Scorrere nel grande flusso dell'esistenza...



Secondo Ramana Maharshi, tutto ciò che noi viviamo è stabilito dal momento della nascita, la nostra libertà sta nel sentirci  o meno coinvolti, reagendo con desideri o repulsioni nei confronti del vissuto in corso. Desideri e repulsioni producono forme pensiero che vengono successivamente proiettate in altre "incarnazioni" (non intendendo particolarmente  incarnazioni dello stesso ente). Queste forme pensiero insomma producono nuovi nomi e nuove forme che cercano un completamento. E' un meccanismo spontaneo dell'evolversi della coscienza nello spazio tempo. 


Comunque -sempre menzionando Ramana Maharshi: "dal punto di vista del Sé (Coscienza impersonale assoluta) non esiste progresso o regresso ma dal punto di vista della mente l'evoluzione è continua."

Ed in verità se assumiamo un atteggiamento distaccato, lasciandoci scorrere nel grande flusso evolutivo, non significa che le nostre predisposizioni non possano interagire con le situazioni. Il distacco consente una migliore prestazione. Ma anche questo atteggiamento è in qualche modo "determinato" dal processo evolutivo in corso. 

Per questo nel Libro dei Mutamenti  (I Ching) si distinguono le due tendenze:  involutiva (la via degli ignobili) ed evolutiva (la via dei nobili), come indicatrici del livello di adesione alla realtà. 

E la vita si gode quando non c'è repulsione o desiderio ma quando si persegue la propria natura con soddisfazione ed innocenza.

Paolo D'Arpini



La filosofia di Costanzo Preve...



La filosofia è un campo di battaglia, Costanzo Preve condivideva questa affermazione di Kant, naturalmente “campo di battaglia di idee”, in questi giorni constatiamo quanto tale affermazione sia negata nella sua prassi. La famiglia Preve ha dovuto difendere il compianto Costanzo Preve dall’accusa di negazionismo. La parola negazionista è tornata a circolare in quest’ultimo anno. La parola frecciata è utilizzata nella sua tragica associazione all’Olocausto per tacitare coloro che vorrebbero dialogo e maggiori e più trasparenti informazioni sullo stato attuale della pandemia. La parola “negazionista” è utilizzata, in generale, per tacitare le idee dissenzienti e coloro che sfuggono dalle maglie della gabbia d’acciaio e che si sottraggono alla ghigliottina del pensiero unico. Non è garanzia di verità sottrarsi al conformismo generale, e la ragione non è detto che stia dalla parte dei dissenzienti, ma in una democrazia ci si confronta sulle idee e sulle argomentazioni come Platone ci ha insegnato nei suoi dialoghi. L’accusa di “negazionismo” a Costanzo Preve non ha ragion d’essere alcuna.

Chiunque abbia letto i suoi innumerevoli testi non troverà mai una sola affermazione che possa essere associata al negazionismo. Costanzo Preve da libero pensatore con l’abitudine alla complessità e all’inserimento degli eventi storici all’interno di contesti e prospettive concrete ha sempre denunciato l’uso dell’Olocausto a fini politici ed imperiali. Il mondo accademico abituato alla “citatologia”, come affermava il filosofo Preve. Per Costanzo Preve l’Olocausto è stato un crimine contro l’umanità doppio: la prima volta con l’assassinio di milioni di esseri umani inermi, la seconda volta con l’uso strumentale di tale crimine per occultare crimini eguali come le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e per congelare il presente in un tempo mitico senza futuro ed alternative.

 

Per la democrazia del confronto

Non vi sarà democrazia sostanziale fin quando non saranno riconosciuti i crimini dei vincitori e dei vinti. L’Olocausto è stato trasformato nell’ottica di Preve in una religione da usare per impedire la vista delle forze che umiliano e sussumono l’umanità nella contemporaneità, per cui si spingono i giovani ad immaginare che il nazista è sempre alle porte, di conseguenza le forze che precarizzano e privano della loro dignità intere generazioni possono tranquillamente operare, in quanto l’attenzione è orientata al passato, mentre il presente è un Eden in cui regna la tecnocrazia con i suoi servi. Costanzo Preve è stato un filosofo, perché ha pensato e vissuto la filosofia, in un mondo accademico che, in media, è banalmente allineato sulla linea del potere. Preve ha testimoniato nella carne vissuta che è possibile rendere la filosofia prassi vissuta, e forse, questo lo ha reso pericoloso ed incomprensibile. Alla filosofia come campo di battaglia è succeduta la filosofia come mezzo per adeguare le menti alla globalizzazione e all’economicismo. Normalmente la filosofia, in tal modo, è tradita ed uccisa. Il crimine che fu compiuto contro Socrate continua a perpetuarsi anche nel presente in modo differente, anche semplicemente con l’ostracismo mediatico delle idee. Il consiglio che avrebbe dato Preve a coloro che lo accusano di negazionismo o altro, sono convinto, sarebbe stato di leggere le sue opere e poi giudicarlo. Tale invito sarebbe stato dato con notevole “passione”. Concludo riportando ciò che Costanzo Preve affermò in una intervista effettuata da Alessandro Monchetto:

La mia bussola di orientamento oggi si basa su tre parametri interconnessi:

    1. a) il principio di eguaglianza massima possibile all’interno di un popolo su diritti, consumi, redditi, partecipazione alle decisioni. Centralità del tema dell’occupazione. Posto fisso preferibile al lavoro temporaneo, flessibile e precario. Diritti eguali agli immigrati (che non significa immigrazione incontrollata). Messa sotto controllo del capitale finanziario speculativo di ogni tipo. Preferenza del lavoro rispetto al capitale. Difesa della famiglia e della scuola pubblica;

    2. b) il rifiuto del colonialismo e dell’imperialismo, che oggi hanno come aspetto principale l’impero USA ed in Medio Oriente il suo sacerdozio sionista, che utilizza per i suoi crimini il senso di colpa dell’Europa e dei suoi intellettuali rispetto al genocidio effettuato da Hitler, che ovviamente non mi sogno affatto di negare. Diritto assoluto alla lotta per la liberazione patriottica (lo stato nazionale esiste, eccome, ed è un bene e non un male, come dicono i seguaci di Negri e del Manifesto) per l’Iraq, l’Afganistan e la Palestina. Appoggio a tutti i governi “sovranisti” indipendenti (Venezuela, Iran, Birmania, Corea del Nord, Bolivia, eccetera), il che non implica necessariamente l’approvazione di tutti i loro profili interni ed esteri;

    3. c) considerazione dell’elemento geopolitico e rifiuto della sua virtuosa ed infantile rimozione. A differenza di Losurdo, non penso affatto che la Cina abbia una natura sociale “socialista”. Ma la appoggio egualmente, perché un equilibrio multipolare è preferibile ad un unico impero mondiale USA con vari vassalli (fra cui l’Italia è la più servile, con possibile eccezione di Panama e delle Isole Tonga). Chi appoggia questa cose è per me dalla parte giusta. Se poi si dichiara di destra o di sinistra, questo è affare suo, della sua biografia politica e della sua privata percezione valoriale. Ma la percezione valoriale è un affare privato, come i gusti sessuali e letterari e la credenza o meno in un Dio creatore1.

Il pensiero plurale e complesso non è facile che “passi” in un’epoca in cui domina il semplicismo ideologico in generale, e l’astratto contro il concreto. In attesa di tempi all’altezza della nostra condizione umana si deve ricominciare ad andare alle fonti per sottrarsi al campo di battaglia, in cui le idee muoiono ed il falso vive.

