Archetipi psichici - Da dove sorgono i pensieri che passano nella nostra mente?



La nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto. In questo perenne rimescolamento energetico, noi siamo come navigatori senza meta, o guerrieri - se preferite - liberi di affrontare il contingente senza paure. “Se temi la sofferenza - diceva un samurai - come fai a combattere?”

Dal tutto il tutto si dipana dinnanzi ai nostri occhi.

Nella storia dello zodiaco cinese si racconta che dodici animali si presentano al Buddha morente ed ognuno ottenne di incarnare le caratteristiche psichiche che contraddistinguono i tre aspetti di anno, mese e ora, in base alle propensioni naturali di ogni essere vivente. Essi sono maschili e femminili e manifestano le loro caratteristiche tramite le 5 fasi di mutazione fondamentali: Terra (devozione), Metallo (giustizia), Acqua (saggezza), Legno (etica), Fuoco (costumi).

Il funzionamento è più o meno quello del caleidoscopio. Alcuni elementi colorati e tre specchietti interni. Girando il tubo si ottengono diverse composizioni. Malgrado l’esiguità delle componenti i risultati possono essere infiniti. Questo stesso concetto (traslato ai 5 elementi ed ai tre aspetti psichici incarnati) mostra la variegazione di tonalità di colore e movimento attraverso la quale la coscienza individuale si manifesta (la forma ed il nome). La coscienza di sé, che noi chiamiamo persona, è un coordinatore interno, adattato all’individuazione, il quale si appropria delle funzioni messe in atto.

Lo chiamiamo: io. Questo ‘soggetto’ (o assuntore interno) è l’apparenza identificativa individuale nella quale solitamente ci riconosciamo. Propriamente parlando questo “io” è esso stesso la “conseguenza” delle energie messe in moto dai vari elementi e dai tre archetipi incarnati, quindi è inerte (come un programma), ed è un oggetto nella coscienza.

I tre archetipi psico-emozionali, inscindibili nel loro miscuglio, rappresentano:

Il senso dell’io, ego = anno di nascita;
L’intelletto o intuizione = ora di nascita;
La memoria o esperienza = mese di nascita

Ognuno di noi manifesta una forma esemplare a tre facce (designanti le nostre caratteristiche). Le tendenze innate che si riflettono nello specchio, perennemente cangianti, sono le correnti in cui l’io si muove.

Se vogliamo osservare una cosa piccola bisogna ingrandirla attraverso il microscopio, ma se vogliamo ampliare il campo di azione dobbiamo distaccarci il più possibile dalle cose attorno a noi, in modo da percepire il senso d’insieme. Questa corsa in tondo verso l’auto-conoscenza è un vagare trasognato, un’attenzione senza risposta, solitudine e silenzio, osservazione e contemplazione, fluire limpido nei mutamenti, sorridere nel rincorrere il vuoto.

Ed ora una storiella:

“Alcuni suoi seguaci domandarono al bandito Che:”Anche per i ladri esiste una strada (Tao)?” – “Eh, certo che sì.. – rispose Che- Santità è intuire dove giace un tesoro nascosto, Eroismo è entrare per primo nella casa, Giustizia è uscirne per ultimo, Saggezza è distinguere il colpo che si può tentare, Umanità significa essere equanimi nel dividere il bottino. Al mondo non è mai esistito un gran ladro che non abbia manifestato queste qualità”. (Chuang Tze)

Attraverso le capacità riflettenti dell’organo interno (antakharana) siamo in grado di manifestare energie psicofisiche in rispondenza a quelle percepite fuori di noi. Questa rispondenza è automatica ed inevitabile, è una legge naturale. Pensare di sfuggirne il corso è assurdo come pensare di cambiare il film mentre la pellicola viene proiettata. Ma l’atteggiamento interno è importante! Infatti l’accettazione del proprio destino scioglie l ‘attaccamento all’utile ed all’inutile che ci spinge nel ciclo delle rinascite. 


Nell’ignoranza ci identifichiamo con i personaggi e ci consideriamo autori e responsabili del gioco vissuto, con guadagno e perdita, la verità è che il nostro io, la coscienza individuale, la persona da noi incarnata, è solo un’immagine. Il risultato di un automatismo distratto e di una identificazione illusoria. Questo dobbiamo comprendere bene se non vogliamo che la mente ci imbrogli. Non cadiamo nel delirio dell’io separato, anche se la coscienza che lo anima è vera sin d’ora e siamo già dotati del capitale iniziale per quella “conoscenza di sé” è assurdo e ridicolo pensare di “ottenerla” - strettamente parlando non è possibile. Essa è già integralmente manifesta qui ed ora e quindi non perseguibile come ottenimento altro. Se ci sentiamo attratti da questa “conoscenza” occorre dire che non c’è corso o spiegazione o esperimento che possa trasmetterla, può essere solo riconosciuta (risvegliata) per "simpatia" nel momento della maturazione. Siccome non è un “conseguimento” continuiamo ad “andare avanti a fiuto”.

“Semplici attori, finché separati, poi, superata la dualità, non ha più nessuna importanza… Il fiore non ha più nome né forma è solo un fiore unico ed irripetibile nel giardino della Coscienza”.

Paolo D’Arpini



Lo yoga tantrico del Kashmir, secondo Eric Baret



"Lo yoga del Kashmir viene dal sentimento che ogni percezione ha la sua realtà solo nel silenzio. Invece di cercare di affinare la percezione per arrivare al silenzio, questo Yoga Tantrico non segue una direzione, semplicemente lascia che la percezione, la coscienza, si riveli completamente e spontaneamente. Ciò che proviene dal silenzio non può essere altro che silenzio.

Lo Yoga del Kashimir è un’arte di riassorbimento, di dissolvimento, non uno Yoga dell’acquisizione. Nello Yoga classico certi movimenti del corpo (asana, mudra), sono usati per risvegliare l’energia. Si pensa che l’energia risvegliata vada a liberare in noi certe casse di risonanza: chakra, e che, quando esse saranno abbastanza purificate si acceda ad una cassa di risonanza superiore che è la comprensione. Ma q
uesto cammino progressivo è dualista e fonte di smarrimento.

Lo yoga del Kashmir stimola la scoperta corporea di spazi di libertà, senza peso, né sostanza. Quando si comincia a scoprire che tutta la struttura psicologica vive nella paura del sentire si scopre quanto le spalle, la glottide, il dorso o il respiro siano sempre sul punto di difendersi.

L’esercizio yoga non è finalizzato a liberarsi, ma a rendersi conto fino a che punto si  resiste alla libertà intrinseca, già presente in noi. 


Lo yoga non può essere uno strumento: è un’arte. Gli strumenti appartengono al mondo del lavoro, dell’intenzione. La vera arte è dinamica, è celebrazione senza richiesta.

Attenzione a non voler eseguire posizioni perfette, o tenerle a lungo, o desiderare di acquisire qualcosa, o tentare di andare ogni volta un po’ oltre. Ciò non significa che non si possa lavorare a lungo sulle posizioni, ma che si conserverà questa disponibilità viva.

E’ facile creare uno schema, una scuola, un insegnamento, allora nuovamente vi allontanate dalla verità: state ancora aspettando qualcosa…  è come  proiettare la sicurezza su di un cane ma,  prima o poi, il cane se ne andrà e vi lascerà nella vostra illusione. 


Eric Baret



(Fonte notizia: Uqbar Love 169)

Libertà nella spiritualità laica e come viverla giorno per giorno

"Cammina nella tua oscurità… perché camminando, brancolando, a poco a poco, anche tu troverai la tua luce. Quando hai la tua oscurità, la luce non è molto lontana. Quando la notte è buia, l’alba è vicina… a portata di mano. Una volta divenuto dipendente da una luce presa in prestito, sarai perduto. L’oscurità non è mai così pericolosa quanto una luce presa in prestito. Conoscere è bene, ma il sapere non è un bene. La conoscenza è una cosa che ti appartiene, il sapere è di altri." Osho


La spiritualità laica, pur essendo un neologismo, ha un’origine remota, nasce nel momento stesso in cui l’uomo ha avuto la prima scintilla di auto-consapevolezza. Sarebbe infatti più corretto definirla spiritualità naturale ma per non confonderla con  la  new age ed anche a causa delle sovra-imposizioni religiose monoteiste, dobbiamo qualificarla “spiritualità laica” per stabilire la sua assoluta e totale indipendenza da ogni credo (ateismo compreso). In verità diversi modi di spiritualità laica sono riconoscibili, ad esempio, nella filosofia socratica e neoplatonica, ma è soprattutto nel pensiero taoista e zen, nello shivaismo del Kashmir e nell’adavaita vedanta che tale spiritualità ha avuto le sue espressioni più antiche. I due moderni più grandi maestri advaita, Ramana Maharshi e Nisargadatta Maharaj, sono stati fulgidi esempi di laicità. Ramana gettò via il cordone da bramano ma non si fece mai monaco e Nisargadatta era un uomo di famiglia con figli e campò facendo il venditore di beedies. Nel dialogo che segue, fra me e Franca Oberti,  parleremo di come poter vivere la spiritualità laica nel quotidiano senza ricorrere a particolari riti o pratiche ma affinando la capacità di attenzione e senso di presenza...
(Paolo D'Arpini)





Franca Oberti: “Paolo, tu spesso dici: “Lo spirito è una sintesi fra coscienza ed intelligenza!”.  – Vorrei capire meglio questo concetto, se non ti dispiace. Ho in mente la fiammella di Pentecoste e la sensazione è sempre di qualcosa che ci pervade, non che fa parte del corpo. Come si può pensare a una coscienza e a un’intelligenza, che spesso associamo alla materia cerebrale, unite? La mia limitatezza qui mi blocca. Penso ad una fiammella che è l’anima, che si può identificare con la coscienza, ma l’intelligenza la sento più corporale oppure addirittura unica e universale e ogni coscienza ne fa parte.”
Paolo D’Arpini: “Avere in mente qualcosa è un pensiero. Anche se lo chiami “anima” resta un pensiero, un concetto. Tutto ciò che è all’interno della coscienza è un oggetto della Coscienza. Forse è meglio che il termine Coscienza, pur che rappresenta quanto voglio significare, venga qui sostituito da “Consapevolezza” poiché noi occidentali e soprattutto “cristiani” tendiamo a considerare la coscienza come una qualità morale. Si dice “fare l’analisi di coscienza” come se questa coscienza fosse un aspetto, un’anima appunto. Lasciamo anche da parte la considerazione materialista per cui la coscienza è il risultato di processi cerebrali, che è una spiegazione “empirica” assunta in quanto si ritiene che la nostra capacità di analisi (intelligenza) sia susseguente al processo chimico delle cellule che si comunicano dati. Tutto ciò è la conseguenza del nostro ritenerci il corpo quindi questa considerazione non ci consente di andare “oltre” per percepire lo spirito. Anche qui percepire non è propriamente corretto, poiché chi è che percepisce e cosa viene percepito? E’ evidente che tutto si svolge all’interno della Coscienza, la coscienza osserva se stessa e comprende se stessa. Intelligenza e coscienza sono la stessa cosa e in verità sono la nostra vera natura. Checché tu consideri te stessa, una anima un corpo, una mente… tu non sei quello poiché tu non puoi essere un oggetto della conoscenza. Tu sei la conoscenza stessa che prende la forma di soggetto oggetto e conoscenza. Fermiamoci comunque al “sentire” interno, quel sentire che tu definisci “io”  e che è in verità pura coscienza. Prima di pensare “io sono questo o quello” se ti fermi all’io.. ti rendi conto che quell’io è privo di qualsiasi attributo.. E’ semplicemente consapevolezza. L’opinione, qualsiasi opinione, appartiene all’ego,  inizialmente può essere accettata come base  di confronto sulle idee, ma se osserviamo con gli occhi dello “spirito”, che tutti ci accomuna, scopriamo che l’opinione è solo un attaccamento, un riflesso condizionato,  di cui potremmo anche liberarci se vogliamo avanzare in consapevolezza.”
Franca: “Sì, sull’opinione ti posso dar ragione, sento che è come se facesse parte delle nostre credenze, dei preconcetti che ci portiamo appresso dalla manipolazione nell’infanzia. Quindi concordo e dico: ognuno di noi esprima pure in libertà, ma non prenda per oro colato e non si barrichi nella sua opinione escludendosi dal dialogo.”
Paolo: “Appunto, avendo riconosciuto l’opinione come un meccanismo automatico del proprio credere, del proprio identificarsi in un set di pensieri e credenze, non ha importanza sforzarsi per la supremazia della propria opinione. Si esprime l’opinione come un gesto, come una naturale e spontanea affermazione della persona che noi “incarniamo”. Quella persona è un personaggio nella commedia della vita, è giusto che si esprima ma non è necessario che prevalga. Quando si comprende la complementarietà di ogni aspetto e forma dell’esistente ci si limita a svolgere la propria funzione, nel modo più accurato, senza sentirsi né responsabili né portatori di un messaggio superiore.  Si porta avanti “l’opinione” come se fosse un lavoro da svolgere ma senza sentire che i risultati di tale lavoro ci appartengono. Insomma si compie un “dovere” con distacco…. Secondo i grandi saggi l’opinione è  un  automatismo della percezione individuale. Insomma l’opinione è sempre e comunque parziale ed incapace di riferire un’interezza. Ma se almeno fossimo in grado di interpretare ogni opinione come un tassello del pensiero universale, cercando di integrarla nell’insieme del conosciuto, forse così stiamo mettendo in pratica quel “sincretismo” auspicabile per il superamento delle ideologie e delle religioni precostituite.  Unica discriminante dovrebbe essere la qualità della sincerità in cui l’opinione viene espressa.”
Franca: “Qualcuno – inutile specificare – depreca il sincretismo, io mi auguro che sempre più spesso ci si senta accusati di cercarlo… ero anche stata accusata di panteismo, solo perché vedevo Dio in ogni aspetto della natura….”
Paolo: “Perché farsi condizionare dall’opinione altrui? Una volta capito che tutte le opinioni sono solo aspetti esteriori del nostro sentire, della nostra educazione, del nostro bagaglio genetico, etc. etc. Come si può ritenere che una qualsiasi opinione, pur ben espressa o motivata, possa influire sui nostri comportamenti o convincimenti, in antitesi con noi stessi? Se noi ci riconosciamo nell’opinione espressa da qualcun altro vuol dire semplicemente che quella cosa stava già dentro di noi, l’abbiamo riscoperta. Se invece non ci tocca.. lasciamola andare come l’abbiamo incontrata. Una piccola similitudine: quando andavo a scuola, forse all’età di 13 anni, confessai al prete della mia parrocchia che non riuscivo ad accettare il fatto che esistessero inferno, paradiso, limbo.. che vengono considerati “eterni” contemporaneamente alla realtà eterna del dio stesso. Se dio è eterno ed infinito come possono coesistere più eternità separate e contrapposte? Il prete mi disse che dovevo credere a quanto affermavano le scritture perché quella è la parola di dio ed è un “mistero della fede”. Ovvio che non gli diedi retta e continui a meditare e riflettere sulle cose secondo il mio criterio di ricerca e non basandomi sull’opinione del prete o sulle scritture. Infatti se un’opinione è solo “strumentale” allora non vale nemmeno la pena di considerarla, essa non è nemmeno etichettabile come “opinione” (che già di per se stesso è un termine “riduttivo”) ma possiamo definirla “imbroglio speculativo” teso alla soddisfazione di un  vantaggio personale. Ciò avviene quando si mente sapendo di mentire e quando si ragiona in termini di affermazione del proprio pensiero!”
Franca: “Purtroppo in questo caso ne va della morale che ognuno si porta avanti nella vita. Dove sta la verità? E’ quella che fa comodo o quella che serve per armonizzarsi con gli altri e la natura? Spesso mi scopro ad esprimere un’opinione, poi mi premuro di dire che “io la penso così”, per non prevaricare gli altri e pretendere di avere in mano la verità… un equilibrio delicatissimo.”
Paolo: “Allorché si è centrati nello Spirito, ovvero in se stessi, non c’è pericolo di compiere il male, poiché se stessi e il tutto coincidono. Gli altri non sono diversi da noi e se non sono diversi come potremmo nuocer loro? Ogni nostra azione è compiuta al fine del beneficio comune. Anche se all’osservatore può apparire che ci sia una intenzionalità personale nell’azione del saggio. Secondo me la “spiritualità  laica” deve comprendere anche il lasciare agli altri la libertà di pensare a modo loro,  non possiamo usare la laicità per continuamente controbattere su punti che a noi sembrano ledere tale principio… Insomma dovremmo essere laici persino nei confronti della laicità. Ed in sintonia con questo predicato mi occupo della mia auto-conoscenza e lascio agli altri esseri (umani o non umani) di fare la parte che ad ognuno compete!”  
Franca: “Questa tua frase passerà nella mia raccolta di aforismi… Grazie, bellissima! E se tutti facessimo questo, si starebbe benissimo! Non ci sarebbero più guerre e tutti saremmo in pace… Ma ci arriveremo, ci arriveranno….”
Paolo: “Ci siamo già. Tutti tendiamo alla perfezione, però in un crescendo, seguendo le nostre opinioni di bene e male, in un apparentemente lungo e tortuoso iter, che non ha inizio né fine. Si manifesta come singoli fotogrammi che noi dichiariamo separati e diversi, perché osservati nel contesto dello spazio tempo e con il senso di separazione. Ma il film è lo stesso, noi siamo tutti dentro… Chiamalo pure sogno se vuoi, infinito ed eterno. Il sognatore diventa tutti i personaggi e gli eventi del sogno. Avviene così, senza scopo e nella gioia. Allo stesso tempo questo sogno è irreale perché è solo un processo nel divenire. Diventa però reale e vero appena siamo “consapevoli” che noi siamo quello in ogni suo aspetto ed anche aldilà di quello in quanto pura Consapevolezza”

Femminino sacro - "La donna scelse la conoscenza e la libertà e l'arconte ne fu adirato.."



Il motivo per cui i maestri dello Gnosticismo antico entrarono in
competizione con i cristiani non verteva sul fatto che essi
rivendicassero un'origine comune rispetto alla Grande Chiesa. Gli
Gnostici, piuttosto, dichiararono se stessi e la loro dottrina
discendenti da figure secondarie quali Tommaso, Giacomo il Giusto,
Maria Maddalena, Salomé. Non a caso rappresentò una novità la radicale
rivalutazione dell'elemento femminile all'interno della mitologia
religiosa giudaico-cristiana e dell'immaginario collettivo. I vangeli
gnostici (e apocrifi) contengono una vasta galleria di "donne
dimenticate", protagoniste e testimoni di una forma di spiritualità
perduta, un cristianesimo prima del cristianesimo, i cui principi,
certamente, furono ben differenti da quelli codificati all'interno dei
vari concili ecumenici. In codesto ambiente cristiano primitivo e
autentico, che da tempo rappresenta una verità storica in grado di
suscitare un sempre più crescente interesse, il femmineo era venerato
quale principio divino e le donne detenevano il ruolo di sacerdotesse
e maestre d'iniziazione. Risulta fondamentale, a tal proposito,
rimembrare un personaggio qual era Simon Mago, considerato esser il
primo grande fondatore del movimento Gnostico in Samaria; celebri
divennero le sue costanti apparizioni fra gli adepti, a fianco della
sua Elena, una mediatrice, da lui annunciata quale incarnazione della
Sophia.

L'intento gnostico non si affermò tanto mediante il recupero di un
antico culto matriarcale, quanto piuttosto in un atto di contrasto nei
confronti del rigido sistema patriarcale dominante manifestatosi
all'interno dell'ebraismo, in modo da consentire un reale accostamento
al culto solare su base antimaterialista ed esoterica, affiancando il
Dio alla propria legittima controparte femminile, la dea Madre sovrana
dei mondi lunari, inconsci, attraverso la cui fecondazione è possibile
la nascita del filius macrocosmi.

Per questo motivo, infatti, accanto alla Maddalena, a Salomè, Eva,
Norea, Maria di Nazareth è essenziale ricordare le diverse identità
femminili assunte dal Dio Primigenio gnostico: da Barbelo a Bronte, da
Sophia a Elena, fino a Lilith, la donna-demone.

La portata di questo cambiamento culturale fu dirompente e, senza
alcun dubbio, spiega l’ostilità a cui la Gnosi andò incontro e l’oblio
a cui fu condannata.

La donna era, dunque, una sorta di "sacro mediatore"; ella deteneva
una funzione di elemento intermediario fra il mondo terreno della
caduta, del caos e delle passioni e il mondo superiore della
rettificazione e della pienezza; in quanto naturalmente dotata di
grandi capacità percettive, immaginative e intuitive, assolveva al
ruolo di interprete del Verbo, della parola dell'uomo (il Logos), il
mago, presso il quale intercedeva durante l'iniziazione.

Rifacendosi ad una tale premessa, risulta al quanto facile constatare
come, questo particolare modus operandi fosse chiaramente riportato
nei miti gnostici al fine di tramandare, per via simbolica, una vera e
propria procedura iniziatica, una serie di condotte, alle quali i
discepoli dovevano rigorosamente attenersi se realmente intenzionati
ad adoperarsi in vita per risvegliare il Soter assopito nella mente
traviata dal disordine della morale e delle altre sbarre psicologiche.
L'audace interpretazione gnostica del mito di Eva è, ad esempio, una
delle tante a celare un particolare tipo di insegnamento, di condotta,
sperimentati dai maestri che avevano così raggiunto – si mutuano, qui,
le parole del Moraldi - "una profonda e completa libertà interiore",
codesto insegnamento, perciò, veniva tramandato in segreto al neofita.

La medesima leggenda ebraica che vede come protagonista il demone
ribelle Lilith fu particolarmente favorita dagli Gnostici. Lilith,
infatti, era la sola figura ad esser depositaria di una grande
conoscenza, quella del nome impronunciabile di Dio. Ecco, dunque, il
rivelarsi del messaggio essenzialmente teurgico di tale vicenda, ed in
seguito erroneamente interpretato dai culti dell'era moderna qual
becera manifestazione di femminismo estremista. Lilith è,
sostanzialmente, il primo esempio mitologico di Teurgia.

Inoltre, si ritrovò ad incarnare un certo spirito di ribellione,
potente espressione della differente natura pneumatica ed
incorruttibile da lei posseduta rispetto ai progenitori Adamo ed Eva.
Lilith simbolizza la tendenza in ogni uomo alla completa libertà,
all'anarchia. Eva, invero, rappresenta tutt'altro: ella è una parte
integrante di Adamo, è il suo lato destro, il suo proprio interprete,
e per questo spesso, nei testi gnostici, è descritta quale custode del
seme di Sophia, oppure, accostata alla figura del Serpente, le cui
parole di seduzione vengon fatte risalire a lei medesima(1).

E' la funzione cerebrale immaginativa, percettiva, che a causa della
brusca e violenta separazione compiuta per mano del Demiurgo, venne
relegata nell'inconscio e dimenticata(2).
Fu proprio tal sottile, misteriosa funzione di intuizione ad aver
condotto Adamo a nutrirsi dell'Albero del Bene e del Male.

"Gli arconti si consigliarono l’un l’altro e dissero, “Andiamo,
apportiamo il sonno in Adamo!” Ed egli si addormentò. Ora il sonno è
l’ignoranza che essi fecero venire su di lui, ed egli si addormentò.
Essi aprirono il suo lato; formarono il suo lato come una donna viva e
al suo posto misero della carne e Adamo diventò completamente
psichico. Andò da lui la donna dotata di spirito, parlò con lui e gli
disse, “Adamo, alzati!”. Allorché la vide, egli disse, “Tu sei colei
che mi ha dato la vita! Sarai chiamata ‘madre dei viventi’ – poiché
lei è mia madre, lei è la medichessa, la donna, colei che ho
generato."
(Ipostasi degli Arconti)


Valentina Achamoth

http://tradizionegnostica.blogspot.it/




NOTE:

(1) "Questo serpente universale è anche la Parola sapiente di Eva.
Questo è il mistero dell'Eden: questo è il fiume che scorre
dall'Eden." (Ippolito, Refut. V, 16, 9 s.)

(2) "Allora, adirato, il dio arconte degli eoni e delle forze ci
divise: noi diventammo due eoni, e così la Gloria che era nel nostro
cuore, abbandonò me e tua madre Eva; e con essa (la Gloria) la prima
conoscenza che soffiava dentro di noi." (Apocalisse di Adamo 20-24)


Medio Oriente - Arabi, turchi, bizantini, cattolici latini... conoscere il passato per comprendere il presente


Le crociate mediorientali dovevano essere solo un aiuto all'impero bizantino in lotta, quando furono iniziate, contro i turchi non contro gli arabi. Invece sono state una forma di occupazione abusiva di molti territori bizantini, durata due secoli. I bizantini non ce l'avevano con gli arabi ma coi turchi, perché all'avanzata araba si erano rassegnati e perché avevano capito che gli arabi erano comunque tolleranti nei confronti delle religioni monoteistiche (l'ultima teologia bizantina, quella p.es. di Palamas, ha parole di elogio nei confronti della teologia islamica, a motivo del fatto che si rifiutava di rappresentare Allah).

I turchi volevano occupare tutto il Medioriente, sia quello bizantino che quello arabo, perché erano stati cacciati dall'Asia centrale dalle invasioni mongole. Che i turchi fossero islamici come gli arabi va considerato del
tutto accidentale, in quanto i turchi ottomani (o selgiuchidi) erano al massimo pagani e divennero islamici solo dopo aver conquistata l'Asia Minore. 


Gran parte dei territori bizantini furono presi dai turchi anche per colpa delle crociate latine, che destabilizzarono ulteriormente quella regione, fino a occupare la stessa Bisanzio (1204), tanto che i bizantini si videro costretti ad allearsi con gli stessi turchi pur di cacciare i latini, i quali non facevano distinzione, quando dovevano massacrare le persone, tra turchi, arabi e bizantini (quest'ultimi cristiani come loro, seppur scismatici dal 1054).

I bizantini odiarono così tanto i latini, a causa delle crociate, che arrivarono a preferire la sottomissione sotto il turbante che non sotto la tiara. E quando, nell'imminenza della conquista turca di Costantinopoli, i bizantini arrivarono a vendere la loro dignità al Concilio unionista di Ferrara-Firenze (1438-39), accettando la superiorità del papa su qualunque concilio e figura ecclesiastica, in cambio della promessa di un aiuto militare (mai mantenuta), il patriarcato di Mosca se ne risentì, al punto che arrivò a dire: sono cadute due Rome, noi siamo la Terza, l'unica vera erede di Bisanzio. 


Ecco perché oggi abbiamo un'intera nazione, quella turca, che (caso molto raro nella storia d'Europa), pur avendo avuto una civiltà cristiana incredibilmente fiorente sotto ogni punto di vista per oltre mille anni, oggi di cristiano non ha assolutamente nulla. Per colpa dei turchi? In parte. Certamente anche per colpa dei cattolici latini.

Le crociate nel nord Europa durarono molto di più e furono gestite da forze cattoliche contro quelle pagane e slavo-ortodosse, e furono di una crudeltà non meno feroce. Questo spiega il motivo per cui abbiamo una Polonia cattolica, una Lituania cattolica, un'Ungheria cattolica, una Slovacchia Cattolica ecc., invece di avere nazioni ortodosse.


Enrico Galavotti


(www.homolaicus.com/storia/medioevo/baltici/)

Il buddismo di Nichiren Daishonin... che buddismo è?



Il buddismo di Nichiren Daishonin conta 8 maggiori scuole formate da otre 40 sette o scuole più piccole... il tutto per un 50 milioni di fedeli circa o forse più.... 750 anni di storia. Nichiren non voleva fondare nessuna scuola, lo dice chiaro e tondo nei gosho, d’altronde dovette farlo per motivi legali, anche se i suoi meriti e riconoscimenti sono stati decretati dopo la sua morte e lui ed i suoi seguaci han praticato come dei banditi eretici per tutta la vita... La scuola Tendai era irriformabile, non scordiamoci per chi non lo sa che Nichiren è santo protettore della nazione in Giappone, e che è insignito di vari nomi, quali grande bodhisatva, mahasatva ed altri termini importanti...

La teoria del buddha Nichiren è venuta fuori dopo 200 anni circa dalla sua morte, ed è stata promulgata ed abbracciata soltanto dalla Nichiren Shoshu ed il lignaggio corrispondente. Per secoli questa loro pretesa di essere riconosciuti l'unica vera scuola Nichiren nonché la più piccola, ha diviso l'unione, chiamata la cosiddetta "fratellanza Nichiren" che è sempre esistita tra le scuole di questo Buddismo.... Si potrebbe continuare per ore esaminando la storia di ogni scuola, le cui più importanti contano milioni e milioni di fedeli: Nichiren shu, Rissho kosei-kai, Reiyukai, Honmon butsu, Riu shu, Sgi, Kempon hokke e le altre scuole che si rifanno all'insegnamento così chiamato "fuju fuse".....

Nichiren non ha lasciato indicazioni precise, anche se ogni scuola si professa giusta o migliore delle altre. Le piccole o grandi differenze esistenti tra le scuole derivano in gran parte da questo.... ed i 5 preti anziani non furono, ne sono dei traditori, come certe dottrine insegnano. Questa è una bestemmia ed una falsità... tutt'altro... anzi, è merito loro se si diffuse in tutto il Giappone......


A.A. 

(Fonte: Centro Nirvana - Testimonianze)

Zodiaco cinese, I Ching, sistema elementale indiano e conoscenza degli archetipi



I dodici esagrammi-seme del Libro dei Mutamenti o I Ching corrispondono ai dodici mesi dell'anno; in realtà il sistema zodiacale cinese è la traduzione “volgare” dei dodici esagrammi-seme. I dodici animali corrispondono alle propensioni innate descritte dalle caratteristiche dell'animale stesso. Il calendario cinese si basa su tredici lune ed ha inizio per convenzione nel 2637 a.c. ma si suppone essere pre-esistente.

L'intero ciclo si svolge in un periodo di sessanta anni e la data sopra menzionata si riferisce al sessantunesimo anno di età dell'imperatore cinese allora in carica. I sessanta anni sono la base, esistono poi cicli superiori ed inferiori. Ricordiamo che per i Cinesi e gli Indiani il tempo è concettualmente ciclico, come dimostrato in seguito da Einstein e dalla fisica quantistica. Potremmo definirlo un modello a spirale simile alla struttura del DNA od al simbolo dell'otto come infinito.

Confucio e Lao Tse sono due filosofi del 600 a.c. che hanno commentato il Libro dei Mutamenti; si tratta di due quasi contemporanei di Buddha. In realtà il Libro dei Mutamenti si è formato nel periodo proto-storico della Cina, nel momento comune a tutte le culture in cui si cerca di dare ordine e significato ai mutamenti; questo periodo rappresenta lo sviluppo naturale della fase sciamanica. Il pensiero dei filosofi greci deriva dal pensiero indiano rielaborato in chiave occidentale (vedi Socrate).

Il sistema filosofico indiano si ritiene esistente come tradizione orale già 10.000 anni prima di Cristo. La radice comune dei due sistemi si rinviene nel fatto che in entrambi i casi non si parla di un dio ed il dualismo viene considerato come una forma dello spirito.

Ricordiamo che l'assoluto non duale non è un concetto ma un qualche cosa che viene adombrato come consapevolezza priva di ogni attributo; come esempio portiamo la consapevolezza di quando si è appena svegli: l'Io non è ancora entrato nella coscienza. La pura consapevolezza è l'essere. “Io sono” è nell'esistere. “Essere” è immutabile ed “esistere” è mutevole. Da qui il Libro dei Mutamenti.

Vogliamo ricordare che l'interpretazione è sempre fallace e che ci sono tre fasi distinte: oracolare, intuitiva ed esperienziale del Sé. Quest'ultima non è descrivibile né trasmissibile e per giungere ad essa dovremo “uccidere” gli archetipi, riconoscendo l'Ego con l'acquisizione del distacco: lo scopo di questo percorso è quello di creare una tensione verso l'autocoscienza.

Tutto ciò che possiamo comprendere con la mente è falso ma dobbiamo conoscere tutto ciò che sta nella mente per non esserne “imbrogliati”: si tratta di interiorizzare la mente attraverso l'analisi per poterla avvicinare alla “sorgente” o, come dicono gli Indiani, di usare la “spina” dell'autocoscienza per togliere la “spina” della coscienza empirica. La nostra tendenza proiettiva ci porta a considerare ciò che è fuori come oggettivo (nome-forma) quindi per ottenere il nostro scopo dobbiamo spostare la consapevolezza verso l'interno.

La mente (Ego) tende ad appropriarsi delle esperienze vissute; naturalmente non dobbiamo rinunciare alla nostra identità fisiologica (nome-forma) ma dobbiamo integrarla con il Tutto, anche perché ne facciamo parte ed il Tutto è inscindibile.

Vedi il concetto di “ologramma”, in cui ogni parte che compone l'immagine è costituita dalla totalità dell'immagine stessa. Illudersi di essere separati dal Tutto significa cadere nel dualismo.

L'aspetto del Due è un aspetto speculare; il nome-forma è come un'onda che sorge sul mare dell'Assoluto, il quale è appunto il substrato necessario all'esistenza dell'Io.
L'Om o Big Bang rappresentano il momento della nascita del concetto di spazio-tempo, io e l'Altro, il soggetto e l'oggetto; ciò si manifesta come specularità tra il Sé e l'io.

L'illusione della creazione dell'Altro è il passaggio dall'Io al Tu. La Tenebra è lo Yin, lo Spazio, la Shakti o Energia, l'espressione della Forma. La Luce è lo Yang, il Tempo, Shiva o l'espressione della Coscienza.

Gli elementi di questa coppia in realtà sono uniti ma assumono una sembianza divisa.
Come risposta oracolare lo Yin rappresenta il Sì, la linea spezzata e lo Yang il No, la linea intera.
Il Sì ed il No sono alla radice della formazione del Libro dei Mutamenti.


L'Uno, il Due ed il Tre rappresentano i tre modi espressivi della coscienza nello spazio-tempo e nel sistema indiano corrispondono a Sattva o Coscienza, Rajas o Azione, Tamas o Inerzia.

La Coscienza è la capacità di percepire, l'Azione è il movimento, l'Inerzia è la tendenza a fermare le cose.

I CINQUE ELEMENTI NEL SISTEMA INDIANO
I cinque elementi del sistema indiano sono discendenti e vanno dallo stato rarefatto verso la materia. Essi sono: Etere, Aria, Fuoco, Acqua, Terra. Ovviamente si tratta di elementi simbolici.

Etere = stato di coscienza in cui l'Io Sono è sorto e funge da substrato; è pensiero privo di considerazioni, un vuoto mentale. Corrisponde allo stato meditativo.
Aria = formazione del pensiero allo stato “gassoso” rappresenta l'intuizione priva di immagini. Sonno profondo.
Fuoco = capacità di creare delle immagini, la visione; assume una sembianza ma la sostanzialità non è ancora totalmente cristallizzata. Sogno.

Acqua = Attività mentale e costruzione del pensiero, Corrisponde alla memoria.
Terra = stato fisico. Corrisponde allo stato di veglia ed alla sperimentazione sensoriale.


ETERE = Sattva
ARIA = Sattva + Rajas
FUOCO = Rajas
ACQUA = Rajas + Tamas
TERRA = Tamas (o formazione dell'ego, identificazione con il nome-forma)

Terra = primo chakra
Acqua = secondo chakra
Fuoco = terzo chakra
Aria = quarto chakra
Etere = quinto chakra

In questo sistema tutto ciò che esiste è concettualmente una combinazione dei cinque elementi più le tre qualità più il maschile ed il femminile (o spazio-tempo).
Queste energie risultano quindi avere un aspetto decuplo.

I CINQUE ELEMENTI NEL SISTEMA CINESE
Nel sistema cinese il movimento è circolare; comincia dalla Terra-Matrice che insieme con il Cielo produce tutte le cose e nello specifico i cinque elementi. L'elemento terra è come una sorta di Gesù, produce il metallo che produce l'acqua, che a sua volta produce il legno, che produce il fuoco il quale produce la terra (circolarità del sistema).

TERRA = olfatto, pancreas e milza, (praticità, obiettività, concretezza) colore giallo
METALLO (o ETERE) = udito (pulizia, etica, decisione, costanza, volontà, malleabilità) colore bianco
ACQUA = gusto (purificazione, corrosione, passaggio dell'informazione, memoria) colore nero
LEGNO (o VENTO) = tatto (emozioni, creatività, socialità, avidità, attaccamento) colore verde
FUOCO = vista (la visione, lo spirito, carisma, irradiazione, distacco attraverso la consapevolezza, egoismo, impulsività) colore rosso

Metallo e Legno così come Terra ed Acqua sono elementi antitetici ma la loro frizione è necessaria.
Il Legno comprende due qualità, il legno verde ed il legno maturo, da cui nasce il fuoco.
Noi stessi siamo un'espressione dei cinque elementi. La formazione delle linee ed il loro sviluppo in esagrammi comporta due possibilità, una nel pensiero (concettualizzazione) ed una nel concreto (rispettare le sembianze) le quali corrispondono al Cielo Anteriore (nel pensiero) ed al Cielo Posteriore (nelle forme).

Elementi nelle dita della mano:
TERRA = pollice (perché opponibile)
METALLO = indice (indirizzo,proiezione)
ACQUA = medio (comunicazione)
LEGNO = anulare (emozioni)
FUOCO = mignolo (spirito)

Formazione delle linee e degli esagrammi
NORD = inverno
EST = primavera
SUD = estate
OVEST = autunno

CIELO ANTERIORE - Gli archetipi primordiali primi corrispondono alle divinità.
CHEN = il creatore, non come divinità ma come modo formativo, primo figlio (DRAVYA, afferrare)
KUN = la madre
LI = il sole che sorge (PUNYE, il virtuoso)
TUI = figlia (NIDRA, sognare, la pigrizia)
KIEN = pienezza dell'estate, liberazione (KRURA MATI, potenza, affermazione di sé)
SUN = prima figlia, invito (PAPE, trasgressione secondo la visione maschilista, vedi Eva)
KAN = secondo figlio, autunno, l'abissale, il tramonto (KRYDA, il calcolo, la bellezza)
KEN = terzo figlio, il monte (GAMANADAU BUDDHI, meditazione, predisporre l'azione)

CIELO POSTERIORE - (riposizionamento degli archetipi)
In questa fase l'elemento terra è “scomparso” e si è ritirato al centro.
KAN = Nord (secondo figlio) acqua
KEN = NE (terzo figlio) terra, stasi, fine dell'anno
CHEN = Est (primo figlio) rinascita, legno che germoglia
SUN = SE (prima figlia) legno maturo
LI = Sud (seconda figlia) fuoco, sole, luce
KUN = SO (madre) terra, nascita, vegetazione
TUI = Ovest metallo dolce
KIEN = NO (padre) conservazione dei semi, metallo

Le ulteriori posizioni intermedie più le altre sono le seguenti, come nella Rosa dei Venti, per un totale di 12:
Nord NNE ENE
Est ESE SSE
Sud SSO OSO
Ovest ONO NNO
Acqua = NNO - novembre
Nord - dicembre
NNE - gennaio
Legno = ENE - febbraio
Est - marzo
ESE - aprile


Paolo D'Arpini 





Testi di riferimento: 
Il Potere del Serpente (The Serpent Power) di Arthur Avalon (pseudonimo di Sir Jhon Woodrof)
“I Ching” edizione Adelphi o quella tradotta da Richard Wilhelm con introduzione di C.G.Jung.
(Questi testi contengono un bagaglio accumulato dal tempo nel nostro inconscio collettivo.)

Articolo collegato: http://paolodarpini.blogspot.it/2010/07/i-ching-e-zodiaco-cinese-integrato-dal.html

Abidjan - La scimmia ed il Kalaò



Dopo un mese ad Abidjan mi sembrava di aver conosciuto tutto della città, perlomeno nell’ambito dei rapporti e dei luoghi che mi erano consentiti. Chiacchierate attorno alla piscina dell’hotel più “in” (quello dove andavano i turisti americani) per stare a contatto con i ricchi, puntate nelle taverne plus africaine (in compagnia di prostitute e gente di malaffare), nottate passate in terrazze della città vecchia fra i tamburi che ripetono senza sosta il loro richiamo verso l’istinto, qualche festa o cena nella villa di qualche annoiato patron francaise e soprattutto permanenze pomeridiane al famoso Kalaò, il bar riferimento dei viaggiatori e della scenografia, una specie di Harris Bar in Costa d’Avorio.



Ero ospite di una signora francese che aveva sposato un alto funzionario africano e poi si era separata e viveva un po’ allo sbando ed un po’ nel finto decoro in una casa normale di Cocodì, il quartiere elegante di Abidjan. Con me c’era anche una piccola banda di giovani avventurosi e di belle speranze, giunti anch’essi ognuno per proprio conto alle porte dell’Africa Nera. Uno svizzero, due francesi ed un altro italiano, oltre ad un meticcio che era anche l’amante della donna. Ripagavamo l’ospitalità con qualche poulet e qualche bottiglia di birra. A quel punto tutte le avventure che si potevano vivere ad Abidjan mi sembravano già vissute, le brochettes avec piment erano state tutte assaggiate, i ristoranti visitati, le ragazze frequentate, non mancava nulla e sentivo veramente di averne abbastanza della solita solfa e delle solite cose di un’apparentemente eterna “vacanza”. Sentivo la necessità di qualcosa di vero. 




Decisi un bel giorno di andarmene in brousse, di andare in qualche villaggio sulla costa, star da solo per scoprire nuovi agganci nuovi rapporti nuove situazioni. Salutai gli amici del Kalaò e partii, non ricordo come, forse su un pullman forse facendo autostop. Giunsi in un posto che era abbastanza lontano dalla città, dove non c’erano bouvettes né turisti, solo l’oceano e qualche rado cottage. Gironzolavo attorno cercando un posto per piazzarmi e trascorrere il tempo in isolamento e riflessione. Percorrevo a piedi una strada che costeggiava l’oceano, sentivo il rumore forte dei flutti e delle onde, attorno a me alberi maestosi che mi riparavano dai cocenti raggi del sole. Ad un certo punto vidi in distanza una specie di tukul disabitato che stava a poca distanza dal mare, proseguii in quella direzione e scorsi, nascosta dalla vegetazione, una grande villa colonica di cui forse il tukul era una dependance, mi avvicinai all’ingresso per capire che aria tirava e proprio allora mi avvidi di una grossa scimmia che mi guardava. Era uno scimpanzé molto grande, alto all’incirca come me, muscoloso e sveglio. Mi sentivo un po’ a disagio ma osservando meglio scoprii che lo scimpanzé era legato ad una catena e capii che era stato messo lì di guardia per spaventare i passanti. 


