Lettere dei Mahatma e le verità nascoste sulle origini dell'uomo


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Le “Lettere dei Mahatma"  di A.P. Sinnett, i cui originali conservati nel British Library di Londra, possono essere visibili previa concessione di un permesso speciale rilasciato dal Dipartimento dei Manoscritti  Rari, furono oggetto di aspre critiche nei confronti di H.P. Blavatsky, la co-fondatrice della Società Teosofica, e di un’accusa di contraffazione mossa nei confronti  della medesima  da parte della  Società per le Ricerche Psichiche di Londra (SPR).

“Soltanto dopo cent’anni la SPR ha ritrattato le accuse. Vernon
Harrison, massimo esperto britannico di calligrafia, dimostrò, con l’aiuto  del  microscopio, che l’inchiostro originale delle lettere dei Mahatma era nel midollo della carta, senza che fosse penetrato dalla superficie o dai bordi: un fatto scientificamente inspiegabile anche ai giorni nostri. Vernon Harrison arrivò alla conclusione che le lettere non sono state impresse  o manoscritte con una penna.

Allo stesso modo la scienza non riesce ancora oggi a spiegare come l’analisi al microscopio possa mostrare che l’inchiostro ha delle microstorie rigorosamente parallele senza che siano state modificate, in qualche maniera, dalle innumerevoli venature delle fibre della carta di riso originale su cui le Lettere dei Mahatma furono scritte. Ciò costituisce un fenomeno paranormale che continua ad essere uno dei maggiori misteri”  (1)..

Le Lettere provenivano da alcuni Maestri Orientali viventi oltre la
catena dell’Himalaya  che educarono ed istruirono H.P.  Blavatsky durante il suo soggiorno di sette anni presso di  loro, che poteva quindi parlare per conoscenza ed esperienza personale. Furono tutte inviate al sig. A.P. Sinnett, direttore del giornale indiano “The Pioneer”, nel corso degli anni 1880-1884. Il sig. Sinnett descrisse chiaramente nel suo libro “Mondo Occulto” il modo nel quale le ricevette.

Dalla lettera n. 1 ricevuta da A.P. Sinnett”  il 15 ottobre 1888

(in risposta alla richiesta di ricevere a Londra una lettera nel modo

imile a quella inviata al Pioneer)

“Stimato Fratello ed Amico, appunto perché la prova di trasmissione

al  giornale  di Londra chiuderebbe la bocca agli scettici non è
possibile. Sotto qualunque aspetto lo vediate il mondo è ancora al suo primo stadio di affrancamento, anzi di sviluppo, e perciò impreparato.
E’ pur vero che noi operiamo con mezzi e leggi naturali, non
soprannaturali. Ma poiché da un lato la scienza (al suo stato attuale)
non sarebbe in grado di spiegare le meraviglie operate in suo nome e
dall’altro le masse ignoranti continuerebbero a vedere il fenomeno
sotto l’aspetto di un miracolo, chiunque si trovasse a testimoniare
l’avvenimento perderebbe il proprio equilibrio con risultati
deplorevoli. Credetemi sarebbe veramente così…

Pazzo è chi, vedendo solo il presente, chiude volontariamente gli occhi al passato quanto per natura stessa è ignaro del futuro!  ….L’ombra inesorabile che segue ogni innovazione umana è sempre in moto, ma pochi sono consci del suo avvicinarsi e dei suoi pericoli……..Dite che buona parte di Londra si convertirebbe se voi poteste consegnar loro una copia del giornale Pioneer il giorno stesso della pubblicazione. Mi prendo la  libertà di dirvi che se la gente credesse alla cosa, vi ucciderebbe prima che possiate attraversare Hyde Park;….  Quanti di coloro che vi circondano, anche dei vostri  migliori amici si interessano di questi problemi astrusi?

La conoscenza sperimentale non data solo dal 1662
quando, per atto regale, Bacone, Roberto Boyle ed il Vescovo di
Rochester trasformarono il loro “Collegio Invisibile “ in una Società
che promuovesse le ricerche sperimentali. Molti secoli prima che la
“Royal Society” diventasse una realtà sul piano del “Disegno
Profetico”, l’innata aspirazione all’occulto, l’appassionato amore e
studio della natura aveva spinto uomini d’ogni generazione ad
investigare ed a penetrare nei suoi segreti più profondamente dei loro
simili. Roma ante Romulum fuit è un assioma che abbiamo appreso nelle vostre scuole inglesi. Gli interrogativi astratti sui problemi più
assillanti non sorsero nella mente di Archimede come materia spontanea e fino a quel momento mai sfiorata, ma come riflessione su ricerche svolte precedentemente nello stesso campo da uomini separati dal suo tempo da un periodo molto più lungo di quanto vi separa dal grande siracusano.

Il vril della “Razza Futura” era proprio di molte razze ora estinte. Come ora si mette in dubbio l’esistenza stessa dei nostri giganteschi antenati –benché  negli Himavat, sul vostro stesso territorio, vi sia una grotta piena degli scheletri di questi giganti – ed i loro corpi enormi sono sempre considerati come capricci isolati della natura, così anche il vril o Akas –come lo chiamiamo noi- è ritenuto una cosa impossibile, un mito. E senza una profonda conoscenza di Akas, delle  sue combinazioni e proprietà, come può una scienza spiegare tali fenomeni?…

Come molte altre persone anche voi ci biasimate per la nostra
segretezza. Ma noi conosciamo la natura umana perché l’esperienza di lunghi secoli –anzi di generazioni- che l’ha rivelata….Come la
veneranda antichità  ebbe più di un Socrate, così il confuso avvenire
creerà più di un martire. Molti anni prima che la Chiesa cercasse di
sacrificare Galileo come olocausto alla Bibbia, la scienza emancipata
voltò sdegnosamente le spalle all’ipotesi Copernicana che ripeteva le
teorie di Aristarco di Samo… Il più grande    matematico della Corte
di Edoardo VI – Roberto Recorde – fu lasciato morire di fame in
prigione dai colleghi che deridevano il suo Castello di Sapienza,
considerando le sue scoperte “vane fantasticherie”.  Guglielmo
Gilberto di Colchester –medico  della Regina Elisabetta-  morì
avvelenato solo perché questo vero fondatore della scienza
sperimentale in Inghilterra ebbe l’audacia di anticipare Galileo,di
dimostrare l’errore di Copernico sul “terzo movimento”, che era
ritenuto causa del parallelismo dell’asse di rotazione della terra!
Si è sempre dubitato dell’immenso sapere di uomini come Paracelso,
Agrippa  e Dee. La scienza mise le proprie mani sacrileghe su grandi
opere come “De Magnete”, “La Bianca Vergine Celeste” (Akas) ed altre. E l’illustre “Cancelliere d’Inghilterra e della Natura” – Lord Verulam Bacone – dopo aver meritato l’appellativo di padre della Filosofia Induttiva, si permise di chiamare gli uomini sopra citati “Alchimisti della filosofia immaginaria”.

