Iconografia ed uso del corpo nelle religioni

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Il rispetto per il corpo e per la fisicità in generale, in quanto mezzi materiali per l'espressione spirituale. non può trasformarsi in un tripudio escatologico in cui lo "spirito", meglio definito "Intelligenza e Coscienza", viene ridotto ad una iconografia materialista. Purtroppo quasi tutte le religioni, soprattutto quelle occidentali, indulgono nelle simbologie fisiologiche nel rozzo tentativo di esaltare il loro credo.

Diceva bene Gustavo Rol  nel suo elogio alla modestia ed alla semplicità:  "Più una cosa è semplice più è veritiera". Al contrario  il sistema politico-religioso resta avvinghiato a forme immaginarie ed alla loro frammentarietà,  con una  sterile avversione  a ciò che  è naturale.  Il risveglio di un nuovo essere umano globale deve emergere dalla modestia anche nell'immagine e nella descrizione, solo così l'uomo  può salire alla consapevolezza  che la sua natura custodisce da sempre.

La radice delle religioni monoteiste mediorientali è giudea, essa  si  basa essenzialmente  su miti e leggende, scelte e stabilite dai  fondatori  con lo scopo di dare un cemento ideologico unitario alle loro sparse tribù seminomadi che  erano state precedentemente politeiste. Idem dicasi per "la Verità Rivelata che si fa carne".  Ciò che ai "cristiani" sembra autoevidente ad altri può apparire come delirio. Quest'ultimo in altri tempi sarebbe stato imposto con la tortura e il rogo. Oggi, perlomeno, questa mostruosità non è più possibile. Rispetto ad ogni questione  la verità è solo una - mentre molte possono essere le menzogne. Si tratta, appunto, di vedere con coraggio e mente libera cosa sia vero e cosa sia falso sia nella storiografia che nell'iconografia di tali  religioni. 


Dal punto di vista ideologico, delle tre fedi di origine semitica, la più povera in quanto a "pensiero sottile" è l'Islam, molto vicina nella sua narrazione a tante fiabe da "mille ed una notte". Ma a differenza delle consorelle almeno l'Islam si limita a descrivere situazioni paradisiache con vergini, vino e miele a disposizione dei beati,  altrettanto fa con la vita "sessuale" del profeta, ma proibisce espressamente ogni rappresentazione del divino in quanto definita  blasfema.

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Per quanto riguarda le punizioni corporali contro infedeli e peccatori  l'Islam  viene definito barbaro, poiché praticava,  e tutt'ora lo fa, la decapitazione o la lapidazione (quest'ultima praticata anche nel giudaismo e nel proto cristianesimo) ma come possiamo giudicare le azioni  nefande compiute in nome di Cristo della chiesa cosiddetta cattolica?  In realtà questa non può essere  la chiesa di Cristo,  in quanto messaggero d'amore universale. Oggi   i sacerdoti,  gli alti prelati ed il papa stesso   cercano di giustificare o nascondere il passato oscurantista della Chiesa, in cui regnavano (e tutt'ora regnano) sovrani vizi, privilegi, sete di potere e di ricchezza, intrighi, sesso sfrenato, congiure, omicidi, torture.

Come ha potuto un’istituzione che ha messo in atto i più crudeli e sofisticati mezzi di supplizio avere l’ardire di definirsi cristiana? Con il falso pretesto che la punizione corporea serviva a salvare l’anima del peccatore, milioni di persone innocenti sono state  squartate, arse vive, impalate... I mezzi di tortura più diffusi dai sicari della santa Inquisizione erano: lo stiramento delle membra del condannato, la storpiatura e rottura delle ossa, il rogo, lo strappo della lingua ecc. Spesso il condannato veniva tagliato a metà con una comune sega da boscaiolo; oppure rinchiuso in una gabbia di ferro o legno appesa alle mura della città dove restava esposto fino al disfacimento delle ossa. Inoltre veniva fatto largo uso della cosiddetta “vergine di Norimberga,” una specie di sarcofago di ferro a due ante con aculei interni destinati a penetrare nel corpo del condannato; poi vi era il metodo della garrota con il suo tipico collare di ferro che uccideva la vittima per strangolamento o per la penetrazione di un aculeo di ferro nelle vertebre cervicali; il supplizio della ruota in cui gli arti umani venivano fatti passare attraverso i raggi come fossero di gomma.

Queste forme trucide  di punizione  religiosa,  finalizzate però al mantenimento del potere temporale, non appartengono solo alla storia scritta ma fanno parte della iconografia, dove spesso di osservano l'ipotetico  martirio dei santi, dei convertiti, delle donne purificate dal connubio demoniaco,  di madonne che scacciano demoni, di angeli che  puniscono i peccatori, etc..   e perché no anche nelle immagini della Via Crucis ed affini. 

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Insomma l'immaginario cristiano è quasi tutto una cacofonia dell'orrore e della sofferenza. Si parla di amore in chiesa ma fuori della chiesa si pratica l'odio. Molti cristiani hanno cominciato a chiedersi se la via del dolore abbia veramente un cuore. A questo proposito un cristiano pentito, Carlos Castaneda, faceva una riflessione: "Qualsiasi via è solo una via, e non c'è nessun affronto, a se stessi o agli altri, nell'abbandonarla, se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare... Esamina ogni via con accuratezza e ponderazione. Provala tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, ed a te stesso soltanto, una domanda... questa via ha un cuore? Se lo ha,  la via è buona. Se non lo ha, non serve a niente." 

Abbiamo più o meno visto come si presenta l'immaginario delle religioni definite "monoteiste" (meglio sarebbe chiamarle monolatriche),  qual'è invece l'immaginario delle fedi orientali? In India si fa largo uso di figure di carattere sessuale, vi sono templi in cui si celebra la sessualità in tutte le sue espressioni, tutte le divinità da quelle inferiori a quelle della Trimurti, Creatore, Conservatore e Distruttore, sono descritte come dedite ad amplessi decisamente erotici. Non ci si vergogna degli stimoli naturali che vengono anzi interpretati come forme devozionali e spirituali. Questo avviene anche nel tantrismo buddhista in Tibet, Nepal ed in tutto l'estremo oriente, dove spesso  i vari Buddha sono affiancati da Dakini o addirittura  impegnati in copule mistiche. Persino nel taoismo  cinese non si disdegnano le forme  di approccio sessuale, tra l'altro si può dire che il taoismo non è altro che una forma di adorazione della Natura, della naturalezza e della spontaneità.   
In altri articoli abbiamo già trattato i vari modi  del  rapporto interpersonale psichico e fisico  tra maschi e femmine delle vie spirituali d'oriente, inutile qui ripeterle. 