Mi avvicinai ma restai a due passi dalla bestia, non aveva un’aria minacciosa, anzi mi ispirava molta pena. Pensate un animale così nobile ed intelligente costretto alla catena, davanti alla vastità della foresta e dell’oceano, solo per accontentare le esigenze di qualche riccone egoista. Rimasi per un bel po’ a fissare la scimmia ed anche lei mi guardava, sembrava che leggesse il mio sguardo. Sentii l’impulso di avvicinarmi ancora e restai in silenzio davanti a lei con rispetto e compassione, non osavo avvicinarmi di più, la paura dell’animalità me lo impediva, allungai una mano come per salutarla ed in quel preciso istante la scimmia repentinamente si allungò al massimo della lunghezza consentita della catena e mi abbracciò. 

Si, mi prese fra le sue braccia muscolose e pelose e mi strinse al suo petto con forza. Pensai di svenire, immobilizzato in quell’abbraccio, ma non urlai, non tentai di scappare, ero esterrefatto, fermo, non volevo offenderla o creare una situazione reattiva in lei. Un momento indimenticabile in braccio a King Kong….. Ad un certo punto, non so dopo quanto, la scimmia aprì le braccia e mi lasciò andare, indietreggiai di un passo, non fuggii, e continuai a guardarla per capire cosa mi avesse voluto dire. Mi accorsi allora che era una femmina.



Ormai era scesa la sera mi allontanai e mi sdraiai nella capanna, con il vento ed il mare che ululavano divertiti della mia angoscia, rimasi in un trepido ascolto. Ero così sconvolto, così stranito, che la notte non riuscii a chiudere occhio, quel tukul mi sembrava l’ingresso dell’ade, una voce inconscia mi diceva che dovevo lasciarmi andare alle forze oscure della natura, mi masturbai senza alcun piacere come se dovessi semplicemente compiere un dovere od un rito. L’indomani mattina presto ritornai sui miei passi, la scimmia non c’era più. Abbandonai ogni progetto di solitudine e riflessione e feci ritorno al Kalaò ed alla vita di Abidjan.

Ma non durò ancora a lungo….

Paolo D’Arpini



Il segreto della spiritualità laica... e la naturale predisposizione della mente


Ognuno ha i propri segreti, esperienze che si tengono celate per non offuscare l’immagine di sé, oppure per evitare che ci siano dei fraintendimenti inopportuni. 
Anni fa, quando ancora abitavo a Calcata, mi trovavo nella grotticella, dedicata ad Amma, la mia madre spirituale, ed al Dio Ganesh, e mi capitò di rileggere la storia di Mansur Mastana, un saggio sufi che avendo ottenuto l’esperienza del Sé, lo dichiarò pubblicamente affermando “Ana’l-ahqq” che significa “Io sono Dio”.
 Ovvio che in una religione dualistica come quella musulmana tale affermazione fu presa per eresia e Mansur fu condannato a morte. Ma anche sul patibolo egli rideva e continuava ad affermare “la verità” della sua esperienza ma gli altri non potevano capire e semplicemente pensarono che fosse impazzito e comunque meritevole di morte. 
In seguito i sufi s’intesero fra di loro che in futuro sarebbe stato meglio non affermare pubblicamente tale verità, che anche quando fosse stata raggiunta era meglio uniformarsi alle convenienze essoteriche, lasciando le verità esoteriche nel cerchio ristretto degli iniziati.
Così a volte ci possono essere esperienze spirituali che non è bene divulgare, poiché potrebbero essere fraintese o creare confusione nella mente degli ascoltatori. Per questa ragione in tutte le scuole iniziatiche si proibisce esplicitamente di farsi belli con i miracoli, le visioni, gli insegnamenti ricevuti e quant’altro. 
Però, però… stavolta qualcosa vorrei raccontare.  
In effetti non tutti i modi espressivi dello "spirito" sono così elevati da sentircene orgogliosi, spesso per capire un qualcosa di noi, nel profondo, abbiamo bisogno di una dimostrazione della “piccolezza” dell’io superficiale. Questa comprensione è importate per   realizzare che non occorre uniformarsi ad un “modello” di santità idealistica, che ci fa apparire santi a tutti i costi, ma che è sufficiente poter sorridere e passar sopra alla propria  figura ed agli atti da essa compiti, considerandoli normali avvenimenti sul cammino, in cui talvolta si inciampa per rialzarsi e proseguire.
Nello specifico mi riferisco ai nostri aspetti caratteriali, le tendenze e predisposizioni che solitamente consideriamo espressioni del carattere, ed in cui ci identifichiamo.
Dovete sapere, forse già lo sapete, che questo personaggio Paolo D’Arpini è nato in un anno della Scimmia  ed è perciò profondamente convinto di sapersela cavare al meglio in ogni campo (o per lo meno ci prova). Ma siccome ha il Legno (amore, empatia) come elemento principale, egli manifesta questa sicurezza tramite i sentimenti. Poi c’è il Metallo che rende codesto scimmiotto alquanto giusto ed il Fuoco che gli fa vedere le cose per quel che sono, anche se lo rende un po’ troppo “intelligente”  diciamo pure astuto  (in senso "speculativo"). 
Il risultato?
Quando da ragazzo scrivevo poesie lo facevo con impegno amoroso, magari cercando di conquistare con quelle dolci parole le ragazze che altrimenti non mi avrebbero filato (visto che fisicamente  non sono un granché). Siccome poi non mi piace la competizione violenta  mi ero specializzato nel poker in modo da dimostrare la mia superiorità con il gioco   (questo mi ricorda un po’ il tragitto di Siddharta). Inoltre, per quanto riguarda la giustizia, chi mi conosce sa quanto sia un Don Chisciotte che va contro i mulini a vento, e per l’intelligenza la riprova sta nella capacità (messa in pratica anche ora) di raccontare storie ed aneddoti che sanno pure affascinare….
Insomma in tutte le vicende della vita, le tendenze innate, la disposizione alla nobiltà d'animo, le caratteristiche psichiche e gli aspetti elementali si manifestano secondo la loro natura e non c’è nulla da fare in ciò, succede e basta! Ovviamente questo vale anche nella dimostrazione della mia “santità”, quando si tratta cioè di fare quella parte, debbo in qualche modo  farlo attraverso le caratteristiche incarnate. Ma questo non è un "atteggiamento" e nemmeno una "recita" è semplicemente la dimostrazione di quel che si è, nel nome e nella forma. E qualsiasi altra persona fa la stessa cosa secondo le proprie predisposizioni e spinte interiori. Non serve cercare di "farsi belli", siamo già belli (o "brutti") come siamo. L'importante è non farne una "professione" ma lasciare che gli elementi giochino con gli elementi. 
Ancora a proposito di ricordi calcatesi rammento che un giorno, parlando con un amico pittore che si interessava di fantasia onirica gli raccontai che il mio "sogno" era quello di "fondare una nuova religione". 
Da qui il mio voler dare uno specifico ed esclusivo nome all’esperienza interiore, da me definita “spiritualità laica”, che è uno dei miei vezzi ormai riconosciuti.
La comprensione del significato “spiritualità” appartiene in verità all’intelletto mentre il “cuore” non darebbe alcun nome, al massimo sarebbe una “meraviglia di sé”. Dare una definizione ed un significato all’esperienza è già separazione, dualismo.  
Il “cuore” accetta solo l’unione, semplice fioritura, e non comprende la “descrizione” di tale fioritura. Eppure è sotto gli occhi di chiunque che io continuo a parlare di “spiritualità laica” come un giusto modo di esprimere l’integrazione e la realizzazione, avendolo reso persino un “filone”…. 
Scusatemi per questo imbroglio scimmiesco, ma non potevo farne a meno!

Paolo D'Arpini

L'errore dell'illuminazione prematura e la meditazione come "affare"



Negli ultimi 40 anni, l’Occidente è stato invaso da una marea di informazioni spirituali che ormai riempiono le pagine dei quotidiani, gli spettacoli televisivi e le riviste patinate a larga tiratura. Classi di meditazione sono offerte alle Nazioni Unite, perfino Hillary Clinton usa tecniche di visualizzazione e rilassamento, lo yoga è insegnato in molte grandi aziende e la vita di celebrità spirituali come Richard Gere, John Travolta e Tom Cruise è frequentemente oggetto della curiosità del pubblico. La spiritualità è diventata non solo popolare, ma anche un grande affare. La New Age è un’industria multimiliardaria, e alcuni dei più famosi guru e maestri spirituali sono tra gli uomini più ricchi degli Stati Uniti.