Salvatore Bravo















Fonte: https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19556-salvatore-bravo-calunnie-nel-campo-di-battaglia.html

Note
1 Alessandro Monchietto : Intervista a Costanzo Preve (ESTATE 2010, «SOCIALISMO XXI»),in Petite Plaisance blog 24/10/2015

Parità di coscienza nella differenza di genere ...

 



Mi chiedo in base a quello che dice Paolo e non solo, come mai se le donne all'epoca del matriarcato sceglievano i maschi in base alle qualità positive di questi, come la solidarietà, la cura verso la prole (?), la disponibilità (in che senso?), il senso di appartenenza alla comunità, e io ci metterei la capacità di proteggere la comunità e la capacità di procacciare il cibo (o anche questo era appannaggio delle donne visto che all'epoca saranno stati vegetariani o per meglio dire, frugivori?) allora come mai poi c'è stata questo cambiamento di rotta verso il patriarcato?

Forse la scelta dei maschi non era stata così attenta? La scelta del compagno forse é ancora oggi appannaggio della donna, quando c'è a disposizione una popolazione maschile entro cui scegliere, e così l'accudimento della prole durante l'infanzia, tranne casi isolati... siamo ancora noi responsabili dello sviluppo emotivo dei giovani uomini e delle giovani donne, ma essendo isolate l'una dalle altre non abbiamo più quella che Sabine chiama "la forza dello sciame" e siamo noi e solo noi che possiamo riscoprire il valore di questa comunità femminile, non dobbiamo aspettare che siano gli uomini a concedercela, no?

Caterina Regazzi 

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Mia rispostina: 

La domanda di Caterina è molto significativa... e merita un'accurata risposta. Ma allo stesso tempo non può essere una risposta esaustiva e definitiva perchè nel rispondere su questo tema si mettono in gioco energie che sono ancora in movimento.

L'evoluzione mentale della nostra specie, come diceva lo stesso Ramana Maharshi, non ha mai fine.. Attenzione si parla di "mente" non di " pura consapevolezza". La mente individuale ed anche quella   collettiva sono  costantemente in un processo di conoscenza -in divenire-, quindi il  percorso è illimitato e perfettibile, mentre la "pura consapevolezza" (il Sè) è al di là dello spazio tempo e non può essere misurata in alcun modo.  In Cina viene definita Tao, in India la chiamano Atman, noi  spiritualisti laici la conosciamo come lo Spirito Universale o Forza Vitale.  

Tornando alla mente, diciamo  che ad un certo punto della nostra storia  il processo di maturazione intellettiva aveva consentito alla donna di assumere l'autoconsapevolezza psicofisica e quindi di prendere coscienza dell'io, uno stadio che tutti gli zoologi conoscono bene quando analizzano i comportamenti degli animali, per vedere se essi sono in grado di riconoscersi allo specchio, ad esempio, o in altre forme.  

Ovviamente non si tratta dell'autoconsapevolezza del Sé (nel senso superiore) ma della coscienza di rappresentare uno specifico nome forma, ovvero la mente ed il corpo... insomma si tratta dell'ego.  
Ma l'ego è una pietra miliare importante per lo sviluppo della coscienza. In ogni caso la crescita intellettuale deve partire dall'ego.

Quindi allorché questo stadio venne raggiunto da un'ipotetica "prima donna" (quella Eva che gli scienziati definiscono la madre di tutte le madri, sulla base del  messaggio DNA mitocondriale contenuto nel midollo spinale femminile), sorse il problema di come elevare nell'uomo (s'intende il maschio) lo stato di autocoscienza e giudizio.

Per far ciò era possibile la sola via genetica, quella della trasmissione di certe caratteristiche ritenute evolute. Però nelle società matriarcali antiche l'uomo non poteva esercitare (perché non in grado) ruoli di responsabilità sociale, o poteva farlo molto limitatamente, per cui si rese necessario nel gioco dell'evoluzione della specie che l'uomo assumesse su di sé la conduzione della società umana. Da qui la nascita del patriarcato, con il bene ed il male che ne consegue. Il bene è la ragione portata alle sue vette, il pensiero astratto, la filosofia, etc. il male è la dominanza e lo sfruttamento "utilitaristico" non solo delle donne ma anche delle altre specie e delle risorse naturali.

Oggi siamo arrivati al punto in cui l'uomo (il maschio) ha compiuto i passi necessari per pareggiare il suo livello di autocoscienza ed intelligenza a quello della donna. Pertanto non è più necessario il mantenimento del patriarcato, che è stato comunque utile nel  piano di sviluppo globale della specie umana -come lo fu il matriarcato precedentememente.  

Ora il maschile ed il femminile  possono camminare fianco a fianco utilizzando entrambe le  capacità mentali all'unisono. La capacità analogica (femminile) e quella logica (maschile). L'integrazione di queste due forme d'intelligenza consentirà -come anche afferma lo psicologo Michele Trimarchi- alla specie umana di compiere il successivo passo evolutivo, verso una più matura "coscienza spirituale" (laica).

Se non si autodistrugge prima...

Paolo D'Arpini

 Paolo D'Arpini e Caterina Regazzi



In approfondimento al discorso contenuto in un precedente articolo:http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2011/12/biospiritualita-evoluzionismo-relazione.html


Ricapitolando tra fisica e metafisica...

 


Ricapitolare significa rivedere i fatti penosi della realtà fisica e metafisica al fine di sciogliere la perturbazione e la mortificazione che hanno comportato in noi.

Ricapitolare consiste nel rivedere gli eventi assumendocene la responsabilità incondizionata e piena. Solo così possiamo sciogliere le perturbazioni, possiamo chiudere il loro rubinetto che sgorga e disperde le nostre energie fisiche e creative, la nostra qualità della vita.

Portando l’attenzione sull’origine delle proprie pene fisiche e metafisiche, possiamo riconoscere che esse originano da fatti esterni, cattivi comportamenti e/o giudizi nei nostri confronti.

Portando l’attenzione su di noi, possiamo riconoscere che le medesime pene non derivano da proprietà di fatti esterni. Possiamo prendere coscienza di averle inconsapevolmente attribuite noi secondo un fondamentale processo psicologico, detto della proiezione, secondo la nostra morale e i nostri valori.

A quel punto nulla più osta a riconoscere in noi stessi la genesi dei nostri mali fisici e metafisici.

Il passaggio dell’origine del male si inverte: da esogeno diviene endogeno. A quel punto l’arcano della sfortuna è svelato e da misterico segreto diviene banalità. Vedremmo infatti che tutto era dipeso da nostre scelte e da nostre interpretazioni.

In merito c’è tutta la letteratura di filosofia di comunicazione e di psicoterapia, che passa sotto il nome di costruttivismo. Un titolo che fa subito comprendere quanto si sia totalmente responsabili della realtà che narriamo e di come la viviamo. Basta poco per rappresentare il principio costruttivista. Davanti al medesimo evento subìto persone diverse reagiscono – lo vivono – diversamente.

I razionalisti hanno qui gioco facile a sostenere che è normale che biografie differenti non abbiamo reazioni assimilabili. Tuttavia, accade che l’esperimento – un evento/differenti vissuti – si verifichi anche riducendo lo spettro delle differenze dei soggetti. Questi risentono più o meno dell’evento – ovvero ne vengono più o meno coinvolti emotivamente – in modo proporzionale al gradiente di consapevolezza di sé di cui dispongono.

Il discorso sarebbe finito qui.

In realtà, il passo evolutivo verso la vita piena e nel bene presuppone anche un'altra emancipazione.