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L'apparente liberalità nelle immagini religiose dell'oriente deriva dal fatto che quella spiritualità  non è nemica o separata dalla vita, anzi è proprio attraverso l'integrazione dei due aspetti materialità e spiritualità che si manifesta la pienezza, l'integrazione dell'essere umano, da separato ed incompleto a "pieno" e portatore di un messaggio unitario. Si fa una analogia  con l’organismo vivente che è in stretta correlazione con tutto ciò che lo circonda. Ad alcune cose è affine ad altre è in antagonismo. Saper far fronte a situazioni estreme mantenendo un equilibrio di mente e di corpo, deriva dalla capacità dell’organismo di integrare e aggiustare al suo funzionamento le diverse energie vitali. L’acqua, il cibo, il freddo, il caldo, il moto, la quiete, il sonno la veglia, la pulizia e l’influenza spirituale…. la somma di tutti questi fattori, vissuti correttamente, è santità, anche nel senso di salute.

Diceva Anasuya Devi, una grande santa vissuta in Andra Pradesh,  una donna normale, sposata con prole e perfettamente integrata nella società e nella cultura indiana: "Giorno e notte sono ovviamente entrambi necessari. In assenza della relatività non potrebbe affatto esserci  creazione. Tutte le qualità che noi incarniamo sono già lì... tutte derivano da quel  Potere Originario. Non potrebbero esistere in noi se non esistessero già in Quello. Come succede per un commediografo che crea diversi personaggi dotando ognuno delle caratteristiche necessarie...”

L'iconografia  religiosa  dovrebbe mostrare queste immagini, di semplice e pura aderenza alla vita!

Paolo D'Arpini

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L’anomalia spirituale di Giordano Bruno nel contesto filosofico occidentale ed il seme di conoscenza da cui il suo pensiero deriva


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”Ah, la libertà! Così preziosa ma così “cara” e per i più così utopica….” (A.B.)
La differenza sostanziale nell’espressione religiosa fra oriente ed occidente è che in occidente la religione si considera con un inizio ed una fine mentre in oriente essa viene riconosciuta come “eterna”, senza inizio né fine.
Il cristianesimo ed anche l’islamismo, infatti, sono religioni che prendono l’avvio con la nascita dei loro rispettivi profeti, Cristo e Maometto, e ci si aspetta che si concludano con l’apocalisse. In India, in Cina e nel resto dell’Asia, invece, lo Spirito viene dichiarato antecedente e successivo ad ogni manifestazione vitale ed allo stesso tempo esso è sia immanente che trascendente. Questa differenza di vedute porta ad una sostanziale differenza nella gestione del fatto religioso. In oriente non esistono strutture di potere riconosciute come legittime custodi della religione, ciò che è eterno pensa a se stesso. In occidente al contrario si presuppone che la religione debba essere controllata e gestita da nuclei di potere ecclesiastico, proprio in considerazione della sua finitezza ed imperfezione, e questo per “evitare” devianze o eresie dalla norma consolidata.
Forse l’esempio ideologico di un potere sacerdotale centralizzato derivò dalla figura di Mosé il quale riportò ordine e regole nella religione “madre”, regole fatte in seguito proprie sia del cristianesimo che dell’islamismo. Ma il potere centralizzato è soprattutto presente nel cristianesimo, formandosi nei secoli un diritto assodato del vescovo di Roma di gestire in modo autonomo ed assolutistico le cose religiose e mondane connesse al credo cristiano. Questo semplice fatto ha comportato una “cura d’interessi” personalistica pure nei fatti dottrinali e nel riconoscimento di santità od eresia. Ad esempio andò bene a Francesco d’Assisi che venne ad umiliarsi a Roma e perciò ottenne l’autorizzazione papale e successivamente anche il riconoscimento di santità.
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Molto male, forse perché in quel periodo regnavano pontefici più gretti, andò al Savonarola od a Giordano Bruno che furono sacrificati sul rogo. Nel periodo storico in cui visse Giordano Bruno, in verità vi fu un certo fermento illuminista con Galileo Galilei che studiò il sistema solare e lo definì eliocentrico, oppure con Tommaso Campanella che si ispirò alla teoria neo-platonica per immaginare la sua “Città del Sole”. Purtroppo per Giordano Bruno la sua intuizione fu troppo grande e troppo incontrollabile per poter venir accettata dal papato, addirittura egli chiamò l’universo eterno ed infinito, senza centro né circonferenza. Una cosa del genere non poteva piacere ad un potere religioso che basava il suo essere sulla “finitudine, sulla limitatezza, sul peccato originale, sulla differenza fra Dio e creature, sulla necessità di un salvatore specificatamente indicato”.
Giordano Bruno fu troppo vicino nella sua espressione filosofica al “Sanathana Dharma”, l’eterna legge dell’essere (e del non essere), ben descritta dai saggi realizzati d’oriente… Ed allora che posto avrebbe avuto un papetto qualsiasi, un cardinaletto, un curato di campagna nel contesto di tale verità? Semplici figure immaginate e pretenziosamente costituite in veste istituzionale. Purtroppo l’abisso nel pensiero ed il rischio che questo avrebbe comportato alla continuità religiosa cristiana fu inaccettabile per i meschinelli capi religiosi della cristianità (una religione per altro inventata a tavolino). Così fu necessario che Giordano Bruno fosse immolato sul rogo, nel tentativo di distruggere assieme al suo corpo martoriato anche il suo pensiero. Ma andò così? No, la verità viene sempre a galla e sia pur ancora calpestata e misinterpretata essa alla fine trionferà ed in realtà sta già trionfando, poiché il finito non può assolutamente condizionare l’infinito. 
Paolo D'Arpini

 






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La scienza iniziatica e l'aldilà


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Chi si accosta alla Scienza iniziatica è obbligato a studiare la questione dell'aldilà. Ciò ha inizio con la conoscenza delle relazioni esistenti fra l'uomo e l'universo. Come l'universo, anche l'uomo è composto da varie regioni, ossia i suoi vari corpi – fisico, astrale, mentale, causale, buddhico e atmico –, tramite i quali è in relazione con tutte le regioni dello spazio. A seconda della natura dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti, dei suoi desideri e delle sue azioni, egli entra in contatto con il mondo della luce o con quello delle tenebre. 

