Malattia e indifferenza per nome e forma... nella visione di Nisargadatta Maharaj




Ante scriptum - Oggi sono “malata” e casualmente, nel punto del libro a cui sono arrivata, Nisargadatta Maharaj parla della malattia… Trascriverei queste frasi a lettere d’oro e ne farei dei manifesti da affiggere nelle strade, davanti alle scuole, davanti alle sedi di governo, farei dei volantini da distribuire per le strade, chissà, magari qualcuno, non dico pronto a svegliarsi, non dico pronto a cambiare, non lo sono neanche io, troverebbe se stesso…
Caterina Regazzi



Io Sono QUELLO | Ubaldini cod. 155

Tratto da "Io Sono Quello"

Visitatore - Mettiamo che un jnani (un realizzato) si ammali. Gli
viene l’influenza e gli fanno male le giunture. Come reagisce la sua
mente?

Maharaj - Ogni sensazione è contemplata con perfetta equanimità. Non
c’è desiderio né rifiuto. E’ quella che è e lui la osserva con un
sorriso di affettuoso distacco.

V. Anche se ne è distaccato, la sofferenza rimane.

M. C’è , ma non ha importanza. Qualunque sia lo stato in cui mi trovo,
lo vedo come uno stato mentale da accettare per quello che è.

V. A quanto sembra il jnani è un gran solitario,chiuso in se stesso.

M. E’ solo, si, ma è anche ogni cosa esistente. Non è neppure un
essere umano. E’ l’essere di tutti gli esseri viventi. E neanche
questo. Non bastano le parole a spiegarlo. E’ quello che è.. è il
terreno su cui tutto cresce ……L’annuncio della realizzazione, una
volta ascoltato, non si dimentica più. E’ come un seme lasciato nel
terreno: aspetterà la stagione giusta, poi germoglierà e crescerà fino
a diventare un albero maestoso.

V. Dopo la morte, cosa succede al jnani?

M. Il jnani è già morto prima. Ti aspetti forse che muoia una seconda volta?

V. La dissoluzione del corpo è un evento importante anche per un realizzato.

M. Niente ha importanza per il jnani, se non il fatto che qualcuno si
realizza. Allora si che il suo cuore gioisce! Tutto il resto non gli
importa.

V. Mi sembri così indifferente a tutto!

M. Non sono indifferente, ma imparziale. Non do preferenza all’io o al
mio. Se mi arriva un secchio di terra o un cesto di gioielli, non è
perché li ho voluti. Per me, la vita e la morte , sono la stessa cosa.

V. E’ l’imparzialità a renderti indifferente.

M. Al contrario, la compassione e l’amore sono la mia più intima
natura. Scevro di ogni predilezione, sono libero di amare! (………) Per
gli ignoranti è follia tutto ciò che non riescono a capire. Che vuoi
farci? Lasciali perdere. Non è merito mio se io sono come sono, e non
è colpa loro se sono così. La realtà suprema si manifesta nelle più
varie maniere, in innumerevoli forme e nomi. Tutto affiora e si
reimmerge nello stesso oceano, la sorgente di tutto è una sola.
Andare in cerca di cause e risultati è un passatempo della mente, solo
ciò che è merita di essere amato. L’amore non è un risultato, ma il
fondamento stesso dell’essere. Ovunque tu vada, trovi l’essere, la
coscienza e l’amore. Per quale motivo e per cosa avere delle
preferenze?




Commento:

Per comprendere  le implicazioni di quanto qui espresso da Nisargadatta Maharaj, occorre fare un passo indietro nel tempo, riportando l’attenzione all’alba formativa dell’Advaita Vedanta, la conoscenza non-duale della Realtà, espressa nelle porzioni terminali dei Veda (Vedanta) e nelle Upanishads. Ad esempio nel commento sulla Taittirya Upanishad fatto dal grande saggio Shankaracharya, vissuto nel V secolo, così viene detto:

“Conoscenza ed ignoranza appartengono al reame di nome e forma; essi non sono gli attributi del Sé… Ed essi -nome e forma- vengono “immaginati” (sovraimposti) così come lo sono il giorno e la notte in riferimento al sole”.

La similitudine con il sole è qui molto appropriata. Dal punto di vista del sole non c’è né giorno né notte e ciononostante senza il riferimento al sole non vi può essere né giorno né notte. E’ solo dal punto di vista dell’osservazione dalla terra che giorno e notte hanno un significato e vengono sovrapposti al sole. Allo stesso modo nel puro Sé (l’assoluta Coscienza non-duale) non sussiste alcuna conoscenza né ignoranza. Queste sono rilevanti solo per l’intelligenza finita (la mente duale), ma ancora queste possono assumere un significato solo se sovrapposte al Sé.

Il Sé, che è la Realtà Assoluta, ha la natura della Conoscenza Assoluta, non nel senso di una trasformazione mentale ma in quello di Consapevolezza incondizionata. Ed è questa stessa Consapevolezza che è alla base della conoscenza-ignoranza empirica, la stessa che produce il miraggio di nome e forma….

Paolo D’Arpini


Riflessioni sull'io e sul senso dell'essere | Circolo Vegetariano ...

Articolo collegato: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/10/24/il-mio-incontro-con-nisargadatta-maharaj%E2%80%A6%E2%80%A6/

Il Libro dei Mutamenti... dove la civiltà dei vivi e quella dei morti si incontrano!


I Ching – ….dove la civiltà dei vivi e dei morti si incontrano ...

Il nostro osservare il mondo, sia interiore (delle emozioni) che esteriore (degli oggetti), non è quasi mai “pulito”, privo cioè di interpretazione e concettualizzazione.

Siamo avvezzi a giudicare quel che osserviamo attraverso il filtro della memoria e delle sensazioni collegate alle trascorse esperienze. Anche nel caso di eventi “nuovi” o di idee precedentemente non considerate non facciamo a meno di cercare di “comprendere” e misurare sulla base del nostro conosciuto. Ecco questa “preconoscenza” è la nostra “schiavitù” ma se potessimo lasciarci andare sino al punto di poterci osservare mentre si innesca il meccanismo del “pregiudizio” e capire il suo funzionamento... potremmo già considerare questa “attenzione” come una prima forma di meditazione e distacco dal processo appropriativo in corso.

Facciamo un'analogia pratica, per esemplificare questo tentativo di spostare l'attenzione dall'io giudicante alla capacità testimoniale della pura coscienza, analizzando il funzionamento del sogno. Quando sogniamo tutto avviene in modo apparentemente costruito e definito mentre allo stesso tempo gli avvenimenti del sogno mantengono il senso dell'imponderabilità. Il personaggio specifico del nostro sogno, nel quale noi ci identifichiamo, è esso stesso una semplice componente inscindibile dalla complessità del sogno, in cui i vari attori, figure, oggetti ed eventi sono un tutt'uno. La “farsa” del sogno mostra un'apparente finalità e significato agli occhi del personaggio di sogno nel quale ci identifichiamo. Vediamo che egli infatti compie gesti deliberati e verosimili sforzi di volontà per raggiungere i suoi fini di sogno, rapportandosi inoltre con gli altri personaggi del sogno come “diversi” da sé.

Può ciò corrispondere a verità?

Tutti gli aspetti del sogno sono prodotti dalla stessa mente e non sono in alcun modo controllabili e gestibili da alcun personaggio o situazione del sogno. Essendo ognuno di questi elementi semplici componenti “passive” immaginate nella mente del sognatore. Dal punto di vista dell'esperienza “empirica” nello stato di veglia si può dire che il processo di “creazione” sia praticamente il medesimo. Tutti gli oggetti ed i soggetti che reciprocamente si percepiscono (essendo ognuno contemporaneamente soggetto ed oggetto nella percezione altrui) scaturiscono dalla stessa “Mente”, o Coscienza, e si dipanano sullo schermo concettuale degli eventi spazio-temporali. In effetti, in questo funzionamento totale, non può esistere alcuna volizione o finalità personale, poiché (come nel sogno) ogni cosa si svolge indipendentemente dall'intenzione di qualsiasi dei personaggi sognati. Pur che apparentemente essi assumono su di sé il senso dell'affermazione o della negazione di una loro “volontà”, ma questo avviene solo conseguentemente alla considerazione effettiva degli eventi già vissuti. Ovvero dopo aver “giudicato” i fatti accaduti ed averli assunti come propri (attraverso il senso di identificazione) e quindi definiti come positivi o negativi (ai fini del personaggio).

Da ciò, per estensione, arriviamo all'identità dello stato di veglia e scopriamo che -come nel sogno- a manifestare la vita e le sue componenti non sono i singoli esseri bensì la Coscienza stessa, impegnata com'è nell'opera di vivificazione delle sue emanazioni e manifestazioni, che sono possibili solo per suo tramite.

Per questa ragione è detto che “quando il me scompare l'Io si manifesta” (Ramakrishna Paramahansa), ovvero quando l'identificazione individuale cessa automaticamente la Coscienza impersonale emerge. Si dice che “emerge” in quanto tale pura Coscienza è già insita nell'individuo stesso (come la mente è presente nel personaggio sognato) che la “sostanza” non appartiene alla sembianza mutevole ma è l'essenza che la anima. Ovviamente in caso di “risveglio” al puro Io il senso di identità individuale “muore” ma questo non implica l'automatica scomparsa della sua “sembianza” apparente, che continuerà a restare nella percezione degli “altri” osservatori, ma svuotata al suo interno di ogni identificazione oggettiva, essendo il risvegliato pura e semplice “soggettività” (Consapevolezza priva di attributi).

La spontaneità è la caratteristica “comportamentale” del risvegliato, quando spontaneità significa semplice capacità di risposta, adeguata e consona, alle situazioni in cui egli si imbatte. In un tale essere non permane alcuna ombra di intenzionalità o di giudizio, di desiderio o repulsione, la sua “volontà” corrisponde esattamente agli eventi vissuti senza che lui lo ricerchi. Possiamo definire questo stato: Libertà.

Per significare la vera natura dell'essere ed il “ritorno” all'intrinseca consapevolezza che gli è propria, ammettendo che tale natura è la stessa per ognuno di noi, mi piace riportare una frase di Nisargadatta Maharaj, che disse: “Non importa ciò che fai o ciò che non fai se hai realmente percepito quello di cui sto parlando. Diversamente, non importa nemmeno se tu non hai capito quel di cui sto parlando..” Il che significa che in entrambi i casi la realtà intrinseca non cambia... e quel che è destinato ad avvenire avviene per conto suo....

Succede però che questo discorso, pur essendo a volte intellettualmente accettato, necessiti spesso una digestione ed assimilazione, deve insomma essere fatto “nostro”. Ciò può avvenire attraverso la riflessione, la rielaborazione e il riconoscimento al nostro interno di tale verità. Ora in qualche modo ci sembra di aver compreso ma dobbiamo disintossicarci dalla tendenza speculativa e dall'identificazione con il personaggio incarnato. A tal fine, non per ottenere la condizione che è già nella nostra natura ma allo scopo di scongiurare l'imbroglio della mente, consiglio la lettura ripetuta e la ponderazione sulle immagini contenute nel Libro dei Mutamenti (I Ching), un compendio di esempi archetipali psicosomatici, descrivente cioè i diversi modelli comportamentali, basati sulle variegate capacità espressive della mente nello svolgimento degli eventi spazio-temporali. Per mezzo dell'analisi sarà possibile riconoscere le multicolori forme che la mente può assumere in questo mondo di apparenze, essendo le sue trasformazioni semplici risultanze, risonanze e adattamenti alle condizioni che si trova ad affrontare. Questa è una risposta automatica allo svolgimento delle continue mutazioni e mescolamenti degli elementi basilari della vita.

Ovvio che tali mutazioni sono praticamente infinite ma nel Libro dei Mutamenti si esaminano 64 aspetti/madre, in forma di esagrammi in cui ogni linea è una componente costitutiva con propri significati. Essendo questo testo il risultato di un antichissimo e costante studio ed osservazione di fenomeni naturali e sociali, interpretati e visti sia con la ragione che con l'intuizione, esso si presenta come un complesso integrato dei diversi modi espressivi analitici ed analogici della mente.

“Conoscere la mente per non farsi imbrogliare dalla mente.” Affermava Ramana Maharshi.

E nel Libro dei Mutamenti si può dire che vengono fusi sia gli aspetti filosofici speculativi e metafici che quelli analitici ed empirici (Taoismo e Confucianesimo), perciò la prassi è quella di osservarne le immagini senza volerne assumere i concetti, un buon metodo per avvicinarsi alla corrispondente spontaneità comportamentale del saggio, basata sulla capacità di immediata risposta comportamentale nelle varie situazioni incontrate nella vita, anche in considerazione delle peculiari caratteristiche da ognuno incarnate e nella posizione e condizione in cui siamo. Insomma, conoscere il mezzo per affrontare adeguatamente il percorso.

Siccome la lettura del testo non è immediatamente chiara e assimilabile è consigliabile una ripetizione continuata, ma senza sforzi interpretativi, in modo da sospingere pian piano la nostra mente verso quel necessario “distacco” da finalità precostituite, tralasciando quindi il tentativo di comprensione dei significati razionali e lasciando che le immagini evocate trovino corrispondenza nel nostro inconscio.

Paolo D'Arpini  


Paolo D'Arpini: Facebook impicciona e troglodita, taglia i ponti ...
Calcata. Comitato per la Spiritualità Laica

"Le domande sul coronavirus" - Un racconto per l'infanzia di Lorenzo Merlo





Papà, cos’è la pandemia?

Sorpreso dalla domanda si fermò tutto per un istante. Non perché suo figlio gliel’avesse posta. Ma perché lui stesso, avvertì l’incertezza su che risposta dare. A secondo di quella che avrebbe scelto, si sarebbero svolte storie differenti. E a seconda della storia raccontata, suo figlio, e tutti gli uomini avrebbero creduto al panorama che via via la narrazione gli avrebbe proposto. O imposto? Finché, suo figlio e tutti gli uomini non avrebbero loro stessi seguitato a raccontare la storia che ormai, generazioni prima, qualcuno aveva descritto come verità. L’attimo si prolungò per un istante ancora. Si chiese ancora se educarlo ad essere un devoto cittadino ubbidiente o alla consapevolezza, affinché la sua coscienza non fosse mai calpestata in nome di nessuna ragion superiore, a meno che lui, e solo lui, non lo volesse. Ma lo sapeva bene, non era una vera questione, ma soltanto l’eco di una domanda che, si meravigliava, evidentemente non arrivava alle orecchie di tutti.

Il bimbo lo guardava in attesa. Avvertì l’incertezza del padre ma non si trasformò in alcun pensiero. Poi fu distratto: il genitore iniziò a parlare.

La pandemia è un trucco come quelli del cinema o quelli che usano i venditori e le banche. Insomma, di quelli che usiamo tutti. Consiste nel mettere in campo qualche elemento, anche uno soltanto, che sposti l’attenzione.

Perché? Perché vogliamo spostare l’attenzione?
Beh, lo facciamo per fare in modo di ottenere ciò che vogliamo.

Non capisco.

Per esempio, se un bambino insiste per avere un nuovo giocattolo o una persona si rivolge a una banca per chiedere un prestito o far fruttare il suo denaro, mamma e papà e il direttore della banca non faranno altro che dire o fare qualcosa affinché l’attenzione si sposti dal giocattolo e dalle condizioni spiacevoli del prestito per ottenere ciò che vogliono.

E perché la pandemia è uno spostamento dell’attenzione? E perché spostarla?

In realtà, la pandemia sarebbe un’infezione così grande da interessare la maggioranza della popolazione del mondo. Infezione provocata da un agente patogeno, per esempio da uno che si chiama Coronavirus.

Ma non è meglio e giusto che tutti si dedichino all’infezione?

Certo è meglio, altrimenti l’estensione del problema sanitario potrebbe ulteriormente allargarsi. Continuando a non farsi domande le cose non miglioreranno. C’è da chiedersi infatti come mai la scienza, o chi per essa, non ponga limiti all’elettromagnetizzazione dell’atmosfera, alla promozione della tecnologia. Due casi tra i molti che segnalano che lei e la sua cultura scientista continueranno a pompare l’idea che si tratta di progresso disponibile a tutti, quindi di un bene tout court. E che la parte tossica è solo un’invenzione indimostrata dei soliti complottisti.

Papà, non ci capisco niente.

Allora provo così. Immagina che ci sia una barca in navigazione. Ovviamente c’è un capitano che governa il timone. Lui conosce la rotta, sa dove vuole andare. Ma ha bisogno della collaborazione di tutto l’equipaggio. Per evitare un ammutinamento o un cedimento della motivazione a lavorare non gli costa niente promettere ciò che ai suoi uomini interessa oppure, trova sempre il modo per avere il loro lavoro anche se il loro malcontento cresce. E lo fa spostandogli l’attenzione dove più gli interessa. Spostandola da dove loro la posano. Ci vuole maestria, ma in fondo il principio è elementare. Ti ricordi quando ti ho detto di toccare con la fronte lo spigolo del tavolo dove avevi appena battuto la testa? Ti ricordi che ti dicevo di farlo perché ti sarebbe passato il male?

Sì, ma cosa c’entra?

In quel modo la tua attenzione tutta dedicata al dolore, si è spostata in attesa di sentire come lo spigolo ti avrebbe aiutato.

È vero. Ho appoggiato la fronte e mi è sembrato migliorasse subito.

Ecco, ora sai che significa spostare l’attenzione, sai che importanza ha. È un trucco che possiamo impiegare per migliorare, per esempio per liberarci da cattive abitudini, o per ingannare.

Ma tu in realtà non mi hai ingannato.

In un certo senso ti ho ingannato invece. Vedrai che lo riconoscerai e comunque ne riparleremo. Ora riprendiamo la questione della pandemia.

Se alla ciurma della nave facciamo corrispondere la popolazione della terra o di una sua parte, possiamo dire che l’infelicità degli uomini che la compongono sia la stessa. I sentimenti sono eterni e uguali per tutti, così le emozioni. È un fatto che ci sfugge sempre e che dovrebbe essere materia scolastica. Ma è un altro discorso, restiamo su quello di adesso.

Perché sarebbero infelici? Potresti domandarti e domandarmi.

Beh, se le persone prima avevano delle garanzie di lavoro – tu non lo sai ma una volta, in Italia, c’era l’articolo 18 che appunto impediva facili licenziamenti – e ora il capitano gliele ha sottratte, questo è un motivo di infelicità. Poi, sempre il capitano ha promesso di far lavorare tutti ma non ha mai mantenuto la sua parola. Lo ha fatto per evitare che i disoccupati diventassero un problema sociale e anche per fare in modo che con le sue inventate statistiche quelle piccole riduzioni che da tanti anni sostiene di aver realizzato, siano conquiste e non una condizione garantita.
Perciò, la pandemia è un’ottima idea per distrarre le persone da questi problemi. È un’ottima idea per tante altre cose tutte tra loro simili, almeno nella misura in cui, tutte permettono di tenere a bada le persone e le società. Per la paura del virus, e perciò della morte, come le loro tv e i loro giornali hanno sostenuto fino a catturare l’attenzione di tutti, ora le persone stesse, sapendo del disastro economico, saranno più accondiscendenti ad accettare condizioni di lavoro peggiori di quelle che avevano prima del virus diversivo. In nome della ripresa economica, subito paragonata al dopoguerra, quando c’era il senso della patria, oggi sciolto nel benessere e nell’individualismo, il lavoro costerà meno, sarà più precario, offrirà meno garanzie. Nella paura, pur di uscire da quel tunnel dove la morte aleggia sospinta dai media, le persone si adatteranno, accetteranno, staranno calme e disposte a ciò che prima avrebbero criticato. In silenzio, faranno sacrifici necessari.

Papà mi sorprendi. Mi sembra una bellissima cosa che le persone si rimbocchino le maniche quando qualcosa va storto.

Hai ragione. Ma evidentemente non sono stato chiaro. Quei sacrifici, le persone li vivono come necessari, ma non sarebbe così se si avvedessero che fanno parte di un progetto al bromuro. Se vedessero che mantengono una speranza che non ha nulla a che fare con i loro sogni ma con i piani del capitano. Per la ripresa le delocalizzazioni saranno da un lato incentivate, dall’altro scongiurate in nome della sovranità nazionale. Sì, perché dentro la tonnara dove tutti cerchiamo il nostro posto pur sapendo che per farlo gli altri ci daranno noia e noi la daremo a loro, si svolge la famosa guerra dei poveri. Un altro espediente del capitano, un’altra modalità per evitare che l’attenzione si posi sui punti che lui non vuole. Anche la questione della pensione sarà un argomento importante per far rendere al meglio la mente della pandemia. Se prima era diventata a rischio, ora sarà una delle promesse garantite. Sarà impiegata per eliminare dal mondo del lavoro un gran numero di lavoratori. I posti liberi sgraveranno i costi e forse saranno strumentalizzati per dire che la disoccupazione si è ridotta. Insomma, non solo tonnara ma anche sardine. Immobili e allineate, pronte a eseguire e forse anche a gioire per la sicurezza che ci promettono, per sopravvivere. Come non prevedere che nel marasma sociale crescente qualcuno non riesca ad organizzarsi per dare contro gli altri. Chi vieta di pensare che tanto malessere tumorale non sia voluto per generare una rivolta sociale destinata a fornire il pretesto per uno Stato debole che possa finalmente compiere legittimate azioni di forza. Ma non è tutto. Tutti i settori, i momenti tipici della nostra società saranno coinvolti nel tornado della ripresa, nelle sue regole, emanate come fossero leggi, ridondate dai media come martelli da fabbri. I mutui, saranno proposti in modo che i lavoratori li considerino facilitati e a canone vantaggioso. Saranno magari argomentati con temi sulla decrescita e rispetto dell’ambiente. Ma il giochetto è sempre il solito. Le persone saranno ancora più vincolate di prima, con meno potere d’acquisto e maggior serenità. In nome della ripresa. L’ambiente depredato e le malattie dentro le medicine per quanto siano due temi sostanziali non hanno – e non avranno – neppure uno straccio di dibattito. A noi interessa ma non a loro. Loro si occupano del potere non di altro. Con quello potranno farsi la Terra che preferiscono. Per i prestiti di denaro andrà nello stesso modo. I dipendenti saranno ulteriormente celebrati dalle circolari di servizio arrivate dall’alto, nonostante la loro maggior precarietà. Le imprese avranno condizioni migliori, ma non per quanto riguarda la loro capacità d’acquisto. Anche per loro vige la norma occulta che la loro dipendenza dal sistema deve dare assuefazione crescente.

Ma papà perché tutte queste cose, così cattive?

Non sono cattive, sono umane. Sembrano cattive perché, con la democrazia ci avevano fatto credere di andare in una direzione migliore di quella seguita da altre modalità di governo. Ma è solo un’illusione, bene che vada solo quantitativa. Di fatto la democrazia è più una facciata. Almeno finché non ci sveglieremo per scoprire che l’abbiamo confusa con la sua ideologia, con la sua teoria. Anche il comunismo era una bella teoria, ma la sua pratica è stata umana, cioè corrotta, ovunque l’abbiamo provato sul campo, con le persone. Se le persone non prendono coscienza che loro stesse non sono i pensieri che hanno non ce la faremo mai. Perché i pensieri che hanno, come ora per la pandemia, sono pilotati.

Forse inizio a capire papà.

Accorgersi di un’illusione è doloroso. È una piccola morte. Ma è anche un momento che precede la massima vitalità. È una nascita. Dunque la morte simbolica che subiamo prendendo coscienza di noi stessi è un bene, il bene del virus per chi lo farà in questi giorni. Quando il capitano si accorgerà che non crediamo al bene e al male che ci ha raccontato, avremo le idee chiare su cosa fare di noi stessi e la forza necessaria per seguire la nostra via. Qualunque essa sia sarà in direzione opposta a quella dell’alienazione che come schiavi seguivamo prima.

Capisco sempre di più papà. Mi ricordo quando credevo di non riuscire a spegnere tutte le candeline del compleanno. Mi sentivo così arrabbiato. Non capivo più niente per non esserci riuscito. Poi mi sono accorto che non c’era niente di sbagliato, a volte si riesce a volte no. E anche se mi dicevate che non era importante io non capivo e impazzivo di rabbia. E allora, papà, continua.

La questione è lunga, come dicevamo, riguarda tutti gli aspetti della vita di una persona. I contratti di lavoro saranno essenziali. Giusto il necessario per metter su famiglia e avere un figlio e una macchina modesta. Anche questa umanissima aspettativa passerà come un bene conquistato e i politici se ne faranno vanto. Forse penseranno a istituire un servizio civile obbligatorio, destinato alla riduzione del debito sotto lo slogan, Faccio qualcosa per tutti noi. Lo stesso che supporterà l’animo di tutti davanti alla ulteriore riduzione dei servizi sociali e la contemporanea crescita delle tasse.
Le scuole e le università pubbliche e private saranno ancora più costose, quindi accessibili a pochi. In compenso la formazione sarà ancora più intelligentemente organizzata per produrre individui programmati e coordinati con gli interessi del capitano.
Per la sanità, tanto è già chiaro adesso. Ognuno sarà tracciato nella sua sempre più monitorata biografia. Ognuno riceverà pressioni per farsi vaccinare in nome della prevenzione. La scienza, invece di considerare le versioni della realtà che non considererà, si chiuderà ulteriormente a riccio, come già fa, dichiarando a mezzo delle tv e della stampa chi sono i ciarlatani e a chi bisogna credere. E chi può evitare di pensare a questo punto che i vaccini stessi non svolgano anche il servizio a suo tempo svolto dal prozac. Come i possibili chip e app, Il 5G farà la sua parte e tutti saranno felici di vedere i film in hd sul telefonino seduti al posto assegnato sulla tratta pendolare. Stampa e tv saranno ulteriormente sotto controllo per avere quote di sostegno, sennò, con la concorrenza del web sarebbero testate morte. Sempre che la rete resti libera. Che la censura non avanzi tra noi, pacifica, come Mosé tra le acque. https://www.youtube.com/watch?v=OPny1_bNyRU&feature=youtu.be

Papà, ma dove stiamo andando? Mi racconti una storia incredibile. Che faremo? Che sarà?

Sì. È una storia terribile. Il controllo è crescente. Il progetto è chiaro. La destabilizzazione è grande. Le recenti primavere e guerre islamiche e l’immigrazione di massa erano solo l’avvio del progetto. Da anni avevano in mano la carta della pandemia. Attendevano soltanto il momento per metterla sul banco.
Nessuno sa come andrà a finire. Tutti sanno che è meglio aprire gli occhi e spegnere la tv. Vedremo presto se sapremo farlo. Tutto è destinato a fare di noi degli schiavi felici. Del resto chi ha aperto gli occhi ben prima di noi aveva provato a svegliarci. Non è servito. Abbiamo continuato a credere alla narrazione del mondo che da soli – per modo di dire – ci facevamo.

Cosa intendi per modo di dire?

Intendo che quel modo di dire deriva da quello che ci dicono a scuola, sui libri, le istituzioni, la politica, i media. Chi comanda i media – ed è sempre il solito capitano – comanda tutto. Comanda tutti quelli che dormono.

Ma come mai papà è potuto accadere tutto questo? Come ha potuto il capitano, da solo, arrivare a tanto?

Era armato. Ha usato la paura. Con la paura si fanno cose che altrimenti rifiuteresti. Il punto di attenzione fisso sulla paura impedisce qualunque atto di coraggio. Conduce alla disperazione e alla violenza, contro se stessi e gli altri. Implica una vita mortificata. Impedisce una vita coraggiosa. Che non significa buttarsi sotto al treno per salvare il gattino. Significa semplicemente vivere la vita nostra, quella che abbiamo dentro, liberarci da quella con cui ci hanno vestito. Anche il liberismo rientra nel progetto. Con esso si è avviata la disgregazione delle comunità. Sinonimo di comunità è via. Ognuno nella comunità sa qual è la sua via, sa quali sono i suoi valori, li rispetta e la comunità è solida e calda come il focolare della famiglia. La comunità era tutto. Ora siamo singoli anche entro la famiglia. I valori non fanno più testo. Tutti sono infelici e tutti recriminano. La distanza affettiva ha disgregato la comunità o quel che ne rimaneva. Perché credi tutto sia intrattenimento da consumare con assuefante velocità? Tutto intrattenimento, nessuna cultura. E ciò che è peggio è che tutti i cagnolini da appartamento e soldatini da prima linea non si preoccuperanno di loro stessi. Avranno il senso del proboviro. Saranno delatori tra noi. Rinati spiriti della Stasi in nome della legalità. Ma contro l’umanità, sebbene a loro insaputa. Essere un delatore diviene un vanto. Che miseria! E c’è pure il colpo di scena. Magari è davvero un buon progetto. Magari anche il controllo sociale è solo un passo intermedio destinato alla soluzione finale – le sole cose che vedremo saranno quelle che la storia ci ha già mostrato – della riduzione radicale della popolazione del pianeta.

Che dici papà?

Sì, sei grande abbastanza. Le cose non stanno ferme. Si muovono. Non appoggiano a terra e non hanno radici come le piante, né il peso delle rocce. I figli non hanno più davanti a sé il lavoro dei padri e le madri si sono sentite esonerate dal curare la casa. I diritti hanno sostituito i doveri. Il consumo usa e getta, ormai di tutto, perché tutto è stato mercificato, assorbe la maggior parte di energia individuale. Tutto è liquido e galleggia ora che il capitano poco prima di prendere terra ci ha gettato a mare.

Il padre posò il libro e controllò che il piccolo si fosse addormentato. Quindi lentamente si alzò dal bordo del letto per allontanarsi. Uscendo spense la luce. Ma era ancora nel dormiveglia. Pensò, grazie papà, per avermi raccontato questa storia. Ora capisco cosa intendevi dire che i libri di scuola e la tv sono buoni solo per lanciarli dal balcone.

E si addormentò.

Un bimbo tanto piccolo non può comprendere la complessità del discorso. Certo. E noi?

Lorenzo Merlo   250420


2020 - L'anno del giudizio... prima del guado



Il dado è tratto! o per chi conosce il latino (alea iacta est) – rAbDo

Alea iacta est?
Non più riferimenti. Anche nell’emergenza della guerra ce ne sono, sia per i militari che per i civili. L’idea, il luogo, la fuga per la sopravvivenza sono chiari. Ora no. Come con il terrorismo più cieco e violento. Siamo in trappola o, in alternativa, colmi di paura come selvaggina nella battuta. In balia di eventi le cui spiegazioni hanno uno spettro che va dall’incompiuto al complotto lungamente premeditato, passando per tutte le vie di mezzo incompetenti, autoritarie, alternative, contraddittorie.
Le persone sono disorientate. Quanto sentono dal web non ha nulla a che fare con quanto si sente dalle tv e dai giornali di Stato. I giornali di Stato cercano di tenere botta con modi che vanno da la verità sono io alla richiesta di obolo per cercare di sopravvivere. E ci riusciranno perché sono a loro volta merce e arma di chi li possiede. Non resta che attendere censure crescenti per il web, suo oscuramento o hackeraggio governativo. Tutto naturalmente in nome del nostro bene oppure causato da qualche hacker nonché da imprevedibili blackout informatici.
Che il virus sia solo un diversivo di copertura a progetti egemonici da parte delle ormai ubiquamente citate forze delle profondità finanziarie? Forse le stesse che hanno demolito, insieme al Muro di Berlino, anche l’Unione Sovietica? Quelle che forse a quel punto si credevano con la Terra spianata pronta ad essere riempita di plastica e bancarelle, di merci e banche? Quelle che non hanno esitato a creare guerre e terrorismi islamici per focalizzare l’attenzione lontano dalle loro trame? Quelle che dopo aver raso al suolo Stati interi si sono infine dedicati alla Cina. Questa volta però, senza calcolare che, se l‘antracite era bastata per impiccare Saddam Hussein e mandare a gambe all’aria l’Iraq pur di alzare il livello dello scontro, a suo vantaggio, tra sciiti e sunniti, il virus, non è bastato a piegare l’economia cinese. Un bel guaio se non dovessero ora riuscire a comprare la sua classe dirigente affinché il boicottaggio provenga dal suo interno.
Perché tanta fantasia? Da un punto di vista fisico, la terra non sopporta più la demografia in esplosione, da quello geopolitico (termine ormai svuotato di senso), il progetto egemonico dei pochi non regge più la nazionalizzazione delle politiche e la crescente consapevolezza a mezzo web. Forse hanno premuto il bottone del D-day. Nel panorama dell’immaginazione, la narrazione non ha salti logici, quindi è del tutto proponibile che il peggio sia già qui, sebbene ancora così silente e ingannatore.

Loro
Nell’incessante sciabordio di informazioni un dato galleggia sempre a porre e riproporre una domanda tanto necessaria quanto paurosa: Come è possibile che loro non abbiano contatti con la base, con noi? Ricordano gli aiuti umanitari portati agli afghani. Gli americani costruivano asili e cliniche e i locali dei villaggi circostanti li distruggevano. Non erano stati consultati su dove sarebbe stato più opportuno realizzare le opere.
Sì, è vero non siamo la base di niente. Tranne per quelli che credono nella democrazia.
La democrazia. Mai esistita se non per controllare con modalità illuministe, con metodi di velluto e d’oro. Se non per mantenere lo stato di schiavitù e mano d’opera accondiscendente, se non per farci bere calici di balzelli seduti ad una mensa dal servizio decrescente, seppur tante volte il bastante per evitare il concerto di posate. Forse sono terminati anche quei tempi nei quali ognuno, dentro sé riusciva ancora a portare l’attenzione sulla buona volontà. Finiti perché dopo innumerevoli tentativi la buona volontà e le gentili lamentele delle singole persone non sono state ascoltate da chi di dovere per migliorare i servizi della mensa. Mentre loro osservavano la capacità sorprendentemente adattativa degli uomini. Mentre loro farcivano la democrazia di cunei separatori tra categorie, tra persone.
Trenta anni or sono, il cuore delle proteste ha cessato di pompare. Edonismo, individualismo, liberismo, come vampiri, hanno succhiato la vitalità degli uomini. Per poi rigettarla in canali artefatti che loro stessi avevano costruito credendo di realizzare il vero scopo della vita: avere successo, disinteressarsi del prossimo, delle cose, degli animali, dell’ambiente, correre verso la trinità della disperazione: l’accumulo, il denaro, il potere. Una fede. Destinata a condurci verso una bara ricolma di banconote e protesi tecnologiche, per un corpo afflitto da malattie e uno spirito svuotato di serenità.

Pusillanimità culturale
Opportunamente e facilmente indottrinati, per timore di annegare nel poco che avevano, gli uomini hanno venduto la propria madre pur di seguire la corrente del globalismo. Per quegli uomini si trattava di un evento immane, come la natura. Mai di una catena di scelte compiute dai suoi simili. Un evento salvifico dunque, che avrebbe, solo lui, concesso loro di seguitare la personale e sociale rincorsa verso una realtà che vedeva pregna di significato e sostanza, che non sospettavano riguardasse la fittizia superficie dell’esistenza, l’apparire.
Ora, che siamo al centro del guado e le sponde sono lontane, di tutto può accadere. Chi aveva già le consapevolezze critiche nei confronti dell’andazzo ha il web come ultimo appello per radunare i simili a se stesso, per tenere viva la speranza di essere considerato, di tornare a credere in qualcosa che non sia solo il proprio bieco interesse. Dentro questa speranza serpeggia il rischio di radunare anche la moltitudine di popolo che necessariamente vorrà affidarsi ai guru: non dispone del necessario per fare propria la filologia della protesta; dispone di energia notevole che privata di dialettica, non ha altro canale che la rabbia verso il prossimo e l’eventualità della violenza verso se stesso. La perdita di controllo del poco che le persone possono radunare in termini di contrattualità, è alta.
Intanto, la vaccinazione per il Coronavirus pare obbligatoria. Un fatto grave che si aggiunge ad appesantire il corpo del risentimento popolare. L’app di tracciamento contagiosi (e contatti) che, sebbene al momento sia venduta come facoltativa, non tarderà a mostrare la sua vera logica. Ovvero se non ne disponi non puoi fare questo e quello e, per farlo, devi pagare e aspettare, la priorità è per i possessori dell’app. Le restrizioni sconsiderate, le comunicazioni ufficiali ondivaghe, tranne nella loro logica terrifica, lo spettro di una crisi economica che qualunque scintilla muterà in sociale, che qualunque previsione la considera per più corposa di quella conosciuta per la clausura domiciliare. La progressiva installazione delle strutture necessarie al 5G, la promessa di liquidità per la ripresa economica, bloccata dalla burocrazia strutturale di questa politica e di queste istituzioni, che neppure una parola hanno dedicato ad un cambio di registro più ecocentrico, meno egocentrico.

Facile psicologia
Il senso vittimistico, mai troppo lontano dalla nostra psicologia, avrà di che nutrirsi nel paniere del nostro attribuire colpe e responsabilità al governo. Come fosse colla di pesce, ci sentiremo uniti e solidali forse sufficientemente per sovversioni piccole o grandi.
Sentirsi vittima non porta ad alcunché che permetta passi evolutivi, il solo vero dono nascosto in tutte le scatole delle crisi. Forse al momento ci sembrerà d’averlo scartato come un regalo inutile. Ma il rilascio non ha il tempo dell’usa e getta. È a lunga scadenza. Forse, tra qualche anno o generazione, la crisi del Coronavirus non sarà citata come la pandemia del 2020, ma come l’avvio definitivo di un nuovo paradigma. Non più famelico e devastante, non più alla trangugia e divora.
Ma, per avere fede è necessario aver preventivamente accreditato il medium che porta la voce. Un contesto per la maggioranza di noi che non sussiste. Oggi, dopo l’evidente impossibilità di governare secondo una balistica da aria compressa, dopo la spumeggiante risacca nella quale è andata tritandosi la bussola dei valori con la quale avevamo sempre una direzione da seguire. Come è possibile governare nel senso sublime e sublimante del concetto? Oggi non c’è che mordi e fuggi. Tutto è fallito. Le pezze non possono più correggere una modalità di concezione del mondo, come certa classe dirigente ancora crede. L’abito va sostituito.
Nessuno più, tranne le generazioni più anziane, possono ascoltare con credito la voce ufficiale. Solo alcuni di loro, i meno corrotti dalla diffusione della comunicazione, quelli che la politica non m’interessa, ancora si alzano in piedi a battere i tacchi quando entra il re. Nessun altro.
Suerte. A tutti noi.

Lorenzo Merlo


Dove Osho e Giordano Bruno s'incontrano...




A dimostrazione che un Dio onnipotente ha presente ogni via per il raggiungimento della sua opera, l'uomo è a immagine di Dio anche nella onnipotenza, ma questo è al di fuori dell'architettura del senso di colpa che ha imposto la "chiesa volendo" mediare - per forza - il rapporto diretto con La forza dell'universo, chi media usura sempre sopratutto se è un messaggio diretta allo spirito, un Dio che ha bisogno dell'uomo per parlare all'altro uomo è già un dio fallito. Non è comprensibile se non si ha la luce dell'intelletto predisposta allo spirito la mente è piena di dogane intellettuali, imposte dalla nostra cultura in cui siamo cullati. 

Dio non ha tempo spazio e storia.... sono gli uomini che speculano sull'utilità di Dio per soggiogare gli altri uomini... Per fortuna che qualcuno come Giordano Bruno, Krishnamurti, Gesù, Osho e molti altri lo hanno sentito compreso e trasmesso come a loro è stato possibile. Un Dio non può scegliere un tempo storico per rivelarsi più tosto che un altro, farebbe una ingiustizia a chi è venuto prima o a chi è venuto dopo. Dio usa tutta la storia, tutto il tempo, ogni modo ed ogni via per far nascere la sua onnipotenza in ogni uomo!


“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente ed a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, ad una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo … l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo”.  (Giordano BRUNO, filosofo, scrittore e frate domenicano nato a Nola [in provincia di Napoli, al centro del Regno Duosiciliano], arso con la lingua stretta da ganasce a 52 anni come eretico dall’Inquisizione cattolica, il 17 febbraio 1600, a Roma)

“In questo consiste l’intera tragedia della vita umana. Tu sei addormentato ed il mondo esterno ti domina creando una mente in base ai loro bisogni. E la mente è un burattino. Quando la tua consapevolezza sarà una fiamma ardente, brucerà tutta la schiavitù creata dalla tua mente. E non esiste beatitudine più preziosa della libertà, dell’essere padroni del proprio destino …” (Osho Rajnish, mistico e maestro spirituale indiano, nato a Praisen [distretto di di Madhya Pradesh, al centro della penisola Indiana], morto a Pune a soli 58 anni, il 19 gennaio 1990 per avvelenamento da tallio, di cui era imbevuto il pagliericcio nelle celle USA della Carolina del nord, durante il suo arresto per falsi motivi, 5 anni prima)

Aforismario: Le frasi più belle e significative di Osho

Osho Rajnish e 
Giordano Bruno, cosa hanno in comune questi due personaggi?

Molte cose, anche se le loro vicende sono distanti nel tempo (quasi 4 secoli) e nello spazio (più di 6.000 km).

Nati al centro di una penisola, in un periodo di splendore intellettuale, predicano entrambi la stessa dottrina: l’uomo, anche se nato schiavo, può diventare libero, trovando la piena, serena, luminosa consapevolezza di sé.

Sono stati soppressi per la loro ideologia, per una visione del mondo che va contro la vulgata corrente, contro i falsi miti su cui si regge il sistema, qualcosa che fa svanire i confini, che azzera le differenze etniche, che abbatte l’aggressività, che rende inutili preti, politici, militari, che rende impossibile la prevaricazione, la violenza, la guerra.

Per i loro seguaci non sono morti ma hanno solo cambiato forma, ed il loro pensiero è ancor più vivo adesso di quando erano nel corpo fisico.

Il sistema, terrorizzato della loro importante presenza, se n’è apparentemente liberato ma li ha, in tal modo, resi immortali.

La loro forza sia con te …

Alex Focus

Evangelo.it | Chiesa Cristiana Evangelica Roma DIO VEDE E PROVVEDE ...

Sistema immunitario e sistema comunitario



Coppia felice baci sulla strada | Foto Gratis
Natura
Il sistema immunitario e quello comunitario hanno forse una sola matrice simbolica e un solo scopo pratico: proteggere l’organismo che presiedono.
Nel sistema immunitario, le ghiandole, come gli istituti sono distribuiti nel campo del loro corpo fisico, alla bisogna si radunano.
Entrambi si chiudono a riccio o reagiscono all’attacco di elementi estranei alla sopravvivenza del corpo di cui fanno parte. Uno ha i globuli bianchi e compagnia, l’altro ha gendarmi e saggi.
La reazione è dettata esteticamente per entrambi i sistemi: non servono riunioni, né votazioni. Riconoscono a pelle ciò che è adatto a loro e quindi anche ciò che gli è sconveniente. Chi è in grado di raccogliere le informazioni sottili, energetiche lo potrà confermare.
Mentre chi – individuo o società – identifica se stesso in qualche modello a lui esterno, acquisito, d’immagine, voluttuario, ideologico non avrà modo di percepire le vibrazioni che corpo e società continuamente emettono.
La psicologia dei due sistemi è organica, quindi ontologicamente coordinata, salvo diversivi (mutabilità virale, comunicazione) che ne possono deviare la logica protettiva. Dunque, a volte, per qualche attacco particolarmente subdolo (alterazione geni riparatori Dna delle cellule cancerogene, discendenti del serpente paradisiaco) vanno in crisi. Sovraeccitati si procurano danni, peggiorano la situazione dell’organismo, anche fino a comportarne la morte. Forse sono solo prove della Natura (per entrambi) affinché tragga idee su come migliorarsi.
I due sistemi sono in balia delle emozioni. Purtroppo sfugge ancora ai medici ordinariamente formati, ma fortunatamente non ai sociologi, che però pare non abbiano peso politico. Tutti gli specialisti hanno un’operatività analitico-scientifica, non sono in grado di cogliere l’unità, l’organismo con cui hanno a che fare. La loro azione è necessariamente solo destinata alla sintomatologia.
Le emozioni alterano la capacità di difesa (s. immunitario) e di giudizio (s. comunitario). Quando ci sono di mezzo le emozioni, la capacità di difesa (s. immunitario) e di creatività (s. comunitario) vengono meno. A quel punto, il nocivo che entrambi i sistemi erano in grado di respingere ora li sopraffà: avvio di malattie nelle persone e cedimento dei valori nella comunità. Le emozioni hanno una carica elettrica, energica che comporta una sorta di collasso sistemico se negative (malattia, malessere). Vero corto circuito energetico.
Per il sistema immunitario le medicine – allopatiche in primis, solo in grado di gestire i sintomi e mai di arrivare alle cause e sono esse stesse causa di patologie – sono un obbligo di lavori forzati. Nonché l’equivalente della goccia d’acqua sulla pietra, cioè in grado di far cedere le maglie più deboli del sistema immunitario stesso.
Per il sistema comunitario, corrispondono le comodità, e peggio, le abitudini lascive e lassismiche, le consuetudini che privilegiano, danno diritto, al singolo rispetto al bene comune. Quale compagine può muoversi insieme per un solo scopo comune se i suoi componenti avanzano esigenze e diritti individuali, ponendo se stessi, come nell’individualismo, alla pari delle istituzioni?
Le cure per ambo le strutture preposte alla vita individuale e comunitaria, la cura e il benessere hanno altre origini e caratteristiche. Cibo, ambiente, sentimenti, qui ed ora adeguati per uno; rispetto dei ruoli, delle tradizioni locali, bioregionalismo, dei riti, degli antenati, per l’altro. Ogni stravaganza a chilometro 1000 è tossica d’ufficio. Sia essa alimento che valore. Le vie di mezzo ci sono e hanno una identità assai precisa: riguardano tutte le ipotetiche estraneità che tali non sono in quanto integrabili nei sistemi senza che questi ne risentano.
La cura comunitaria sta nei calli, nel lavoro creativo, nel lavoro adatto a sé, nel sole, nel cibo locale nel dedicarsi al prossimo, come in famiglia. La cura di sé non impiega mezzi esterni a sé, si basa sull’assunzione di responsabilità. Il sé sa bene che se c’è un problema, l’ha creato lui stesso, quindi solo lui può risolverlo. Solo lui ha le doti per arrivare all’origine di ciò che l’ha causato. Spesso sentimenti negativi e inaccettazione di ciò che è. Sa che per compiere la guarigione è necessario scavare per arrivare a raggiungere l’assenza di consapevolezza che ha generato il problema. Gli aiuti esterni sono buoni solo se richiesti. Affidare se stessi agli altri, delegare la propria salute ad esterni da se stessi o dalla comunità è facilmente fallace e crea dipendenza affettiva o economica che sia.
Entrambi i sistemi autopoieuticamente si mantengono se restano legati alla tradizione locale e alla terra. Diversamente avvertono subito la tossicità dell’aria, del cibo, dei ritmi dettati dalla produzione a discapito di quelli della natura, di quelli imposti da farmaci e rimedi sociali da medici e politiche non in grado di considerare la natura rispettivamente della persona e della comunità, che prediligono – ma non hanno alternativa – dedicarsi ai sintomi, applicare protocolli identici per persone e ambiti sociali differenti.
Nel sistema comunitario, l’altro da sé non è un oggetto. È un essere senziente. Viene riconosciuto come parte della comunità e non solo gli uomini, anche l’ambiente e le bestie. Entrambe hanno una dignità prima di avere un nome e un valore nell’equilibrio della comunità, prima che di sussistenza o economico. I venditori di fuffa sono percepiti a distanza, come il cervo col cacciatore.

Cultura
Ma ora non c’è più comunità. La mannaia dell’individualismo e della globalizzazione, ha squartato quei corpi vestiti di lana, cotone e cuoio, quegli spiriti semplici. Calli e modestia sono diventati vergogne.
Il presente ha il culto della scienza medica. Gli ha dato il sangue e si ritrova con le sacche per trasfusione infette. Al culto degli esperti ha delegato il delegabile, tutto, fino all’educazione.
L’Uomo della Comunità ha aperto i cancelli ai miraggi dei mercanti e si è ritrovata senza terra sotto i piedi. Ciò che era ordine si è mescolato agli acidi corrosivi dell’io voglio di più. Il tessuto è macerato. Non veste più nessuno, tranne che alienati spiriti mortificati e umiliati.
Ora singole persone si muovono spaesate senza sapere il perché della loro solitudine, o rimpiangendola o ricordando quando, soddisfatti della proposta, in cambio di benefit hanno scelto, come fosse cosa giusta, di adorare un dio immediato. Lo hanno fatto con un cinismo che gli era prima estraneo, hanno ucciso quello immortale dentro sé.
Ora tutti hanno tutto. Le case sono piene di oggetti e vuote di quel sentimento che ci faceva sentire la bellezza e la diversità degli altri come fortuna. Che alla festa faceva danzare e al lutto faceva rispettare il suo tempo.
Confusi, ma senza saperlo, abbiamo scambiato la tecnologia per progresso e adesso siamo costretti ad essa come il cane al guinzaglio. Lo siamo per sapere cosa e come fare, per sapere e sostenere dov’è il giusto e lo sbagliato.
La parola della vulgata della scienza, è un magnete che ci domina i pensieri; che mai vorremo metterci a discutere; della quale mai abbiamo sospettato il matrimonio che essa aveva celebrato con qualche commerciante.
La comunicazione ci invita a concepire la natura come campo sportivo. Il diritto al tempo libero è vissuto come una conquista universale. Anche a scapito di tutto ciò che nella comunità è sostanziale.
Le comunità sono morte di suicidio e gli individui seguono l’esempio credendo che una malattia possa capitare sempre a chiunque, come per caso.

Favola
Non è una favola, anche se forse per qualcuno ne ha i tratti. Ma anche lasciando lo sia, come tutte le favole, ha un valore. L’allegoria e la metafora parlano e alludono ad altro per fare in modo che ognuno ricostruisca in se stesso il significato sotteso. Lo abbiamo fatto per Fedro: non ci siamo fermati a dire “eh ma la volpe mica mangia l’uva”. Possiamo farlo sempre, anche ora. È a quel punto che non è più una favola.

Lorenzo Merlo