Voi penserete che tutto ciò sia storia vecchia: certamente ma le
cronache dei tempi moderni non differiscono molto da quelle antiche….”
(2)

Paola Botta Beltramo


(1) Ricardo Lindemann –  RIT n./2016
(2)”Lettere dei Mahatma ad A.P. Sinnett”  Vol. I pag.31-

Luci ed ombre sul Mahatma Gandhi... secondo Osho


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Mohandas Karamchand Gandhi (2 ottobre 1869 – 30 gennaio 1948) è stato il leader preminente del movimento indiano di indipendenza nell’India britannica.
Utilizzando la disobbedienza civile non violenta, Gandhi ha portato l’India all’indipendenza e ha ispirato movimenti per i diritti civili e la libertà in tutto il mondo. Il titolo Mahatma (sanscrito: anima alta, venerabile), applicato per lui prima nel 1914 in Sudafrica, è ora utilizzato in tutto il mondo.
Il  30 gennaio abbiamo ricordato l'uccisione  di Gandhi, definito “l’apostolo della nonviolenza” (vedi: https://retedellereti.blogspot.it/2018/01/30-gennaio-1948-2018-in-memoria-del.html?showComment=1517385057088#c7097422742131119267)

Il personaggio merita sicuramente la nostra attenzione, poiché egli riuscì -in modo abbastanza pacifico- a smuovere le masse ed a condurle verso l’indipendenza. Prima della colonizzazione inglese, comunque, l’India era suddivisa in vari staterelli ed in gran parte era oppressa dal dominio musulmano. La partizione voluta dagli inglesi, a cui Gandhi si oppose sino all’ultimo, portò comunque alla creazione di due stati abbastanza grandi ed omogenei, da una parte il Pakistan musulmano e dall’altra l’India perlopiù induista ma alquanto sincretica (comprendendovi cristiani, jain, buddisti, parsi, etc. e persino musulmani “moderati”). In passato mi sono occupato spesso della “filosofia” gandhiana e della persona “Gandhi”, stavolta voglio riportare il pensiero di Osho su questo tema…
Paolo D’Arpini

Osho parla di Mahatma Gandhi

[...] Particolarmente – proprio in modo che sia in corretto – voglio dirti che c’erano molte cose su Mahatma Gandhi che amavo e mi piacevano, ma tutta la sua filosofia di vita era assolutamente sgradevole per me. Tante cose su di lui che avrei apprezzato rimanevano trascurate. Correggiamo quindi il discorso.
Amavo la sua veridicità. Non ha mai mentito; anche se nel mezzo di ogni sorta di menzogne, rimase radicato nella sua verità. Non posso essere d’accordo con la sua verità, ma non posso dire che non era veritiero. Qualunque cosa fosse verità per lui egli vi aderiva pienamente.
Da non credere però che la sua verità sia di valore universale, ma questo è il mio pensiero, non il suo. Non ha mai mentito. Io rispetto la sua veridicità, anche se ritengo che egli non sapesse nulla della verità – quella che io costantemente propugno.
Con Mahatma Gandhi l’India ha concluso un capitolo, e ha anche iniziato un nuovo capitolo.
Ma non era un uomo che avrebbe potuto andare d’accordo con il mio pensiero: “Salta senza prima pensarci”. No, egli era un uomo d’affari. Avrrebbe cogitato cento volte prima di fare un solo passo fuori dalla sua porta, che dire perciò di un salto? Egli non riusciva a capire la meditazione, ma non era colpa sua. Non ha mai incontrato un maestro che avrebbe potuto dirgli qualcosa sulla “non mente”, eppure esistevano quei maestri vivi al suo tempo.
Anche Meher Baba una volta scrisse una lettera a Gandhi – forse non proprio lui di persona; qualcuno deve aver scritto per lui, perché Meher non ha mai parlato, non ha mai scritto, ha appena fatto segni con le mani. Solo poche persone erano in grado di capire cosa voleva significare Meher Baba. La sua lettera fu derisa da Mahatma Gandhi e dai suoi seguaci, perché Meher Baba aveva detto: “Non perdete il tempo a cantare” Hare Krishna, Hare Rama. “Questo non ci aiuta affatto. Se vuoi veramente sapere, informatemi e ti chiamerò “.
Tutti risero; pensavano che fosse un’arroganza. È così che la gente comune pensa, e naturalmente sembra l’arroganza. Ma non lo è, è solo compassione – infatti, troppa compassione sembra arroganza. Ma Gandhi rifiutò il telegramma dicendo: “Grazie per la tua offerta, ma seguirò la mia strada” … come se ne avesse una. Non ne aveva però nessuna.
Ma ci sono alcune cose che io rispetto di Gandhi – la sua pulizia. Ora, direte: “Rispetti tali piccole cose …?” No, non sono piccole, specialmente in India, dove i santi, i cosiddetti santi, dovrebbero vivere in ogni tipo di sporcizia. Gandhi cercò di essere pulito.
Era l’uomo ignorante più pulito del mondo. Amo la sua pulizia. Amo anche il suo rispetto per tutte le religioni. Naturalmente, le mie ragioni e le sue sono diverse, ma almeno ha rispettato tutte le religioni. Naturalmente per motivazioni sbagliate, perché non sapeva quale fosse la verità, quindi come poteva giudicare ciò che era vero? – se le religioni fossero nel giusto; se tutte avessero ragione, o se solo qualcuna avesse ragione. Non c’era modo per lui di comprenderlo.
Di nuovo, egli era un uomo d’affari, quindi perché irritare qualcuno? Perché dargli fastidio? Secondo lui tutte le religioni dicono la medesima cosa: il Corano, il Talmud, la Bibbia, la Gita. Egli ed era abbastanza “intelligente”: notate “l’abbastanza” -non dimenticatelo – per trovare somiglianze nelle religioni, cosa non difficile per qualsiasi persona intelligente e astuta. Ecco perché dico “abbastanza intelligente”, ma non veramente intelligente. La vera intelligenza è sempre ribelle e Gandhi non voleva ribellarsi contro i tradizionalisti, indù o cristiani oi buddisti o musulmani che fossero.
Sarete sorpresi di sapere che ci fu un momento in cui Gandhi contemplò di diventare cristiano perché essi sono al servizio dei poveri più di ogni altra religione. Ma presto si rese conto che il loro servizio è solo di facciata dietro la quale nascondersi per svolgere la loro vera e attività. L’attività reale era quella di convertire nuove persone. Perché? – perché i numeri portano il potere. Quante più persone avete, più potere avete.
Se puoi convertire tutto il mondo sia cristiano, ebreo o indù, allora naturalmente, queste persone avranno più potere di chiunque abbia mai avuto. Alexanders svanirà in confronto. È una lotta di potere.
Nel momento in cui Gandhi lo comprese – e dico ancora, era abbastanza intelligente per capirlo – cambiò idea e non volle più diventare cristiano. In effetti, essendo un indù, era molto più redditizio restar tale in India piuttosto che essere un cristiano. In India, i cristiani sono solo l’un per cento, quindi quale potere politico avrebbe potuto avere da ciò?
Era bene che lui rimanesse un indù, per la sua mahatmahood….
Osho Rajneesh
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Traduzione di uno stralcio dell’articolo apparso su: http://www.oshonews.com/2014/12/17/osho-speaks-on-mahatma-gandhi/

La preghiera laica come forma di riflessione su se stessi...

Soltanto chi pone la mente intera come offerta nel fuoco splendente che è il Sé può essere considerato come colui che compie davvero l’Agnihotra, mentre tutti gli altri ne portano solo il nome. (Sadacara 12)

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Ogni qualvolta si sente il bisogno di riconnettersi interiormente, sia che noi siamo credenti o meno, si ricorre al dialogo interno. Questo dialogo è stato anche definito “preghiera”. Ovviamente non è la preghiera che solitamente viene rivolta al dio od ai santi per chiedere la loro intercessione e per ottenere favori o vantaggi materiali, quella non è preghiera ma commercio religioso. 