Riguarda l’io. Finché ci identifichiamo in esso e con esso, non avremo possibilità di fuggire al suo dominio e alle sue leggi, in particolare sono da richiamare qui quelle dell’orgoglio o dell’importanza personale.

Poter prendere le distanze dall’io potrebbe essere articolato e impegnativo. In fondo siamo nati e cresciuti in un ambito culturale che in nessun modo ci agevola a riconoscerne la struttura, il significato, il servizio e la virtualità. All’opposto, ancora in fasce siamo intitolati e per tutta la vita crediamo davvero di essere lorenzo merlo; per tutta la vita crediamo davvero che la storia che narriamo sia davvero la storia della vita e non quella che replica le modalità di narrazione che abbiamo appreso. Per tutta la vita crediamo in una realtà oggettiva e dei fatti, nella quale ci muoviamo, alla stregua di visitatori nel museo. Ma là fuori non c’è alcunché che non corrisponda ad una nostra creazione ad immagine e somiglianza del nostro io.

In ogni caso, colui che è motivato certamente avrà modo di arrivare alla finestra dalla quale osservare come, quando e perché aveva creduto di essere lorenzo merlo, e come quella certezza lo abbia vincolato alla giostra karmica della ripetitività.

Emanciparsi dall’io tende a riconoscere il sé nostro e altrui. Jung lo chiama processo di individuazione. Muoversi secondo il proprio sé tende a fare della nostra vita qualcosa di autentico e originale, in cui equilibrio e creatività ci permettono di donare a noi e al prossimo miglior benessere in questa vita.

Ma i costruttivisti, per quanto siano l’ultima frontiera della psicoterapia, sono anche gli ultimi ad aver compreso quanto le Tradizioni sapienziali comparse sul pianeta da sempre sanno e affermano.

Queste sanno anche che, integrato nel processo evolutivo che porta alla liberazione dal conosciuto, come diceva Krishnamurti, è necessario citare l’accettazione e l’assunzione di responsabilità.

Per la prima, ancora una precisazione per i positivisti: non è e non ha nulla a che vedere con la passività, col misticismo, con l’impossibilità; è soltanto una linea filosofica nella quale possiamo realizzare la libertà dall’io.

Per la seconda vale quanto detto finora: partire da noi ci permette di fare il meglio per modificare il mondo.

Ricapitolare dunque non è un fatto intellettuale. Esso è l’avvento di un cambio di paradigma con il quale interpretare il mondo. Accettare la vita alza il rischio di migliorarla e riduce quello di peggiorarla.

E non significa che la fortuna sarà con noi, almeno finché ogni ricaduta nella non accettazione e nell’orgoglio dell’importanza personale non si tramuti in lezione evolutiva.

Non si tratta dunque di mirare alla santità, ma semplicemente di ricapitolare gli eventi della vita secondo un parametro di accettazione e di assunzione della responsabilità.

Lorenzo Merlo 



Libertà dal conosciuto e spiritualità laica

 


Nel corso dei secoli e dei millenni la civiltà umana ha attraversato momenti di crescita e di decrescita. Nel tentativo di uniformare un codice di giustizia funzionale alla gestione della  comunità sono sorte leggi e dettami religiosi utili a dare un indirizzo legittimo  alla conduzione sociale.

I comandamenti ed i dettami, qualsiasi essi siano e di qualsiasi religione o governo,  vanno bene per una attuazione  etico-morale finalizzata all'ordinamento  della società in cui si vive, quindi dal punto di vista della spiritualità laica sono "impedimenti" alla coscienza dell'unitarietà nella diversità della vita. Infatti nelle filosofie non duali, come il Taoismo, non esistono imposizioni categoriche ma il consiglio a muoversi in sintonia sincronicamente  con la qualità del tempo... rispondendo alle necessità vitali,  di volta in volta,  seguendo l'ispirazione del momento.

Inconsciamente però ciò avviene anche volendo seguire gli ordinamenti civili e i dettami religiosi. Infatti  leggendo la Bibbia, il Vangelo, il Corano, un codice legislativo,  ecc.  a seconda del  livello intellettivo  e delle propensioni del lettore,  se ne ricava  il significato e l'indirizzo  che  ad ognuno aggrada. Leggi una frase, analizzala, troverai dentro ciò che cerchi. Poiché nella miscellanea dei contenuti vi saranno sempre  indicazioni per soddisfare o giustificare  ogni propensione comportamentale ed ogni "interpretazione" adatta al proprio scopo.  I libri  cosiddetti sacri sono un compendio di contraddizioni che soddisfano così il "voler credere" e giustificano ogni azione.  E ciò avviene sempre a livello del "conosciuto",  ovvero nell'ambito della memoria tesa al soddisfacimento delle intenzioni egoiche o della supremazia religiosa o ideologica.

Per queste ragioni la conoscenza "libresca" delle cosiddette "sacre scritture" non viene tenuta in gran conto nella spiritualità laica. Nell'advaita (non-dualismo) viene definita "artha wada", che sta per: arricchimento letterario o materiale aggiunto, il cui scopo è semplicemente quello di soddisfare la curiosità mentale di chi non può accettare la verità assoluta e continua a crogiolarsi nel "divenire". Infatti il dichiarare di "credere in qualcosa", è solo un modo  per qualificare l'oggetto in cui si crede. Ma usare il verbo "credere", per descrivere il moto del divenire, è una limitazione alla conoscenza (basata sulla memoria). Si crede in ciò che si presume di conoscere, e che ci conviene, quindi il divenire viene compreso attraverso un processo fondato unicamente sul conosciuto. 

Da qui il "crogiolarsi nel credere del divenire".  Ma la verà libertà è  libertà dal conosciuto.

Paolo D'Arpini



Siamo ancora al "bovero negro"...? - Analisi della situazione ideologica del gennaio 2021

 


Ho sentito le alterazioni di Mughini alla tv, erano d’isteria orripilata. Erano dedicate alle scelte violente della compagnia degli Angeli, ovvero di quei bifolchi e incivili che, a Washington, capitale federale degli Stati Uniti, hanno preso d’assalto il Campidoglio, la sede del Congresso americano. Sbraitava come chi ammonisce affermando il giusto. Muovendosi a destra e a sinistra, col mento insù, gli occhi sbarrati e le mani roteanti, che si vedevano bene. Avevano dita sottili, conoidi, arcuate al rovescio. Dita di mani che non hanno mai impugnato altro che Bic, né martellato altro che tastiere, annerite dall’officina, incallite dalla sopravvivenza.

Prima per anni, ho sentito chiamare “fascisti” tutti quelli che in qualunque modo possibile fossero o avessero preso le distanze dalla politica dei progressisti. In alternativa – quando anche loro avevano capito che non si poteva dare del fascista a un’intera, crescente moltitudine, optarono per chiamare populista quel popolo impoverito e alienato, che nel frattempo si era radunato, in un modo o nell’altro, a contestare le politiche che lo avevano dimenticato.

Dimenticato. La parola non è scelta a caso, è quella giusta. Come è stato possibile dimenticarsi di chi ci si doveva prendere cura? In questo caso, assai datato, di distrazione non si può parlare. Dove cercare per trovare una ragione di come si sia potuto perdere di vista il proprio popolo, motivo dell’esistenza stessa della sinistra? Non si era mica nascosto. E con quale intelligenza avrebbe potuto farlo, lui, così ignorante? Doveva necessariamente esserci un’altra ragione per dimenticare ciò che più gli stava a cuore. Doveva essere qualcosa di pari valore.