Alla sua morte, l'uomo abbandona solo il suo corpo fisico. Se durante la sua esistenza si è sforzato di dominare le manifestazioni della sua natura inferiore, ha purificato il proprio corpo astrale e il proprio corpo mentale, e, per la legge dell'affinità, si dirige verso i piani astrale e mentale superiori, che sono mondi di bellezza e di gioia. Altrimenti viene trascinato verso l'astrale e il mentale inferiori, dove soffrirà. 

Prima di essere regioni dello spazio in cui l'uomo andrà a soffrire o a gioire dopo la sua morte, quelle che i cristiani hanno chiamato Inferno e Paradiso sono per prima cosa regioni che esistono in lui. Esse fanno parte di lui, ed egli non può evitarle.

Omraam Mikhaël Aïvanhov  

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Sunya o Vuoto (in chiave buddhista)


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“Prima di svuotare, bisogna riempire.
Prima di rimpicciolire, bisogna ingrandire.
Prima di cadere, bisogna salire.
Per distruggere qualcosa, portatelo all’estremo.
Per conservare qualcosa, tenetelo nel mezzo”

(Deng Ming Dao)


Il concetto di Sunya o Vuoto, in senso spirituale,  non è una prerogativa del solo Buddhismo. Esiste il Vuoto della tradizione taoista  e che ha persino un significato più attinente con la metafisica. Il Vuoto taoista è in realtà un Pieno in cui non  c'è possibilità di differenziazione. Questo Vuoto-Pieno fu definito "Tao".  Ma  se  questo Tao  al nostro percepire determinista  appare  come un nulla, che per noi  corrisponde alla  assenza  del sé,  ovvero la coscienza individuale, esso contemporaneamente segna il ritorno beato  nella  matrice naturalistica, basata sul silenzio della mente, che  nel suo incessante funzionamento attira  e proietta  l’esperienza  in forme  pensiero   e poi la riassorbe nel nulla da cui proviene.  Questa kenosi del Tao procede per sua propria natura e non presuppone alcuna volontà creatrice o distruttrice. E da qui si comprende la non  valutazione taoista per un Dio personale. 

Questa matrice universale, non differenziabile tra creatore e creatura, è in verità una "idea"  condivisa da tutte le filosofie nondualistiche,  è definita Tao o  Senza Nome, nel Taoismo; Brahman o Assoluto nell’Advaita;  Sunya o Vuoto nel Buddhismo.

D'altronde anche dal punto di vista empirico possiamo considerare che la cosiddetta sostanzialità percepita attraverso i sensi non è altro che una sorta di immagine che attraversa il flusso della Coscienza.  La mente può  solo “fermare” in una sembianza rappresentativa la vera natura dell'Essere, che si manifesta da sé come una “memoria” di quell’infinito (nel finito apparente…). 

La ragione cerca di descrivere  la sostanzialità dell'immagine percepita  ma  solo l’intuito può farci “intravvedere” la sua reale natura.  

Tutto avviene nella Coscienza per mezzo della Coscienza. In tal modo qualsiasi tentativo di “spiegazione” o "descrizione" della cosiddetta realtà empirica perde di valore essendo superato dalla successiva sovra-imposizione, un’onda continuata, un flusso di sensazioni e pensieri proiettati nella mente ma di cui la vera sostanza è la  Consapevolezza. E cosa è la Pura Consapevolezza, non contaminata da alcuna forma pensiero, se non un Vuoto/Pieno …? Una capacità indescrivibile, non controllabile dalla mente ma di cui la mente è una semplice espressione?

Il Vuoto, o l’Assoluto, insomma prevale sempre, tutto contiene e tutto trascende. Il  Vuoto perciò non è vuoto. E' l'espressione  di una energia spirituale  conosciuta nelle antiche tradizioni orientali come  energia primigenia. Questa energia non solo dà forma al mondo fisico, momento per momento, ma si relaziona con la coscienza individuale di tutti gli esseri. 

La scienza contemporanea, in termini quantistici,  rivela che la distinzione tra mondo materiale e spirituale è un errore. Non c'è dualità, l'universo è la manifestazione di quell'unica  "sostanza"   e sia il mondo fisico che spirituale prendono forma da essa  che compenetra ogni cosa in quanto Coscienza.

La Coscienza non è ciò che appare nella coscienza, non è -per intenderci- sensazione, pensiero, emozione, intuizione, visione ma è quella luce che rende possibile ogni  percepire.  Ed infatti  neanche questa spiegazione fatta di parole  può qualificare o indicare la Coscienza. Questo mio è un futile tentativo di definire l'indefinibile... ogni definizione della "Coscienza" è contenuto e mai può essere contenitore.

Nello specifico torniamo ora ad analizzare il significato del "Sunya" in termini buddhisti.  Allorché nel buddhismo si parla di "estinzione" come la meta suprema della pratica   si intende l'estinzione dell'individualità, lo smascheramento della natura illusoria, non la cancellazione della Pura Consapevolezza priva di attributi e di identificazione.  Chiara fu la enunciazione di questi concetti da parte del massimo filosofo della "vacuità", Nagarjuna.  

Egli oltre l'impermanenza temporale,  indicò una ulteriore qualità nella non sostanzialità dei fenomeni: essi erano vuoti anche di una loro identità in quanto dipendevano uno dall'altro sul piano temporale.  Tutti i fenomeni  sono quindi privi di sostanzialità, poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente. Egli esprime la sua posizione in quella che è  un'opera capitale del buddhismo: le Madhyamakakarika, Stanze della via di mezzo. Nagarjiuna  riteneva che il linguaggio è inevitabilmente illusorio in quanto prodotto di concettualizzazioni ed è per questa ragione che egli rifiutò sempre di definirsi detentore di una qualsivoglia dottrina. Poiché l'esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione di pensiero.  E l'idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se alla vacuità viene  attribuita una identità.
"La vacuità è una designazione metaforica - affermò il filosofo, aggiungendo - se il mondo fosse non vuoto, non si potrebbe né ottenere ciò che non si possiede già, né mettere fine al dolore, né eliminare tutte le passioni..."
E l'altro grande saggio buddista, Tilopa, disse: "Chi si aggrappa alla mente non vede la verità che sta oltre la mente. Chi si sforza di praticare il Dharma non trova la verità che è aldilà della pratica. Per conoscere ciò che è aldilà sia della mente che della pratica bisogna tagliare di netto la radice della mente e, nudi, guardare; bisogna abbandonare ogni distinzione e restare tranquilli..."