La vera preghiera è il porsi gentilmente ed amorevolmente verso se stessi, per riconoscere la propria vera  identità.  In molte altre occasioni questo gesto d’amore verso il Sé assume la forma del digiuno, del silenzio o della meditazione La preghiera è stata utilizzata anche come strumento nonviolento contro la guerra, come pure il digiuno, che è un gesto personale, intimo ma aperto, di dialogo  con il mondo, di considerazione empatica verso l’altro.
Ed in verità la nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadhatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto.
In fondo anche la chiesa si sta interrogando su un nuovo modo di esprimere la preghiera.  In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all’avvertita esigenza di  di raccoglimento. L’interesse che forme di meditazione connesse a talune religioni orientali e ai loro peculiari modi di preghiera in questi anni hanno suscitato anche tra i cristiani è un segno non piccolo di tale bisogno di un profondo contatto col divino che è all’interno.
Uno dei fautori più importanti  della preghiera silenziosa, Teresa d’Avila, affermò: “La preghiera mentale [oración mental] non è altro che una condivisione intima tra amici; significa dedicare frequentemente del tempo ad essere soli con colui del quale sappiamo che ci ama.” Poiché l’enfasi è sull’amore piuttosto che sul pensiero.
L’esigenza di cambiare il modo di approccio religioso, eliminando dal contesto dottrinale quegli insegnamenti utilitaristici che contraddistinguono le religioni monoteiste di origine giudaica, è   stata ben evidenziata  in una storiella che Osho amava raccontare: “Un prete svolgeva la sua opera apostolica in uno sperduto villaggio nella foresta amazzonica. La missione si presentava bene, prima aveva preso in cura i malati, poi era passato agli anziani e poveri infine aveva costruito una chiesa con un oratorio per poter insegnare la religione e la preghiera ai bambini. Un giorno stava spiegando la bibbia e raccontava la storia dell’uomo, del peccato originale, della faticosa via verso il bene e di come il compassionevole Gesù fosse venuto in terra per redimere i peccatori che si erano pentiti ed affidati a lui. Dopo aver così istruito i bambini, per vedere se avessero capito bene il concetto della religione cristiana, chiese ad alta voce alla classe: “Ecco dopo aver ascoltato quel che ho detto chi sa dirmi in sintesi qual è il messaggio della religione?”. Subito un ragazzino sveglio si alzò e disse: “Io l’ho capito, il messaggio è che bisogna peccare”. “Come sarebbe a dire – interloquì il prete – se ho parlato male del peccato dall’inizio alla fine?”. “Tu hai detto che l’uomo è un peccatore, ma egli deve necessariamente peccare per poi potersi pentire e prendere rifugio in Gesù che lo salva… Senza peccato quindi non c’è redenzione”.
Il senso della preghiera buddista è ben diverso. In questo caso è un mezzo di pulizia interiore che avviene attraverso la concentrazione e  la ripetizione di una frase, solitamente impartita dal maestro. Molto significativa in questo senso è la storia del monaco Cudapanthaka che, essendo di intelligenza limitata, non riusciva a tenere a mente gli insegnamenti, malgrado la sua buona volontà  Il Buddha, essendo venuto a sapere ciò  andò da Cudapanthaka e gli disse: “Ti istruirò io stesso…”. Il Buddha non si preoccupò di dare a lui i concetti, ma semplicemente gli chiese di pulire il Vihara, dicendogli:  Cudapanthaka spazza il terreno. Mentre lo fai, recita: “Io spazzo via le impurità”. Ora, occorre rammentare che è inutile spazzare la polvere dal suolo del Vihara, che è un tempio nella foresta, dal momento che è costruito proprio nella foresta! Non è che al tempo del Buddha un Vihara avesse pavimenti di cemento, così da poter esser ripulito, esso era sporco! Quindi sostanzialmente il Buddha gli chiese di spazzare via lo sporco da un’estremità all’altra del Vihara. E così Cudapanthaka fece. Egli spazzò via la sporcizia avanti e indietro. Egli spazzò tutto il giorno, dicendo: “Io spazzo via l’impurità… io la spazzo via”. E questa fu la preghiera che gli consentì di centrasi  nel Sé.
Ma non tutti gli insegnamenti buddisti sono specificatamente  diretti  alla realizzazione. Nel buddismo tibetano, che ha un’origine animista e sciamanica, permane la preghiera come modo di ingraziarsi la divinità. Magari si comincia a pregare per l’ottenimento di poteri e di vantaggi poi pian piano la grande concentrazione porta alla cancellazione dell’io “questuante”.  Molto  propizia è considerata la devozione nei confronti di Tara, che significa Liberatrice, Salvatrice. Tara  fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile.  E’ un principio illuminato e, anche se  mancano le realizzazioni per poterla vedere,  essa è presente ovunque. Perciò non si deve pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe od una divinità che vive in una Terra Pura. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei  procura grandi vantaggi, anche materiali.
C’è poi una forma di preghiera “itinerante” che pur essendo stata accettata dal cristianesimo ha le sue origine addirittura nel paleolitico. Si tratta del cammino di Santiago di  Compostela. Il percorso più frequentato è sicuramente il Camino Frances che dall’abbazia di Roncesvalles giunge a Santiago passando per le province della Navarra, Rioja, Castilla e Galicia. In realtà Roncesvalles è di difficile accesso diretto, specialmente per chi proviene da paesi stranieri, e quindi si preferisce iniziare da St. Jean Pied de Port, ai piedi del versante francese dei Pirenei. Comunque il percorso St. Jean / Roncesvalles è molto bello e si prova la soddisfazione del completo attraversamento dei Pirenei attraverso un valico ricco di memorie storiche e letterarie.
Il camminare pregando ha molte origini e modi.  Non va infatti dimenticata la filocalia dei monaci erranti di tradizione cristiana ortodossa. La Filocalia è una delle più ammirate e feconde testimonianze a stampa della pietà cristiana ortodossa. All’assidua lettura di essa da parte dei fedeli si fa continuamente riferimento nei celebri Racconti di un pellegrino russo.
Non mancano le preghiere new age, che un po’ si rifanno alla tradizione  pagana, o addirittura alla presenza di esseri superiori provenienti da altri mondi. Persino nella bibbia, opera fantastica per eccellenza, abbondano le menzioni ad angeli e demoni ed esseri fantastici che vanno ingraziati con offerte e preghiere. Secondo la nuova spiritualità della natura invece si prega la Madre  Terra, che  è considerata un essere vivente dotato di coscienza, ora allo stremo in seguito alle offese causate da inquinamento e bombe atomiche, etc. A  lei va una preghiera conosciuta come La Grande Invocazione della fratellanza bianca,  che dicono essere molto potente.
Anche nella spiritualità laica esistono forme di preghiera, tese però al superamento del dualismo. Come affermava il poeta sincretico  Sant Kabir: “Stretto è il sentiero dell’amore: in due non ci stanno!” Ed è vero…! Il dualismo e il senso di separazione sono la causa di tutti i mali. Se non è un egoismo personale, il nostro, magari è un egoismo di casta, di religione, di razza, di cultura, di ideologia.  La preghiera laica è quindi  protesa verso l’uscita di questa gabbia ideologica. Come  Uscirne fuori? Beh, dobbiamo brancolare nel buio della sperimentazione, dobbiamo capire noi stessi da noi stessi. In questo momento la crescita ed il cambiamento non possono più essere una ricetta che ci viene fornita da un saggio, da un maestro, da un duce, da un potente della terra. Diceva Osho: “Non dipendere dalla luce di un altro. È persino meglio che tu brancoli nel buio, ma che almeno sia il tuo buio!”.  Insomma dobbiamo pregare noi stessi.