Eh sì, erano riusciti nell’intento della radicale dimenticanza, anzi radical-chic. Ma l’impresa non era dovuta a qualche colpo di genio interno alla congrega. Tra loro stessi, se lo saranno detto e ridetto, non c’erano grandi cime sulle quali contare per un colpo di mano che passasse inosservato, che li lasciasse senza macchia, o che, con una piroetta, riuscisse a dare la responsabilità politica del loro ammutinamento alla causa filo-socialista. Che riuscisse a spacciare lo straccio dell’articolo 18 come un raggio di radioso futuro, nuce di una nuova futura, flessibile Internazionale.

No, c’hanno renzianamente provato ma non ci sono riusciti. Non è stata opera loro, la farina era del sacco di altri, di una politica alla quale avevano deciso di aderire, anche se alcuni preferiscono dire, di genuflettersi. Sì, perché la scelta implicava la famosa dimenticanza. E il raggio di futuro che paventavano ne era il giusto contrappeso, l’opportunità per lavarsene le mani.

Tuffarono così le loro misere acque torbide di vergogna nel grande fiume placido e terroso della globalizzazione liberista. Dispersero la vergogna e con essa anche l’identità, sempre che qualcuno di loro fosse consapevole di ciò che stavano compiendo. Ovvero, dell’assassinio strutturale di quella base che per decenni avevano vantato come un valore supremo e coccolato come un genitore con il figlio.

Ormai presi dalla corrente superiore alla loro determinazione d’autonomia, indipendenza e sovranità, sostenevano di non aver avuto alternative. O meglio, che ogni alternativa era azzardata, economicamente suicida, perfino utopica. Solo abbracciare, anzi essere, la globalizzazione, avrebbe salvato il salvabile. Avrebbe ridato valore a quell’Italia che nel frattempo era stata svenduta e tralasciata, a quell’identità che – lo può dire chiunque – il mondo ci ha invidiato e c’invidierebbe, se ancora rappresentasse un popolo, una terra, una nazione: ma che ora rappresenta un mercato, e l’invidia, limitata al suo prezzo, si è tramutata in investimento. L’arte, i paesaggi, la varietà, la bellezza che credevamo inalienabili sono sui banchi del mercato mondiale. Gli offerenti ci sono già e non fanno fatica a comprare ciò che vogliono e ne faranno sempre meno. Nessuna contropiroetta potrà restituirceli.

Ecco, tutto è chiaro. Si sono dimenticati del loro popolo perché nella globalizzazione-salvamondo, nel globo robotizzato, nella smart-civiltà, nella precario-flessibilità, nell’implicita identità uniformata, nella fede nella tecnologia, i consensi di quattro neri, bifolchi e poveracci non servono più. E non è il caso di puntualizzare che non serviranno più neppure quelli di coloro che un tempo facevano il terziario, avevano due auto, due case, entrambe piene di oggetti, metà dei quali superflui e dimenticati. Non è il caso perché la direzione del mondo non è in mano di chi lo abita, ma solo di una parte di questi, ormai con portafogli, tecnologia e intelligence più spessi di quelli degli stati. Nel grande fiume limaccioso che tutto trascina e macina, la democrazia non è risparmiata. Arriverà al gelido mare della Tranquillità con un altro spirito rispetto a quello di nascita, e neppure la solita manciata di bombaroli anarchici, neri e poveracci potrà disturbarne l’arido equilibrio.

E se poi anche il voto puzzolente dei miserabili dovesse tornare utile – la facciata è importante – la potenza di fuoco della comunicazione non dovrà fare altro che attenersi alle nuove veline. Non dovrà che edulcorare le promesse, quelle che ormai – è ufficiale – “una cosa è quanto si dice in campagna elettorale, un’altra è la politica vera”. Non dovrà che colpevolizzare il nemico, sia esso la parte avversa, sia l’incerto votante; non dovrà che dare del populista apolitico a chi non ne può più di farse istituzionalizzate. La democrazia liberistica non ha mutuato il suo valore da quella umanistica, la sua vittima. Un matricidio d’interesse le cui conseguenze sociali e antropologiche non interessano alla politica, oggi detta liberismo. Immorale mostro divoratore di qualunque cosa gli si opponga. La lacerazione tra popolo e suoi rappresentati è una cancrena infetta. Ci si chiede se e con quali risorse il moribondo possa riprendersi. Interrogativo doveroso, legittimo, ma inficiato all’origine. Le risorse umaniste non hanno esistenza in una concezione del mondo materialista, positivista, fondata sull’avere. È un annuncio di disastro catastrofico, la cui sola gestione possibile è la repressione a suon di false soddisfazioni.

Il terreno sul quale siamo cresciuti è franato e scambiato per un benefit. Anche il Parlamento, le Istituzioni e il Governo hanno fatto la stessa tritata fine: anche se all’occorrenza servono eccome e vengono tenuti in vita nonostante la morte cerebrale. La storia è un canestro pieno di palline che, invece di Anquetil, Bitossi e Gimondi, ha maschere e fantocci. Come Ashraf Ghani e Hamid Karzay, ultimo e penultimo presidente dell’Afghanistan. Agli ordini sì di un popolo ma non di quello che il ruolo direbbe presiedano.

Che c’entra l’Afghanistan? La domanda è legittima. La risposta è: indichi la Luna e raccogli commenti sul Dito. Franando, per galleggiare, abbiamo scelto di fare da maschera e comparsa nel grande spettacolo in scena. Quello in cui – Pasolini, Debord e tanti altri ci avevano avvisato – solo ciò che vi accade, solo quanto previsto dalla sceneggiatura e pilotato da una regia, è reale. Ma il raggiro sfugge sempre a meno persone, per queste la narrazione è un’altra. Ci vorrebbe il denaro per fare anche il loro film. Per raccontare che tutti i neri e i poveracci messi insieme non spacciano, non evadono, non frodano, non detengono che le briciole di quanto cade dal tavolo di chi non si ricorda più di loro.

Così quella moltitudine dimenticata si è trovata in compagnia di Angeli e soci, neri e poveracci. Il mondo è spaccato in un modo che la democrazia non poteva farci immaginare. Il coro di lunghe dita sottili che, alla notizia dell’assalto al Campidoglio, si è levato a celebrare il sopruso agli Stati Uniti, “faro di democrazia” sul mondo, ne marca e ne misura l’abisso. Giù in fondo, nel buio profondo insondabile da chiunque sia distratto dai mille diversivi strumentalmente messi in campo dai fuochisti del momento, si trovano le leve del “faro”. Con’esse abbagliano di luce democratica i nativi digitali, carne da mercato per eccellenza. Insieme ad esse giacciono le tastiere originarie dei Social e della Comunicazione. I pochi addetti a maneggiarle sono privati che sanno di governare un timone più grande di quello delle silenti, sottomesse, istituzioni. Abili montagisti, tagliano le scene del film affinché la realtà che hanno in mente, tra applausi, tette e gossip, gradualmente si trasferisca nelle persone, tramutandole dall’infinito che hanno in sé a domati criceti sulla ruota che chiameranno vita. Così, bifolchi con forconi improvvisati, li autorizzano all’invettiva inquisitoria e santa condanna. Così, per esempio, il “faro” e la sua Cia rimangono indisturbati al lavoro. Non sono improvvisati e dispongono di centinaia di milioni di dollari per organizzare il loro democratico lavoro. La “più grande democrazia del mondo”, così la chiamano i giornalisti professionisti passacarte, quella di Hiroshima, del Golpe militare di Pinochet, di quello Noriega, delle torture di Guantanamo, dell’invasione dell’Afghanistan, delle Primavere arabe – allungare l’elenco è inutile e noioso – non ha nulla da temere. “È nel giusto”, così dicono dalla ruota i criceti in forma umana che li replicano, certi che la realtà sia proprio quella del film passato dai tg.

