Incontro con Karmapa... svuotamento dell'io ed il verbo degli uccelli di Farid al-Din ‘Attar

Uccelli e fiori


Oggi sembra normale  parlare di buddismo tibetano, le  frequenti visite del Dalai Lama, i numerosi libri scritti sulla spiritualità del Tetto del Mondo e la  rivolta in corso in  Tibet, hanno contribuito enormemente a pubblicizzare un sistema di pensiero che sino a trent’anni fa era riservato a pochi studiosi, e di cui  le vestigia “ammuffivano” nelle sale dell’Ismeo (Istituto per il medio ed estremo oriente) di via Merulana o nella libreria esoterica di Rotondi (sempre in Via Merulana).

Ci fu però un’occasione, che voglio qui ricordare, in cui improvvisamente quella antica conoscenza venne alla luce…

Lo spiraglio sul mistero, l’aurora della trasmissione eclissata risorse durante la visita in Italia di un  gran santo, l’erede spirituale nella linea di Milarepa (ricordate il film della Cavani?). Questo santo si chiama Karmapa ed è una “manifestazione” come lo è il Dalai Lama, solo che Karmapa è il simbolo di  un grande potere spirituale  e non politico.


Sentii parlare di Karmapa (incarnazione riconosciuta  del mistico  Milarepa)  in India, allorché visitò l’ashram di Muktananda nel 1973. Il suo carisma spirituale era molto forte ed affascinò -sembra- non pochi ashramiti occidentali lì residenti.

Personalmente invece lo conobbi  un anno più tardi a Roma (credo nel 1974)  accadde quasi per caso,  egli era in visita ed ospite dell’ambasciatore indiano in Italia, che  risiedeva in una villa all’Olgiata, sulla via Cassia. Qualche amico (od amica) del giro sincretico mi invitò a partecipare ad un incontro ufficiale a cui sarebbe seguito  un rinfresco vegetariano.

Avevo  letto  la vita di Milarepa, che viveva di sola ortica in mezzo ai monti, e l’avevo trovata avventurosa, piena di alti e bassi, affascinante e protesa  inflessibilmente  verso l’affrancamento, verso la totale libertà dall’io.

Certo, mi interessava conoscere il suo diretto successore ed accettai prontamente l’invito. Il satsang (dialogo con un saggio) era alquanto informale, Karmapa sedeva su una poltroncina leggermente elevata, vicino a lui c’erano l’ambasciatore ed altre persone di riguardo. Vestito d’indaco, con l’aria sorniona ed un po’ ironica, il santo dei “Berretti Rossi” dominava la sala con la sua energia.

Circolava una storia su di lui, pare che durante la permanenza a Roma avesse visitato un negozio di uccelli acquistando alcuni volatili lì prigionieri ma non per restituirli al cielo bensì per liberarli definitivamente dalla gabbia della vita. Non so se questa storia fosse vera ma spesso avevo sentito parlare degli strani comportamenti di certi lama tibetani,  fra cui alcuni non sono vegetariani e seguono misteriose pratiche  tantriche.  Insomma, pare che gli uccelli “prigionieri di un brutto karma (destino)” fossero stati liberati dal Karmapa nello stesso modo in cui l’avatar Krishna “liberò” i demoni ed i Kaurava (opponenti dei Pandava nel Mahabarata) cioè uccidendoli.

Comunque sia il discorso durante il satsang andò spontaneamente  sull’argomento del destino e sulla reincarnazione. In particolare vi fu un dialogo con un anziano diplomatico italiano, che evidentemente conosceva la cultura tibetana,  egli sembrava sinceramente interessato all’argomento. Poneva insistentemente domande riguardanti qualche sua esperienza,  e voleva  che gli fossero svelati i segreti della rinascita,  ma Karmapa nicchiava e scherniva dicendo che certe  cose non si possono capire razionalmente. Il diplomatico sembrava  a disagio mentre il Karmapa allegramente ed affettuosamente gli batteva una mano sulla spalla, come volesse tener calmo un bambino irrequieto.

L’anziano signore  era evidentemente imbarazzato, forse offeso,  rosso in viso ed  emozionalmente a disagio, stava per scoppiare in una crisi isterica ed in effetti pianse, ma quando alzò lo sguardo incontrando quello di Karmapa che rideva, anch’egli si illuminò in volto, come se veramente tutto ciò non avesse importanza.

L’atmosfera attorno era molto carica, piena di energia spirituale.


Io ero rimasto per tutto il tempo in piedi, appoggiato ad una parete,  e non perdevo nulla di quel che accadeva, intuitivamente percepivo che c’era un messaggio.


Terminato l’incontro Karmapa si alzò e si diresse verso il lato della sala, dov’ero stazionato,  lì c’era un passaggio fra le sedie che conduce al salone ove si sarebbe tenuto il rinfresco.  In quel momento egli stava transitando proprio davanti a me,  quasi ci toccavamo,  allorché senza alcuna ragione apparente egli si voltò verso di me e mi guardò fisso negli occhi. Sentii il mio io esplodere,  la mia mente rovesciata come una saccoccia, quel che c’era venne fuori, ero nudo, totalmente nudo. Provai un’espansione di coscienza incredibile, non vi erano dubbi o segreti,  solo lucida consapevolezza, vuoto pieno.

Quel “gesto” dirompente ed inaspettato che Karmapa aveva compiuto (ma perché proprio a me?)  mi aveva spogliato di ogni maschera, l’io solo un fantasma. Uno shock forse troppo forte per un “apprendista” come me e dopo i primi attimi di totale apertura, mentre lui si gira e continua a camminare con indifferenza,  cominciai a sentire le maglie dell’ego che tesseva ancora la sua tela.

Mi scoprii a  sospettare  che Karmapa avesse  “violato la mia privacy” e sentii  l’io   ricostruire la gabbia della  schiavitù. Provavo rabbia verso Karmapa ed anche verso la mia stupidità, l’impotenza l’incapacità di essere libero, senza  bisogni aggiunti, senza orpelli…. (e l’analogia con gli uccelli mi viene spontanea).

Paolo D'Arpini

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Ma che valgono le parole? Tu sfuggi a ogni descrizione! Che mai posso osare non avendo conoscenza? O cuore,se desideri cercare,incamminati lungo la via, guarda innanzi e indietro,divieni cosciente! Osserva i viandanti che giunsero a corte, sostenendosi l’uno all’altro.