Il ricercatore contemporaneo, durante il suo cammino spirituale, cade facilmente vittima di un numero enorme di miraggi, che occorre sapere riconoscere e affrontare. Scoprire le illusioni che abbiamo sul cammino spirituale può essere scoraggiante, se non addirittura deprimente, ma rende possibili realizzazioni spirituali che prima ci erano precluse.

Le motivazioni della ricerca dell’illuminazione

Molte persone hanno un’opinione errata sulle motivazioni per le quali hanno cominciato il cammino spirituale. È molto raro che un ricercatore voglia davvero “realizzare Dio” o “servire l’umanità”. La maggior parte delle persone non sa cosa sia la vita spirituale, per non parlare di cosa cercano in essa. Quando uno studente chiese al maestro zen Suzuki Roshi cosa fosse l’illuminazione, egli rispose: “Perché lo vuoi sapere? Magari non ti piacerebbe”.

Spesso un ricercatore spirituale impiega molti anni per rendersi conto di aver cominciato il cammino spirituale per ragioni che ignora totalmente, e che sono molto meno nobili e romantiche di quello che la sua immaginazione romantica pensava. Scoprire la falsità delle proprie motivazioni può essere molto spiacevole e deprimente, e per questo la maggior parte delle persone preferisce nasconderle nell’inconscio. Si continua tranquillamente a credere di voler solo essere “liberi”, “liberati” e “in armonia con tutta la vita”. Ma mettere a nudo la falsità delle motivazioni è un passo prezioso e necessario nel cammino spirituale. Le ragioni più frequenti che portano a scegliere il cammino spirituale sono:

La libertà dal dolore

La maggior parte delle persone comincia il cammino spirituale perché vuole essere libera dal dolore. “Uno dei maggiori fraintendimenti della gente è quello secondo cui il cammino spirituale è una vacanza”, ha detto il maestro tibetano Chögyam Trungpa Rinpoche. Le persone immaginano che il cammino spirituale darà loro la pace mentale, la trascendenza dei problemi, la libertà dalle perversioni psicologiche e la vita eterna. Si crede erroneamente che, meditando abbastanza, facendo un numero sufficiente di posizioni yoga o leggendo una discreta quantità di libri sulla spiritualità, si conseguirà la beatitudine eterna.

“Troppo spesso i neofiti si illudono che la pratica spirituale sia appagante”, dice lo studioso e l’insegnante di yoga Georg Feuerstein; “Si aspettano di diventare felici e di trovare la risposta alle più importanti domande esistenziali, grazie al loro sforzo o a quello dell’insegnante”. Feuerstein fa riferimento a una concezione che ha le sue radici in un fraintendimento di base e nella negazione della condizione umana: una concezione alimentata dalla palude della New Age e della letteratura pseudo-spirituale che invade il mercato confermando le fantasie dei suoi lettori. Anche se è vero che esistono carrettate di tecniche metafisiche che gonfiano l’ego e creano stati temporanei di estasi e beatitudine, questi ultimi non durano mai, e in ultima analisi hanno poco o nulla a che vedere con la vera spiritualità.

L’ambizione spirituale: la volontà di potenza e di controllo

Chi immaginerebbe mai che la presunta vita spirituale – fatta di meditazione e preghiera, dissolvimento estatico in Dio e umiltà davanti alla verità – possa essere un’altra via per cercare il potere e il successo, o una maschera che cela sensi di inadeguatezza? Per molti è proprio così. La realtà è che la ricerca dell’illuminazione nasconde spesso la ricerca del potere, della gloria, del prestigio o di qualche altra forma di successo mondano.

Se un individuo ha come scopo nella vita quello di diventare “qualcuno”, di essere una persona importante (il direttore generale, la star dello sport, la donna manager, la stella del cinema), e poi comincia un cammino spirituale, è più che probabile che la ricerca del potere e della gloria continuerà nel campo spirituale. È così che funziona l’ambizione. Un individuo ambizioso non lo è soltanto in un contesto, ma in tutta la vita, inclusa quella spirituale.

Gli uomini faranno praticamente di tutto per evitare di affrontare la propria debolezza umana; cioè, faranno qualsiasi cosa pur di non affrontare se stessi. La gente pensa che l’«illuminazione» sia uno stato di onnipotenza in cui non solo si sarà in grado di dominare gli altri, ma si terranno sotto controllo le proprie debolezze e difetti umani. Quello che i testi antichi descrivono come lo stato di “conoscenza perfetta” viene interpretato in base all’ideale di perfezione di ognuno, nel quale non c’è posto per la fragilità umana.

L’illuminazione può sicuramente creare dei poteri o una capacità di controllo illusori, o limitati, ma lo sviluppo spirituale va molto al di là del potere e del controllo terreni. Raramente, se non mai, i veri insegnanti spirituali e le persone dalla comprensione profonda parlano della propria vita in termini di controllo di sé o degli altri. Sanno che la vita è piena di imprevisti, e che un’eventuale influenza sulla vita di altre persone in realtà non dipende da loro. Inoltre, riconoscono che il peso di quella responsabilità è tanto grande da far diminuire qualsiasi sensazione di potere personale.

La paura della morte

La gente cerca l’illuminazione perché non vuole morire. Nelle traduzioni dei testi spirituali, l’illuminazione è sinonimo di “immortalità”, “trascendenza” e “stato eterno”. Sono espressioni molto suggestive per chi ha paura della morte, ma se si comprende il contesto in cui furono create, è chiaro che non si fa riferimento all’immortalità dell’ego o del corpo fisico. Tuttavia, gli esseri umani, alla ricerca disperata di una via per evitare la supposta sofferenza della morte, scelgono certi aspetti degli insegnamenti, evitandone altri. Giungono a pensare che l’illuminazione è il cammino verso la vita eterna dell’ego, che identificano come “se stessi”, e non della consapevolezza, che è sempre già eterna.

Quindi, se per caso ci illuminassimo, il nostro ego cesserebbe di esistere; ovvero, l’ego individuale che all’inizio si era messo alla ricerca dell’illuminazione per evitare la morte sarebbe già morto!

Anche se può essere difficile comprendere quanto siano false e inconsapevoli le motivazioni alla base di un cammino spirituale, gli sforzi fatti non sono inutili. Il grande pregio di qualsiasi autentico cammino spirituale (se percorso con l’assistenza di un maestro affidabile) è il fatto che prima o poi trasformerà l’individuo, a prescindere dalle motivazioni di quest’ultimo. Dio (o la Realtà) è sempre più forte dell’ego, e nel lungo termine (anche se può essere un termine veramente lungo) finirà con il prevalere. Il cammino e il maestro usano la debolezza e le ambizioni dell’individuo per creare delle lezioni che alla fine eroderanno quella stessa debolezza e quelle stesse ambizioni, mostrandole per ciò che sono e portando lentamente allo scoperto la purezza che si trova al di là di esse.

Esperienza spirituale o illuminazione?

Un altro errore comune tra i ricercatori sul cammino spirituale è scambiare le esperienze mistiche per l’illuminazione. Quando qualcuno comincia un percorso spirituale, è verosimile che avrà esperienze di estasi, beatitudine, pace, fusione con tutta la vita e visioni. Uno degli errori più frequenti compiuti dai neofiti è credere che queste esperienze siano lo scopo del cammino. In realtà, in giro ci sono molti maestri, sinceri ma falsi, che insegnano sulla base di una o più di queste esperienze.

Studiando le varie tradizioni esoteriche e occulte, l’assurdità di queste pretese diventa ovvia, perché comprenderemo subito come sia sufficiente la tecnica giusta (il digiuno, la visualizzazione, il “mind-control” e così via) per provocare tali esperienze. Anche se queste ultime possono essere fonte di ispirazione ed elevazione, e possono addirittura essere il catalizzatore che ci porta sul cammino spirituale, è chiaro che la spiritualità non consiste in esse.

Coloro che conoscono l’autentica spiritualità non si lasciano impressionare nemmeno da una camminata sull’acqua. Sanno che lasciarsi incantare da questi spettacoli vuol dire allontanarsi dal vero cammino spirituale. Benché le esperienze psichiche come l’estasi, la beatitudine e la sensazione di fusione non siano nocive o pericolose, e alle volte possano anche essere utili, vanno analizzate con grande cura. Occorre mettere costantemente in dubbio le conclusioni cui si è tentati di giungere dopo tali esperienze. È troppo facile pensare di essere straordinari o importanti solo perché sono avvenute queste esperienze.