La specie umana è in continua evoluzione e così dovremmo poter prendere coscienza che il nostro vivere si svolge in un contesto inscindibile. Di fatto è così solo che dobbiamo capirlo e viverlo consapevolmente, prima a livello personale e poi a livello di comunità. Siamo in un viaggio e, affiancati da altri compagni a noi affini, andiamo avanti sentendoci uniti nel pensiero e nell’azione evolutiva che  richiede una maturazione individuale ed un riavvicinamento alla propria natura originale che non può essere il risultato di una “scelta” o di un “credo”…
In definitiva in qualsiasi modo si preghi quel che conta è la sincerità ed onestà del nostro approccio.


Paolo D’Arpini

L'idea della reincarnazione secondo Osho


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L’idea della reincarnazione, fiorita in tutte le religioni orientali, dice che il sé continua a spostarsi da un corpo all’altro, da una vita all’altra. Questa idea non esiste nelle religioni che sono nate dal giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo. Ma oggigiorno, perfino gli psichiatri hanno scoperto che sembra essere vero: ci si può ricordare delle proprie vite passate; l’idea della reincarnazione sta diventando popolare.

Voglio però dirvi una cosa: l’idea della reincarnazione è un concetto totalmente sbagliato.

È vero che quando una persona muore il suo essere diventa parte del Tutto. Non ha importanza se è stato un peccatore oppure un santo, in ogni caso egli si porta dietro ancora qualcosa chiamata ‘mente’, ‘memoria’. In passato non esistevano conoscenze sufficienti a spiegare che la memoria non è altro che un groviglio di pensieri e onde di pensieri, ma ora è risaputo. Ed è qui che, in diversi punti, trovo Gautama il Buddha davvero all’avanguardia rispetto ai suoi tempi. È l’unico che è d’accordo con la mia spiegazione. Ha dato dei suggerimenti, ma non ha potuto portare delle prove; a quel tempo non c’erano molti mezzi a disposizione. Egli ha detto che quando una persona muore, la sua memoria si sposta in un altro grembo - non il sé. Oggi noi possiamo comprendere che, quando muori, lasci dei ricordi nell’aria, intorno a te. Se sei stato infelice, tutte le tue miserie trovano posto un po’ qui e un po’ là, entrano in qualche altro sistema di ricordi. Oppure entrano tutte in una volta in un altro grembo - ed è per questo che qualcuno può ricordarsi del proprio passato. Non è il tuo passato. È la mente di qualcun altro che tu hai ereditato. La maggior parte della gente non ricorda niente perché non ha ereditato, in un unico blocco, il patrimonio di ricordi di un unico individuo.

Queste persone portano in sé dei piccoli frammenti di questo e di quell’altro, e sono questi frammenti che creano la tua infelicità. Tutti coloro che sono morti su questa terra sono morti infelici. Pochissimi sono morti con gioia. Pochi sono morti realizzando la non-mente. Questi individui non hanno lasciato alcuna traccia dietro di sé, e non appesantiscono nessuno con la propria memoria; semplicemente si sono dissolti nell’universo. Non hanno più una mente o un sistema di memoria. Lo hanno già dissolto nella loro meditazione. Ed è per questo che un illuminato non nasce mai.

Viceversa, la persona non illuminata, ogni volta che muore, continua a espellere ogni tipo di miseria. E così come la ricchezza attira una ricchezza maggiore, la sofferenza attira più sofferenza. Se sei infelice, perfino se è lontana chilometri, la sofferenza correrà verso di te: sei il veicolo giusto. Questo è un fenomeno assolutamente invisibile, simile alle onde radio: viaggiano intorno a te, ma non le vedi; se però hai lo strumento adatto per riceverle, immediatamente le puoi percepire. Anche prima che la radio fosse inventata, ti viaggiavano intorno. Non esiste la reincarnazione, bensì l’infelicità che si reincarna. Le ferite di milioni di persone si muovono intorno a te, in cerca di qualcuno che voglia essere infelice. Naturalmente, la felicità non lascia tracce. L’uomo di consapevolezza muore come un uccello il cui volo nel cielo non lascia tracce: né una pista, né un sentiero, il cielo rimane vuoto. La beatitudine si muove senza lasciare traccia alcuna. È per questo che non erediti nulla dai Buddha, essi semplicemente scompaiono.

Viceversa gli idioti e i ritardati continuano a reincarnarsi nelle proprie memorie che ogni volta diventano ancora più spesse.

Oggi, forse, tutto questo può essere capito e dissolto. Altrimenti l’aria diventerà così spessa di ricordi che a voi sarà impossibile vivere con gioia, ridendo. La vostra consapevolezza non ha ferite. La consapevolezza non ha traumi. La consapevolezza non conosce tristezza alcuna. La tua consapevolezza, la consapevolezza di ognuno di voi, è innocente, totalmente beata. Per riportarti in contatto con la tua consapevolezza, viene fatto ogni sforzo per distrarti dalla mente. La mente è sovraccarica delle tue miserie, delle tue ferite. E continua a creare ferite per cui, a meno che tu non sia consapevole, non riuscirai nemmeno a scoprire come fa a crearle. Proprio oggi, Anando mi parlava di Zareen, e mi diceva quanto era felice un tempo, quando da casa sua veniva in visita alla comune. Vedendo la bellezza e la libertà e la gioia in cui la comune era immersa, alla fine ha fatto un passo rivoluzionario nella sua vita, decidendo di lasciare la sua casa e di diventare parte della comune, ma da allora non è più stata altrettanto felice. Ho detto: “Anando, spiega a Zareen con parole chiare quello che è successo: se è consapevole, lo capirà senza ombra di dubbio”. Un tempo veniva qui da una casa che era buia e tetra e infelice. Era una gioia ritrovarsi in un cielo aperto. Ma da quando si è trasferita nella comune... dentro di lei, in profondità, la mente ha fatto della comune la sua casa. E tutta la sofferenza che provava nella sua casa di un tempo ha cominciato ad affiorare e ora, non avendo più nessun altro posto in cui riversarsi... una volta compreso questo fenomeno, e cioè che l’infelicità di Zareen è frutto di un concetto che lei si è sempre portata dietro e, sebbene l’ambiente sia cambiato, quel concetto non è affatto mutato... ogni tanto di certo pensa: “È meglio che ritorni a casa”. Ma non cambierà nulla. Innanzitutto la casa di un tempo sarà ancora più buia, più misera, e il marito le sembrerà più che mai un estraneo. Ma le farebbe bene per una cosa: a quel punto ritornerà nella comune e sarà felice. Perché, invece, non cercare di capire la situazione, ed essere felice ovunque tu sia? Anche perché ritornare a quella casa non dipende solo da te. Per quanto ne so, tuo marito non ti riprenderà. Lo ha detto a un sannyasin. Non lasciare che il passato ti tormenti. Sei arrivata qui, in uno spazio aperto, ora impara la strada della libertà, dell’amore e dell’amicizia. E voi tutti avete la capacità di farlo. Non c’è ragione di essere infelici. Non esistono ragioni valide che giustifichino la vostra infelicità. In effetti dobbiamo sempre cercarci un motivo valido per essere infelici, altrimenti la gente chiederebbe: “Sei matto? Ti senti infelice senza motivo?” Per cui, in qualche modo, si continuano a inventare delle buone ragioni. Ma ricorda, quelli sono solo motivi inventati. Nessuno quando sei felice ti chiede: “Perché sei felice?” Non c’è motivo per essere felice. La felicità è la nostra natura. La felicità non ha bisogno di ragioni né di cause per esistere. Questa comune deve essere una comune di comprensione, di consapevolezza, di gente che guarda i propri modelli mentali ricordandosi che non sono suoi. Tu sei un semplice testimone e il testimone è al di fuori della mente. Io ti insegno l’essere testimone. L’unico modo per uscire dai tuoi modelli di infelicità, vecchi o nuovi, è essere testimone. Dico che è l’unico modo, perché nessuno è scappato dalla mente senza diventare prima un testimone. Sii un semplice testimone, e improvvisamente ti metterai a ridere delle tue sofferenze.