Pertanto si può affermare che il laboratorio di ricerca in senso buddista è  il proprio interno, la  Coscienza, e l’unica pratica consigliata è quella dell’introspezione.  Non vengono indicati metodi speculativi, piuttosto si cerca di portare l’intelligenza al limite della sua tendenza raziocinante, e questo conduce all'estinzione, ovvero al "Sunya" o Vuoto.

Paolo D'Arpini

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Il cristianesimo sovrapposto alla cultura tradizionale mediterranea


Ho ricevuto una lettera da un lettore il quale mi chiede: “Ultimamente è ritornata in voga, specialmente tra gli ambienti integralisti cristiano-cattolici, questa narrazione secondo cui l’Europa unita è nata cristiana ed è stata minacciata, nel corso della storia, dai vari scismi che la religione cristica ha avuto in particolare con Lutero e il protestantesimo. 
C’è un libro del 1932 ripubblicato di recente questo http://www.lindau.it/Libri/La-genesi-dell-Europa . A me sembra piuttosto che l’apporto dato dal cristianesimo sia stato insignificante rispetto alla grande eredità filosofico-culturale dell’antica Grecia e Roma. Ecco vorrei sapere se ci sono libri che contrastino questa tesi…”
Rispondo alla domanda relativa al cristianesimo. E’ in edicola il primo volume della storia della filosofia, primo volume filosofia greca, di Abbagnano (Euro: 1,90). Non è il solo che tratta con ampiezza di vedute il problema del FALSO sparso a piene mani dai cristiani nelle loro svariate manifestazioni. A questo testo va aggiunto qualche altro libro che qui voglio elencare: PORFIRIO, vangelo di un pagano. Eunapio, Vita di Porfirio. A cura di Angelo Raffaele Sodano (Rusconi, 1993). Qui si parla in maniera chiara della co-presenza nel crogiolo del primo secolo imperiale, di una infinità di culture, filosofie, credenze, come ad esempio l’evangelo laico di Pitagora,…..” e, accanto a Pitagora, qualche gnome epicurea che probabilmente era stata già dai neopitagorici inserita nel loro corpus aforistico, in un sincretismo religioso-filosofico caratteristico dei primi secoli dopo Cristo” ( insomma 3-400 annetti…).
Se osserviamo il secolo nel quale viviamo con lo stesso interesse con cui cerchiamo di scoprire gli elementi sincretistici che caratterizzeranno le future religioni, assieme ai tentativi concreti della creazione di Palesi Nuove Religioni (sicuramente la formula più geniale è l’invenzione di Scientology da parte di un creativo scrittore di Fantascienza, la quale, presa nel suo insieme, dimostra quanto sia stata utile nell’acculturare le giovani generazioni). Per tornare ai Vangeli, è chiara l’intenzione di creare una nuova mitologia basata sul mito bellico. In sostanza si tratta della diffusione del Neoplatonismo nella Giudea, contrastata dalla vecchia casta sacerdotale, che uccide il suo promotore: Gesù.
Infatti, se leggiamo con attenzione le risposte di Gesù a coloro che gli fanno le domande, possiamo osservare con un pizzico di attenzione e di cultura, che si tratta di risposte già confezionate da Seneca, il quale aveva soggiornato ad Alessandria, crogiolo del Cristianesimo. Un altro testo essenziale, edito da Rusconi è: “Filone. Commentario allegorico alla Bibbia”. A cura di Roberto Radice. Chi è stato Filone? Colui che ha inserito la Bibbia (la Bibbia dei 70, comunque) all’interno di un processo di sincretizzazione. Infatti: che significa commentario allegorico? Che si ritiene che l’unica spiegazione degli eventi narrati in quel testo sia da interpretarsi come una ALLEGORIA. Quindi si da per scontato che quei testi NON siano VERI. E d’altronde la prova ce la fornisce Mauro Biglino, grande conoscitore delle lingue della Bibbia, che nessun pretonzolo osa contestare.
Giorgio Vitali

Con l' "Origine della Specie" di Darwin si passa dall'autorità "divina" all'autorità della scienza

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Quando nel 1859 fu pubblicata l’opera fondamentale di Charles Darwin (1809-1882) – “L’Origine della Specie” – essa costituì una rivoluzione culturale paragonabile a quella che era stata nel ‘500 e nel ‘600 la rivoluzione copernicana, sviluppata poi magistralmente da Giordano Bruno, Galilei e Keplero.(1)(2)(5) Venivano di fatto messe in discussione da uno scienziato, di per sé prudente e moderato, e niente affatto rivoluzionario, l’autorità delle “Sacre Scritture” – molto stimate nell’Inghilterra di inizio ‘800 - , l’età della Terra e dell’Universo (considerata di poche migliaia di anni nella Bibbia), il mito della “Creazione Divina”, e la centralità della specie umana nel mondo (dovuta alla tradizione religiosa ed aristotelica).


L’opera di Darwin era stata in realtà preceduta da altre opere scientifiche e filosofiche. Senza voler risalire ai primi accenni di teoria evoluzionista presenti nella filosofia naturalista dell’antica Grecia - in Anassimandro ed Empedocle - e nella concezione di un mondo eterno in continua trasformazione – come nell’opera di Democrito, ed in quella cinquecentesca di Giordano Bruno – basterà ricordare le teorie evoluzioniste di epoca illuminista espresse da Maupertois, Buffon e Diderot e – in Inghilterra – dallo stesso nonno di Charles: il biologo Erasmus Darwin. Il più importante predecessore di Darwin era stato il francese Lamark, sostenitore della teoria della trasmissibilità ereditaria delle variazioni biologiche dovute all’ambiente e di un (presunto) processo di perfezionamento progressivo delle specie viventi. Sulle orme di Lamark, Geoffrey Saint-Hilarie aveva polemizzato con Cuvier, sostenitore – come Aristotele – della fissità delle specie, il quale per giustificare la sparizione di intere specie (ritrovate come fossili) aveva sostenuto la teoria delle catastrofi naturali.

