi masturbai senza alcun piacere come se dovessi semplicemente compiere un dovere od un rito. L’indomani mattina presto ritornai sui miei passi, la scimmia non c’era più. Abbandonai ogni progetto di solitudine e riflessione e feci ritorno al Kalaò ed alla vita di Abidjan.
Ma non durò ancora a lungo….
Paolo D’Arpini




Protostoria o psicostoria? – L’antagonismo per la supremazia fra Luni e Narce

I fatti qui riportati, inerenti i primordi della civiltà italica ed europea,  risalgono a diverse migliaia di anni fa. Sono tratti dall’Akasha, la memoria collettiva, e non hanno quindi una base storica certificata. Ciò non toglie che possano corrispondere a verità….

Ricerche archeologiche  a Luni sul Mignone

Nei piani della trama primigenia, nel gioco dei meccanismi di potere  all’interno della società umana, pareva destino che Luni, che vuol dire luna, la proto città sul Mignone, divenisse il faro di luce della civiltà  per l’intero vecchio continente. Luni era nata come progetto femminile di una società egualitaria, un primo esperimento sociale di armonia fra i due generi.

Di conseguenza questa città, che si fa risalire al tardo neolitico – prima età del bronzo,  era concepita come luogo d’incontro orgiastico e di piena libertà espressiva. La fioritura conseguente fu una società  fluida e scorrevole, come l’acqua. Ed infatti i sacerdoti di Luni adoravano l’acqua ed avevano controlli psichici su questo elemento.  Le cose sembravano andare per il verso giusto e non sussistevano preoccupazioni per la espressione di una grande civiltà  liberale.

Nel frattempo però, al di fuori da ogni convenzione creativa, era sorta un’altra città, a pochi chilometri in linea d’aria, costruita  sulle sponde di un  fiume biondo, che era stato il Tevere,  ed ora era il Treja. Quest’incomodo, questo intruso, che si inseriva nei piani del potere e dei modelli sociali,   si chiamava  Narce , che vuol dire arca.

La proto città di Narce era depositaria del fuoco, il sacro rito del fuoco che si manifesta  attraverso i costumi,  indicazioni  che seguono un ordine di valori.

Gli abitanti  di Narce  erano pastori che innalzavano are per adorare il dio del fuoco. Il continuo ardere dava ai sacerdoti di Narce il controllo psichico sul fuoco.

Ben presto, allorché fu chiaro che gli esempi propugnati erano opposti, iniziò un subdolo contrasto fra le due città. Narce e Luni si combatterono prima sul piano ideologico, cercando di dimostrare  il valore ed il significato del messaggio sociale evocati nel loro modello ma non ebbero successo in ciò giacché  entrambi gli esempi fornivano ragioni sufficienti di esistenza. Ovviamente i sacerdoti sentivano che un compromesso non era possibile, le due posizioni erano troppo distanti ed antagoniste. Fuoco contro Acqua.

I sapienti delle due città decisero allora di utilizzare i poteri acquisiti  sugli elementi in modo da condizionare o distruggere il nucleo opposto.  I maghi di Narce scaricarono il massimo dell’energia  ferale su Luni e quelli di Luni sconvolsero le acque di Narce.  Il risultato fu che ognuna delle due comunità dovette isolarsi completamente per difendersi dalle emissioni psichiche. Le due comunità si nascosero l’un l’altra divenendo città invisibili. Il risultato insolito di questa lotta portò al cambiamento del piano originario di civiltà.

Luni  o Narce, nessuna delle due essendo in grado di emergere ed essendo addirittura scomparse alla vista, esse passarono il loro modello all’inconscio collettivo e si celaroro nelle loro nicchie di terra, lasciando solo criptici segnali nascosti vecchi di migliaia di anni.

Nel frattempo la lotta era passata di mano, lo schema per la civiltà futura doveva andare avanti, ed il destino dell’uomo, in questa parte del mondo, continuò a tessere la sua tela. E si   manifestò  -ancora una volta- in due modelli antagonisti: Roma e Veio.

Ma stavolta i sacerdoti ed i potenti delle due città, memori della scomparsa di Luni e Narce per colpa dello scatenamento delle onde pensiero, decisero di ricorrere ad altri mezzi e così   s’inventarono la guerra.

Paolo D’Arpini

I suoni della preistoria

Concerto preistorico sulla collina di Narce (Calcata)

"C'era una volta" ... vendesi!

 


Tutto sussiste sia in quanto reale che in quanto suggestione. Entrambe, per esserci, sono soggetti alla nostra narrazione, la quale non solo è tanto reale quanto suggestione, ma è, a sua volta, tanto generatrice di realtà quanto di suggestioni. Entrambe sono autoreferenziali ed entrambe sono concepite come definitivamente reali. Nel mondo duale il dilemma di ciò che è vero e di ciò che non lo è ontologico, come la sofferenza, da esso generata. Quindi, astenersi scientisti perditempo. Ovvero a tutti coloro che all’ombra del vessillo della scienza ritengono che la loro verità superi le altre; a coloro per i quali la sola fuga verso la Verità è misconoscere il transitorio carattere e mutevole divenire degli ambiti in cui mutando, sussiste.




Narrazione del cosmo

Il flusso cosmico dell’energia scorre in noi. Quando non è interrotto siamo il benessere. Se deviato, ingarbugliato da cattivi sentimenti ed egoiche pretese, genera malessere. Significa essere isolati dalla verità del cosmo, dall’armonia.

L’ingarbuglio è apparentemente provocato anche da altri. Ma l’indulgenza non aiuta. Se il groviglio è complesso, ci vuole solo l’opportuna dedizione per scioglierlo.

Se isolati dal flusso universale possiamo immaginarci dentro un bozzolo, nel quale la nostra energia come nell’ossessione gira su se stessa e genera endemici mondi di pena. Chiusa in circoli viziosi o spinta da ardite pretese, ridonda e tende a collassare. I cattivi sentimenti ne sono nutriti. Il dominio su noi stessi è perduto. Avvertiamo malesseri. Se di lunga o forte durata, generiamo malattie.

Diffondiamo l’aura i cui toni cromatici esprimono la nostra natura, il nostro livello evolutivo e la nostra condizione intima del momento. Gli animali pare li vedano. I cani ci abbaiano, i gatti ci curano.

Nel sonno, libero dall’invadenza dell’io, quindi dai suoi sentimenti e relativi nodi, rigeneriamo noi stessi a causa del flusso energetico cosmico che torna libero a scorrere in noi. Rigenerare è parola opportuna, bambini e cuccioli lo sanno. Nei lunghi sonni, creano se stessi. Ma anche gli adulti, che si ripuliscono dai vincoli delle incertezze.

Ma ci sono tutti i livelli di grado. Nel sonno disturbato la presenza dell’io seguita a deviare l’energia cosmica e succhiare la nostra. Ci si sveglia con fatica e ci si sente stanchi, inetti a riconoscere la gratitudine per la vita.

Come nel labirinto della mente, intenti a inseguire i richiami dei pensieri e dei suoi opposti, siamo costretti a percorrere le narrazioni di tutte le direzioni. Fuori da esso, i dilemmi e i drammi del vivere si mostrano per quello che sono, sentieri senza uscita, le cui verità fittizie sono sirene di Ulisse alle quali possiamo ora resistere. Ne vediamo le illusioni, i veli di maya che ci nascondevano a noi stessi.




Narrazione del dolore

Prendere coscienza di essere gli artefici del nostro destino a causa dei sentimenti coi quali ci indentifichiamo, a causa delle reazioni alle nostre emozioni, permette di avviare un processo di emancipazione nei confronti della logica dell’io. Una specie di maschera che non sappiamo d’indossare. Segno di un battesimo culturale del quale non ci avvediamo. Permette di liberare quei nodi d’interruzione della partecipazione al cosmo. Permette la guarigione, se la malattia è presa in tempo, se il fisico non ha passato il punto di non ritorno. Ma anche, per alcuni, di rigenerare parti del corpo fisico  denti per esempio – normalmente considerate senza possibilità di replica.

Il cammino verso la consapevolezza del ruolo con il quale ci identifichiamo è un processo autopoietico. Non servono libroni, professorini e professoroni, esperti e specialisti: è già tutto in noi, come il crescere di un bimbo è già tutto in lui.

Affinché il dolore, di cui vantavamo il diritto di affermarlo sopra ogni altra cosa, cessi di essere una occulta richiesta d’aiuto, un’espressione d’indulgenza e vittimismo, affinché, come il sasso nella corrente che crea la marmitta, arresti la sua ridondanza erosiva di bellezza, è necessario trasmutarlo. Non più soltanto prendendocene la responsabilità. È necessario divenire portatori, non più del nostro dolore ma del dolore del mondo.

Non solo portatori, ma anche perpetuatori, almeno finché il ciclo delle rinascite del quale siamo parte non interrompa il suo/nostro egocentrico motore. È un fermate le macchine che richiede di essere capitani di noi stessi, che richiede l’emancipazione dal nostro io. Quando non c’è più qualche perché proprio a me?, scompare ogni vittimismo, così come la pretesa d’essere accuditi.

Assumendoci il dolore del mondo ripetiamo il percorso – con tutto il rispetto per i ricercatori ben più anziani – di Cristo, emblema dell’evoluzione disponibile ad ogni uomo. Detta di amore, di armonia, di partecipazione al cosmo.

È un’assunzione di responsabilità, che per compiersi richiede la morte personale, richiede il ridimensionamento dell’io a fittizia impalcatura di forze opposte alla creatività. Un percorso necessario per la purificatrice dai peccati, di ciò che sta sotto il dominio del male. Solo mondati dai vizi capitali possiamo vivere l’Uno, la sua energia. Escludendo la scienza, che prende un occhio e ci dice in cosa consiste, nulla esiste da isolato, senza la relazione e la contiguità che lo conforma in un certo modo. Ciò che è o viene separato dal tutto è a suo modo cancro e cancerogeno. Non è evidente la relazione tra la nostra epoca e il crescente popolo di terminali del grande male? Non è evidente che stiamo remando nella direzione meno umana e più malefica?

Il corpo richiede 72 ore per modificare il proprio stato di salute, tanto per perderla, quanto per ristabilirla. Ci vogliono 72 ore, cioè tre giorni per permettere al digiuno di compiere la sua opera di disintossicazione, affinché, anche attraverso questa pratica, il flusso cosmico d’energia incontri meno ostacoli in noi e ci permetta di sentire la via a noi opportuna, tanto nella vita, quanto nella circostanza. Per alcuni è cosa nota ed emblematica, per altri no. L’avevo accennato: astenersi scientisti perditempo.

Con la dovuta motivazione è togliere, più che ad acquisire, saperi, che si può giocare al gioco della maschera che non sapevamo di avere. Ma ora senza paura, creativamente consapevolmente. Si può arrivare alla libertà di noi stessi. Non una vita senza dolore, né colma di piacere. Ma dentro un’armonica vibrazione che permetterà di vivere al meglio, anche nel dolore. Che permetterà di evolvere ancora verso la forza e l’equilibrio. Che permetterà al qui ed ora di sostituire il passato e il futuro in un numero crescente di occasioni. Quella condizione oltre il dominio del dualismo e del pensiero, oltre le resistenze dell’io, tanto all’origine delle sofferenze, quanto del tempo, delle dottrine, delle dipendenze, delle pretese, dei desideri, degli opposti, dell’avere in cui si svolgono tutte le narrazioni in vendita.

Lorenzo Merlo