Tutte le nostre sofferenze sono così superficiali... e soprattutto sono tutte prese in prestito.

Tutti si trasmettono a vicenda la propria infelicità. La gente parla in continuazione delle proprie sofferenze, dei propri guai, dei propri conflitti. Hai mai sentito qualcuno parlare dei suoi momenti di gioia? Delle sue canzoni e delle sue danze? Dei suoi momenti di silenzio e di beatitudine? No, nessuno parla di queste cose.

La gente continua a condividere ferite, e ogni volta che parli della tua infelicità con qualcuno, senza saperlo stai trasmettendo un modello di miseria. L’altra persona forse pensa che ti stia solo ascoltando, ma di fatto sta anche prendendo delle vibrazioni di infelicità, delle ferite.

Quando ho detto che portate dentro di voi ferite altrui, volevo dire che la vostra consapevolezza non ha ferite. Se tutti diventassero meditativi, svegli, al mondo non ci sarebbero ferite. Scomparirebbero semplicemente. Non troverebbero un casa, un rifugio. È una cosa possibile. Se è possibile per me, è possibile per chiunque. Nella tua domanda chiedi anche perché possiamo “accettare così facilmente le ferite altrui,” e perché è “così difficile accettare la propria buddhità”. Puoi accettare le ferite altrui perché anche tu hai delle ferite. Tu capisci il linguaggio dell’infelicità, delle ferite, della sofferenza. E chiedi perché non riusciamo ad accettare l’idea di essere un Buddha. Per prima cosa, raramente incontri un Buddha. Molto raramente un Buddha esiste sulla terra, per cui anche se lo incontrassi non capiresti il suo linguaggio. Molto probabilmente lo fraintenderesti. Tu conosci la sofferenza, e lui parla di beatitudine. Tu conosci le ferite, e lui parla della salute eterna. Tu conosci solo la morte e lui parla di eternità. In primo luogo, è difficile trovare un Buddha. In secondo luogo, è difficile capire il suo linguaggio perché non è il tuo stesso linguaggio. Altrimenti questa sarebbe la cosa più semplice al mondo: capire la propria buddhità. È così ovvia. Il tuo vero essere è già un Buddha, sei tu che hai dimenticato la strada verso il tuo essere interiore. Hai viaggiato a lungo per tante strade, ma tutte conducono verso l’esterno. E, pian piano, hai dimenticato che esiste un piccolo posto dentro di te che non hai esplorato. La meditazione non è altro che esplorazione dello spazio interiore che hai sempre ignorato. Quel piccolo spazio ti farà improvvisamente ricordare che tu sei un Buddha. 


Ma se per te non diventerà una verità cosciente il fatto che sei un Buddha... Non si tratta di un concetto, nessuno ti può convincere che sei un Buddha... non puoi essere altro! Se vai semplicemente dentro di te, l’esperienza dello spazio interiore esploderà come un riconoscimento e come un ricordo della tua buddhità. Non è una filosofia, è un’esperienza esistenziale.

Osho


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Fonte: http://www.osho.com

Buddismo e Jainismo a confronto




Attorno al 500 a.C. in India si affermarono  due filosofie propagate dai rispettivi fondatori: il Buddismo, pensato dal Gautama Buddha ed il Giainismo propagato da Mahavira.

I due fondatori, se così possiamo chiamarli, furono coevi, e molti dei loro dettami  e conclusioni filosofiche hanno una matrice comune. Basti pensare all'idea da entrambi condivisa che "l'esistenza è dolore", per cui lo scopo della pratica spirituale è essenzialmente quello di sfuggire all'illusione di Maya o Mara, attraverso una stretta pratica acetica o attraverso l'autoconsapevolezza.


Si dice che sia il Buddha che Mahavira competessero per la nomina a 24° ed ultimo  Tirthankara di questo ciclo cosmico, la gara  fu infine vinta da Mahavira,  che condusse un'esistenza veramente penitente, con la conduzione di  pratiche mortificanti estreme con cui conquistò la palma di asceta per antonomasia. 

Il Buddha inizialmente  tentò anch'egli  il percorso  dell'ascetismo  ma allorché la nomina di ultimo Tirthankara fu conquistata da Mahavira   optò per "la via di mezzo" che comunque  ebbe più successo nei secoli a venire  e si propagò  in vari paesi dell'Asia giungendo sino in Grecia  e probabilmente influenzando il proto pensiero cristiano.

Vi sono molti aneddoti riguardo la competizione tra i due "profeti", non possiamo stabilire la loro veridicità ma alcune storielle sono pure divertenti... Tutte le religioni al mondo sono costrette ad affermare di sapere tutto ciò che è possibile sapere e conoscerlo esattamente per ciò che è – non possono fare altrimenti.

I giaina dicono che il tirthankara – il loro messia – è onnisciente. Sa tutto – passato, presente e futuro – quindi tutto ciò che dice è verità assoluta. Buddha prendeva in giro Mahavira, il messia giaina. Mahavira stava diventando vecchio, ma Buddha era ancora giovane e capace di ridere e scherzare. Era ancora giovane e vivo ma  non ancora ben affermato.

Mahavira aveva una religione affermata già da migliaia di anni, forse la più antica religione del mondo. Gli indù dicono, giustamente, di possedere il libro più antico del mondo, il Rig Veda. È stato ora scientificamente provato che il Rig Veda è la scrittura più antica mai sopravvissuta. Eppure nel Rig Veda viene menzionato il primo messia del giainismo, che è prova sufficiente del fatto che il messia del gianismo era precedente al Rig Veda. Il suo nome era Rishabhadeva.  Edoveva essere morto da almeno mille anni quindi il giainismo era una religione affermata già da molto tempo.

Osho, che nacque in una famiglia giaina, ha riportato diverse storielle sugli scherzi  e le derisioni del  Buddha nei confronti di Mahavira e sulla sua presunta onnipotenza, onniscienza e onnipresenza dicendo: "Ho visto Mahavira che mendicava davanti a una casa", perché Mahavira viveva nudo e mendicava. Buddha affermava: "L'ho visto fermarsi davanti a una casa vuota. In casa non c'era nessuno, eppure quest'uomo, dicono i giaina, conosce non solo il presente, ma anche il passato e il futuro".