E dagli al fascio, una volta di più e ancora con più diritto di verità, a quelli che per protestare non hanno la dialettica. E che, a differenza di quelli che ce l’hanno, non hanno il lavoro, la casa, un futuro. Non hanno un’idea che li conduca se non quella di adeguarsi per limitare i danni o di trascinare giù gli smemorati per sentire come urlano perdono, per vedere come si prostrano sinceri dopo aver visto come era arredata la trincea della vita dei neri e dei poveracci. Proprio quelli che, con un beffardo e rivelatore proverbio, avevano creduto di poter buttare a mare come zavorra inutile e fare di tutta l’erba un fascio.

Era un epilogo d’origine ideologica. Cioè di quel genere di chiusura mentale ad essa ontologica, inetta all’ascolto dell’altro, dell’altra concezione del mondo. Diversamente, avrebbero potuto raccogliere, anche dai neri e dai poveracci, qualche momento utile ad una coesistenza meno slabbrata, ad una socialità meno paurosa. Invece, in sostituzione dell’ascolto, a mezzo del quale avrebbero anche trovato come evolvere, come scoprire la sede di un mea culpa, come riconoscere e imparare dai propri errori, hanno preferito colpevolizzare e squalificare neri, poveracci e chi con essi.

Lorenzo Merlo - force@victoryproject.net




“La Scienza Occulta” di Rudolf Steiner

 



Mi sono appena finito di legger tutto d’un fiato “La Scienza Occulta” di Rudolf Steiner ma, contrariamente alle generiche aspettative di chi vorrebbe sentirsi dare sul testo e sul personaggio Steiner un giudizio “tranchant”, estremamente positivo, entusiasta, sino al fanatismo, da una parte, o estremamente negativo, ipercritico, deluso e stroncatorio, dall’altra, il giudizio di chi scrive, non propende né per l’una, né per l’altra opzione, bensì ad un composito sguardo d’insieme, costituito da un insieme di chiaroscuri tale che, alle volte, diviene concretamente difficile arrivare ad una visione d’insieme completa ed obiettiva. Ad onor del vero, va anzitutto detto che, quello steineriano, è un testo risultante da un pensiero visionario e come tale andrebbe, pertanto, preso ed interpretato. La ricerca di una coerente definizione ed esplicazione di una “Scienza Occulta”, conosce in Steiner, vari momenti. L’autore con il nitore ed il linguaggio semplificato di chi ben naviga con una certa collaudata maestria nella materia, mette il lettore scettico e dubbioso dinnanzi ad una primaria e ben mirata considerazione: è perfettamente inutile cercare di interpretare con criteri razionali, ciò che tale non è…lo sforzo sarebbe inutile e dannoso; è necessario, invece, cercare di porre la propria mente su un piano superiore e differente a quello della semplice e lineare cartesiana razionalità. 

Solo in questo modo si potranno recepire appieno le istanze di un sapere, altrettanto “scientifico”, quanto distante e non comprensibile e perciò stesso “occulto”, rispetto a quello usuale. Una distinzione questa, salutare e necessaria alla continuazione di questa, ma anche di qualsiasi altra narrazione, che voglia frantumare e superare i parametri culturali della modernità illuminista, permettendo così, alla obnubilata mente di chi muove i primi passi in questa direzione, di poter spaziare ed arrivare a percepire dimensioni spirituali, altrimenti precluse. Diciamo che Steiner raccoglie e rielabora quelli che, delle scienze occulte, rappresentano i motivi più salienti. Nel rifarsi un po’ alla narrazione platonica, Steiner ci parla dei vari stadi della natura umana, partendo da un corpo meramente “fisico”, per passare via via ad uno stadio “eterico”, “astrale” e così via discorrendo, sino quasi ad arrivare a far coincidere l’animo umano con lo Spirito Assoluto, ricalcando, in questo, come in altri motivi, le elaborate indicazioni della metafisica Hindu che, a tal riguardo, ci parla di Atman, come manifestazione ultima di quanto poc’anzi accennato. La stessa metempiscosi delle anime, con tutto il processo di morte e rinascita, la teoria sull’accesso alle dimensioni superiori dell’Essere attraverso i vari stadi della meditazione e del pensiero (razionale, intuitivo, etc….), sembrano in qualche modo ripetere, attraverso l’interpretatio steineriana, i più classici motivi delle varie tradizioni esoteriche. Laddove, invece, varrebbe la pena soffermarsi, al fine di estrapolare degli elementi non esenti da una certa originalità, è proprio la parte riguardante la genesi dell’uomo contestualizzata in una originale cosmologia, a detta della quale, ad ogni pianeta corrisponde uno stato dell’essere umano che, inizialmente presente solo ad uno stato gassoso, andrà via via condensandosi, partendo da Saturno sino ad arrivare alla Terra, attraverso vari pianeti (Giove,Luna, Venere), rappresentanti altrettanti stati dell’essere. La stessa umana civiltà è vista come una prosecuzione di questo processo di “condensazione”. 

Ad una fase “Atlantidea”, caratterizzata da una superiore conoscenza iniziatica, succederà una spiritualizzata e contemplativa civiltà Hindu, passando per tutta una serie di fasi (“persiana”, greco-latina, etc.), tutte caratterizzate da una graduale perdita di quella superiore carica di spiritualità che, retaggio dei precedenti stadi ontologici, vanno però consolidandosi verso un nuovo modello umano, in cui la figura del Cristo, assume un ruolo centrale, in quanto simbolo della nascita della pienezza di coscienza razionale, in Occidente e nel mondo intero. Quella stessa presa di coscienza, genererà una civiltà i cui effetti sono tutt’oggi ravvisabili ed i cui sviluppi sono forieri di nuovi ed ulteriori stadi di evoluzione dell’umanità intera. Qui, la visione steineriana sembra attraversata da suggestioni tutte provenienti dall’emanazionismo gnostico, caratterizzato da un peculiare atteggiamento “negativo”, verso la materia, a sua volta vista come prodotto di una graduale ma irrimediabile caduta dello Spirito verso il basso. Tutto questo se non fosse che, il buon Steiner, ci parla di “evoluzione” della specie umana verso differenti e peculiari forme di spiritualità, per ogni epoca da questa attraversata. 

Quale che sia la risposta certa, in grado dipanare il bandolo della matassa antroposofica, quello di Steiner rappresenta sicuramente uno di quei tentativi destinati a lasciare un segno, nella lunga scia di pensiero vitalista ed irrazionalista che ha caratterizzato il 19° ed il 20°secolo, in quanto la Scienza dello Spirito, qui sembra offrire un modello alternativo all’evoluzionismo darwiniano, non rappresentato dai soliti richiami chiesastici e fideistici. Al pari di altri autori a lui più o meno contemporanei, (basti pensare al Kremmerz o al precedente Eliphas Levi, sic!) anche lo Steiner cerca di dare una veste “scientifica” al sapere occulto, commettendo, a detta di chi scrive, un madornale errore. Nel riprendere le varie suggestioni offerte dal Platonismo, dalla Gnosi, dalla cultura Hindi, dallo stesso Hegel (per quanto riguarda la figura cristologica…), guardando anche a Dilthey ed a Nietzsche, il nostro nell’intento di edificare una “Nova Scientia”, si fa prender troppo la mano ed arzigogola all’eccesso. Ampollose e pesanti le sue visioni sulla natura umana e sul suo rapporto con la morte. Altrettanto ampollose e contorte quelle sulla antropogenesi. 

Peggio ancora, va per la parte finale del testo steineriano, incentrato sulle prospettive del genere umano, stavolta declinate all’insegna di uno strabordante sentimento di “amore”, che tanto sembra possedere il dolciastro sapore di una sgangherata utopia progressista o di una narrazione New Age “ante litteram”. Il tutto, molto incerto e confusionario, visto che non si riesce a capire cosa per “amore” il nostro voglia intendere. Steiner fu uomo sicuramente animato da grandi intuizioni e da una forte carica visionaria. Nell’alveo culturale della Teosofia, l’originalità della sua visione, sta proprio nella sua visione fortemente “occidentocentrica” ed imperniata sulla figura del Cristo, la qual cosa lo porterà alla rottura con la Teosofia di Madame Blavatskji e di Annie Besant che, anche se animata dai medesimi presupposti culturali, guardava ad Oriente ed alla cultura Hindu, sebbene interpretata e riletta ad “usum delphini”, secondo le suggestioni blavatskjiane. Steiner lascerà sicuramente influenze in vari esponenti del pensiero esoterico, ma anche in quello più propriamente filosofico. Per quel che riguarda l’esoterismo, basti ricordare due importanti esponenti del Gruppo di Ur: Giovanni Colazza e Giovanni Antonio Colonna di Cesarò. Non senza voler ricordare anche la figura di Massimo Scaligero. Per quanto concerne il pensiero filosofico, la Jaspersiana teoria dell’Età Assiale dell’umanità, tutta incentrata su una generale e qualitativa presa di coscienza del genere umano, in un determinato arco di tempo della storia, sembra voler ricalcare delle mai sopite suggestioni steineriane. Il pensiero dello Steiner, sembra volerci prepotentemente riproporre l’interrogativo, mai definitivamente risolto, sul senso della umana civiltà. 

Ovverosia se, quel nostro progressivo “solidificarci”, quel nostro allontanarci da un primigenio rapporto di osmosi ed immediatezza con l’Essere, abbia rappresentato una reale e positiva “evoluzione” per il genere umano o, invece, non sia stata la parabola di una caduta verso la dannazione della occidentale schiavitù alla civiltà Tecno Economica. Una risposta che, neanche lo Steiner, sembra riesca a darci, non riuscendo egli stesso a motivare e giustificare l’intero processo antropogenetico, tanto minuziosamente descritto, con le future ed “evoluzionistiche” prospettive del genere umano. Ma forse, va bene così. Forse la non-risposta, la mancanza di certezza e definizione, rientra in ambedue delle più pregnanti espressioni dell’umano pensiero: quello filosofico e quello, più propriamente, esoterico. Nel primo, a prevalere delle volte, non è tanto la ricerca di una soluzione alla ricerca del senso della realtà, quanto il percorso indicato per cercare di pervenire al tanto agognato fine. Nel secondo, invece, a sovrastare il tutto, un’immagine direttamente mutuata dalla antica sapienza alchemica ed ermetica: quella di una sostanza universale che, nel cambiar continuamente forma e stato, permane, alfine, sempre la stessa. 

E’ l’Azoth, o Azoto degli alchimisti, che va riaffacciandosi prepotentemente sulla scena e non solo per quanto riguarda l’umana microfisica, attraverso la ricerca della Pietra Filosofale, ma anche per quel che riguarda l’intero Ordine Universale ed il Destino del genere umano, intesi alla stessa guisa di una sostanza che, anche se in perenne mutamento, senza soluzione di continuità, resta nel proprio fondo sempre identica. E forse, questa potrebbe essere la risposta più appropriata a tutti quei tentativi che, nel cercare di trovare una soluzione a problemi come quelli della genesi del genere umano, della sua civiltà e dello stesso Universo, si infrangono costantemente sulla infinita complessità e contraddittorietà delle risposte che incontrano sul cammino.   

Umberto Bianchi




Osho: "Vai nell’hara... e stai lì..."



Quando non hai niente da fare, siediti in silenzio e vai dentro, nel punto sotto l’ombelico (hara), e stai lì.

Diventare consapevole di questo centro ti aiuterà enormemente. E più tempo ci rimarrai, meglio sarà. Provocherà una grande centratura delle tue energie vitali. Devi solo cominciare a guardarci dentro e inizierà a entrare in funzione. Comincerai a sentire che la totalità della vita gira intorno a quel centro. È dall’hara che la vita comincia ed è nell’hara che finisce.

Tutti i chakra del nostro corpo sono distanti, l’hara è esattamente nel centro ed è lì che siamo in equilibrio e radicati. Perciò, quando diventi consapevole dell’hara, cominciano ad accadere molte cose.

Ad esempio, ci saranno meno pensieri, perché l’energia non andrà nella testa, ma andrà nell’hara.

Più pensi all’hara, più ti ci concentri, più vedrai nascere in te una certa disciplina. E arriva spontaneamente, non deve essere imposta. 

Più sei consapevole dell’hara, meno sarai impaurito dalla vita e dalla morte, perché l’hara è il centro della vita e della morte.

Quando riesci a sintonizzarti con il centro dell’hara, riesci a vivere coraggiosamente. Il coraggio scaturisce proprio da questo: meno pensieri, più silenzio, meno momenti incontrollati, disciplina naturale, fermezza e un senso di radicamento, di connessione con la terra.


Osho - (This Is It)




Socrate e Platone... ed i germogli di un pensiero "scientifico"

Ante scriptum:  La grande stagione del pensiero filosofico naturalistico dell’antica Grecia, tra il VI° ed il V° secolo A.C. , ha  contribuito allo sviluppo di una mentalità scientifica. Abbiamo anche sottolineato le interessanti considerazioni di alcuni dei “Sofisti” (come Gorgia e Protagora) sui limiti ed i problemi del processo di conoscenza. Si può dire lo stesso per la triade di filosofi considerati i più grandi? In realtà si può dire che con l’affermarsi del pensiero socratico-platonico-aristotelico, la cui influenza si è poi fatta sentire per ben due millenni (ed anche oltre), la mentalità scientifica ha fatto dei passi indietro, salvo a riemergere per un secolo e mezzo in epoca ellenistica (III° e II° secolo A.C.), e poi in epoca moderna, a partire dal 1600 D.C. , con Bacone, Galilei e Newton.


La figura di Socrate (470-399 A.C.) è famosa soprattutto per la tragica vicenda della sua condanna a morte e dell’atteggiamento sereno, coraggioso e filosofico da lui tenuto in questa drammatica circostanza; ma il suo pensiero, circonfuso da un’alone leggendario (nulla di scritto ci è pervenuto perché Socrate non scriveva nulla), ci appare più che altro di tipo moralistico e psicologico.

Le sue massime più famose sono innanzitutto: “so una sola cosa, so di non sapere”, che potrebbe essere un punto di partenza per sgombrare la mente dai pregiudizi per poi ripartire con un nuovo metodo di ricerca (come fatto da Bacone e Cartesio due millenni dopo), ma che è restata sterile perché nessuna conseguenza importante ne è poi scaturita. Ricordiamo anche: ”conosci te stesso”, che assume un carattere moralistico-psicologico visto che Socrate credeva nell’esistenza dell’anima e di una specie di divinità ispiratrice, il “dàimon”, che doveva indicarci come comportarci, perseguendo il “Bene”.