Il guru interiore e altre verità spirituali lapalissiane

Tra tutte le comuni verità lapalissiane, quella del guru interiore è una delle più ingannevoli. Anche se l’espressione “guru interiore” indica qualcosa che esiste davvero, molti di coloro che dicono di seguire il guru interiore in realtà non lo stanno facendo. Per udire e seguire l’impegnativa guida di un guru interiore è richiesta una grande maturità umana e spirituale, che si conquista con anni di pratica spirituale, e non leggendo un libro o ascoltando un combattente New Age che proclama il messaggio.
Il motivo principale per cui la gente si volge al guru interiore è la pigrizia e il disinteresse verso la trasformazione genuina. Il guru esteriore – il vero maestro spirituale – porterà in crisi l’ego e metterà a nudo tutto ciò che è falso, cosa impossibile al guru interiore. La vita interiore degli esseri umani consiste in una grande moltitudine di voci (molte delle quali decisamente nevrotiche) e l’ego è ben felice di dare a una di esse gli abiti del monaco, un tono di voce suadente e il titolo di “guru interiore”. Tali guru interiori, conosciuti anche come il “sé interiore”, il “vecchio saggio interiore” o il “profondo sé”, sono noti per permettere alle persone tutto ciò che vuole il loro ego (una vacanza dispendiosa, per esempio, una nuova Ferrari, la manipolazione degli altri “per il bene più elevato” ecc.), sempre in nome della vita spirituale. È molto più facile perdonare i nostri errori se siamo stati “guidati”, rinunciando quindi ad assumerci la responsabilità delle conseguenze. Se la guida dà risultati positivi, diventiamo degli eroi per aver ascoltato e seguito la voce; se le cose non funzionano, siamo semplicemente vittime dei desideri della voce interiore. In un modo o nell’altro, noi non siamo mai responsabili.

Molto simile alla voce interiore è il “seguire il proprio cuore”. È vero che alla fin fine dobbiamo seguire il nostro cuore e che quest’ultimo non mente, ma come facciamo a sapere quando lo stiamo ascoltando? Molte persone non hanno idea di cosa sia il loro cuore, non lo hanno mai percepito né udito parlare. La maggior parte dei messaggi che attribuiscono al cuore, in realtà, vengono dalla mente, che è capacissima di parlare con tono amorevole, delicato e anche “con il cuore in mano”.

Quando le persone ignorano la quantità di “voci interiori” esistenti in loro (inclusa la voce del proprio “cuore”) e non sanno nulla della tendenza dell’ego a corrompere ogni aspetto della personalità per sabotare la crescita spirituale, cadono facilmente vittima delle seduzioni del guru interiore. Alla fine, esse si defraudano di quella crescita e trasformazione che volevano trovare cominciando questo cammino.

Un’altra delle pericolose verità lapalissiane in voga tra i neofiti contemporanei è il ritornello “tutto è un’illusione” e i suoi derivati. Seguendo la logica della mente duale, se tutto è un’illusione, non importa fare del male agli altri o distruggere il nostro corpo con le droghe o l’alcol, perché il corpo non è reale. Se la vita non è altro che un sogno, perché non arraffiamo tutto ciò che possiamo, senza preoccuparci delle persone che calpesteremo nel fare questo e di coloro che diventeranno poveri a causa del nostro egoismo? Se tutto è uguale, non esiste male e bene, giusto e sbagliato: quindi, perché non barare, mentire e rubare?

Coloro che usano indiscriminatamente queste idee prese dalla “realtà assoluta” non capiscono che quest’ultima non nega in alcun modo la realtà relativa. La non-dualità non cancella la dualità. Chi comprende davvero il significato di espressioni come “il guru interiore”, “tutto è uno” e “il maestro è ovunque”, non si vanta mai di queste verità in reazione a una sfida alla sua psiche (al contrario di chi ne ha avuto solo un’intuizione profonda ma fugace). Al contrario, la bellezza della realtà che ha intravisto lo rende più umile, spingendolo a mettersi al servizio e a partecipare maggiormente al mondo in cui viviamo. Come ha detto un altro maestro zen: “Non puoi vivere a lungo nel mondo di Dio: non ci sono né ristoranti né toilette”.

Falsi maestri e falsi studenti

Infine, arriviamo all’argomento dei maestri e i loro discepoli. Che li si chiami guru, maestri, guide o amici spirituali, due cose apparentemente opposte si possono dire su di loro senza ombra di dubbio. Innanzitutto, per raggiungere le vette più alte del cammino spirituale è necessario un maestro; secondo, per ogni maestro autentico, esistono letteralmente migliaia di ciarlatani. Se pensiamo che chiunque sappia declamare eleganti verità spirituali, affermi di essere un “tulku” tibetano o ci prometta l’illuminazione in un week end sia un maestro autentico, stiamo gettando le basi per la nostra futura delusione. Inoltre, è probabile che in futuro dubiteremo di tutti gli insegnanti spirituali, quando in realtà è stata la nostra inadeguatezza di studenti a renderci incapaci di distinguere tra i veri maestri e i ciarlatani.

Il compianto santo indiano Swami Muktananda ha detto che il mercato dei falsi maestri è in crescita perché è in crescita il mercato dei falsi studenti. Arnaud Desjardins, maestro spirituale francese ed ex cineasta, sollecita i neofiti a chiedersi non se il loro maestro è autentico, bensì: “Sono un discepolo?”. Gli studenti spirituali disillusi passano la vita a puntare il dito contro i falsi maestri e a negare la necessità di un maestro vivente ed esteriore, ma la verità è che loro stessi non sono riusciti a essere quel tipo di studente necessario ad attirare un maestro autentico.

Il punto sta nell’essere implacabilmente onesti con se stessi sui motivi per i quali stiamo cercando un maestro, e cosa ci aspettiamo da lui. Se cominciamo la vita spirituale perché vogliamo trovare un nuovo partner sexy, forse non abbiamo affatto bisogno di un maestro. Se pratichiamo la meditazione perché vogliamo essere più sicuri di noi stessi e avere più potere personale, andrà bene qualsiasi insegnante carismatico. Ma se siamo sul cammino spirituale perché stiamo cercando di realizzare il nostro potenziale più elevato, avremo bisogno di un maestro autentico, e per trovarlo dobbiamo diventare discepoli autentici.

Talvolta, per imparare il discernimento e la discriminazione sul cammino spirituale, dobbiamo incontrare una serie di falsi insegnanti. Così impareremo a distinguere tra il falso e l’autentico. In ultima analisi, dobbiamo assumerci la responsabilità di essere finiti con degli insegnanti falsi, perché in noi c’era qualcosa che ci ha impedito di vedere con più chiarezza. Solo allora potremo proseguire sul cammino spirituale con più lucidità.

Un cammino confuso

Le splendide luci delle esperienze mistiche e dell’estasi segnano spesso l’inizio di un cammino spirituale, la cui fine promette di essere ugualmente soddisfacente. Nel mezzo, però, esso è confuso. È tale perché nulla è certo riguardo l’evoluzione spirituale. A un certo stadio, la visione mistica può costituire un’ispirazione fondamentale per il nostro progresso, mentre a un altro stadio la stessa visione può essere una scusa per affermare prematuramente di esserci illuminati. La nostra voce interiore può darci la guida necessaria o riempirci di bugie. Possiamo trovarci a disagio con il nostro maestro perché è un ciarlatano, oppure perché sta portando alla luce parti del nostro ego che preferiremmo evitare. In quest’ultimo caso, diciamo che il maestro è un ciarlatano, quando in realtà è la nostra falsità che è stata portata alla luce.
Il cammino spirituale è un processo di graduale disillusione nel quale tutte le nostre idee riguardo chi siamo, cos’è la vita, cos’è Dio, cos’è la Verità e cos’è lo stesso cammino spirituale vengono smontate e distrutte. È anche un cammino entusiasmante, perché questa opera di smantellamento alla fine ci lascerà con la nuda Verità, che è l’unica cosa che alla fine può soddisfarci.

Il cammino spirituale è vivo; muta e si evolve davanti ai nostri occhi. Poiché sul nostro progresso e le nostre conquiste spirituali non possiamo avere certezze, il nostro compito è affrontare totalmente e senza compromessi le sfide che si presentano di fronte a noi. Se le nostre motivazioni sono serie (non solo riguardo la nostra evoluzione spirituale, ma anche riguardo il nostro impegno verso una genuina cultura spirituale in occidente), non possiamo accontentarci di un falso, la spiritualità New Age (per quanto essa possa essere confortante). La spiritualità autentica ci sta aspettando.

Mariana Caplan *





* Counselor, antropologa culturale e autrice di un libro in cui mette in discussione molti aspetti della spiritualità occidentale. Esso, (Halfway up the Mountain: the Error of Premature Enlightenment), che secondo “Publishers Weekly” solleva molti dubbi sulle vere “motivazioni degli incantatori di serpenti dell’era moderna”, spinge i ricercatori spirituali a pagare il giusto prezzo per la dura strada verso l’illuminazione.

(Fonte: Centro Nirvana)