Ogni atomo trova una porta diversa, una via particolare che a Lui conduce. Ma come puoi sapere quale strada percorrerai,da quale direzione entrerai in quella corte? Quando segretamente Lo cerchi, Egli si palesa; quando Lo cerchi apertamente, Egli si cela. Così se andrai alla ricerca di Lui, Egli rimarrà celato; se invece Lo cercherai in segreto, Egli si renderà manifesto. E in qualunque modo Lo cercherai, Egli sfuggirà comunque, essendo inafferrabile.
Oh tu che nulla hai voluto perdere,non cercare! Egli non è quel che tu credi, e allora taci una buona volta! Ogni tua parola, ogni tua conoscenza si riferisce a te soltanto -e però conosciti meglio- non a Lui!

………Ma non osare analogie, o tu che vuoi conoscere Iddio, perché un azione indescrivibile non le tollera. La sua gloria sconvolse la mente e il cuore di coloro che ti precedettero, lasciandoli attoniti a mordersi le dita. Contemplando la sua perfezione,lo spirito e l ‘intelletto annichilirono: l’uno si scompose e l’altro si confuse. Né i profeti, né gli inviati riuscirono a cogliere un solo atomo del tutto e alla fine, dichiarandosi impotenti, chinarono il capo e ammisero:” Non Ti conosciamo”.

Ma chi sono io per poter aspirare a conoscerLo? Può farlo solamente chi stabisca con Lui un rapporto totale.


…………..Scompari a te stesso, giacché questo richiede l’unione! Perditi in Lui, giacché tutto il resto non è che delirio. Entra nell’Uno, da “due” trasformati in Uno! Sii un cuore, un volto, una direzione.


(Da “Il verbo degli uccelli” di FARID AL-DIN ‘ATTAR)

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Il Karmapa da me incontrato nel 1974 a Roma
The 16th Karmapa, Rangjung Rigpe Dorje (1924 - 1981)

"Con un vero insegnante l'allievo apprende ad imparare...." Parole di Nisargadatta Maharaj

Nisargadatta Maharaj

La tua aspettativa di qualcosa di unico e drammatico, di un'esplosione spettacolare, non fa che ostacolare e procrastinare la tua realizzazione. Non devi attenderti un'esplosione, perché quella è già avvenuta quando nascesti, e ti scopristi fatto di essere-conoscenza-sentimento. Commetti un solo errore: scambi l'interno per l'esterno e viceversa. Ciò che è dentro di te, lo prendi per ciò che è fuori, e il fuori per ciò che è dentro. La mente e i sentimenti sono esterni, e tu li credi interni. E ritieni che il mondo sia esterno, quando non è che una proiezione della tua psiche. È questo il grosso equivoco, e nessuna nuova esplosione potrà rimuoverlo. Non c'è altra via che pensartici fuori.

Each seeker accepts, or invents, a method which suits him, applies it to himself with some earnestness and effort, obtains results according to his temperament and expectations, casts them into the mould of words, builds them into a system, establishes a tradition and begins to admit others to his 'school of Yoga". It is all built on memory and imagination. No such school is valueless, nor indispensable; in each one can progress up to the point, when all desires for progress must be abandoned to make further progress possible. Then all schools are given up, all effort ceases; in solitude and darkness the last step is made which ends ignorance and fear forever.

The true teacher, however, will not imprison his disciple in a prescribed set of ideas, feelings, and actions; on the contrary, he will show him patiently the need to be free from all ideas and set patterns of behavior, to be vigilant and earnest and go with life wherever it takes him, not to enjoy or suffer, but to understand and learn.

Under the right teacher the disciple learns to learn, not to remember and obey. Satsang, the company of the noble, does not mould, it liberates. Beware of all that makes you dependent. Most of the so-called "surrenders to the Guru" end in disappointment, if not in tragedy. Fortunately, an earnest seeker will disentangle himself in time, the wiser for the experience.

Nisargadatta Maharaj

Spiritualità Laica – L’essere umano è solo uno degli innumerevoli modi espressivi dell’intelligenza....


Nel processo infinito della manifestazione l’essere umano è solo uno degli innumerevoli modi espressivi dell’intelligenza. Non c’è limitazione nell’espressione vitale, possiamo immaginare esseri composti di altre materie da quella organica che ci contraddistingue, ad esempio nella cosmologia indiana si parla di “abitanti” del sole, della luna e di altri mondi astrali e fisici, che condividono con noi l’intelligenza e la coscienza ma in forme completamente diverse dalla nostra. Si parla di diverse dimensioni e di diverse evoluzioni.

Nella fantasia creativa, e possiamo osservarlo anche qui sulla Terra, non esistono due foglie dello stesso albero che siano uguali, non esistono due granelli di sabbia della stessa spiaggia che siano uguali, non esistono fra i miliardi di uomini due che siano identici, persino gli animali clonati manifestano evidenti differenze gli uni dagli altri. Insomma ogni essere è una rappresentazione unica ed irripetibile della Coscienza Assoluta.

Nel film universale in continua produzione e proiezione la fantasia e la diversità è una regola, come dire che tutto cambia ma non la capacità di cambiamento che sempre permane. Tutto questo vivere si srotola sullo schermo della Mente Universale mentre la Coscienza vivifica il gioco creativo e lo osserva. Yin e Yang. Shiva e Shakti. Luce e Tenebra, Moto ed Inerzia.


Allora, appurato che il processo è indefinibile da punto di vista della comprensione mentale, resta però un fatto basilare, tutto quel che è sempre è presente nel Tutto.

Non può esserci separazione alcuna, non può sussistere alcuna limitazione nella Presenza dell’Assoluto in ogni sua forma ed immagine. Bene, quindi siamo certi al 100 per cento di essere Quello. Non possiamo essere altri che Quello. L’Assoluto!

E adesso torniamo al relativo, torniamo all’esperienza degli opposti vissuta nel nostro mondo duale: bene e male, egoismo ed altruismo, gioia e dolore, desiderio e paura. Certo ognuna di queste sensazioni (o pensieri) è relativa, perciò fittizia ed irreale, però noi la percepiamo e crudelmente la sperimentiamo nel nostro vivere quotidiano.

Ma l’integrazione degli opposti è la radice del ritorno alla nostra consapevolezza primigenia. Alla capacità spontanea di essere ciò che siamo nell’Unità, aldilà del concetto di spazio e di tempo, aldilà di ogni illusione separativa.

Questo processo di “ritorno” alla propria natura avviene come nel passaggio dal sogno alla veglia, è intrinseco in ognuno di noi. Quando sogniamo siamo immersi nel sogno e quella è per noi la sola realtà… Quando giunge il momento del risveglio ci sono delle avvisaglie che ci fanno percepire l’imminente cambiamento di stato. Come dire, abbiamo sentore dell’imminente uscita dall’illusione del sogno. Certo questa è semplice analogia poiché nel sogno e nella veglia, che sono condizioni mentali, non vi è vera illuminazione e realizzazione. Quel “risveglio” di cui parlo è l’intima essenza indivisibile, inavvicinabile dalla mente, ma la sua realtà è intuibile e sperimentabile nello stato di pura consapevolezza.

Nel processo di ritorno che sospinge ogni singolo essere verso quella pura consapevolezza avvengono vari miracoli e misteriosi cambiamenti. L’adattamento ai nuovi stati di coscienza coinvolge sempre e comunque tutto il corpo massa della specie, ma nella nostra dimensione umana noi siamo abituati al funzionamento a locomotiva, ovvero due passi avanti ed uno indietro, anche definito crescita per tentativi ed errori. Per questa ragione sembra che l’evoluzione manchi di linearità e continuità. Nella nostra civiltà abbiamo vissuto vari momenti che sembravano paradisiaci, che mancavano però di una comprensione olistica. Un po’ come avviene nel mondo animale in cui la spontaneità apparentemente regna sovrana ma la coscienza è carente nella autoconsapevolezza e nella ragione.

Insomma dobbiamo poter integrare l’intuizione e la ragione in una comprensione olistica del nostro funzionamento e ciò fatto possiamo procedere a dimenticare il processo sperimentale per poter vivere integralmente l’esperienza in se stessa. Osservatore ed osservato non possono essere separati e questo vale sia nel mondo della fisica moderna che nel contesto spirituale.

Ma riportiamo l’attenzione a come l’integrazione fra interno ed esterno, fra soggetto ed oggetto, possa trovare una sintesi attraverso l’espletamento della nostra vita quotidiana ed attraverso il riconoscimento della nostra costante “presenza” in ogni evento vissuto. L’io ed il tu sono condizioni mentali che non rappresentano una verità assoluta ma una semplice convenzione funzionale. Eppure attraverso l’attenzione posta sulla paritetica “presenza” siamo in grado di uscire fuori dalla gabbia del dualismo.

Per ottenere questo risultato le religioni consigliano la via “dell’amare il prossimo tuo come te stesso” mentre le filosofie gnostiche indirizzano verso l’autoconoscenza “gnosce te ipsum”.

Non scindiamo queste due vie, teniamole strette come due remi della nostra barca che ci aiutano ad uscir fuori dal pantano del “dualismo”.

Quello che noi viviamo non è altro che il riflesso di ciò che noi siamo, se possiamo restare consapevoli di ciò ecco che scompare in noi la pulsione ad ottenere risultati puramente esterni (egoici), seguendo le spinte di paure e desideri. Se siamo vittime di queste spinte sentiamo il bisogno di “conquistare” risultati anche sopraffacendo gli altri, il che equivale a dire che riteniamo di poter indennemente mangiare le nostre stesse carni nel tentativo di ottenere una crescita.

Come possiamo considerare che qualcosa sia al di fuori di noi stessi? 

Paolo D’Arpini

Spilamberto - Acqua Cotta del 8 agosto 2013 – Celebrazione culinaria sul greto del fiume Panaro, ricordando Nityananda

Fiume Panaro a Spilamberto
Seguendo la tradizione, come da calendario interno (vedi http://www.circolovegetarianocalcata.it/programmi/), anche quest’anno il Circolo Vegetariano VV.TT. festeggia l’8 agosto, con la consueta ricorrenza della Festa dell’Acqua Cotta. Quel giorno la “comunione” consiste solo di acqua calda, pan secco ed erbe che siamo riusciti a raccogliere durante la passeggiata selvaggia… e chi conosce la natura sa che ad agosto di erbe ve ne sono ben poche… è perciò importante che i partecipanti apprendano velocemente a riconoscerle per non lasciarsene sfuggire nemmeno una. Cerchiamo in questo modo di risvegliare nei neofiti l’amore per il necessario e la gioia di godere di quel che si ha, senza aspettarsi la manna dal cielo.
Due parole sull’origine di questa manifestazione. 
Ricordo che già dai primi anni della fondazione del Circolo avevo inserito in calendario la commemorazione dell’8 agosto, la data in cui nel 1961 il mio nonno spirituale Bhagawan Nityananda lasciò il corpo. 
Mio nonno spirituale: Bhagawan Nityananda
Certamente la ricorrenza non aveva alcunché di prosaico, ed era più che altro una ricorrenza di carattere spirituale … ma accadde che “i turisti per caso” Syusy Blady e Patrizio Roversi decisero di venire a trovarci per girare un breve reportage sulla nostra realtà di Calcata, e scelsero proprio quella data.. Dovetti pensare a qualcosa per coinvolgere un po’ di amici nell’evento e ricordai che quello era il periodo, nella consuetudine contadine, in cui si preparava l’acqua cotta. Recuperai perciò una ricetta locale ed assieme alla banda di soci del Circolo, che solitamente volontariava la presenza in occasioni simili, “ripristinai” la prima Festa dell’Acqua Cotta. La cosa non mi sembrò irriverente nemmeno nei confronti di Nityananda infatti voi sapete che nell’antichità si usava commemorare i defunti con pranzi e banchetti, perciò questa celebrazione mi parve di buon auspicio…..
Paolo D'Arpini 
Paolo  sul Sentiero Natura 
Programma del 8 agosto 2013 – Spilamberto, greto del fiume Panaro, sul Sentiero Natura 
h. 19.30 – Appuntamento all'inizio del sentiero natura Via Gibellini , venire muniti di sacchetto di stoffa o di cestino in vimini. Portare con sé alcuni tozzi di pan secco e bevande ed anche qualche dolcetto per successivo prasad.  Partenza per l'ultima raccolta di erbe aromatiche, utili al condimento dell’Acqua Cotta.
h. 20.00 – Raggiungimento del greto, si trova subito dopo lo scarico del canale a fianco della grande pozza ove sono le anatre e le gallinelle d'acqua. A sinistra si guada una piccola diramazione del fiume (pochi metri) e si raggiunge il luogo predisposto per la degustazione dell’Acqua Cotta (seguire i segnali predisposti). Segue una narrazione su Bhagawan Nityananda e canto di mantra davanti al fuoco. 

La manifestazione è libera e gratuita, non è coperta da assicurazione infortunistica ed è a proprio rischio e pericolo. Prenotazioni ed info. circolo.vegetariano@libero.it 

Se vi perdete o volete migliori informazioni chiamate Caterina al 333.6023090

"Accadde così che dopo 33 anni di vita a Calcata..." - Dal Treja a Treia, l'esodo di Paolo D'Arpini


Qualcosa di me che resta a Calcata


 “Dal Treja a Treia. C'è gente che taglia i ponti col passato.. Tu hai tagliato solo la gambetta di una j..” (Stefano Panzarasa)

Accadde così che dopo 33 anni di vita  a Calcata, combacianti con gli anni  di Cristo,  giunse per me il tempo del cambiamento… Per carità, nessuna tragedia o crocifissione, anzi, è  un giusto compendio amoroso.. La verità é che anche le associazioni, come le persone, hanno un loro oroscopo e destino.   Il Circolo vegetariano VV.TT. nasceva sulle rive del Treja,  a Calcata,   e finirà lontano da Calcata, sul cucuzzolo di Treia,  dove forse potremo analizzare meglio il passato, meditare sul nostro futuro,  vivendo il presente..

Debbo raccontarvi una storiella, allorché  da Roma mi trasferii a Calcata (nel 1976/1977) e successivamente fondai il Circolo Vegetariano VV.TT. (in un  paese che era sconosciuto alle masse)  misi nello stesso tempo un punto fermo nella mia vita,  un punto di arrivo in un luogo vergine dalle infinite possibilità,  e di partenza per realizzare un progetto di perfezionamento personale e di società ideale. In tal senso l’esistenza  del Circolo é stata da me vissuta come espressione di questo sperimentare. Una sperimentazione in chiave di  spiritualità laica, di creatività e di sopravvivenza ecologica….

Ma avvenne, in seguito ad una serie di accadimenti, che  non mi sentissi più “calcato”  in Calcata,  pur continuando ad amarla come una culla che mi ha  consentito di crescere, che mi ha visto diventare padre e nonno, che mi ha protetto pur lasciandomi libero… Ma per fare un’analisi dello stato attuale delle cose, riconoscendo le sconfitte e le vittorie di un “modello” (come a tutti gli effetti è quello del Circolo) serve distacco e visione dall’alto… per aggiustare la rotta,  cercando nuove possibilità  per una esistenza autonoma, sostenibile e gioiosa.

Ed allora, grazie a Caterina, eccomi trasferito, armi e bagagli,  a Treia, nelle Marche, dove  non c'è pretenziosità di percorso. Non ci sono medaglie al merito da esibire nè memorie gloriose da trasmettere.... Però, stranamente, continuo ad essere calcatese, infatti le migliaia di persone che mi conoscono in tutta Italia continuano a pensarmi a Calcata... Una certa etichetta continua  a restarmi appiccicata. 

Questo fatto mi ricorda la storia dello Swami di Akalkut (pronuncia Acalcat), il quale si portava appresso quel nome, dal luogo in cui visse parecchi anni, sia pur che infine trascorse l'ultima parte della sua vita lontano da esso. Nel mio piccolo, mi si scusi il paragone forse esagerato, anch’io mi porto appresso  la nomina di “Paolo di Calcata”… 

Perciò  è per me opportuno, come forse lo è anche per Calcata (che non sarà più oppressa da una presenza fondativa ingombrante) sviluppare una meditazione sul "Distacco e identità senza paraocchi”.  

“Un viaggio così si compie anche in un metro quadro!” Diceva Marinella Correggia nella sua presentazione della mia persona e di Calcata. Ed eccomi qui, nel mio metro quadro di Treia, giusto lo spazio per allungare le mani, le braccia e spingere una gamba dietro l’altra, senza mai uscire fuori dal “centro del mondo”.

Paolo D'Arpini 


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E’ un poema che deve essere scritto nella quiete di una notte coperta dalla “nube di Islanda”, mentre si espande per l’aere il canto possente a tono baritonale di Priapus, che inonda, accompagnato dai suoni del Flauto di Pan,  i territori circonvicini: Mazzano, Faleria, Campagnano, Sacrofano, Sant’Oreste, fino a Martignano, lago sacro ai Sileni.

Canta infatti il Grande Priapo, dagli attributi possenti, teneramente abbracciato al suo coinquilino boschivo, Lupo Mannaro, proprio quello che ammansì Franceschiello d’Assisi, liberando il profeta dai vincoli del fondamentalismo religioso da cui era affetto..
 
Comunque tutti noi frequentatori di Calcata Vegetariana, cioè: Cantori girovaghi, Minestrelli (mangiatori di minestre vegetali preparate da Saulo), Troubadours, Trovatori, Trovatelli, Trobadores (di… fungi, di tartufi e tartufelli), improvvisatori di facezie, naturalisti, naturisti, nudisti e vestitisti, vegetisti, vegetariani, crudisti e crudeli (seguaci di Crudelia Dè Mon), buccisti di banane (scivolatori e sciatori su prato), papagheni, amici di Bin Laden, Zorro, Primula Rossa e Zazà, seguaci degli Amish, fedeli di fantasy, horror e kukluxklan, flebotomi, cacciatori di serpenti e di faine, sifilografi (che scrivono di Sifilo, figlio di Niobe, ma anche di sifilide), carmelitani scalzi e carmelitani ben calzati (attenti ai primi: costruttori di conventi dietro ai quali far eseguire duelli all’ultimo sanguine)…

NOI TUTTI, fra poco orfani di cotale organizzatore, quale messer Arpino, cosa inventeremo? A te clamamus, PRIAPE, exaudi orationem nostram!



30 giugno 2010 , giorno dell'addio a Calcata - Georgius clamans ex Calcatae silva

 

Paolo D'Arpini,  con vista di Calcata in lontananza


Nota di commiato da Calcata,  aggiunta:


“D’Arpin nun ce lassà…” – Ode d’addio al Paolo D’Arpini, detto anche Saul Arpino, che silente sen va dal falisco Treja per congiungersi alla sibillina Treia


CANTAMI, O DIVA,

DEL DOTATO PRIAPUS

LA GIOIA CAMPESTRE

CHE INFINITE ADDUSSE

GIOIE AI CALCATI…..

Singoli individui ma non separati....


Ciascuno di voi è un singolo individuo, ma questo non significa che sia separato dagli altri. Anche se non lo vedete, anche se non lo percepite, da qualche parte, nei piani sottili, siete legati agli altri, e in un modo o nell’altro tutto ciò che fate si ripercuote su di loro. Via via che diventate più attenti e più illuminati, anche a vostra insaputa – e persino a loro insaputa – comunicate agli altri alcune delle ricchezze e delle luci che avete ricevuto. Allo stesso modo, se iniziate a oscurarvi, gli altri subiranno a causa vostra delle influenze malsane.

Qualunque cosa facciate, siete responsabili. Di qualcuno che è direttore, dirigente d’azienda, ministro o capo di Stato, si dice che ha grandi responsabilità. È vero, ma in realtà tutti gli esseri umani sono anche responsabili nei confronti gli uni degli altri. Purtroppo, i più lo ignorano, e questa ignoranza è causa di molte sofferenze. Se volete dunque manifestarvi come un essere utile e benefico, cercate di considerare ogni vostra attività come un’occasione per elevarvi spiritualmente poiché, anche se in modo impercettibile, trascinerete altri esseri con voi.

Omraam Mikhaël Aïvanhov

“Il Vegetarismo” dei bei tempi andati.... di Nico Valerio


Spulciando nella propria biblioteca si fanno scoperte curiose. Ho trovato un malandato opuscolo del 1927 che rivela il buon livello che la cultura naturista o igienista (ma loro giustamente si definivano “naturisti”) aveva in Italia in quegli anni. Ci sono medici, anche specialisti e docenti, divulgatori, giornalisti entusiasti. Il naturismo mette al primo posto correttamente la “questione alimentare”, secondo la tradizione del cibo semplice, che però è anche medicina, che da Ippocrate passa per il dottor Carton (e gli altri terapeuti ippocratici) e arriva ai giorni nostri. Ma con una precisa scelta vegetariana, e in alcuni autori addirittura fruttivora o veganiana. Il rapporto con l’ambiente e gli animali è strettissimo: sorprendono le motivazioni circostanziate, molto simili a quelle odierne, 80 anni dopo.

Ma la preziosa rivista, diretta dal prof. Fortunato Peitavino, offre squarci di vita culturale e scientifica che vanno ben al di là del contenuto degli articoli.

Eloquente la pubblicità: ristoranti vegetariani di ottimo livello e prezzi modici (come quello di Torino, della signora Pissarreff, vedova Bocca, in Corso Vittorio Emanuele 41 (”Scelto e variato servizio, cucina esclusivamente vegetariana”). Molti gli studi medici collegati o raccomandati, gestiti da sanitari vegetariani o addirittura propagandisti del naturismo salutista e vegetariano. Un collegamento che oggi, per ipocrite “norme deontologiche”, è difficilissima se non impossibile da trovare sulle riviste del settore.

E ancora: “E’ uscito in seconda edizione Il Vegetarismo, [manuale] di Nigro Licò, a lire 1,50 la copia”. Doveva essere lo pseudonimo d’un medico, probabilmente il prof. Nicola Grillo, di Chiavari.

Colpisce il trafiletto “Naturoterapia” [oh, finalmente il termine corretto: nel '27 non erano così ignoranti come nel 2000, quando si ciancia, anche nei testi di legge, di "naturopatia", cioè letteralmente...malattia naturale], trattato completo dell’antica Scienza della Salute, per la quale tutti possono arrivare ad essere Medici di se stessi e degli altri. Di Juan Angelatz y Albornia].

E com’erano aggiornati e internazionali. In apertura, a pagina 3 vi si riferisce dell’importante Congresso vegetariano di Londra, a cui parteciparono vegetariani di 14 Paesi, dalla Danimarca all’America del Sud. Tra l’altro si sostiene che in Italia, nel lontano 1927, i vegetariani erano moltissimi, paragonabili a quelli delle nazioni d’Europa più progredite. “Il numero dei simpatizzanti a questo regime è superiore a quello delle Nazioni predette; essendo però essi dispersi, non possono unirsi per manifestare le loro nobili idee”: Insomma, al solito, il difetto italico di organizzazione e di associazionismo.

Nel fascicolo è compreso un articolo sulle ragioni etiche del “vegetarismo” (non “vegetarianesimo”, meno male).

Nico Valerio  

Ancora in tema di Spiritualità Laica - "Religioni = Prigioni"

Dipinto allegorico di Franco Farina


Recentemente è  ripresa la discussione sull’insegnamento religioso, in forma di "Storia delle Religioni" nelle scuole di Stato. E’ naturale che le istituzioni religiose difendano a spada tratta la loro materia, che assicura una retribuzione sicura a tanti preti, rabbini e mullah e che garantisce un’indubbia egemonia ideologico-politica. E’ meno naturale che quest’ora sia difesa come “spazio di libertà”. 

Indubbiamente quando entrano in gioco certi interessi le parole volano, troppo spesso sganciate dal loro significato. 

Personalmente sono  favorevole  all’insegnamento  del pensiero filosofico laico, collegato alla cosiddetta "Spiritualità laica" o Biospiritualità, basata sulla conoscenza di Sé e sulla propria natura, e non su testi e romanzi inventati,  questa è la prima ed unica forma di religiosità che ha promosso lo sviluppo della società umana nel suo complesso. Vedi ad esempio la funzione evolutiva svolta da filosofie come quella Platonica e Socratica, lo Zen,  il Taoismo e l'Advaita Vedanta (non-dualismo) ma vorrei che quest’insegnamento fosse reale, non fittizio. Infatti troppo spesso l’insegnante religioso sviluppa il suo programma  "teorico" magari  impartendo  "educazione sessuale" (in forma pseudo tantrica) o  lezioncine a sfondo etico/moralistico (roba per "innocenti").

L'insegnante deve essere qualificato nell'esperienza del Sé e non dal sapere accumulato sui testi. Così avveniva infatti nelle scuole Zen, ad esempio, in cui non era possibile insegnare se non si era sperimentato il Satori. 

Le religioni sono una zavorra inutile.  Eppure talvolta occorre analizzarle per lo meno allo sopo di ridimensionarle a quel che realmente sono: favole necessarie all'infanzia!

In questo momento storico in cui assistiamo ad uno scontro ideologico fra varie culture, e sovente mi son trovato a mediare le opposte visioni e le opposizioni che si creano fra esseri umani. La tendenza è sempre quella di separare nel nome di una ideologia, di una religione. Ciò che avviene in medio oriente fra ebrei e musulmani, avviene anche nel resto del mondo, le contrapposizioni ideologiche si manifestano a livello planetario. Buddisti contro scintoisti, cattolici contro ortodossi, destri contro sinistri, etc. etc.

In Italia oggi c’è un grande fermento pseudo-religioso, da una parte alcuni si arroccano sulla difesa del cattolicesimo come ultima ratio di civiltà, altri fanno di tutto per dimostrare che invece è proprio lì il marcio, altri ancora si rivolgono a religioni più soft e ragionevoli o verso lo yoga o tendenze new age e neopagane.

Di queste nuove espressioni di pensiero ne abbiamo già discusso in precedenza, ed io cerco sempre di accogliere tutto bonariamente con spirito laico e sincretico, ma oggi mi è capitato di dover rispondere ad una email collettiva un po’ delirante in cui le accuse verso le religioni monoteiste erano anche motivo di separazione razziale e di spaccatura nel significato di comune appartenenza della specie umana, che spesso è il discorso anche di parecchi atei o cosiddetti “razionalisti”.

Ricordo che tempo addietro nel nostro gruppo teatrale, il Cinabro di Calcata, stavamo facendo le prove di tre atti unici di Jean Tardieu, un autore dell’assurdo, ed io mi trovavo a dover incarnare la parte folle e pretenziosa di un professore che ha fatto dell’istruzione libresca e della cultura una sorta di roccaforte per ergersi al di sopra dell’umanità… Questo succede a tutti coloro che si arrogano il diritto di insegnare un “loro” vangelo ed è ciò che fanno pedantemente tutti gli assuntori di una religione od ideologia, i padri della chiesa, i maestri della fede ed i docenti supremi della verità.

Ecco la mia riposta ai professori della fede:
Cari professori, non sarete mica fessi (nel senso di spaccati), spero..!
Queste idee separative della specie umana, basate su un pensiero, su un concetto religioso, non hanno senso alcuno, come si può separare quello che non è mai stato diviso dalla natura e non è nemmeno divisibile? Prendete un cristiano, se lo accoppiate con un’animista prolificano; prendete una ebrea, se la accoppiate con un taoista, prolificano; prendete un musulmano se lo accoppiate con una atea, prolificano…. Tra l’altro i musulmani, che sono furbi, l’avevano già affermato “indirettamente” che non c’è differenza alcuna, infatti hanno insegnato che tutti i figli nati da un musulmano sono musulmani (anche se hanno un genitore diverso) e tutte le donne che si accoppiano con un musulmano vengono assorbite nella “religione”.

Le religioni e le fedi son solo etichette messe lì da furbi “speculatori” per creare scompiglio fra gli uomini, soprattutto fra quelli che amano pensare in termini separativi…. e che non hanno nient’altro da fare se non vedere differenze fra se stessi e gli altri… ed in questo ovviamente sono bravissimi anche i cristiani, i musulmani, gli ebrei, i nazisti, i comunisti, i flippatisti… e tutti quelli che spaccano l’umanità in nome di un “nome”
Coraggio….. Esseri Umani

 Paolo D’Arpini

La figlia del sarto racconta la storia dei camilli e delle donne vestite nude....

Lucilla Pavoni in visita al Circolo Vegetariano VV.TT.

L’ambientazione del racconto che segue (tratto da La Figlia del Sarto) è in quel tempo quasi cancellato dalla memoria collettiva che si pone a cavallo fra la fine dell’ultima guerra ed il primo dopoguerra.
In quegli anni avvenne un profondo cambiamento nella nostra cultura.. la cultura contadina pian piano perse di valore divenendo quasi un brutto ricordo, da cancellare.
Scopo della riproposizione è quello di conservare e riproporre alle nuove generazioni un valore formativo che  può ancora fornire elementi di insegnamento e crescita per la società futura… La cultura contadina, pure nella sua semplicità, offre esempi di solidarietà umana, intelligenza e semplicità di vita e persino maggiore capacità di benessere e divertimento…. 
Occorre leggersi tutto il libro di Lucilla Pavoni per poterlo comprendere…
Paolo D'Arpini

I CAMILLI E LE DONNE VESTITE NUDE    

A quel tempo quasi nessuno sapeva leggere e scrivere e “fare di conto” e allora anche chi aveva fatto solo la terza elementare,a chi non aveva fatto neanche quella, sembrava un professore,”unu studiatu”.  Babbo era arrivato fino “in quinta” e quando arrivava la lettera di qualche giovanotto di famiglia che stava a fare il militare, i nostri amici contadini,aspettavano che lui gliela leggesse.

Mi ricordo un “contadi’”che per anni gli fece leggere sempre l’unica lettera ricevuta dal figlio che,per i sogni di gloria e di conquista di un regime che aveva nostalgia di un impero finito da mille e passa anni,era stato sbattuto in Africa. Lui non era più tornato, rimaneva solo quella lettera che s’era fatto scrivere chissà da chi,e che diceva così: “Caro padre, cara madre, io sto bene e così spero di voi. La manza ha partorito? La cavalla s’è “sgravata”? Rosetta s’e’ spusata? Io sento tanto la vostra mancanza e me sogno le tajatelle co’ la papera; non vedo l’ora che la guerra finisce. Questo è un posto strano, ci cono “certi animali” che si chiamano “camilli”  e le donne vanno vestite tutte nude!  Vi abbraccio e vi bacio,vostro figlio Arduino”
 
Poveretto, per anni quel “cuntadì”, ogni volta che arrivava babbo, tirava fuori dalla tasca di dietro dei pantaloni un portafogli nero che conteneva un’unica cosa, l’unica lettera dell’unico figlio e gli chiedeva di leggerla. Aspettava che gli altri fossero distratti. e quasi con noncuranza gliela pestava in mano,come se fosse arrivata il giorno prima, non anni addietro, i suoi occhi e i suoi gesti dicevano: “..lo so che t’ho rotto le palle ma io c’ho solo questa!
Io ogni volta guardavo babbo, che per l’occasione prendeva l’aria addolorata, di circostanza, e non sapevo mai se piangere per il povero Arduino o ridere per i suoi “camilli”; ma, per fortuna,ero troppo timida per fare qualsiasi cosa. Mi limitavo a registrare in silenzio queste emozioni che ora ritrovo.     

(Lucilla Pavoni)

Spiritualità Laica – L’esempio di Mahakashyapa


Più volte ho parlato della Spiritualità Laica come di una via in cui non possono esserci dogmi o indicazioni religiose. Questa è la via in cui non si segue nessuna via. Il percorso è completamente assente, nella spiritualità laica ciò che conta è la semplice presenza a se stessi e questo non può essere un percorso ma una semplice attenzione allo stato in cui si è. 
La coscienza è consapevole della coscienza.
In un certo senso quel che viene “richiesto” per essere centrati nel proprio Spirito è la stessa cosa chiamata “abbandonarsi a Dio” nella via devozionale o “indagine discriminante” nella ricerca dell’auto-conoscenza. Ed è normale che sia così poiché la spiritualità laica non può essere nulla di nuovo ma solo un “modo descrittivo” di un qualcosa che c’è già, infatti se quel qualcosa non ci fosse già che senso avrebbe esserne “consapevoli”?

Perciò Spiritualità Laica e Consapevolezza sono la stessa identica cosa. Ma noi sappiamo che la pura consapevolezza di sé è purtroppo spesso macchiata da immagini sovrimposte, create dalla nostra mente, queste immagini sono ciò che noi abbiamo immaginato possa essere la spiritualità. Magari come abbiamo definito tale spiritualità nella visione religiosa nella quale siamo stati educati, oppure nel sistema morale in cui crediamo, oppure nel metodo da noi adottato per il controllo della mente, etc.. Tutte queste sovrimposizioni alla consapevolezza sono come “il credere nella realtà del serpente” dell’esempio di Shankaracharia, oppure il conformarsi alle regole dei testi sacri, alle norme etiche, all’intelligenza raziocinante, alle giustificazioni scientifiche e dir si voglia.
Pur fortuna la spiritualità laica non può conformarsi a nessuna di queste cose, altrimenti non sarebbe laica. Accettare se stessi come qualcosa di completamente insondabile ed in conoscibile, non conformabile ad alcun assioma di derivazione intellettuale o religiosa, significa restare sospesi nel vuoto essendo vuoto. Impossibile poter scorgere i confini del proprio essere. Questa mancanza di identificazione in qualsiasi forma strutturale (di pensiero e non) è contemporaneamente anche la “forza” della laicità spirituale. Non vi sono porti sicuri di approdo, non vi è barca, non c’è un mare, nessuno e nulla da ricercare… solo la corrente della vita, della coscienza, solo il senso di essere presenti. In questa mancanza di condizioni è possibile sentire il nostro io arrendersi, la nostra mente sciogliersi, scoprendo così il centro che non è un centro perché è tutto ciò che è.
Questa, mi sembra, è anche l’esperienza descritta nella storia  ri-raccontata da Osho dell’incontro di Mahakashyapa con il Buddha.
 Avvenne che Mahakashyapa si avvicinasse al Buddha e da questi semplicemente fu toccato, nulla di più, nessuna istruzione, nessuno sguardo, un banale tocco forse inavvertito, uno struscio leggero come può avvenire fra due persone che si incontrano. Eppure in quel momento preciso Mahakashyapa divenne consapevole di se stesso, della sua perenne presenza in se stesso, al contatto di tale meraviglia si mise semplicemente a danzare. Come farebbe un ubriaco od un matto. Infatti anche un matto è solo cosciente della sua realtà, ignorando quella del mondo, ma nel matto esiste ancora contingenza e speculazione, il mondo per lui è “diverso” non è come gli altri lo percepiscono ma il “suo mondo personale” come lui lo immagina continua ad esistere…. E questa è la differenza interiore fra un “matto” e Mahakashyapa. Dal punto di vista dell’osservatore esterno –però- la reazione può essere la stessa. E così apparve anche agli occhi di Ananda, il fedele discepolo del Buddha. Ananda si lamentò con il Buddha dicendogli: “Cos’è questo? Forse è un pazzo, forse ha avuto una profonda esperienza, ma è la prima volta che egli ti vede, com’è possibile che sia stato così colpito? Io son vissuto per quaranta anni assieme a te ed ho toccato i tuoi piedi con devozione innumerevoli volte, eppure nulla di tutto ciò mi è mai accaduto..”.
Il Buddha non rispose, non poteva rispondere alla domanda di Ananda perché Ananda era il suo stesso ostacolo al raggiungimento della Consapevolezza.
Il fatto è che Ananda era il fratello maggiore del Buddha e quando si presentò a lui per essere iniziato gli chiese: “Io sono tuo fratello maggiore, prima di accettare di divenire tuo discepolo ti chiedo un favore, poiché dopo non potrei più farlo, ti chiedo di poter stare sempre alla tua presenza, di poter dormire nella tua stessa stanza e di poter introdurti qualsiasi persona in qualsiasi momento senza che tu possa dire –ora non è il momento per me di parlare con questa persona- promettimi questo prima di accettarmi come seguace”. Il Buddha acconsentì e questo fu il costante impedimento di Ananda a raggiungere la Consapevolezza, evidentemente era il suo destino, ed infatti si realizzò solo dopo che il Buddha lasciò il corpo.
In verità Ananda avrebbe potuto in ogni momento rinunciare alle sue pre-condizioni, avrebbe potuto essere leggero e fuori da ogni “contesto” come lo era stato Mahakashyapa ma la cosa non fu possibile ed è giusto che sia così poiché in tal modo poté svolgere il suo destino in modo esemplare, come avviene ad ognuno di noi. A dire il vero non è necessario che ognuno di noi si uniformi ad un modello o si conformi ad un ipotetico ideale, non è questo lo scopo della spiritualità laica, bensì quello di lasciarsi andare ed essere qualsiasi cosa si è senza porre condizioni di sorta, basta essere ciò che siamo coscientemente e amorevolmente.
Ho scritto questa storia pensando ad un discorso da me fatto, qualche anno fa, con Laura Lucibello al proposito del “cosa fare” per essere se stessi… Possiamo pensare di “fare” un qualcosa se fosse possibile per noi modificare in ogni caso quel che noi siamo, ma è possibile ciò? Possiamo noi cambiare noi stessi? 
Apparentemente possiamo modificare, attraverso il nostro accondiscendere alle naturali pulsioni interne, quelle che sono le forme esteriori del nostro manifestarci ma come possiamo cambiare la realtà intrinseca della coscienza che sempre e comunque siamo? Per questo nella spiritualità laica è futile ogni tentativo di seguire una morale o di sentirsi in colpa per l’ipotetica immoralità…
In effetti spiritualità laica ed amoralità (totale assenza di morale e del suo opposto) sono la stessa cosa.


Paolo D’Arpini

Questo è il Ch'an? Questo è lo Zen? Niente di tutto ciò....


Se qualcuno chiedesse “Cos’é il Ch’an?” (o lo Zen, che è la sua  filiazione giapponese), sarei tentato di rispondere che “sicuramente non è quel che stiamo facendo”, ovvero che esso non può essere né descritto né letto né pensato. Può essere sì “trasmesso”, attraverso l’esempio,  ma solamente se e quando l’osservatore é in grado di farlo proprio, come avvenne a Mahakashyapa che si illuminò osservando il Buddha sollevare un fiore, in risposta ad una domanda filosofica.

Insomma il Ch’an (e quindi, lo Zen), sono espressioni che stanno a significare “la propria esperienza diretta, naturale e spontanea” come in verità fu quella del Buddha che, abbandonati tutti i sentieri e tutti i metodi, infine mangiò, perché aveva fame, e si sedette, perché era stanco, e così ottenne l’illuminazione….

Dal punto di vista formale vediamo che il Ch’an, storpiatura del vocabolo sanscrito Dhyan (che vuol dire meditazione), nacque in Cina (nell’epoca T’ang fra il 618 ed il 907 d.C.) come risposta integrativa fra l’esperienza Taoista e quella Buddista. Entrambi questi “sentieri” sono “non formali”, non abbisognano di scritture o regole specifiche, essendo basati sulla scoperta di sé nel Sé. Essendo il laboratorio di ricerca il proprio interno, la mente, l’unica pratica consigliata è quella dell’introspezione meditativa…

Non vengono seguiti metodi speculativi piuttosto si cerca di portare l’intelligenza al limite della sua tendenza raziocinante, talvolta attraverso insolubili quesiti o formule astruse sulle quali riflettere. Altra caratteristica esteriore che qualifica i praticanti della meditazione Ch’an è l’auto-sostentamento, cioè i monaci debbono seguire una ferrea disciplina e provvedere a se stessi attraverso il lavoro nei campi ed ogni altra attività utile alla sopravvivenza… insomma ci si aspetta che i praticanti non “vivano sulle spalle altrui” con la scusa della religione…

E della religione, direi ogni religione, visto che l’iconoclastia si spinge contro ogni teismo costituito, il Ch’an ha perso ogni odore…. Infatti, “… Se incontri il Buddha per strada, uccidilo” - disse il maestro I-Hsuan - Se incontri patriarchi o arhat sulla tua strada uccidi anche loro (ovviamente, in un puro senso metaforico… cioè nella nostra mente…)… Bodhidharma era un vecchio barbaro barbuto.. il nirvana e la bodhi sono tronchi secchi utili per legarvi l’asino. Gli insegnamenti sacri sono solo elenchi di regole di fantasmi, fogli di carta buoni per asciugare il pus delle vesciche…”. Divertente nevvero? Ma questa negazione del formalismo attinge alla realtà del “primordiale vuoto” (o vacuità), nonché all’allegro disprezzo verso ogni perseguimento, verso la sclerosi culturale che si ferma alla forma, sia nella letteratura che nella religione.

Il Ch’an e Zen, infatti, puntano a sovvertire il pensiero convenzionale e la conoscenza di seconda mano, in modo che l’illuminazione acquisti significato nell’esperienza personale. Per questo é necessaria una forte disciplina, dato che senza disciplina non é possibile interrompere le “fantasie” acquisitive della mente… e la disciplina deve avere – ovviamente - una duplice valenza… fisica e mentale (”ora et labora” diremmo noi…).

Per risvegliare la mente, ed indurre i praticanti a superare i limiti del raziocinio, alcuni maestri si specializzarono in stupefacenti indovinelli che venivano sottoposti all’allievo. La domanda poteva essere “In che modo fai uscire l’oca dalla bottiglia?”, oppure “Qual’é il suono di una mano sola?”…  Ovviamente qualsiasi risposta basata sull’analisi teorica veniva salutata dal maestro con grida e sonore bastonature.

Malgrado l’apparente durezza, l’insegnante Ch’an o Zen é sempre ispirato dalla pura “compassione” e perciò sa riconoscere quando l’allievo é genuinamente penetrato nella profondità del Sé ed in quel caso la sua risposta é un silenzioso sorriso… oppure come disse ad Hakuin il suo maestro: “Entra.. adesso ce l’hai..!” 

Paolo D’Arpini

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Commento di Alberth (Alberto) Mengoni:

Caro Paolo… nel farti i complimenti perché hai azzeccato quasi tutto nella tua descrizione del Chan, sono lieto anche per il fatto che in breve hai spiegato il significato e lo scopo di questa dottrina. Devo dire, però, che forse a causa della tua succinta presentazione hai omesso una cosa molto importante… e cioè che, oggigiorno qui in Occidente, non è che vi siano molti luoghi in cui questa meravigliosa dottrina filosofica, che è anche prezioso stile di vita, possa essere appresa dalle labbra di un insegnante. Possibilmente un insegnante che, in prima persona, possa egli stesso essere un fervente praticante della pratica Chan. Credo che tu sappia benissimo che, almeno qui a Roma, c’è qualcuno che da una quindicina d’anni porta avanti un gruppo di meditazione e insegnamento della pratica Chan. Ed è pure un tuo amico…. Prova a rifletterci, vedrai che pian piano ti verrà in mente… Comunque, grazie Paolo…