Buddha continuava: "Ho visto Mahavira camminare proprio davanti a me, e pestare la coda a un cane. Era mattina presto, non era ancora chiaro. Solo quando il cane è saltato su abbaiando, Mahavira si è accorto che gli aveva pestato la coda. Quest'uomo è onnisciente, eppure non sa che un cane è sdraiato a dormire proprio sul suo cammino, e che lui sta per pestargli la coda".

Ma la stessa cosa è successa a Buddha quando si è affermato. Trecento anni più tardi, quando i suoi detti e le sue affermazioni vennero raccolti per la prima volta, i discepoli misero bene in chiaro che "tutto ciò che è scritto qui è assolutamente vero, e rimarrà vero per sempre".

Eppure tra quelle affermazioni ci sono tante cose stupide che possono essere state valide venticinque secoli fa, ma che ora non hanno più senso, perché tante cose sono accadute nel corso di questi secoli.

Ma vediamo ora nei particolari quali sono le caratteristiche peculiari, le somiglianze e le differenze,  delle due forme pensiero.

Nel V secolo a.C. ci fu una vera e propria esplosione  filosofica in tutto il mondo conosciuto, infatti Mahavira, oltre che  contemporaneo di Budda, lo fu anche di Senofane, Lao tzu, Talete, Eraclito, Zarathustra, Isaia, Geremia,  egli era  un membro dell’alta aristocrazia. 23 furono  i massimi maestri (chiamati Costruttori del ponte), che lo precedettero l’ultimo dei quali, il 24°,  fu appunto  Mahavir, che significa il grande coraggioso, colui che aveva vinto paura, lussuria, ira, ecc.

Si narra che Mahavira giunse all’illuminazione al termine di dodici anni di dura tapasya  e dedicò i rimanenti trent’anni della Sua vita all'insegnamento. Rifiutò tante  false dottrine e  superstizioni che popolavano l’India; si oppose ai sacrifici animali e umani, abolì la divisione in caste e il divieto allo studio per le donne e per le classi povere. Promosse il cammino della nonviolenza, del distacco,  dell’austerità, dell’equanimità.

L’Ahimsa nel giainismo è il fulcro della più antica dottrina della nonviolenza, sistema  sorto da una "mutazione" dell’antico induismo.

Dispute all’interno della chiesa giainista finirono col provocare nel 79 a.C. due correnti: quelli vestiti di bianco e quelli vestiti di spazio (cioè nudi), da cui ebbero nacquero altre varie sette.

Benché ridotta a circa un milione e mezzo di adepti e a sei milioni di aderenti, la comunità giainista conserva una notevole importanza economica in quanto i suoi membri praticano soprattutto attività commerciali e finanziarie, perché in base alla teoria dell’Ahimsa sono loro vietati mestieri manuali, infatti in questa loro caratteristica vengono considerati i "giudei" dell'oriente.  E  malgrado il numero esiguo, rispetto al totale della popolazione, in India i giainisti occupano posizioni importanti nel mondo degli affari e in quello della ricerca. Godono anche di una certa importanza nella cultura indiana, avendo contribuito in modo significativo allo sviluppo della filosofia, dell’arte, dell’architettura, della scienza e della politica dell’intero paese.

Il giainismo ha lo scopo di guidare l’anima verso la via della liberazione per il raggiungimento del Nirvana attraverso tre mezzi: la via diritta, la conoscenza diritta, la condotta diritta. Per il gianinismo l’anima e la materia sono sostanze identiche: l’una cosciente, l’altra incosciente. Esistono due categorie di anime: quelle libere o perfette (le anime dei profeti (l’ultimo dei quali è Mahavira), e le anime trasmigranti cui comprendono gli uomini, gli animali, i vegetali, i minerali.

Il giainismo è  stato  documentato come una "religione" a sé stante nell'universo induista, ma soprattutto è una filosofia in quanto non implica divinità definite.  Secondo la sua dottrina, la filosofia giainista diventa un modo di vivere nonviolento e un modo di comprendere e codificare le verità eterne e universali che in tempi diversi si erano manifestate all’umanità e che più tardi riemergono negli insegnamenti degli uomini che avevano raggiunto l’illuminazione.

Parliamo ora del Buddha, il fondatore del buddismo. Egli nacque 2500 anni fa nel nord dell'India. Figlio di un piccolo regnante ad un certo momento lasciò il lusso della reggia per cercare di alleviare la popolazione dalla "sofferenza del vivere". Il buddismo è fondamentalmente  una prassi di vita al fine di ridurre la sofferenza dovuta sostanzialmente all'attaccamento emotivo e intellettuale.

La realtà ultima non si può descrivere e un dio non è la realtà ultima. Tutti hanno dentro di sé la facoltà di raggiungere il risveglio. Si tratta quindi di diventare quello che già si è: "Guarda dentro di te: tu sei un Buddha.

Si dice che prima di Shakhiamuni ci sono stati molti Buddha e molti ce ne saranno ancora. Il buddismo non riconosce alcuna autorità per accertare il vero, tranne l'intuizione e l'esperienza diretta  del singolo.

Ognuno deve subire le conseguenze dei propri atti e trarne ammaestramento, mentre aiuta i propri simili a raggiungere la stessa liberazione.

I monaci buddisti sono maestri ed esempi, ma in nessun modo sono intermediari tra la realtà ultima e l'individuo.

E' praticata la massima tolleranza verso ogni altra religione e filosofia, perché nessuno ha il diritto di di intromettersi nel viaggio del suo prossimo verso la meta.

Il buddismo è un sistema di pensiero, una scienza spirituale e un'arte di vivere, ragionevole e pratica e onnicomprensiva.

Per più di duemila anni ha soddisfatto i bisogni spirituali di circa un terzo dell'umanità. Esercita un fascino per l'occidente perché non ha dogmi precisi, soddisfa al tempo stesso la ragione e il cuore, insiste sulla necessità di fare affidamento su se stessi e d'essere tolleranti verso le altrui opinioni, abbraccia scienza,  filosofia, psicologia, etica e arte, ritiene che l'uomo sia il creatore della propria vita attuale e l'artefice del proprio destino.

Il buddismo non è una religione in senso stretto, in quanto priva dell'idea di un dio-persona e quindi di una teologia.  In tal senso la evoluzione  chan o zen del buddismo  ne è dimostrazione lampante. 

La chiave è la  Presenza Consapevole. Quel continuo stato di essere presenti che viene chiamato autoconsapevolezza, autocoscienza, coscienza osservante, oppure, forse impropriamente, autopresenza.  Come indicò il maestro Tilopa: "Disincagliarsi dalla rete. Chi si aggrappa alla mente non vede la verità che sta oltre la mente. Chi si sforza di praticare il Dharma non trova la verità che è aldilà della pratica. Per conoscere ciò che è aldilà sia della mente che della pratica bisogna tagliare di netto la radice della mente e, nudi, guardare; bisogna abbandonare ogni distinzione e restare tranquilli."

Paolo D'Arpini


La Dea Madre e la danza della natura...