Il grande allievo di Socrate, l’aristocratico Platone (428-346 A.C.), è stato un vero monumento filosofico. Il suo pensiero ha profondamente influenzato le epoche successive fino a Copernico, Keplero, la scuola di Cambridge, contemporanea di Newton, e alcuni matematici moderni, oltre ovviamente a tutti gli “idealisti” moderni, da Hegel a Benedetto Croce. Ma, come diceva argutamente il notevole filosofo logico-matematico moderno Bertrand Russel, riferendosi a Platone, molti pensano che sarebbe stato meglio che alcuni filosofi non vi fossero mai stati: non avrebbero fatto danni!

Platone infatti, quale massimo esponente della corrente “idealistica” e continuando sulla via già aperta da Parmenide, nega la validità scientifica della realtà esterna, dei fenomeni naturali e della materia. Per lui (come esposto nel suo “dialogo” più famoso: “La Repubblica”) la vera realtà sono le “idee”. Il termine greco adoperato (eidos) significa anche “forma”: le idee sono quindi dei modelli perfetti, o delle figure ideali, per lui realmente esistenti, di cui il mondo reale è solo una pallida imitazione. Grande importanza hanno quindi tutte le figure geometriche viste appunto come modelli ideali, o prototipi di perfezione irraggiungibile nel nostro mondo.

Di conseguenza possiamo considerare Platone come è un avversario della conoscenza scientifica, che è conoscenza della realtà, per quanto imperfetta e contraddittoria. Il suo tardo allievo Benedetto Croce ha provocato, sotto questo aspetto, gravi danni alla cultura italiana moderna, spesso piena di pregiudizi verso il pensiero scientifico.

Platone polemizza esplicitamente contro il relativismo dei sofisti e respinge il materialismo di Democrito, anche se nei dialoghi della piena maturità, come il “Sofista” ed il “Timèo”, fa autocritica e cerca di venire a dei compromessi, ammettendo, nel primo dialogo, l’esistenza e l’importanza di una realtà molteplice e complessa e, nel secondo, l’esistenza e l’importanza della materia. Egli, però, ipotizza anche l’esistenza di una divinità, il Demiurgo, che avrebbe riordinato la materia e creato il nostro mondo. Questa concezione mitico-religiosa, che sarà ripresa da Neo-platonici e Gnostici, e che sarà molto popolare nel Medio Evo europeo, non si può certo considerare – nemmeno lontanamente - un modello scientifico.

In un prossimo articolo vedremo come anche il grande allievo di Platone, Aristotele, pur essendo stato un grande scienziato nel campo della biologia, ed essendosi sforzato di distaccarsi dal pensiero del maestro, abbia finito con il ricadere in una specie di platonismo mascherato che molto spesso ha negativamente influito su gran parte del pensiero filosofico-scientifico dei due millenni successivi.

Vincenzo Brandi



Chiesa cattolica... è tempo di emendamento

 


Ho trovato su FB, alla vigilia dell'Epifania,  una citazione attribuita all'ex papa Ratzinger che dice: "Avremo presto preti ridotti al ruolo di assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica. Tutto sembrerà perduto, ma al momento opportuno, proprio nella fase più drammatica della crisi, la Chiesa rinascerà. Sarà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa. Perché non sarà più la Chiesa di chi cerca di piacere al mondo, ma la Chiesa dei fedeli a Dio e alla sua legge eterna. La rinascita sarà opera di un piccolo resto, apparentemente insignificante eppure indomito, passato attraverso un processo di purificazione. Perché è così che opera Dio. Contro il male, resiste un piccolo gregge." (Joseph Ratzinger).


Sinceramente non so se questo messaggio sia vero od una montatura... ma merita attenzione e spinge ad una riflessione sulla situazione attuale della Chiesa. La chiesa cattolica potrebbe sfaldarsi e scomparire, per esaustione, come è già avvenuto per altre chiese ed altre religioni del passato. Oppure -come stanno cercando di fare i suoi attuali vertici-  fondersi con gli altri tronconi di origine israelita, e fondare una sorta di chiesa unificata. Ma questo atto renderebbe  vana l'esistenza di 2000 anni di differenziazione cristiana e di 1500 anni di innovazione musulmana. Insomma sarebbe un "ritorno alle origini" che non promette nulla di buono. Viste anche  le valenze gerarchiche che ne conseguirebbero, nonché il ritorno ad un passato remoto ignobile, com'è quello biblico.

Le colpe del papato in questo processo disgregativo della chiesa cattolica sono evidenti. Dalle incongruenze sulla morale tradita, sull'economia farisea  e l'accumulo di ricchezze materiali, sull'allontanamento dalla natura, etc. Tutti i nodi vengono al pettine, si dice, e la chiesa ha sommato migliaia di nodi.  E non mi riferisco solo agli scandali recenti (ma ora tacitati per segreti accordi con chi di dovere)  ma  alle innumerevoli colpe accumulate nei secoli: le finzioni dottrinali, la vendita delle indulgenze, la sperequazione fra maschi e femmine, la persecuzione di eretici e streghe, la prevaricazione e l’intimidazione delle masse succubi ed impaurite, le falsità storiche su innumerevoli fatti e persone che la compongono, ecc.

Sembrerebbe che la religione cattolica, e di conseguenza quella cristiana in generale, non abbia scampo e sia destinata semplicemente a scomparire in una nuvola fumosa di vergogna.


Ma non è giusto dare tutte le colpe al cristianesimo. Le devianze sono iniziate ben prima della nascita di questa religione e sono pure continuate dopo di essa. La matrice del monoteismo  con un dio personale despota e settario è nell’ebraismo,  da esso sono poi sorti sia il cristianesimo che l’islamismo. Le colpe dei padri sono ricadute sui figli… si dice.

Strettamente parlando l’ebraismo non è propriamente una religione ma una continuità religiosa basata sulla trasmissione genetica. Ebrei si nasce, non si diventa. Ed infatti nell’ebraismo i sacerdoti sono i primi ad avere l’obbligo di matrimonio e di prolificazione.  La stessa cosa avveniva ai primordi del cristianesimo, che in effetti è solo una differenziazione dottrinale sorta dal modello esseno (una setta ebraica). Ma allorché l’impero romano, per motivi squisitamente politici, stabilì l’unità religiosa sotto l’egida del cristianesimo, fu trovato più conveniente dare una regola di celibato al clero, in modo da non disperdere le ricchezze che il papato andava ammassando.

Il papato romano tra l’altro è anch’esso un’istituzione tardiva rispetto alla formazione del cristianesimo.  In verità il papa di Roma sostituì l’imperatore di Roma e per garantire la continuità non dovevano esserci diatribe familiari interne, il papa veniva eletto in un contesto di celibi.  Questo sistema, ottimo dal punto di vista del mantenimento della struttura, è assolutamente deleterio invece per la conservazione dei valori umani. Conseguenza di questa regola “innaturale” è quel che oggi osserviamo in forma di pedofilia ed omofilia interna alla chiesa. I prelati mantengono una facciata di castità provvedendo a soddisfare le esigenze sessuali  con gli  adepti e componenti della chiesa stessa.

Ma il mantenimento della struttura e della ricchezza del vaticano è causa di degrado  per la religione, per ovvie ragioni.. (anche la mafia si basa sul “comandare è meglio che fottere”)…

Se ne deduce che la prima cosa da fare per salvare il salvabile della religione cattolica, sarebbe quella di consentire il matrimonio ai preti, seguito immediatamente dall’apertura al sacerdozio femminile e successivo abbandono del meccanismo di potete politico ed economico vaticano. In tal modo sacerdoti e le sacerdotesse rientrerebbero nel “popolo” dal quale provengono e di cui sono parte.