Negli anni precedenti l’opera di Darwin, il suo amico, l’intelligente geologo Charles Lyell (1797-1871) aveva contestato in una sua opera molto nota la teoria delle catastrofi, sostenendo la progressività delle trasformazioni geologiche in un lunghissimo intervallo temporale (teoria detta “Uniformismo”). Due studiosi britannici, Patrick Matthew (1790-1865) e Robert Chambers (1802-1871) avevano sostenuto teorie evoluzioniste.

Darwin aveva studiato scienze naturali ad Edimburgo e Cambridge, ma poi – senza completare gli studi – aveva accettato di lavorare come esperto sulla nave “Beagle” nel suo viaggio di esplorazione scientifica intorno al mondo iniziato nel 1831. Ebbe così la possibilità di raccogliere un gran numero di dati sulle caratteristiche biologiche di varie specie, in particolare osservando gli uccelli nelle isole Galapagos. Al ritorno in Inghilterra, influenzato anche dalle sue osservazioni sulle specie domestiche che gli allevatori riuscivano a modificare con gli incroci sfruttando minime differenze iniziali, e dalla conoscenza delle opere di Lamark ed Alexander Humboldt , nonché dalle teorie di Malthus, già negli anni ’30 Darwin aveva messo a punto le sue ipotesi. Nel 1844 il grande biologo britannico aveva già realizzato una prima stesura della sua opera che però vide la luce solo 15 anni dopo su sollecitazione di Lyell ed altri amici, probabilmente perché Darwin si rendeva conto dell’inevitabile impatto sull’opinione pubblica ed il conseguente strascico polemico. L’accoglienza però fu favorevole in molti ambienti, anche per lo stile razionalista delle argomentazioni e la presenza di un gran numero di dati, a parte le inevitabili polemiche delle autorità ecclesiastiche. Lo stesso Marx si offrì di fare una presentazione del libro, rendendosi conto della sua importanza(3), offerta prudentemente rifiutata dal biologo.

Il nucleo dell’opera era la convinzione espressa che piccole differenze casuali riscontrate nelle specie viventi nelle generazioni successive avrebbero potuto offrire vantaggi o svantaggi nella spietata lotta per l’esistenza favorendo, nelle successive generazioni, individui aventi caratteristiche più adatte alla sopravvivenza, modificando così a lungo andare le specie. Tale teoria eliminava qualsiasi finalità (o “teleologia”) nella natura, sia di tipo religioso (come la presunta esistenza di piani provvidenziali), sia filosofico (come in Aristotele), e superava anche la concezione lamarkiana di trasmissibilità ereditaria diretta di caratteristiche acquisite a causa dell’ambiente. Felice Mondella, collaboratore di L. Geymonat nella stesura della nota opera(1), osserva giustamente che il meccanismo ipotizzato da Darwin (per cui da organismi unicellulari elementari si può giungere progressivamente ad organismi molto complessi) fornisce anche un principio, che se esteso anche al mondo inorganico con le dovute modifiche, potrebbe dar conto dell’affermazione degli antichi filosofi materialisti ed atomisti secondo cui oggetti complessi e mondi interi possano formarsi dall’unione casuale di atomi.

Nel 1871 Darwin pubblicò una seconda importante opera sulla “Origine dell’Uomo”, in cui attribuiva all’evoluzione anche lo sviluppo delle facoltà mentali.

Un attacco alle teorie darwiniane venne negli anni ’60 dal famoso fisico William Thomson (Lord Kelvin), di cui parleremo più diffusamente in un prossimo numero(4), che calcolò l’età della Terra in soli 20 milioni di anni (tempo troppo ristretto per permettere l’evoluzione delle specie viventi) sulla base di un calcolo del tempo di raffreddamento del pianeta. Thomson sbagliò per non aver tenuto conto del fatto che l’interno della Terra è ancora liquido e soggetto a moti convettivi che trasportano il calore, e che la radioattività (scoperta in seguito) apporta altro calore. I sostenitori di Darwin, tra cui lo stesso Lyell ed il biologo Thomas Huxley (1825-1896), grande diffusore delle teorie evoluzioniste, calcolavano giustamente tempi molto più lunghi. Oggi si sa che questo tempo è di circa 4,5 miliardi di anni.

Negli stessi anni ’60 del XIX° secolo fu pubblicata l’importante opera del monaco scienziato ceco Gregor Mendel (1819-1903), che incrociando varie specie di piselli ed altre piante aventi caratteristiche diverse, aveva constatato che nella prima generazione si manifestano dei caratteri “dominanti” che prevalgono nel 100% dei casi e dei caratteri “recessivi” che non si manifestano, mentre nelle seconde e terze generazioni i caratteri “dominanti” e “recessivi” si manifestano in proporzioni precise a seconda del tipo di incrocio effettuato. L’opera di Mendel, inizialmente ignorata, ma poi riscoperta e considerata fondamentale intorno al 1890, fu presentata come contraria alle teorie darwiniane e favorevole al principio di fissità delle specie. Gli studi di genetica sviluppati alla fine dell’800 e nel ‘900 hanno dimostrato che non vi è contraddizione tra le due teorie e che le piccole variazioni biologiche si presentano già in fase genetica.

La teoria della selezione naturale influenzò anche l’opera del filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903), che operò una sintesi (alquanto schematica e superficiale) tra il pensiero positivista e progressista di Comte (N. 76) e la teoria della selezione naturale, adottando un atteggiamento favorevole ad un capitalismo fortemente concorrenziale e ultraliberista in cui tutti sono in lotta tra loro per prevalere (“Darwinismo sociale”). Spencer affermò (giustamente) che tutta la realtà è in evoluzione, compreso il campo della conoscenza dove la stessa struttura della coscienza, i concetti ed i simboli sono frutto dell’evoluzione e delle condizioni storiche dell’ambiente. Aggiunse, però, che, essendo la conoscenza scientifica relativa, lascia un ampio spazio “inconoscibile” di cui solo la religione (considerata indispensabile da Spencer) può interessarsi.

Vincenzo Brandi

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L. Geymonat, “Storia del Pensiero Fil. e Sc.”, op. cit. in bibl.

C. Singer, “Breve Storia del Pensiero Sc.”, op. cit. in bibl.

F. Engels, “Dialettica della Nat.”, Ed. Riuniti, prefazione di Lombardo Radice, op. cit.

RBA, “Grandi Idee della Sc. – Kelvin”, op. cit. in bibl.

W. Adorno, “Storia della Fil.”, op. cit. in bibl.

L'illusione del denaro, proiettata nel futuro - Parabola Sufi



A Uwais Al-qarni fu offerto del denaro.
Lui disse: “Non mi serve, perché ho già una moneta”.
L’altro disse: “Quanto ti durerà? Non vale niente”.
Uwais rispose: “Garantiscimi che vivrò più a lungo di quanto mi durerà questa somma e accetterò il tuo dono”.

I soldi sono il simbolo del futuro. Perché si accumula denaro? Per il futuro. Il denaro è futuro, futuro nascosto. Per questo le persone che non vivono nel presente si aggrappano sempre al denaro. Possono permettersi di perdere l’amore, ma non di perdere soldi, perché l’amore non è una promessa per il futuro. Può andare bene adesso, ma che cosa farai quando sarai vecchio? Sii avaro, accumula soldi, perché in futuro ti sarà utile.

Perché la gente impazzisce dietro ai soldi? Sono un simbolo del futuro. I soldi sono futuro, sono futuro condensato in una moneta, in una banconota. Sono una promessa per il futuro. Ogni banconota dice: “Ti prometto che questa somma di denaro, quando ti servirà, sarà a tua disposizione”. È una promessa per il futuro. Gli avari non vivono mai qui, non possono. Vivono nei loro soldi.

Uwais era un maestro illuminato. 
Gli offrirono del denaro. È un simbolo, un simbolo del futuro. Gli offrirono del futuro, mettiamola così.
Lui disse: “Non mi serve, perché ho già una moneta”.
Ho già una moneta, non mi serve. In questo preciso istante sto vivendo, disse. E questo momento è abbastanza. Ho già una moneta. Che moneta? Questo istante è la moneta. Una sola, molto piccola. Puoi viverla qui e ora, ma non è di grande aiuto per il futuro. È una moneta così piccola che faresti la figura dello stupido a serbarla per il futuro. Un momento è così piccolo, è una moneta. Il tempo è un assegno post-datato: mille euro, un milione di euro, un miliardo di euro. Il tempo è denaro, grosse cifre. Un momento? È solo una goccia, una monetina.

“Non mi serve, perché ho già una moneta” disse Uwais. 
L’altro probabilmente non capì. Difficile. È difficile quando parli con un uomo come Uwais. Parla una lingua diversa dalla tua e la comunicazione diventa impossibile.
L’altro disse: “Quanto ti durerà? Non vale niente”.
E guardava la moneta, pensava alla moneta, non capiva ciò che Uwais stava dicendo. Disse: “Quanto ti durerà?”. Il momento presente: quanto può durare? È una moneta così piccola, finirà prestissimo.

“Non pensare al momento” dicono gli pseudo saggi. “Pensa al futuro” dicono. Essi dicono: “Non pensare all’immediato, quanto durerà? Pensa al futuro”. E io dico, questi saggi sono gli avvelenatori dell’umanità. Vi hanno avvelenato la mente completamente, perché l’immediato è la sola cosa che esiste. Il momento immediato è l’unica realtà che esiste. Per quanto piccola, è la sola realtà. E i vostri assegni post-datati, per quanto grandi siano le somme promesse nel futuro, sono solo promesse. Il futuro non arriva mai. Nessun direttore di banca può darvi la garanzia del futuro. Futuro? Chi può garantire? Chi può prevederlo? Non è niente, solo un istante.

Gli pseudo  saggi dicono: “Non vivere la vita nel momento”. Dicono: “Pensa al futuro”. Dicono: “Non vivere qui e ora soltanto, guarda avanti. Sii lungimirante, non solo rispetto a questo mondo, ma anche rispetto all’altro mondo. Pensa al paradiso e all’inferno, a moksha, a brahman, al nirvana”. E io vi dico, questi saggi sono avvelenatori. La vera saggezza consiste nell’essere qui e ora, perché per la vera saggezza è l’unica esistenza, non ne esiste un’altra. È l’unica esistenza.
Uwais rispose: “Garantiscimi che vivrò più a lungo di quanto mi durerà questa somma e accetterò il tuo dono”.

È un bellissimo dialogo. Uwais disse: “Garantiscimi che vivrò più a lungo, più a lungo di questo momento, di questa monetina. Puoi assicurarmi che sarò vivo domani? Se non puoi, per favore lasciami vivere oggi. Se non puoi garantirmi il prossimo istante, per quanto breve sia, lasciamelo vivere adesso. Una volta perso è perso per sempre, e tu non puoi garantirmi il momento successivo. Quindi perché mai dovrei sprecare la mia monetina per monete più grandi che non possono essere garantite?”.


da: Osho, Just Like That 



(Fonte: http://www.oshoba.it//index.php?id=articoli_view_x&xna=210)

La donna come rete connettiva dell'umanità



Quanto piace equivocare ai mediocri conservatori a tal proposito, infatti è certamente vero che la donna è la custode del focolare della casa - non del focolare cristiano, bensì pagano, quello stesso fuoco che vediamo nella dea Vesta che protegge Roma - ma ciò non vuol dire affatto che la donna debba stare segregata in casa, una donna può custodire il focolare stando fuori o stando dentro casa, essa è il grembo che protegge sia i figli che la casa stessa, è la dimensione del femminile ed anche del materno – materno in senso pagano e Romano, non in senso cristiano o psicoanalitico. La madre si occupa della prospettiva squisitamente terrena, essa non è tanto la dimensione della questione sentimentale che concerne un fantomatico cordone ombelicale che leghi la madre ai figli, la donna è la dimensione della terra e non dell’assistenzialismo, è l’incontro con la "veracità".

In un certo senso la donna – la dimensione della donna – è una strana rete
connettiva che annette la dimensione consapevole alla dimensione
dell’animale, in cui l’uomo scoprendo il processo biologico della vita
comprende come in sé stesso possieda differenti forme di questa vita che
compaiono in lui, nella dimensione materna impariamo allo stesso tempo di
essere uomini ed animali - e l’animalità la comprendiamo con il
nutrimento, la crescita biologica e la dieta che la madre ci fornisce -
dapprima nella forma dell'allattamento, poi nella forma della vera e
propria dell'alimentazione, in altre parole crescere con una madre è molto
simile al crescere con una lupa, la donna quindi è l’incontro in cui
l’animalità è strettamente connessa con l’essere uomo o donna, è la
veracita oltre ogni “coscienza” – oltre la “coscienza” che vuole
eliminare "l’animale" che è in noi - la donna non è la dimensione
dell’assistenzialismo, della premurosità di stampo sentimentalista o di
quel ripugnante sentimento di “morbidezza” e di "coccole" - il "cocco di
mamma" - che una madre conferisce al proprio figlio, è semmai
l’incombenza dell’animale, cioè la dimensione della selva – ecco perché
Romolo e Remo vengono cresciuti da una lupa in mezzo alla vita selvaggia -
è la vita vista come una ilare animalità che si tinge di “consapevolezza”,
 
Tuttavia nella dimensione del materno vi è una vita selvaggia che ancora
non ha incontrato pienamente il “morire”, con le madri non si incontra il
“morire” ed il superamento della morte nel movimento dell’espansione, detto
in altri termini nessuna madre può farvi sperimentare e conoscere quello
che vedrete nella donna verso cui proverete un "interesse" più profondo, ad
esempio la complice, la fidanzata, la sposa – oppure la figura della
“donna-iniziatrice”, come è avvenuto nell’incontro tra il sottoscritto ed
Elena Duvall - e se si pretende scioccamente di scoprire queste figure
intensive di donna nella propria madre, si ha verso la propria madre una
prospettiva morbosa ed incestuosa.
 
Le cattiva madri sono quelle troppo premurose, quelle che non vogliono che
il proprio figlio non faccia un solo passo perché c’è il rischio che possa
cadere e sentire dolore, o che possa essere investito sotto ad un'
automobile, o che possa affogare in acqua mentre è in mare nuotando, le
cattive madri troppo premurose sono quelle che non accettano che il figlio
possa "morire", per ovviare a questo problema di solito c’è l’Autorità
del padre, il quale ricorda a tutta la famiglia che la vita è patrimonio,
cioè è la dimensione della Legge, dell’Eredità, della guerra, del pericolo,
dell’aggressività ecc, se gli uomini commettono lo sbaglio di essere dei
mocciosi idealisti, le donne commettono lo sbaglio di essere delle ciniche
materialiste, infatti il sentimento di iper-premuroristà della donna è in
realtà un cinismo agghindato da buoni sentimenti, non si vuole che il
“cocco di mamma” muoia, perché si confonde l’affetto del bambino al
fatto di averlo cresciuto e partorito, come ci ricorda Nietzsche "Gli
uomini passano per essere crudeli, le donne invece lo sono. Le donne
sembrano sentimentali, gli uomini invece lo sono."
 
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lo stesso Nietzsche ci ricorda che nella vita “si ama la propria opera” e
tutto questo è segno di virtù, anche quando la donna ama la sua opera -
ciò che ha partorito - amando il suo bambino in questo c'è nobiltà e non
c'è nulla di male, tale amore però può diventare vizio quando si
attualizza contro il divenire della vita – contro l’intensità che
permette alla vita di nascere e di morire – solo allora ciò che era virtù
si corrompe in vizio e debolezza, così come quando la madre
iper-apprensiva "barrica" il figlio contro ogni pericolo, quando la
psicoanalisi di Lacan dice che la madre è il registro del desiderio mentre
il padre quello della Legge si dice senza dubbio qualcosa di vero, ma
come mai la psicoanalisi ci costruisce tutto un Complesso nevrotico
legato alle pulsioni non soddisfatte, fraintese ed equivocate ecc, perché
la psicoanalisi è "nevrotica"? Perché è moderna! Moderna e cristiana
 
Il "pretismo" della psicoanalisi deve promettere una redenzione o quanto
meno un “trattamento”, l’uomo moderno è l’unico uomo scisso e polverizzato
dalla sofferenza, l’unico uomo che ha fatto della sofferenza un’obiezione
così Negativa contro la vita da scivolare nel nichilismo, la vita è
sofferenza ma per i moderni e i cristiani la sofferenza non sarebbe
dovuta esistere - è ingiusto che essa esista - la sofferenza è frutto
del “peccato”che ci viene narrato, infatti a differenza della “caduta”
raccontata in altri miti e in altre religioni, la psicoanalisi - così come
il cristianesimo - si “lega al dito” ciò che è accaduto, la morte e la
sofferenza sono episodi che non dovevano succedere ma siccome tutto ciò
ciò è accaduto allora vuol dire che non c’è evento "terreno" che possa
“redimere” la terra e questa stessa vita: e quindi il desiderio che il
figlio ha per la madre sarà sempre inappagato, la Legge di castrazione che
il padre ci ordina di rispettare sarà sempre un ostacolo che potrà
sopprimere questo desiderio, e nel migliore dei casi si può cercare un
“compromesso” tipicamente liberale e democristiano, in cui la Legge del
padre renda più mansueto il “desiderio” che è nel figlio – che è in ultima
analisi per lo psicoanalista. il desiderio dell’essere amato e compreso
della madre e dal linguaggio del registro materno, –
 
Ora tralasciando le fantasticherie di una teologia cristiana e mancata
quanto laica quale è la psicoanalisi veniamo alla vita nella sua possanza
vitale e lasciamo perdere queste chiacchiere da confessionale: la donna è
la dimensione che custodisce la casa, lo spazio in cui si cresce, lo spazio
della selva, della caccia, della cacciagione, infatti la dea Romana Diana
è la dea della caccia, della selva, dei boschi oltre che ad essere la dea
protettrice delle donne, dunque la donna e la viisone selvaggia sono
strettamente connesse.
 
I conservatori – che non comprendono ciò che dicono di amare, ovvero la
“tradizione” – dicono che la donna debba stare a casa e con il bambino, e
debba cucinare, accudire, curare il pargolo ecc. la donna però non è una
“stanziatrice” della casa, non deve “stare a casa”, la donna è custode del
focolare della casa – è la Lupa/custode del focolare - e può esserlo anche
fuori dalla casa, inoltre lungi dall’essere quell’angelo del focolare che
molti conservatori immaginano è anche una potenza selvaggia ed animale,
che la donna abbia una grande “luminosità” ciò non esclude che in quella
luminosità passi la possanza della visione selvaggia della vita, ora che i
cristiani vi vedano in tutta questa potenza animale della donna la
“tentazione”, l’inferno, il vampirismo della donna, la dannazione ecc la
dice lunga sul loro modo mediocre di concepire la "sacralità della vita", i
cristiani vorrebbero essere diffidenti con la donna come lo è un pagano
Romano o Greco, e invece sono solo dei volgari misogini
 
Certamente la madre può dimostrare affetto o attenzione materna al proprio
figlio ma sempre per un “interesse” che attiene all’opera che vede la madre
vede nella maternità, ad esempio la madre di un patrizio Romano amerà
suo figlio e lo riempirà d’attenzione proprio perché lei vedrà la sua opera
di donna Romana e di patrizia, infatti nella misura in cui cerchiamo di
rendere “degno” della nostra opera ciò che ci è introno allora possiamo
anche “educare”.
 
Vi è un egoismo tipicamente gerarchico ed aristocratico, esso a differenza
dell’egoismo utilitarista e liberale o anche dell’egoismo
anachico-indiivdualista non esclude la società, la vita pubblica, il
pubblico, il popolo ecc anzi lo coinvolge, gli uomini aristocratici come
Alessandro Magno, Giulio Cesare od Ottaviano Augusto devono essere dotati
di questo finissimo egoismo che solo l’araldica delle anime nobili può
concedere, ciò vale anche per le madri: nella misura in cui una madre può
rivedere quell’egosimo allora sarà un ottima madre, in altri termini il
figlio è per la donna un essere vivente che si connette e si collega alla
sua opera, esso può essere giustamente visto dalla donna come un vestito,
un abito, un soprabito, una piccola boutique ecc che la donna osserva e
contempla rivedendo la sua opera, infatti nella donna non vi è la questione
dell’eredità nel figlio (patrimonio) ma della selva (matrimonio) la pelle
di un vestito per una donna è da considerarsi come la pelle di un animale
(anche quando si tratta di pelle sintetica), in questo caso la pelle del
figlio, i suoi geni, la sua genetica, i suoi cromosomi, la sua anima, il
suo Corpo, la sua potenza ecc costituiscono la “pelle/selva” dell’opera che
contempla la donna.
 
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Le madri più invadenti sono quelle che cercano di celare il proprio
“interesse” egoistico con spiegazioni perbeniste, moralistiche o
pseudo-pedagogiche, quelle che dicono <<Tuo figlio lo devi amare in quanto
"persona umana", non per il tuo egoismo ma perché è un essere umano che tu
hai voluto mettere al mondo e che devi rispettare in quanto tale>> queste
sono le madri deleterie nella loro versione progressista e democratica, ma
abbiamo anche la versione conservatrice di questo tipo di madre – ad
esempio la madre luterana di Nietzsche – la madre idealista, cristiana
tedesca, germanica, luterana , conservatrice ecc incarna il paradigma
dell’egoismo pieno di risentimento.
 
Gli egoismi peggiori sono quelli che non hanno basi solide, gerarchiche e
aristocratiche, e infatti tali egoismi sfociano nell’egoismo liberale,
oppure nell'egoismo dell'anarchico individualista, oppure nell’idealistico
“disinteresse", ad esempio nel Caso della donna idealista proprio quando si
pone la questione del Bene, delle “buone intenzioni”, del “disinteresse” è
li si che nascondono i rovi e le spine più velenose, una vera madre
aristocratica e gerarchica non accetterebbe mai un figlia – o una figlio -
reattivo, debole, molle, ecc poiché è come desiderare un vestito che non
può prendere anima, un’apparenza che non “prende vita”, le virtù del nobile
egoismo aristocratico producono le grandi virtù, sia nella donna che
nell’uomo, la donna essendo vicina al Fenomenico risveglia l’animalità e la
superficie delle cose, la pelle di ogni singolarità, di ogni elemento, di
ogni agente, di ogni flusso, la donna ci ricorda che il materiale pregiato
delle cose è fatto di un tessuto assai prezioso che la terra ricerca, la
terra è fatta di pelle che la donna scopre, rivedendo nell'opera della
maternità lo splendore tangibile di una geologica seta che la vita le offre.
 
Per i figli o le figlie deboli che vorranno essere "Riconosciute" dalle
loro madri rifiutando questo discorso sull'opera, sulla pelle e sulla
selezione gerarchica e aristocratica di questa pelle, per quelli che dicono
che i genitori debbano Riconoscere i figli come uno dei più grandi Beni
supremi da accettare in quanto "essere umano" e creatura speciale in quanto
umano ecc cosa dire? A costoro si dica che non comprenderanno mai la logica
della vita e della sua pelle finissima, costoro sicuramente sono tra le
schiere dei deboli, sono la "pelle" dei deboli così malconcia e
raffazzonata, sono egoisti questi deboli e falsificano persino il loro
egoismo.
 
L'uomo non cerca il Riconoscimento dell'altro - come crede il
cristianesimo - ma la gerarchia e la conquista, l'uomo non cerca il
Riconoscimento inter-soggettivo di un genitore, di un Dio, di un amico o di
un datore di lavoro ecc, l'uomo - e la donna - degni di rispetto cercano
lo spazio della fonte ascendente, di una potenza conquistatrice,
prodigiosa, stupenda e ricca di colore, l'uomo non vuol essere Riconosciuto
ma mascherare e mascherarsi con volo d'aquila, incrociando quello sguardo
d'aquila, quello sguardo fiero, contento, inesorabile rapace con cui
l'aquila contempla l'orizzonte liberandosi in volo.
 
I deboli e i malriusciti devono perire - ci ricorda Nietzsche - ma i
cristiani diranno che la vita è un dono, ciò però è falso: anzitutto perché
la vita è "conquista", infatti anche nei doni, anche nella "virtù che dona"
- come direbbe Nietzsche - anche in questi "doni" vi è selezione, gerarchia
e disuguaglianza, ci sono alcune vite che non donano nulla e che non
possono donare perché nulla hanno conquistato.
 
A proposito di pelle e di vestito, cosa si dice quando un vestito una
volta indossato non è convincente?  "Hmm, non ti dona", ecco! Vi sono
quindi nel mondo frutti preziosi che donano e frutti acerbi che avvelenano,
non tutto dona e si dona alla terra, il resto lo lasciamo alla
psicoanalisi, il resto lo lasciamo a chi non ammette che la vita vada in
questa maniera, il resto lo lasciamo a chi frigna, invocando “traumi”
invece di vedere i segni del destino, la psicoanalisi, questa scienza che
accontenta i "diseredati".


Maurizio Rubicone  - mauriziorubicone@virgilio.it

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Fonte: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2016/08/la-donna-come-rete-connettiva.html