La danza della natura... Bioregionalismo e spiritualità

I popoli arcaici, che si ispiravano al Mito dell’Origine eternamente attuale, interpretavano la vita e la morte quali aspetti inseparabili di un movimento che si ripete ininterrotto, pur senza mai ritornare all’identico. Tale concezione ciclica dell’esistenza si inabissò con l’emergere di una visione lineare, evolutiva, della vita: dal meno al più. Tuttavia essa non è del tutto sparita, giacché continua a vivere nella coscienza degli uomini che, non lasciandosi ingannare dai miraggi di una sedicente civiltà in preda all’illusione di un progresso od evoluzione illimitati, non si allontanano dai valori immutabili della Terra e del Cielo. Tra il 200 e il 1200 d.C. Tiruvalluvar, poeta del Tamil Nadu, scrisse: “Per quanto faccia, il mondo finisce sempre col tornare all’aratro perché l’agricoltura, benché faticosa, è la cosa essenziale” (“Tirukkural”, 1031).
Presso la Tradizione del Sanatana-dharma, la Via degli Avi, uno tra i due percorsi post mortem, vien detta Pitriyana; essa può essere riassunta nel modo che segue: il jiva (l’anima individuata) che sulla Terra abbia ottemperato al proprio dharma personale sale alla sfera della Luna, da dove, dopo aver beneficiato dei meriti accumulati, ritorna a questo mondo come pianta, animale o uomo. Si tratta di una Via che non disperde il jiva nella nescienza, ma nemmeno lo conduce alla Liberazione, poiché lo trattiene nell’ambito di nuovi stati di manifestazione individuati.
Il mondo della Luna (Candraloka) segna la distinzione tra gli stati superiori dell’Essere (non individuati) e quelli inferiori (individuati). La sfera della Luna ineriva quelli che presso il mondo ellenico venivano considerati i Piccoli Misteri. I Grandi Misteri riguardavano la Via del Sole (Devayana). Di ciò ci parla Apuleio nella sua celebre opera “L’asino d’oro”, in cui compare tra l’altro un bellissimo Inno alla Dea.
Il mondo storico, succeduto a quello mitico, ha però frainteso e deformato tale sapienza tradizionale, interpretandola nel senso che la terra-natura-donna va rigettata e capillarmente sfruttata se ci si vuole aprire alle esigenze di una perfettibilità illimitata: dall’ameba, all’anfibio, alla scimmia, all’uomo, al titano... al niente.
Nulla di più falso: soltanto se la Natura viene abbracciata, amata e compresa in quanto realtà inseparabile da noi stessi, essa ci permetterà di accedere agli stati sovraformali dell’Essere o, addirittura, al Risveglio nell’Ineffabile, da cui non c’è ricaduta cieca nella ruota del samsara.
Se ne evince un’enorme disponibilità a confrontarsi con la complessità delle interpretazioni dottrinali e con l’indefinita varietà delle forme. E dire che noi occidentali siamo andati in giro per il mondo per centinaia d’anni – e ancora lo stiamo facendo – ad esportare una civiltà che, nella pretesa di essere unica o, quanto meno, a tutte superiore, ha puntualmente lasciato dietro di sé una scia di distruzione, desolazione e morte.
Se è vero l’insegnamento secondo cui bisogna valutare dai frutti, che cosa ne dobbiamo dedurre? Probabilmente che dobbiamo tornare ad imparare i principi elementari della saggezza: l’Essere che anima questo individuo o che ispira questa lingua è lo stesso che anima la foglia, l’insetto, la stella e che suscita tutte le altre lingue. A livello formale vige la diversità ed una relativa gerarchia, dal punto di vista dell’Essenza, invece, Tutto è Uno.
Subramanyam

Immagine del post: "Dance of Nature" tratta da www.paintstudio.co.in

Cristianesimo giudaico delle origini e redazione dei vangeli "canonici"


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Epifanio, vescovo di Salamina in Cipro (IV sec.D.C.) , sostiene che i primi Cristiani erano chiamati Iessaei (da Iesse, padre di Re Davide,supposto antenato di Gesù) o Nazorei e produssero un "Evangelo secondo gli Ebrei" molto diverso dai Sinottici del Canone(1): il perduto Protomatteo o "Fonte Q". L´apologista Giustino Martire (circa 140-160 D.C.) scrisse il "Syntagma" (Compendio) contro le eresie, purtroppo scomparso. Dalle opere di Giustino che ci rimangono sembra che le Memorie Degli Apostoli cui fa riferimento non fossero identiche ai nostri quattro Vangeli canonici(1).

I Vangeli sono il frutto di un lungo lavoro redazionale , svolto più con un intento catetetico, in modo da venire incontro alle esigenze sociali e di culto delle prime comunità cristiane , che propriamente storico(2) e non possono essere considerati biografia nel senso moderno del termine (3). Il Vangelo di Giovanni pare sia stato composto ad Efeso dal maestro gnostico Cerinto, come ad esempio sostiene nel II secolo Gaio, presbitero di Roma (4).

Senz´altro  i Vangeli stavano assumendo la loro forma attuale proprio nel II secolo: si presume quindi che l´opera di Giustino sulle eresie facesse troppa luce su tutte le controversie che vi furono nelle comunità cristiane primitive in merito al Canone delle Sacre Scritture, perché se ne volesse ancora fare uso(1).

Un´altra delle designazioni dei Nazorei era quella di  EBIONITI (Ebìonìm) o "Poveri Uomini", dall´ebraico "Ebion" che significa appunto "Povero" (un titolo che tra l´altro si attribuivano anche gli Esseni ). Il termine "Ebion", secondo Renan, fu un sinonimo di "Santo" e "Amico di Dio"; il nome di Ebioniti fu per lungo tempo quello dei cristiani giudaizzanti della Batanea e dell´Horan (regioni ad est della Galilea), che restarono fedeli ai primitivi insegnamenti di Gesù, affermando di avere tra di loro i discendenti della Sua Famiglia (5).

Gli Ebioniti speravano in una specie di rivoluzione sociale che avrebbe innalzato il povero al disopra del ricco(1), sostenendo che "solo i poveri saranno salvati" (5). Consideravano Gesù un uomo perfetto, un grande Maestro, figlio carnale di Maria e Giuseppe, che divenne profeta e Cristo (Unto) al Suo Battesimo, quando in Lui discese lo Spirito (1). Gesù sarebbe ritornato come Messia e Re per instaurare sulla Terra un regno millenario di pace, giustizia e prosperità coadiuvato dagli Eletti di Israele(1).

Edoardo Schurè (1841-1924) sostiene che Gesù divenne Figlio di Dio all´atto del Battesimo, quando la colomba, simbolo del Femminino Celeste, o Spirito santo, si librò sul Suo capo e aggiunge che nel primitivo Vangelo Ebraico e nei primi Sinottici si leggeva in merito all´episodio: "Questi è il Mio Figlio prediletto.Oggi Io l´ho generato", cui più tardi si sostituì "in cui ho messo tutto il mio affetto" (6).

L´Ebionismo conservò la tradizione dei primi convertiti dall´insegnamento pubblico di Gesù , basandosi su una raccolta dei Suoi Detti; Egli era sì il Cristo, ma tali sarebbero stati tutti coloro che avessero, come Lui, adempiuto la Legge (la  Torah) e Paolo di Tarso si scontrò con esso nel suo sforzo di uscire dall´esclusivismo giudaico gentilizzando il Cristianesimo (1).