L’eliminazione del papato e dell'istituto cardinalizio è un  punto di immediata risoluzione per avviare questo processo di emendamento interno. La chiesa dovrebbe divenire una vera "ecclesia" "Comunità" diretta dai vescovi liberamente eletti dal popolo che si riuniscono una volta all'anno per deliberare collegialmente sui temi religiosi. Ed in effetti le spinte a voler salvare la “religione” dalle grinfie dei suoi egemoni e  scherani malsani è già presente all’interno della sana comunità cristiana.

Questo è solo l’inizio di un discorso….

Paolo D’Arpini



Oṃ Maṇi Padme Hūṃ - "O Gioiello del Loto!"

 

Oṃ Maṇi Padme Hūṃ

  • Comunemente, quanto impropriamente, viene tradotto come "O Gioiello nel fiore di Loto!", in realtà il suo significato letterale è "O Gioiello del Loto!" 
  • Il suo significato è fortemente simbolico al di là della sua traduzione letterale e viene raccomandato in tutte le situazioni di pericolo o di sofferenza, o per aiutare gli altri esseri senzienti in condizioni di sofferenza.
  • Uno dei significati più diffusi a lui attribuiti è la collocazione del gioiello (simbolo della bodhicitta) nel loto (simbolo della coscienza umana).


Tradizionalmente le bandiere di preghiera sono usate per promuovere la pace, la compassione, la forza e la saggezza. Le bandiere non contengono preghiere per gli dèi. I tibetani credono piuttosto che i mantra vengano sparsi dal vento, e le buone intenzioni e la compassione pervada lo spazio intorno. Di conseguenza si crede che le bandiere di preghiera portino beneficio a tutti. Appendendo una bandiera in un luogo alto, si porta la benedizione dipinta sulla bandiera a tutti gli esseri. Quando il vento passa sulla superficie delle bandiere, le quali sono sensibili ad ogni cambiamento e movimento del vento, l'aria si purifica e viene resa sacra dai mantra. Le preghiere sulle bandiere diventano parte permanente dell'universo, mentre l'immagine sbiadisce a causa dell'esposizione agli elementi. Proprio come la vita va avanti e viene rimpiazzata da nuova vita, i tibetani rinnovano le loro speranze per il mondo continuando ad appendere nuove bandiere di fianco a quelle vecchie. Questo atto simboleggia il fatto di dare il benvenuto ai cambiamenti della vita e il riconoscimento che ogni essere è parte di un circolo più grande. I simboli e i mantra sulle bandiere sono sacri, dovrebbero essere trattati con rispetto. 


L'uso della bandierine di preghiera con fini principalmente estetici, ovvero al di fuori di contesti strettamente legati alla pratica delBuddhismo, non è in genere scoraggiato dai monaci, perché si ritiene che anche l'uso grazioso e semplice di appendere le bandiere di preghiera diffonde buoni auspici a tutti gli esseri viventi.

Il significato delle bandierine è collegato all’astrologia tibetana, che indica giorni particolarmente favorevoli per appenderle e altri in cui è bene evitare di attaccarle. In questo calendarioi giorni fausti sono indicati con PF (Prayer Flags) e quelli infausti con NPF (No Prayer Flags)



Una volta appese, le bandierine possono anche esser lasciate per sempre, anche se si usa sostituirle il giorno del Capodanno Tibetano. Esse, contenendo dei testi sacri, non dovrebbero essere appoggiate a terra né tantomeno buttate tra i rifiuti: viene invece raccomandato che le vecchie siano bruciate, in modo che il fumo che se ne sprigiona diffonda la propria benedizione nell'aria.



Tradizionalmente le bandiere di preghiera sono legate in set da cinque, ognuna di un colore diverso. I cinque colori sono sistemati da sinistra a destra in uno specifico ordine: blu, bianco, rosso, verde e giallo. I cinque colori rappresentano i cinque elementi e le "Cinque pure luci". Diversi elementi sono associati con i diversi colori e scopi.



  • il blu simboleggia l’etere;
  • il bianco simboleggia l'aria;
  • il rosso simboleggia il fuoco;
  • il verde simboleggia l'acqua;
  • il giallo simboleggia la terra.


Secondo la medicina tradizionale tibetana, salute e benessere sono il frutto del bilanciamento dei cinque elementi.



OM Mani Padme Hum è uno dei mantra più popolari al mondo.

E’ il mantra della compassione e della misericordia, ed E’ una potente protezione.



OM Mani Padme Hum è spesso scritto su pietre e bandiere. Le persone mettono queste bandiere e pietre dentro e intorno alle loro case per proteggersi. Il tasso di vibrazione del mantra è così elevato che ha un effetto purificante.

Il modo più efficace per neutralizzare il karma negativo è usare la legge della compassione e della misericordia. Quindi Om Mani Padme Hum diventa uno degli strumenti più importanti per la propria protezione.



Contiene segreti per lo sviluppo spirituale ed è il mantra che realizza desideri.



L’OM è composto da tre lettere: A, U, M. Simboleggia il corpo, la parola e la mente. Lavorando sui nostri pensieri, parole e azioni, possiamo purificarci per raggiungere il corpo, la parola e la mente pura ed elevata di un Buddha.

Mani significa gioiello. Proprio come un gioiello rimuove la povertà, il mantra rimuove la sofferenza. Cosa rimuove? Gli ostacoli nei nostri pensieri, parole e azioni. Purifica la nostra luce interiore, la compassione e la volontà di fare del bene.

Padme significa Loto. Simboleggia la saggezza. Proprio come un loto cresce nel fango ma non è influenzato dai difetti del fango, la saggezza ci mette in uno stato di non contraddizione.

Hum indica indivisibilità. La purezza può essere raggiunta da un’unità indivisibile di metodo e saggezza. Questo è il modo in cui il corpo puro, esaltato, la parola e la mente di un Buddha possono essere raggiunti.



Il canto del mantra Om Mani Padme Hum purifica il corpo mentale, il corpo emozionale, il corpo energetico e il corpo fisico. 

L’effetto a lungo termine è la purificazione di diverse debolezze come l’orgoglio spirituale e la disonestà verso sé stessi e verso gli altri, pregiudizi, credenze superstiziose.

Ciò significa che possiamo vedere le cose come sono, senza offuscare il nostro giudizio, e quindi siamo in grado di prendere le giuste decisioni per concretizzare i nostri desideri.



La persona che lo recita e le altre persone e gli esseri intorno a lui sperimenteranno la calma e la pace interiore.



Mentre recitiamo OM pensiamo ai nostri difetti mentali. Non voglio rimanere un essere pieno di difetti mentali. Voglio che si trasformi il mio corpo, parola e mente in quello del Buddha.



Con la parola MANI che significa GIOIELLO in Sanscrito, la Bodhicittà altruistica, cioè l’amore incondizionato ha la capacità di soddisfare il desiderio di tutti gli esseri senzienti.



Poi PADMA significa fior di loto. Il fior di loto nasce nel fango anche se quando si apre non ha più traccia di fango.

La saggezza che vede la realtà nasce insieme a noi… la saggezza pura senza difetti mentali. Questa saggezza ha la possibilità di cambiarci. La voglia di cambiare è lì; questa voglia è la Bodhicittà. La cosa che ci fa cambiare veramente è la saggezza. Questa saggezza è racchiusa nella parola PADMA. Si pronuncia anche pe me dai tibetani


HUM invece dice che MANI, che è il cuore, la Bhodicittà e PADME, che è il cervello, la saggezza, possono lavorare insieme.

Testo inviato da  Ferdinando Renzetti