Gli Ebioniti, che evidentemente non avevano alcun concetto trinitario della Divinità, affermavano l´assoluta unità di Dio e l´umanità assoluta di Gesù, l´unità della Creazione, la totale priorità della Legge, in quanto espressione perfetta della volontà di Dio, aborrivano Paolo che consideravano un apostata per le sue posizioni rispetto all´osservanza della Legge da parte dei pagani convertiti (7) e  perché predicava una nuova dottrina, diversa da quella originaria, più adatta al mondo pagano. Prevalse poi la tesi paolina che considerava la Legge superata dalla Grazia e gli Ebioniti si separarono dal resto della comunità che si adeguò alle decisioni di Paolo e del suo cosmopolitismo; tra le loro guide rimasero Giacomo, il fratello del Signore (4) e Simon Pietro, che secondo antichi testi non andò mai a Roma (tesi portata avanti in funzione anti-Cattolica da Voltaire (8) e da frange pentecostali del protestantesimo americano) ma predicò solo in Oriente(1).

Gli Atti Degli Apostoli vennero compilati proprio per riconciliare il disaccordo tra Pietro e Paolo, selezionando e unendo insieme vari Atti più o meno leggendari (1) e per dimostrare una inesistente continuità di Paolo e della Chiesa con Cristo e gli Apostoli, rendendo le divergenze meno gravi di ciò che in realtà furono (4).

Alla fine del II secolo "gli Ebioniti",scrive Renan, "rimasti estranei alla vita delle altre chiese, sono dichiarati eretici e per spiegare il loro nome si inventa un preteso eresiarca di nome Ebion"(5).

Eusebio di Cesarea (ca. 265-ca. 340) riferisce nella sua "Storia Ecclesiastica" che i discendenti di Cristo ,o Desposyni (gente del Maestro), furono a capo di diverse chiese basandosi su una rigida successione dinastica; nel 318 otto loro capi incontrarono personalmente l´allora vescovo di Roma (papa Silvestro) nel Palazzo Laterano, per chiedergli di revocare le nomine dei vescovi di Gerusalemme, Antiochia, Efeso ed Alessandria per affidarle a membri del loro gruppo, nonché a considerare legittima Chiesa Madre quella di Gerusalemme. Le loro richieste furono naturalmente respinte con la motivazione che ormai la Chiesa Madre era a tutti gli effetti quella di Roma e solo essa aveva l´autorità di nominare i suoi vescovi(9).

Tra l´altro i Nazorei non conoscevano per niente il racconto dell´infanzia di Gesù a Nazareth, che venne elaborato più tardi(1): la cittadina infatti non è menzionata negli scritti degli storici e dei geografi prima del III secolo e il termine "Nazareno" deriva dall´ebraico "Nazir" ,che significa "puro", "consacrato a Dio" (nell´Antico Testamento è ben descritto il voto di Nazireato in Numeri 6,1-21 e in Giudici 13,1-7), perciò non si può escludere che il nome di Nazareth sia stato usato successivamente per giustificare un appellativo non più compreso dopo il distacco del Cristianesimo dal Giudaismo (10), o si trattò di un trucco per dissociare il Messia paolino da quello nazoreo(4). Secondo Marcello Craveri "Nazareno" potrebbe anche derivare da "Natzar" (segreto,nascosto) o da "Nèzer" (ramo,rampollo - della Casa di Davide?) o da Nasayà^ (protetto da Dio), ma non certo da Nazareth "che pare non esistesse nemmeno ai tempi di Gesù"(11).

Gli Ebioniti, la cui dottrina riuscì ad estendersi fino alla Persia e ad essere nonostante tutto molto influente in Palestina e Siria, soppravvissero fino al IV secolo assimilando concezioni gnostiche(1).

Molti insegnamenti nazareni furono recepiti dai Nestoriani , dalla Chiesa Celtica e da varie sette mediorientali (9).

 
Ricerca di Alberto Sordi




 

Bibliografia:

(1) G.R.S. Mead   "Gnosticismo e Cristianesimo delle origini"   (Melita)

(2) Enciclopedia Della Letteratura   ,vol.8, voce "Vangeli"  (De Agostini)

(3) Hegel   "Vita di Gesù",introduzione del prof. Paolo Miccoli   (Newton)

(4) David Donnini   "Nuove Ipotesi su Gesù"   (MacroEdizioni)

(5) Ernest Renan   "Vita di Gesù"   (Newton)

(6) Edoardo Schurè   "Il Sogno Della Mia Vita"   (Laterza)

(7) Umberto Delle Donne   "La Torre DiArgilla"   (Filadelfia Editrice)

(8) Voltaire   "Dizionario Filosofico"   (Newton)

(9) M.Baigent/R.Leigh/H.Lincoln   "L´eredità messianica"   (Marco Tropea Editore)

(10) Enciclopedia Nuovissima, vol.III, voce   "Gesù Cristo"

                "                 "        ,  vol.IV, voce  "Nazareth"   (Il Calendario Del Popolo)

(11) "I Vangeli Apocrifi",  a cura di 

Torre Maina - Memoria dell'Equinozio d'Autunno del 2010




"Tanto ti dimentichi sempre tutto".... ed allora per aiutarmi a ricordare almeno un po', ritiro fuori la memoria di un evento di più di 8 anni fa, settembre 2010, equinozio d'autunno e mio 51esimo compleanno. Fu un evento speciale, che suggellava il mio amore con Paolo, era si il mio compleanno, ma per me fu quasi una festa di matrimonio. Eh si, lui erano le prime volte che veniva in Emilia, qualche tempo prima avevamo celebrato il solstizio estivo a casa di Marco, a Ospitaletto. Lui aveva, ha, bisogno di questi eventi, che scandiscono il tempo (anche se facciamo la "Notte senza Tempo") e danno senso alla vita. Ormai questi eventi, negli anni, si confondono un po' nella mia mente, per fortuna che ci sono le foto e i resoconti, che però mai o quasi rileggo, ma nel caso... 

Questo evento però no, non è confondibile con altri, la durata (due giorni), la location (il Luoghetto di Nicola C. che non ho mai ringraziato abbastanza) e tanti tanti amici, venuti da vicino e da lontano:  Lucilla e la sua amica pastora col suo libro fresco di stampa, ma anche Simon Smeraldo e la sua chitarra, e tanti bolognesi, Lucia, Chester, Chicchi, Marisa, Nicola e il suo violoncello, Adriana, Antonella B. oltre a Sabine, David il veterinario, Maurizio T. e le sue galline (solo in foto), Francesca C. e i suoi meravigliosi acquarelli e il gruppo completo di allora di Aria di Stelle, che forse non si chiamava neanche così e un fotografo professionista, Mauro Terzi, con la cugina e mia grande amica Mara, che purtroppo ci fu solo nella seconda giornata ed infatti ci sono foto solo di quella. 

Mi perdonino quelli che non sono nominati. La festa fu anche occasione di disagi e veri e propri scazzi, che forse si potevano evitare, ma forse ci volevano, perché ognuno ha diritto di esprimersi per quel che sente.


Comunque furono due bellissime giornate, almeno per me, piene di amicizia, affetto, interventi interessanti e/o piacevoli, arricchenti. Meritano di essere ricordate. Paolo era pieno di energia e non stava fermo un attimo, per fare tutto il possibile per la buona riuscita dell'evento.

Caterina Regazzi





Link del programma completo della manifestazione: