Etica e morale sono concetti ideologici imposti alla vita



Etica e morale significano esattamente la stessa cosa(1) e già il concetto generale di giustizia(2) è superiore, perché dalle consuetudini normate (transeunti e relative ai vari gruppi umani)(3) essa può e deve persino prescindere. 

Un qualunque vivisettore non è "privo di etica", se con questo termine si intende ciò che esso designa: costume che si fa regola. Allo stesso modo, per fare un altro esempio, l'infibulazione è "etica" in alcuni contesti tribali, ma non per questo cessa di rappresentare una delle forme più atroci di violenza sulle donne. Non di etica, infatti, o di morale hanno bisogno gli esseri viventi, ma di equità(4), principio – e possibile sentimento comune – rispetto alla giustizia ancora più alto e meno relativo(5)

La cui base ritengo si possa trovare, paradossalmente, nella visione della natura non umana. Su di essa noi riversiamo l'immagine del "male", del "non senso" elaborata dalla nostra coscienza/falsa coscienza specifica (coscienza infelice)(6). Nondimeno continua a vivere come meraviglioso insieme di organismi in perenne trasformazione armonica ed equilibrio, unione di cosmi, COSMO(7).

Il concetto di equo rimanda, in senso unitario, a quello di "equilibrio"(8), di "armonia"(9), e, appunto, di "cosmo"(10). E il "meraviglioso insieme" di cui sopra rimane tale – può essere percepito e valutato in questi termini – anche in presenza di sofferenza e dolore(11), che sono, per qualunque ambito della manifestazione, elementi intrinseci alla vita, così come, del resto, il piacere e la gioia (su questo terreno, in relazione alla critica dell’ideologia consolatoria falsificante la realtà, Nietzsche ha scritto pagine di fuoco(12)). 

Sta di fatto che ogni complesso strutturato e vario di organismi viventi non-umani offre alla contemplazione non proiettiva un’immagine di bellezza cosmica, cioè di armonia profonda in perpetuo divenire-equilibrio(13). Dove ogni forma che nasce e muore si integra in modo organico alle altre, nessuna impone su tutte la propria tirannia, né, tanto meno, tende a distruggere l'oikos, la casa comune, e/o a sostitituirla con un suo simulacro fantasmatico. L'animale umano, viceversa – in modo specialissimo la "razza padrona" dell'uomo pallido negli ultimi cinque secoli –, è proprio questo che fa in virtù del suo cervello prodigioso e tremendo e di una volontà di potenza che ha ormai come suo fine esplicito quello di non averne.

Le ideologie del "sol dell’avvenire" si sono dissolte come ectoplasmi e proprio quelle che hanno fornito il supporto e la giustificazione allo "sviluppo" e al "progresso" risultano sempre più al servizio della macchina divorante, ormai senza freno, mondo, bios, uomini, animali, natura. Adorno, anche lui accusato d'essere "reazionario", "nostalgico", vedeva-denunciava la ratio dell'illuminismo trasformarsi nel mostro che avrebbe portato alla reificazione definitiva delle anime e dei corpi: da mezzo grandioso di liberazione ad ancella prima, "scientifica", della tirannia e dello status quo. Questo processo è oggi talmente approfondito e generalizzato che sembra persino folle poterlo mettere in discussione al di là del chiacchiere, perché tutti ci troviamo dentro l'ingranaggio, chiusi nella cupola di piombo... macinati, lavorati, plasmati... 

Così, non è illogico che  provengano in gran parte da ambiti "tradizionali", capaci, nel loro immobilismo, di mantenere un freno e una sorta di barriera alla corsa disastrosa, spunti critici utili a fare qualche minima breccia. Il tirannoantropo ora si contempla con orrore e vede in sé, invece del dio in terra "laico" ed  "emancipatore", un disgraziato, un poveraccio delirante, malatissimo, servo volontario e devastatore il cui telos è la pura astrazione, il nulla(14). Ma, piuttosto che invertire la rotta catastrofica, produce nuova falsa coscienza. Non gli servirà a niente.

Marx, Bakunin, Kropotkin, i rivoluzionari dell’800-900 quasi senza eccezione (al di fuori dei Naturiens(15) e di pochissimi altri), non percepivano e neanche presentivano l'impatto sempre più catastrofico del "progresso" umano nei confronti del mondo. 

Si auguravano-immaginavano, tutti loro, con l'occhio puntato esclusivamente sull'uomo e la sua storia, un possibile avvenire radioso sol che quest'ultimo fosse riuscito a sbarazzarsi delle catene di classe. Senza rendersi conto che quei ceppi avevano a loro volta radici antichissime e sempre nuove nella tirannia infinita sulle altre specie e che la natura stessa, concepita come riserva di caccia, "bestia"-cosa da domare e riplasmare a piacimento e pozzo cui attingere senza tregua, un giorno (molto presto) avrebbe comunque presentato il conto. 

Non solo non è giunta la palingenesi della società, ma il tempo delle loro speranze è stato seguìto, in rapida successione, da due massacri mondiali. Quel tentativo, quell'ipotesi, con tutte le sue grandezze, verità e illusioni, è dietro le nostre spalle. Nessun esorcismo, nessuna preghiera o giaculatoria ridarà vita ai morti. 

Joe Fallisi



NOTE

(3) Il termine "norma" (donde "normale", "normalità", “normalizzare”, “normalizzatore”, normalizzazione”, “normare”, “normativa”, “normativismo”, “normatività”, “normativo”, “normatore”, “normazione”), dal "lat. NORMAsquadra per misurare gli angoli retti, e figurat. regola" (http://www.etimo.it/?term=norma&find=Cerca), indica un preciso canone di comportamento che ha per base (ed  esito) la consuetudine e viene adottato/imposto/condiviso a scopi eminentemente pratici.
(5) "L'esigenza di ristabilire l'equilibrio infranto la ritroviamo fin dalla più remota antichità e l'antichità della giustizia ebbe generalmente una concezione naturalistica. Dai pitagorici, che consideravano il numero come simbolo dell'armonia cosmica e le azioni umane come riflesso di questa sulla terra e nel numero elevato al quadrato vedevano l'espressione teorica più pura della giustizia (equità e parità: distribuzione e retribuzione 'pari per pari'); a Platone che la riteneva, piuttosto che un concetto astratto, un'entità reale, un'ipostasi, la virtù capace, all'interno e fuori dell'individuo, di produrre l'armonica concordanza fra le tre parti (razionale, irascibile, concupiscibile) dell'anima, così come fra le tre classi sociali che nella sua visione ad esse corrispondono; ad Aristotele che si riferiva (per primo) alle idee di uguaglianza e di 'giusto mezzo', per cui la virtù consiste nell'armonia e nell'equidistanza che 'media' tra l'eccesso e il difetto; agli stoici che ritenevano i rapporti umani regolati da una vera e propria 'legge naturale', che come Provvidenza guida e governa il mondo; ai romani che questa stessa legge chiamarono 'diritto delle genti'. E' solo con il torvo avvento del cristianesimo che si affaccia e impone una concezione 'spiritualistica' della giustizia, in base alla quale il suo fondamento non è più la legge naturale, ma la 'volontà di Dio', secondo i suoi imperscrutabili disegni. 'Giusto' è ciò che Dio vuole, secondo S. Agostino, giusto è l'uniformarsi a quella volontà senza volto. La 'norma' diviene il comandamento di Dio e l'ossequio ad esso il primo, anzi l'unico, dovere. Interpretato e amministrato, come ben sappiamo, dalla nera pretaglia." (http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/93154). "Il 'diritto romano' in quanto tale è stato messo da secoli, qui in Italia, nella naftalina. Compare qua e là. Si studia, come un reperto archeologico, nelle lezioni di 'storia' e di 'Istituzioni' nelle facoltà di Giurisprudenza. In realtà già la riforma di Giustiniano lo aveva squassato e svilito. Nell’Occidente europeo furono poi i 'codex' dei Longobardi e dei Franchi e renderlo una poltiglia indecifrabile.  Sia da Oriente che da Occidente, tali 'riforme' portarono ad un trasferimento – degenerativo – del valore base del Diritto romano. Nell’antichità  le forme e la sostanza del diritto, infatti discendevano da un minimo comun denominatore fondamentale: l’equità, l’aequitas. Quel diritto universale, di base, 'orizzontale', tangibile, comune, fu sostituito dal concetto di 'giustizia': un’astrazione. La giustizia, grazie a quei 'riformatori', non era più espressione di uno stato sostanziale, ma di una decisione dall’alto, 'deliberata'. Nel nome di chi – imperatore o vescovo – rappresentava la volontà di un Dio e delle sue divisioni tra ciò che era il 'bene' e ciò che era il 'male'. Un 'dio' pervasivo, totalitario." (http://www.ereticamente.net/2012/02/steno-lamonica-intervista-il-direttore.html). La giustizia è innanzi tutto di specie, poi di classe, di Stato e soggetta a mille condizionamenti. In virtù dell’ottica specista che vige in tutte le legislazioni del mondo, la vivisezione sugli animali non umani è ammessa come pratica lecita e perfino indispensabile – e tuttavia la legge stessa incorpora la necessità, anche se minima, di "attenuare" questo atto tirannico, regolamentandolo in qualche modo, togliendolo all’arbitrio totale; quanto all’infibulazione, evidente sopruso intraspecifico, essa viene ormai generalmente considerata per quello che è in ogni codice, al di là delle usanze locali. 
(7) L'uomo, (almeno) a partire dall'Homo habilis, si è cibato normalmente anche di carne (e pesce), oltre che, soprattutto, di elementi nutritivi tratti dal regno vegetale. Ciò non lo fa di certo "carnivoro", ma "onnivoro" sì (pur non essendo in effetti, dal punto di vista dell'anatomia e fisiologia comparate, né carnivoro, né onnivoro, né erbivoro, cfr. http://www.viveremeglio.org/0_tavola/09_carnivoro.htm). E' molto probabile che la sua adattabilità e plasticità nel mangiare abbia origini ancora più remote, in un genere di ominidi precedente (per quel che ne sappiamo i primi in assoluto): gli Australopiteci, primati già con postura eretta, locomozione bipede (cfr. http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/articolo/1342558) e dentatura non più propriamente scimmiesca, vissuti tra i 4 milioni e mezzo e 1 milione di anni fa (l'inizio del bipedismo è ancora precedente: cfr. http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Il_bipedismo_6_milioni_di_anni_fa/1326109). I due gruppi in cui vengono distinte tali scimmie antropomorfe sono quello "delle forme robuste" e quello "delle forme gracili". Il secondo, più antico, aveva già un'alimentazione varia, cioè non (solo) vegetaliana. E la maggior parte degli antropologi ritiene che la linea evolutiva che ha portato all’uomo moderno, Homo sapiens  (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Homo_sapiens), comprenda le specie di tipo gracile, A. anamensisA. africanus ed A. afarensis; gli altri australopiteci si sarebbero evoluti lungo una linea parallela, che si sarebbe estinta circa 1 milione di anni fa (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Australopithecushttp://en.wikipedia.org/wiki/Australopithecus_anamensishttp://en.wikipedia.org/wiki/Australopithecus_africanushttp://en.wikipedia.org/wiki/Australopithecus_afarensis). Quanto alla nostra specie, "for hundreds of thousands of years Homo sapiens employed (and some tribes still do depend on) a hunter-gatherer method as their primary means of food collection, involving combining stationary plant and fungal food sources (such as fruits, grains, tubers, and mushrooms) with wild game - http://en.wikipedia.org/wiki/Game_(food) - which must be hunted and killed in order to be consumed. It is believed that humans have used fire to prepare and cook (http://en.wikipedia.org/wiki/Cooking) food prior to eating since the time of their divergence from Homo erectus (http://en.wikipedia.org/wiki/Homo_erectus). Humans are omnivorous (http://en.wikipedia.org/wiki/Omnivorous), capable of consuming both plant and animal products. A view of humans as omnivores is supported by the evidence that either a pure animal or a pure vegetable diet can lead to deficiency diseases (http://en.wikipedia.org/wiki/Deficiency_diseases) in humans. A pure animal diet, for instance, may lead to scurvy (http://en.wikipedia.org/wiki/Scurvy), a vitamin C deficiency, while a pure plant diet may lead to vitamin B12 (http://en.wikipedia.org/wiki/Vitamin_B12) deficiency ('Healthy choices on a vegan diet'. Vegan Society. Retrievd on 2007-02-14). However, properly planned vegetarian (http://en.wikipedia.org/wiki/Vegetarianism) and vegan (http://en.wikipedia.org/wiki/Veganism) diets, often in conjunction with B12 supplements, have been found to completely satisfy nutritional needs in every stage of life ('Vegetarian Diets' (2003). Journal of the American Dietetic Association 103 (6): 748–765. doi:10.1053/jada.2003.50142.online copy available: http://www.eatright.org/cps/rde/xchg/ada/hs.xsl/advocacy_933_ENU_HTML.htm)." (http://en.wikipedia.org/wiki/Human). Forse gli animali, simili alle scimmie antropomorfe e possibili progenitori di queste ultime, che vissero nella meravigliosa foresta equatoriale africana tra i 20 e i 7 milioni di anni fa (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Human_evolution) furono davvero soltanto frugivori. I confronti effettuati tra grandi scimmie africane e uomo in base alle proteine del sangue e al DNA indicano come la linea che condusse alle popolazioni umane moderne non si sia differenziata da quella degli scimpanzé (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Chimpanzee) e dei gorilla (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Gorilla) se non in una fase evolutiva relativamente tarda. Sulla base di questi confronti, molti scienziati tendono a collocare questo bivio evolutivo tra i sei e gli otto milioni di anni fa (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Human_evolution) – frugivori, tra i primati, sono ancora, per esempio, l'aoto dal ventre grigio, il lemure dalla coda ad anelli, il cebo cappuccino (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Frugivorous). La mia ipotesi è che a tale periodo lunghissimo dell’evoluzione (13 milioni di anni), del cui lontano ricordo qualche traccia dev'essere rimasta nel cervello della nostra specie, si riferiscano tutti i miti dell'Eden (prima della "caduta" - della discesa definitiva dagli alberi e dell'abbandono della foresta-madre). Compreso quello biblico (v. Genesi, I, 20-30: "Ecco, io vi do ogni pianta che fa seme, su tutta la superficie della terra e ogni albero fruttifero, che fa seme: questi vi serviranno per cibo", cfr. http://www.nelvento.net/ilsolevero/cardine.php). Dalla contemplazione di quei nostri progenitori dell'equilibrio organico dei moti della natura esterna ed interna, vissuta e tramandata per tempo immemorabile, ritengo sia poi sorta, con la nascita della coscienza specificamente umana, l’idea stessa di equità e il suo contrario (beninteso la medesima esperienza fecero gli altri primati anche senza produrne il concetto – v. "il senso innato di giustizia" degli scimpanzé o delle scimmie cappuccine: http://www.repubblica.it/2003/i/sezioni/cronaca/scimmie/scimmie/scimmie.htmlhttp://www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2003/09_Settembre/18/scimmie.shtmlhttp://www.focus.it/il_senso_di_giustizia_delle_scimmie290217_1447_C12.aspxhttp://www.sintesi.it/2011/04/la-legge-della-giungla/,http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/92966). Pure in questo la visione giusnaturalistica si rivela ai miei occhi la più verosimile. E certo non  mi stupisce che nei bambini "un senso basilare di equità e altruismo" cominci a manifestarsi "già a 15 mesi di età" (http://www.lescienze.it/news/2011/10/10/news/equit_e_altruismo_i_primi_segni_gi_a_15_mesi-564396/).


(11) Non solo, tra gli animali (così come tra gli uomini del resto), il mangiarsi l'un l'altro non è per nulla l'unico sistema di relazioni reciproche, ma è di tutta evidenza che nessun predatore non umano – a sua volta equamente predato da qualche altro predatore animale – tende a sbranare l'universo mondo o rivela quel che gli umani definiscono (e praticano voluttuosamente) "sadismo" – salvo, guarda caso, talvolta, i primati a noi più vicini, gli scimpanzé... In realtà, dagli animali, anche dai più feroci, abbiamo solo da imparare (comportamenti altruistici, ai fini di un'armonia complessiva, si possono ritrovare perfino nell'ambito microscopico dei batteri, cfr.http://www.lescienze.it/news/2012/03/07/news/apoptosi_morte_cellulare_programmata_batteri_organismi_superiori_due_cammini_altruismo_cellulare-890051/). L'orrore e il disprezzo nei confronti della natura “selvaggia” e del mondo animale è uno dei principali frutti avvelenati dell'albero ebraico-cristiano, quello dell'uomo pallido che ha messo i suoi artigli distruttori su tutta la terra. Diversamente sentivano e ragionavano i maestri pagani. Ad Aristotele, per esempio (come in genere a tutti i pensatori classici), era estranea la damnatio naturae propria della tradizione del giudaismo, il suo sguardo di "disgusto" e di orrore verso i "viventi più umili", gli animali non umani. "Perfino circa quegli esseri che non presentano attrattive sensibili al livello dell'osservazione scientifica la natura che li ha foggiati offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo. Sarebbe del resto illogico e assurdo, dal momento che ci rallegriamo osservando le loro immagini poiché al tempo stesso vi riconosciamo l'arte che le ha foggiate, la pittura o la scultura, se non amassimo ancora di più l'osservazione degli esseri stessi così come sono costituiti per natura, almeno quando siamo in grado di coglierne le cause. Dunque, non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v'è qualcosa di meraviglioso. E come Eraclito, a quanto si racconta, parlò a quegli stranieri che desideravano rendergli visita, ma che una volta arrivati, ristavano vedendo che si scaldava presso la stufa della cucina (li invitò ad entrare senza esitare: "anche qui – disse – vi sono dei"), così occorre affrontare senza disgusto l'indagine su ognuno degli animali, giacché in tutti v'è qualcosa di naturale e di bello. Non infatti il caso, ma la finalità è presente nelle opere della natura, e massimamente: e il fine in vista del quale esse sono state costituite o si sono formate, occupa la regione del bello. Se poi qualcuno ritenesse indegna l'osservazione degli altri animali, nello stesso modo dovrebbe giudicare anche quella di se stesso; non è infatti senza grande disgusto che si vede di che cosa sia costituito il genere umano: sangue, carni, ossa, vene, e parti simili." (Aristotele, De partibus animalium, I, 5) 

(12) Cfr. La visione dionisiaca del mondo, § 2; La nascita della tragedia, § 3, 4, 6; Richard Wagner a Bayreuth, § 8; Umano, troppo umano I, a. 28, a. 104, a. 109, II, Prefazione, 5, II, b, a. 14; La gaia scienza, Prefazione, 3, a. 8, a. 13, a. 318, a. 326, a. 370; Aurora, a. 114, a. 354; Frammenti postumi 1887-1888, 11, [77]; Al di là del bene e del male, a. 225, a. 270; Frammenti postumi 1888-1889, 17 [6]; Genealogia della morale, II, 7, III, 17, 18, 28. 
(13) La natura, nel suo candore al di qua della coscienza (e falsa coscienza), non ha nessun telos verso la "pace", l'"uguaglianza". Ma in condizioni normali, non contaminata e stravolta, è sempre cosmo, mostra in tutti i suoi complessi organici una meravigliosa tendenza dinamica all'equilibrio, all'armonia delle forme. In questo senso, infatti, ci è sempre stata Maestra e specchio - per tutta l'arte, per esempio, sino a quando quest'ultima è esistita(*). Cosmo è l’organismo stesso animale/umano, dentro il quale gli antichi vedevano risplendere e (co-)operare gli astri erranti(**). Dall’inizio al termine della vita – quindi, come per ogni ecosistema, da un’alba a un meriggio a un tramonto ("Un tutto è ciò che è ha avuto un inizio, una metà e una fine", Aristolele) – l’apparato immunitario fornisce le autodifese atte a ripristinare una situazione di equilibrio dinamico ideale, finché le forze lo sorreggono ed entro i limiti delle sue potenzialità-possibilità. L’omeostasi biologica antiblastica intrinseca all’organismo animale-umano, con tutti i suoi molteplici meccanismi differenzianti, citoregolatori, apoptotici, immunologici in relazione ai sistemi psico-immunitario e psico-ormonale, i processi immunologici, così raffinati e così olistici, governati dal "centro" della ghiandola pineale, controllano la funzionalità di tessuti, parenchimi, endoteli, crasi ematica, dinamica midollare, preservando l'integrità delle membrane cellulari, nucleari, del citosol e del carisol dai processi ossidativi, sui canali ionici e sui recettori: tutta la  raffinata complessità molecolare infinita e precisissima della funzione vitale. All’interno del complesso psicofisico l’armonia cosmica, "unificazione di plurimescolati elementi e consenso di dissenzienti", secondo la bella definizione di Filolao (Framm. 10), si ritrova perfettamente operante. "Tutte le cose", dice sempre Filolao, "sono state racchiuse dal divino come in una custodia": ogni coppia di opposti (il pari e il dispari, il maschio e la femmina, il cielo e la terra, il Sole e la Luna, la luce e l’oscurità, il giorno e la notte, il caldo e il freddo, il secco e l’umido, l'amaro e il dolce, le forze orientate verso l’informale – illimite – e il moto espansivo – centrifughe – e quelle che tendono alla forma – limite – e alla quiete – centripete –, lo Yang e lo Ying) e così le energie che volgono al "bene" come quelle che operano in senso contrario. Insieme esse concorrono all’equilibrio del tutto, alla sua stabilità, purché (e sinché) nessuna esageratamente prevalga sulle altre. "Ciò che mantiene la salute è l'equilibrio delle potenze (...) invece il predominio d'una di esse genera malattia, perché micidiale è il predominio d'un opposto sull'altro (...) la salute è la mescolanza proporzionata delle qualità." (Alcmeone, Framm. 4).
(**) Saturno: facoltà ritentiva; terra, bile nera e occasionalmente flegma crudo; capelli, unghie, pelle, piume, lana, ossa, midollo e corno; milza; orecchio destro; udito (unitamente a Giove), natiche, ano, visceri, pene, schiena, ginocchia; sonno; vecchiaia.
Giove: facoltà vitale (unitamente al Sole), accrescitiva, nutritiva e lo spirito che è nel cuore; aria e sangue; arterie, sperma e midollo osseo; il cuore (unitamente al Sole); orecchio sinistro; udito (unitamente a Saturno), tatto (unitamente a Marte), cosce e intestino, ventre e gola; il vestirsi; l’età media.
Marte: facoltà irascibile; la parte superiore del fuoco e la bile gialla; le vene e le parti posteriori; il fegato; narice destra; odorato (unitamente a Venere), tatto (unitamente a Giove); gambe, pube; l’agire; giovinezza (unitamente a Venere).
Sole: facoltà vitale (unitamente a Giove); la parte inferiore del fuoco; cervello, nervi, ipocondrio, il grasso (unitamente a Venere) e tutto ciò che è del suo genere; lo stomaco (unitamente alla Luna); occhio destro; vista (unitamente alla Luna); il capo, il petto, il cuore (unitamente a Giove), il fianco, i denti, la bocca; l’alimentazione (solida); l’età matura.
Venere: facoltà appetitiva; carne; grasso (unitamente al Sole), midollo spinale; reni; narice sinistra; lingua (unitamente a Mercurio), odorato (unitamente a Marte) e organi dell’inspirazione; matrice, genitali, mani e dita; coito; giovinezza (unitamente a Marte) e adolescenza.
Mercurio: facoltà intellettiva; bile nera (unitamente a Saturno); arterie, cistifellea; lingua (unitamente a Venere); gusto (unitamente alla Luna), organi della parola; il parlare; infanzia.
Luna: facoltà naturale; flegma; pelle e quanto attiene ad essa; polmoni; occhio sinistro; vista (unitamente al Sole), gusto (unitamente a Mercurio); collo, mammelle, polmoni; stomaco (unitamente al Sole), milza; l’alimentazione (liquida); dall’infanzia alla vecchiaia in conformità alle sue fasi. (Cfr. al-Bîrûnî, L’arte dell’astrologia, Mimesis, Milano 1997, pp. 61, 63-64)

Spunti di riflessione per i tempi che viviamo... ogni 25 secoli

Immagine realizzata da Daniela Spurio


"Buddha disse, e sembra giustamente, che ogni venticinque secoli arrivano tempi di grande agitazione, di caos totale. Ed è proprio quello il momento in cui il maggior numero di persone diventano illuminate.

Ora sono passati venticinque secoli dai tempi del Buddha. Vi state avvicinando sempre di più al momento in cui il passato perderà ogni valore, ogni significato.

Quando il passato perde ogni significato, voi siete liberi, non siete più legati al passato. Potete usare questa libertà per crescere, immensamente, raggiungere picchi che neppure potete immaginare.

Ma potete anche distruggervi. Se non siete intelligenti, la confusione, il caos... vi distruggeranno. Succederà a milioni di persone, non per il caos, ma a causa della loro mancanza di intelligenza.

Non riusciranno più a trovare una vita sicura, comoda e conveniente, com'era possibile in passato. Non riusciranno a trovare un gruppo al quale appartenere. Dovranno vivere delle proprie risorse: dovranno essere degli individui, dovranno essere ribelli.

La società sta sparendo, la famiglia sta sparendo... è molto difficile ora. A meno che tu sia capace di essere un individuo... il vivere diventerà difficile.

Solo gli individui sopravviveranno (Prima era possibile che si salvassero interi popoli, ora si salverà solo chi vuole salvarsi – da rivelazioni del Cristo, 1989 e segg. – segnalazione di Marco Bracci). La gente che è stata troppo abituata alla "schiavitù", cioè abituata a ricevere comandi, a ubbidire agli ordini di qualcun altro, a delegare, chiunque è abituato a far riferimento a figure paterne legate al passato, si troverà in condizioni folli.

Ma è una sua carenza, non un difetto dei tempi. Anzi, è un bel momento, perché i periodi di caos sono l'ora del cambiamento, della rivoluzione.

Adesso è possibile uscire più facilmente dalla ruota del karma, dal ciclo della vita e della morte, di quanto lo sia mai stato per i venticinque secoli trascorsi dai tempi del Buddha.

Molte persone si sono illuminate; ai tempi del Buddha, c'era grande agitazione nell'intera società. Sta accadendo di nuovo.

Ti aspettano momenti straordinari, preparati."


Osho

Santità e perfezione al "femminile" - Nota spirituale laica di genere




Mi sono sempre chiesta (e ne ho trovata risposta) come mai la donna di rado è un'artista, come mai una grande opera non l'ha mai portata a termine, o molto raramente.. e come mai non è mai nata una Osha o una Krisnamurha.

Il rapporto uomo/donna ha una notevole differenza, eppure la donna, ha una sensibilità maggiore a quella dell'uomo e la stessa sensibilità le permette di captare le cose più belle, le armonie nascoste, le sottili e delicate vibrazioni della vita.. qualità squisite che però non giungono mai -o di rado- a "comporre" musiche celestiali o opere significative.. perché essa ne resta vincolata. La donna resta vittima delle sue stesse sensibilità sciolte, non riesce ad indirizzarle.. non riesce a canalizzare, raggruppare le sue qualità e ad esprimerle compiutamente.

Lo stato emozionale la domina, il suo stato emozionale non è dominato e alla lunga emerge. Essa non possiede la duplice capacità d'intuire e incanalare l'intuizione in un germoglio artistico, maieutico... alla donna manca la capacità dell'azione, tipica del maschile, manca la volontà: la donna resta ricettiva, debolmente accogliente, ma nel contempo non accompagna con grande spinta il proprio lato "attivo"... o se lo fa è a discapito del suo "ricettivo" . Essa diventa "maschia", prepotente.. perde la sua eleganza, la sua armonia.

Ricezione e Azione sono due lati della stessa medaglia, due parti che dovrebbero vibrare in armonia affinché sviluppando questa duplice possibilità si manifesti con chiarezza sul piano "elevato", dove è possibile avvenga un' Opera, un capolavoro, un grande Insegnamento, una realizzazione.
Ciò mi fa riflettere come mai tanti maestri uomini hanno cavalcato l'onda dei nostri secoli, distribuendo grandi ricchezze spirituali, mentre poche donne sono state elevate al tal compito.

La donna finisce sempre per essere relegata alla figura della mistica, della dakini, alla figura della devota a vita, al braccio destro di qualche guru, al massimo alla consorte di qualche guru .. ma sempre ad una azione secondaria, amorevole, accogliente, materna. Punto.

E' necessario per tutti comunque, uomini e donne, imparare sì a dominare le proprie emozioni, diminuire ed attenuare l'infantilismo emozionale tipico del femminile e represso nel maschile.. ma anche conservare la chiarezza del pensare, la calma nel decidere, la volontà nell'agire.. sdrammatizzando i fatti e le paure che ci governano, affinché avvenga un perfetto equilibrio tra ricettività e volontà, senza restare vincolati al ruolo di semplici antenne riceventi nel caso del femminile o del fallico trasmettitore, nel caso del maschile.. e soprattutto senza più retrocedere all'ottusità  propria degli esseri meno evoluti. Forse a questo punto d'innesto la parola "Risveglio" potrà avanzare.

Baba Magga



Commento di Deva Sakshin:
"Meravigliosa occasione di dialogo, grazie Magga. Anche io non ho risposta ma solo qualche deduzione. Anzitutto mi pare di avere notato nei maestri incontrarti di persona, che anche se maschi sono Donne ( con la maiuscola)  ma ci sono state anche donne maestro,forse meno conosciute,e credo solo per via del fatto che l'informazione è stata per secoli e tutto sommato anche oggi sotto monopolio maschile. A parte questo, credo la Donna sia tendenzialmente già dove il maestro arriva dopo anni di ricerca o per " illuminazione improvvisa". La sua natura è accogliente al punto da non restare tentata dalle poltrone o dalla fama,riesce a cogliere lo straordinario nell'ordinario e agli occhi maschili questo è forse un accontentarsi di qualcosa di meno. Naturalmente, generalizzando so di andare fuoristrada,ma tanto sto condividendo solo deduzioni o/e intuizioni,quindi vanno prese per quello che sono e non sono risposte che risolvono la tua "domanda" né la mia. In fondo penso che abitare ruoli alti e riconosciuti dagli altri, sia da parte della donna,come un lasciare spazio all'infantilismo maschile, lasciarlo giocare all'amore anziché alla guerra. Ma non dico infantilismo in senso denigratorio, semplicemente riconosco una maturità inferiore nei sentimenti, che per affermarsi necessità di molti più supporti esteriori a differenza della donna. Per quanto ne so, la maggior parte dei maestri affermati nel senso di noti, devono la loro fama, al supporto di qualche donne o più donne alle loro spalle. Personalmente poi sono più che convinto del fatto che "maestro" sia una "condizione" di equilibrio tra i due principi maschile e femminile,sia che poi diventino famosi o meno. Così come oggi sono convinto che illuminato significhi la completezza della nostra umanità,mentre in passato credevo fosse la discesa dall'alto di una forza divina. Uomo e donna comuni, uniti insieme: possono fare tanto di più del singolo maestro maschio che appare una volta ogni tanto nella storia. E a loro va comunque tutto il mio riconoscimento, anche a quelli contemporanei. Credo che in quanto più indipendente, la donna possa "insegnare" meglio l'interdipendenza interiore tra i due principi maschile e femminile, senza i quali non c'è maestro maschio o donna che sia."

La storia degli Hyksos e dei loro presunti discendenti ebrei




Chi furono veramente gli Hyksos? Secondo la storiografia ufficiale, gli Hyksos furono una popolazione di origine asiatica, il cui nome è una deformazione greca dell’appellativo che diedero loro gli Egizi (Heka Khasut, “signori di paesi stranieri”). Erano un insieme di nazioni semite ed indoeuropee che, muovendosi forse dal Caucaso, verso il 2000 a.C., si spostarono verso Sud. Insediamenti degli Hyksos sono stati rinvenuti in Galilea, Siria e Persia. A poco a poco, essi si installarono in Egitto: tra il 1730 ed il 1720 a.C. occuparono la città di Avaris (Tell ed-Daba’) che divenne la loro capitale. Da essa, scendendo verso Sud, lungo la zona orientale del delta, si espansero lungo il corso inferiore del Nilo. Intorno al 1675, il dominio degli Hyksos si estendeva dal Levante meridionale sino a Gebelein, di fronte a Luxor. I sovrani degli Hyksos governarono l’Egitto settentrionale con sistemi e metodi totalmente egizi, adottando la scrittura geroglifica. I faraoni dell’Alto Egitto convissero con i re invasori, forse come vassalli. Alla fine del XVII sec. a.C. la XVII dinastia avviò la riscossa contro gli stranieri. Kames (Kamoses), re di Tebe, combattè Apophis II (XVI dinastia Hyksos) verso il 1580. Gli Hyksos furono definitivamente espulsi dal faraone Ahmes (Ahmoses) nel 1580 a.C. circa. Egli espugnò Avaris.

Agli Hyksos si deve l’introduzione del carro da guerra, del cavallo, di un nuovo tipo di arco oltre ad una più progredita lavorazione del bronzo.

Sono numerose le ipotesi circa l'identità etnica degli Hyksos. La maggior parte archeologi li descrive come un crogiolo di genti, dediti alle attività più disparate: pastorizia, banditismo, artigianato, commercio… L'egittologo tedesco Wolfgang Helck tempo addietro sostenne che gli Hyksos erano parte di una massiccia e diffusa migrazione hurrita ed indo-germanica nel Medio oriente. Helk ha poi abbandonato la sua ricostruzione. Mentre alcuni storici descrivono gli Hyksos come orde del Nord che invasero la Terra di Canaan e l'Egitto, con i loro carri veloci, altri si riferiscono ad una “conquista strisciante”, cioè ad un’infiltrazione graduale per opera di nomadi o seminomadi che lentamente assunsero il controllo del Basso Egitto.

Giuseppe Flavio in “Contro Apione” individua nell’esodo degli Ebrei (Hapiru o Habiru) l’espulsione degli Hyksos, richiamandosi ad alcune notizie riportate dallo storico egizio Manetone. E’ un’identificazione accolta e rilanciata recentemente, come vedremo, da qualche studioso.

Gli archeologi, oltre a dissentire sulle origini di codesto popolo, divergono anche sul loro contributo alla storia della civiltà. Massimo Bontempelli ed Ettore Bruni, rigettando un lungo retaggio storiografico, risalente a Manetone, osservano che “l’Egitto, sotto le dinastie faraoniche degli Hyksos, non subì alcun impoverimento economico ed alcun imbarbarimento culturale. Al contrario, i legami tribali mantenuti dagli Hyksos con il retroterra asiatico da cui provenivano, fecero uscire l’Egitto dal suo isolamento rispetto all’Asia e gli fecero per la prima volta annodare direttamente e per via terrestre relazioni commerciali con l’area siro-palestinese, avvenute sino ad allora solo indirettamente, attraverso Byblos e soltanto mediante le spedizioni marittime compiute nel porto di quella città. In seguito a questi nuovi contatti, gli Egizi passarono dall’età del rame all’età del bronzo, impararono a conoscere e ad usare i cavalli, principiarono a praticare l’apicoltura, trapiantarono la vite palestinese nelle oasi africane sino a non dover più importare da Creta il vino, diventandone anzi esportatori. Dal punto di vista culturale, gli Hyksos si fecero custodi delle millenarie tradizioni egizie e ridiedero prestigio al potere faraonico, limitando i privilegi del clero di Ammon-Ra”. 


Diametralmente opposto è il giudizio di altri studiosi che vedono negli Hyksos un popolo rozzo e bellicoso, incurante delle più elementari norme igieniche e per questo flagellato da malattie ripugnanti, quali la lebbra, e cui gli Egizi, dopo averli sconfitti, imposero la circoncisione per riconoscerli. [1] Alessio De Angelis, sulla scorta di Giuseppe Flavio, ritiene che essi fossero gli antenati degli Ebrei (Hapiru o Habiru), giungendo a vedere in Moses il faraone eretico Akhenaton (Amenophis IV), di origine ebraica per parte di madre. De Angelis compie una ricognizione molto accurata, evidenziando una serie di coincidenze tra i due personaggi e tra le due etnie. In particolare il coautore del saggio “Oltre la mente di Dio” sviscera le questioni religiose, evidenziando i nessi tra il dio adorato dagli Hyksos, Baal-Suketh (assimilato a Seth), e successivi sincretismi cultuali, in cui Aton-Adonay si sovrappone a YHWH, nell’ambito di una tendenza enoteista. E’ congettura non nuova: il primo a ricondurre Moses al milieu egizio ed al faraone eterodosso Akhenaton fu Sigmund Freud. E’ una linea interpretativa oggi accettata da quasi tutti gli storici che vedono nel legislatore degli Ebrei un principe o uno ierofante appartenente all’entourage di Amenophis IV. Moses fu, secondo numerosi eruditi, un seguace del credo di Aton. Il nomoteta, coinvolto nella persecuzione che tale fede subì dopo la morte di Akenaton, seguita dalla sua damnatio memoriae, fuggì tra le oasi del deserto dove scoprì la credenza in un unico dio, YHWH, che gli parve sorprendentemente simile all’autoctono Aton. Nella Bibbia aramaica, il Targum, Moses è chiamato Yahudae (Yahud), nome con cui erano designati i sacerdoti di Aton. Questo disegno non convince del tutto, poiché la fede in YHWH fu un caso di monolatria e non di monoteismo, anzi un’esperienza religiosa tribale, coesistente con altre adorazioni nel variegato mondo medio-orientale dell’antichità. YHWH fu probabilmente una divinità venerata a sud della Palestina, soprattutto nel Sinai, dove si eleva il monte in cui il nume si manifestò a Moses.[2] 
Lo storico sardo Leonardo Melis, il noto autore che ha dedicato molti anni di intense ricerche ai Popoli del mare e, in particolare, agli Shardana, reputa che il profeta coincida con Neb.Ka.Set.Nebet. Citato nei testi egizi come un principe ereditario, figlio di Seti I e nipote di Ramses I, fu il fondatore della XIX dinastia che da lui prese il nome. Nel nome di Nebkhaset è contenuto quello del dio degli Hyksos, Seth, che erano, secondo Melis, Popoli del mare.

Tirando le somme sulla questione etnica, è possibile che gli Hyksos furono un melting pot, forse con una classe dirigente indo-germanica, che introdusse i cavalli, tipici animali delle steppe centro-asiatiche. All’élite si aggregarono, in posizione subordinata, pastori e predoni semiti. Resta il fatto che agli Ebrei, in quanto popolo con una specifica connotazione culturale, ci si può riferire in un periodo successivo all’esodo (se fu un esodo e non una sequela di migrazioni più o meno spontanee): è vero, però, che gli Hyksos, se non furono progenitori degli Habiru, inglobarono gruppi semiti.



[1] Risulta, però, che la circoncisione fosse in uso presso gli Egizi e che gli Ebrei la mutuarono da loro. In verità, tale usanza meriterebbe uno studio non meramente antropologico, ma, per quanto mi consta, l’unico ricercatore che ha approcciato il tema, discostandosi dai soliti criteri interpretativi, è Nigel Kerner. Si legga Our fathers who art from starships, 2010. Lo storico Flavio Barbero, a proposito del celebre racconto biblico in cui YHWH promette a Lot di non distruggere Sodoma e Gomorra, finché vi abiteranno dei giusti, asserisce che i “giusti” erano i circoncisi, distinguibili facilmente da Dio.

[2] La descrizione a tinte fosche degli Hyksos e dei loro presunti discendenti Ebrei da Manetone giunse sino a Cicerone che, in un suo discorso, definì i Giudei “prava gens”, deplorandone l’atteggiamento esclusivista ed il loro superbo astio nei confronti dei Gentili. A. De Angelis vede nelle piaghe d’Egitto le malattie che colpivano gli Hyksos-Ebrei: la blenorrea, la peste, la lebbra, la sifilide… Secondo alcuni interpreti, Mosè portava un velo sul volto per nascondere le deformazioni provocate dalla lebbra. 


“La Roma che ricordo ….." - Memorie di una città e di un momento particolare della mia vita



Siccome son nato e vissuto a Roma  ma  a sbalzelloni, restando e partendo in diversi momenti della vita, le mie  memorie non hanno una vera continuità, posso quindi raccontare solo delle “sensazioni vissute”. 

Una di queste ha a che vedere con il mio primo approccio con la spiritualità, avvenuto in forme tempestose (essendo rimasto da poco orfano  e rinchiuso in un collegio per mancanza di accoglienza in altre situazioni familiari),  sicuramente quell’esperienza, cogente ed importante, fu necessaria per il mio successivo sviluppo. Durante quel periodo,  eravamo nella metà degli anni ‘50 del secolo scorso, appresi come fosse necessaria  l’autonomia di pensiero e  l’ecologia, due aspetti che in seguito contribuirono fortemente alla  mia formazione in una spiritualità laica e di una ecologia profonda: materia e spirito sono la stessa cosa!

Ma ritorno ora alla esperienza di quegli anni trascorsi in cui incontrai don Bosco e la scuola Salesiana.

Ho un debito di riconoscenza verso  San Giovanni Bosco e la sua opera di assistenza ai giovani. Io fui un suo beneficiato, allorché morì mia madre Giustina  -nel 1954- e non riuscivo più ad adeguarmi a una scuola normale (malgrado fossi considerato intelligente  e preparato dai miei maestri). Qualcosa in me si era bloccato, ricordo all’esame di quinta elementare feci una totale scena muta, conoscevo tutte le risposte alle domande che mi venivano poste dagli esaminatori ma non profferii parola, solo sguardi luccicanti e silenzio.  Così da buon orfano disadattato fui mandato al collegio del Sacro Cuore di Roma, come interno. Vivevo cioè in una comunità chiusa al mondo  ma in un’atmosfera che ricordava la famiglia. Ricordo il mio insegnante, un vecchio laico che risiedeva monasticamente nel collegio, un uomo di grande saggezza, egli mi insegnò a strizzare bene il tubetto del dentifricio ed anche ad aprirlo per prelevarvi l’ultima pasta attaccata. 


Nel collegio godevo del poco, ad esempio della merenda pomeridiana, una semplice ciriola di pane  senza companatico,   mentre pattinavo nel cortile imparando a muovermi velocemente in mezzo agli altri.

Ed è lì che appresi alcuni “trucchi” della religione (da me poi ripresi nelle cerimonie laiche dei vari equinozi e solstizi in cui uso ancora il sistema dei pensierini offerti al fuoco). Allora accadeva con la ricorrenza della festa della Madonna dell'8 dicembre e compivamo un rito particolare “dei messaggi della Santa Madre”, ovvero pescavamo ognuno a turno dentro una grande cesta un rotolino di carta, ogni rotolino conteneva un messaggio personale, che pareva sempre azzeccato,  il rotolino una volta letto veniva poi gettato in un focheraccio acceso nel cortile.  


Un’altra volta appresi il valore della pazienza durante i canti solenni di una messa speciale. Un ragazzino della mia classe -evidentemente anche lui con problemi psicologici-   (si puliva il naso sulle maniche della giacca ed era  sempre impiastricciato di mocciolo)  stava proprio al mio fianco, forse lo rimproverai di qualcosa  e ricordo che lui prese a picchiarmi con furia, mi dava pugni e calci, evidentemente era disperato… dentro di me sentii che non era giusto reagire e continuai a cantare per tutto il tempo assieme al coro, senza provare cattivi pensieri ma concentrandomi sul canto.  L’aver superato la rabbia momentanea ed il senso di rivalsa mi riempì di gioia, mi sembrava un dono del Cielo.

Per sviluppare la modestia e l’accettazione  prendevo sempre ad esempio le prove dolorose di  Don  Bosco, alle prese con l’indifferenza della società, mi piaceva moltissimo leggere le  storie  su Domenico Savio,  l’allievo spirituale del santo, mi identificavo con lui. In quegli anni iniziai a scoprire  che la mia esistenza aveva un senso solo se la rivolgevo verso la verità, la giustizia e l’amore.
 

Tra l’altro nel tempo appresi come fosse facile anche studiare  o compiere il proprio dovere se lo si considerava un’offerta a Dio. Feci del mio meglio e divenni l’alunno più meritevole della mia classe, il primo in profitto, condotta e religione.  A quel tempo avrei potuto anche decidere di farmi prete ma evidentemente quella non era la mia strada. Non sono però irriconoscente verso i santi cristiani, malgrado abbia abbandonato ogni credo religioso, continuo a provare  solidarietà e rispetto verso Don Bosco.  Egli è il mio primo maestro e padre spirituale.

Paolo D’Arpini


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Commento ricevuto 

Caro Paolo, questa storia di Don Bosco ancora non la conoscevo, non me ne avevi ancora parlato.

Visto con gli occhi di un adulto il tuo percorso di vita è stato sicuramente uno dei più duri che si possa augurare ad un bambino, ma visto dagli occhi dello stesso bambino, lasciando da parte il dolore della perdita affettiva dei genitori (che non è poco), la cosa sembra essere da te descritta come un naturale passaggio verso una vita di sani principi.


Non so se ricordi cosa ti ho detto qualche temp fa, ma secondo me i bambini sono molto più forti degli adulti. Affrontano le situazioni dolorose con una visione diversa. Cosa che ai grandi spesso risulta difficile. I bambini, ma come del resto tutti i cuccioli del mondo animale, hanno una forza interiore, un attaccamento alla vita e quindi uno spirito di sopravvivenza enorme. Cosa che a volte sfugge a noi grandi ed umani, che magari ci deprimiamo e ci lasciamo andare anche solo al minimo disagio.

La storia che hai raccontato mi fa solo capire che ti voglio ancora più bene, ma questa è di nuovo una conseguenza della nostra mente malata di adulti umani. Ci fa penare chi soffre, ci fanno tenerezza i cuccioli abbandonati, ma quello che veramente pensano questi bambini, questi cuccioli abbandonati, orfani, rinchiusi in collegi, quanti di noi veramente riescono a capirli ed aiutarli?

Se Don Bosco è stata la persona che ha aiutato a far crescere Paolo, non posso che ringraziarlo anch’io dedicandogli una preghiera.


Cristina De Simone

Memoria sul concetto di spiritualità laica


Pensiero Laico - Collage di Daniela Spurio

Sento lo stimolo di chiarire quanto da me espresso in merito al concetto di spiritualità laica.
Tanto per cominciare debbo dire che “spirito” per me significa ”sintesi fra intelligenza e coscienza” inoltre confermo di non essere “credente” in alcuna forma, quel che affermo è sulla base della mia diretta esperienza di esistere e di averne coscienza. Non è necessario che alcuno me ne dia conferma e ciò vale -ovviamente- per tutti. Non serve “credere” per dire “io sono”, lo sappiamo senza ombra di dubbio da noi stessi. Mentre per sentenziare l’assunzione di una fede o la mancanza di una fede non possiamo fare a meno di usare il termine “credo” oppure “non credo”. Se ne deduce che l’essere ed esserne contemporaneamente coscienti è naturale ed inequivocabilmente vero, mentre sostenere qualcosa che ha il suo fondamento nel pensiero, cioè nella speculazione mentale, è solo un processo, un concettualizzare.
Non voglio fare il difficile ma è ovvio che nessuno dirà mai “credo di esistere e di essere consapevole” mentre per qualsiasi altra affermazione (o forma pensiero astratta o concreta) dovrà sempre usare il termine “credo nella religione o credo nell’ateismo” od in qualsiasi altra cosa a cui si presta fede…..
“Io sono” è quindi la verità pura e semplice ed è qui vano spiegare le possibili ragioni di tale “essere” giacché questo procedimento esplicativo (o interpretazione) rientra solo nella speculazione ed è quindi opinabile.
Affermare che la coscienza è il risultato della scintilla divina o il percorso casuale della materia che si trasforma in vita lasciamolo dire ai sofisti. Mentre “Io sono” è l’unico fatto incontrovertibile che non abbisogna di prova o discussione alcuna. Ed è su questa base che voglio restare. Non ha senso quindi mettersi a discutere sui “modi”…..o sulle “ipotesi”. Dico ciò per tacitare ed evitare qualsiasi contrapposizione sulla realtà del fatto contingente da me espresso (e tutti a mente serena possono esserne consapevoli). Questa è laicità dello spirito.
Lasciamo i discorsi sul sesso degli angeli, sulla sussistenza -o meno- dell’altissimo a chi ha voglia di “credere” nelle favole e con questo ringrazio i lettori avveduti della pazienza… e di pazienza c’è bisogno per una condivisione di sentimenti e di esperienza, in cui nessuno possa dire che qualche conoscenza è stata sollecita o trasmessa. “Spiritualità laica” è un semplice e banale “riconoscimento” dello stato naturale di ognuno di noi……..


Paolo D’Arpini

Conversione "en masse" all'ebraismo dei khazari e conseguenze drammatiche per l'Europa e per il pianeta terra


Oscurità storica - Foto di Gustavo Piccinini

Dopo la distruzione della capitale Itil e di Sarkel compiuta dai Vichinghi-Variaghi di Svyatoslav, Rus' di Novgorod e Kiev, nel 965 e, nel 1016, l’invasione dell’esercito congiunto russo-bizantino, la dissoluzione definitiva del regno di Khazaria(1), prima ad opera dei Pecheneghi (discendenti degli Unni), poi dei Cumani, infine dei Mongoli, comportò anche una commistione dei Khazari e delle altre tribù turaniche(2) da loro egemonizzate coi Pecheneghi, coi Cumani e coi Mongoli stessi. 

E un insediamento stabile in Ucraina, in Lituania, in Ungheria e, soprattutto, in Polonia e nella Russia occidentale. Eredi in tutti i sensi di questa congerie etnica di predatori seminomadi furono molti (e i più importanti) fra gli artefici del putch dell'ottobre 1917, che in effetti costituì anche, sotto il plumbeo manto ideologico del "marxismo-leninismo", una restaurazione sui generis del giogo tartaro

Impossessatisi della macchina statale, i bolscevichi attuarono tutto il contrario di ciò che l’ultimo Marx aveva auspicato in teoria e (non solo) il movimento dei contadini anarchici makhnovisti cercò di realizzare in pratica - la rivitalizzazione superiore delle potenzialità comuniste dell’obščina e una via rivoluzionaria che consentisse all’immensa Russia di non dover passare obbligatoriamente sotto le forche caudine dell'accumulazione primitiva(3). 

Fu messa in moto la più mastodontica e implacabile macchina senza volto di capitalismo (industrialismo) di Stato e, al contempo, si procedette al soggiogamento, alla repressione e allo sterminio del "contadiname" riottoso, alla sua proletarizzazione forzata, allo sradicamento, col ferro e col fuoco, da ogni presupposto tradizionale (cristianesimo ortodosso, spirito comunitario slavo e, insieme, pratica dell’autonomia e dell’indipendenza e rispetto della natura, della madre terra)(4). L’esito di questo tremendo processo totalitario statalista-"sviluppista", diretto in prima persona e, ancor più, dietro le quinte dai pronipoti Ashkenazim dei Khazari giudaizzati(5), confermò in pieno le più fosche previsioni, la vera profezia, di Mikhail Bakunin(6).  

Alla voce "Khazaria" della "libera" e "autogestita" enciclopedia online wikipedia (capillarmente controllata e moderata per tutto ciò che concerne il politically correct) si può leggere: "Tra l'VIII secolo ed il IX secolo, consistenti nuclei di Ebrei semiti, dopo aver attraversato il Caucaso entrarono in contatto con i Khazari. I sovrani di quest'ultimo popolo imposero, per motivi di stabilizzazione politica, la conversione del Khanato alla religione ebraica. 

Questo fatto è stato alla base dell'elaborazione di diverse teorie, la più nota delle quali vuole gli Ebrei Askenaziti discendere direttamente dai Khazari (il romanziere ebreo Arthur Koestler sostenne in modo particolare questa tesi). 

Recenti studi genetici sembrano però dimostrare che elementi genetici originari del Medio Oriente dominano la linea maschile degli Askenazi (il cosiddetto cromosoma Y Aaron), ma la linea femminile potrebbe avere una storia diversa. Da ciò alcuni hanno dedotto che uomini del Medio Oriente abbiano sposato donne locali, il che significa che gli Askenazi non sono imparentati con i Khazari o che questi rappresentano solo una parte degli antenati degli attuali Askenaziti."(7) 

L’articolo cui si rimanda(8), in realtà non dimostra quanto pretenderebbe tale frettolosa conclusione. Il mtDNA degli ashkenaziti è estraneo all’originario bacino semitico mediorientale, ed è la discendenza matrilineare che ha più importanza(9)in primis per gli ebrei(10), nella determinazione della loro identità etnica. Inoltre, le ricerche genetiche di Eran Elhaik (dicembre 2012)(11) confermano la validità non dell'"ipotesi renana", bensì di quella "cazara". La stessa difesa da Shlomo Sand nel suo The Invention of the Jewish People (2008)(12) e prima di lui da Koestler e da altri studiosi(13)

Gli Ebrei, per la stragrande maggioranza di etnia ashkenazita, quindi, paradossalmente, meno semiti degli odiati Arabi, hanno invaso, occupato e pulito etnicamente la Palestina, rifiutando poi sempre qualunque prospettiva di convivenza pacifica ed equa con i residui abitanti locali. E i despoti con zuccotto compiono sui prigionieri palestinesi sevizie e torture immonde in piena libertà esattamente come fecero in Russia i loro avi della Cheka(14) su una schiera innumerevole di disgraziatissimi slavi(15). E' una tradizione di famiglia che continua indisturbata da più di novant’anni.

Joe Fallisi



NOTE


(1) Il Gran Khanato di Khazaria o Khanato di Khazaria o Impero di Khazaria (618-1016), l’impero degli "Ebrei rossi" (appellativo medievale dovuto forse alla leggera pigmentazione mongola di molti Khazari), giunse, al suo apogeo, a confinare a sud-ovest con quello Bizantino, a nord-ovest con il Rus' di Kiev, a nord con le terre abitate dai Bulgari del Volga e a sud-est con l'Azerbaijan.

(2) Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/turanico/http://www.treccani.it/vocabolario/turanide/"Turchi. Termine correntemente usato nell'Europa occidentale a indicare il complesso, etnicamente oggi piuttosto multiforme, delle popolazioni parlanti lingue del gruppo turco degli idiomi altaici, stanziate dalla Siberia orientale ai Balcani. Le popolazioni turche originarie sono forse da accostarsi ai mongoli. Con questi esse ebbero probabilmente, un tempo, sedi comuni nell'Asia nordorientale, allontanandosene però, già differenziati, verso occidente, dove vennero successivamente a contatto con popolazioni iraniche (nell'Asia centrale e in Iran), caucasiche e indoeuropee (in Asia Minore, in Russia, nei Balcani), che turchizzarono in gran parte linguisticamente. Arduo è quindi ricostruire la composizione etnica (il tipo più puro dovrebbe essere rappresentato da baskiri, kazachi, kirghizi) di molte popolazioni turche; un criterio etnicolinguistico è quello di applicazione più plausibile in materia. Il termine europeo «T.» deriva dall'arabo turk, plurale atrâk  (bizantino tourkoi; cinese t'u-küe, riferito a una stessa popolazione turca già in fonti del sec. VI), che arabi e persiani, venuti nei secc. VII -X a contatto con popolazioni così chiamanti se stesse (türk è parola turca che vale "forza", e la si trova nel sec. VIII, come sinonimo di una confederazione, nelle iscrizioni della valle dell'Orkhon in Mongolia), generalizzarono applicandolo a tutte le popolazioni di lingua affine, e trasmettendolo in questa sua ultima accezione all'Europa. T. per eccellenza divennero però per quest'ultima solo gli ottomani, unica popolazione turca con cui gli europei siano stati a lungo a contatto diretto. (...) Circa le sedi originarie dei popoli turchi grande incertezza regna tuttora fra gli studiosi. L'opinione più plausibile pone codeste sedi in un settore compreso fra l'Altaj, i monti Tien Shan e il lago Bajkal. La questione della sede originaria è d'altronde connessa con quella dei rapporti dei T. primitivi con gli ugrofinnici e con le altre popolazioni uraloaltaiche, cui i T. sembrano vincolati da numerose affinità linguistiche, relative sia alla struttura del linguaggio, sia al lessico. La prima popolazione storica sulla quale vi sia qualche testimonianza precisa, e che possiamo chiamare turca nonostante sia sempre aperto il problema della sua maggiore o minore differenziazione dagli altri popoli altaici, è quella chiamata degli hsiung-nu, contro cui i cinesi costruirono nel 246 a. C. la Grande Muraglia. Il regno hsiung-nu restò unito fino al 40 a. C. alle frontiere settentrionali della Cina, poi si spezzò in due tronconi, occidentale e orientale. Con gli hsiung-nu occidentali sono forse imparentati gli unni. E probabile che dopo la sconfitta del 469 per opera dell'impero romano d'Oriente i resti di questa popolazione mescolatisi con gli ogur del mar Nero, abbiano dato origine ai bulghar, parte dei quali si insediò nel sec. VII nell'attuale Bulgaria, in seguito slavizzandosi. Un altro gruppo, quello degli utigur, avrebbe invece dato origine al regno dei bulghar del Volga, islamizzato nel sec. IX, e assorbito poi (sec. XIII) nella mongola Orda d'Oro. Certo è che la storia dell'Alto Medioevo europeo è piena di ricordi delle invasioni da Oriente di queste popolazioni nomadi costituite da predoni mobilissimi, molte delle quali sembrano appartenere a gruppi etnici di tipo turco, che, non appena si stabilizzarono, sparirono senza lasciar traccia, assorbiti dai popoli più civili con i quali vennero a contatto. E il caso, nel sec. IV, degli avari del Caucaso, che si stabilirono fra il Danubio e il Tibisco, assediarono nel 626 Costantinopoli, poi si fusero con gli altri popoli danubiani; dei khazar, popolazione d'incerta origine stabilitasi sul mar Nero fra i secc. IV e IX, composta da cristiani e da musulmani, e con religione ufficiale ebraica nel sec. IX, sconfitta e dispersa nel sec. XI dal principe russo Mstyslav e da Oghuz Qipcaq (ma la Crimea fu detta a lungo Hazaria anche dopo la loro scomparsa); dei cumani del sec. XI, protagonisti di tanta parte delle leggende medievali russe (in cui appaiono come polovcy), anch'essi spariti pressoché interamente; dei peceneg, che apparvero nel sec. IX a N delle terre dei khazar, e sparirono dopo essere stati sconfitti dai bizantini nel 1122. Difficile è inoltre distinguere le popolazioni turche e mongole tra loro e da tutte le altre che nel sec. IV risultano abitare, insieme con gli hsiung-nu orientali, la Cina del N (hsienpei, t'o-pa, ye-ta, juan-juan). Turco è però, questa volta senza dubbio, il popolo, o meglio la federazione di tribù guerriere riunite sotto un capo che porta il nome mongolo di qaghan (confederazione da cui si staccarono le altre popolazioni, protagoniste in seguito della storia turca) dei tu-küeh, dominante l'Asia centrale e orientale nel sec. VI. Questo regno di nomadi sciamanisti e totemisti (veneravano il lupo), fondato nel 552 su base patriarcale dal re Bumin, si divise nella seconda metà del secolo in due regni diversi, orientale (dall'Altaj fin quasi al mar della Cina) e occidentale (dall'Altaj all'Amu Dar'ja), e quest'ultimo ebbe, con il sovrano Istami, rapporti con Bisanzio. E' infatti di quest'epoca l'apparizione del termine Tourkoi, e di quello Tourkia, riferito alla regione geografica oggi detta Turkestan. (...)" (Grande Dizionario Enciclopedico UTET, vol. XX, UTET, Torino 1995, pp. 422-423. Cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Altaic_peopleshttp://en.wikipedia.org/wiki/Central_Asiahttp://en.wikipedia.org/wiki/Eurasian_nomads, http://en.wikipedia.org/wiki/Khazars, http://en.wikipedia.org/wiki/Mongoliahttp://en.wikipedia.org/wiki/History_of_Mongoliahttp://en.wikipedia.org/wiki/Mongol_Empirehttp://en.wikipedia.org/wiki/List_of_medieval_Mongolian_tribes_and_clanshttp://en.wikipedia.org/wiki/Mongolshttp://en.wikipedia.org/wiki/Golden_Hordehttp://en.wikipedia.org/wiki/Khanatehttp://en.wikipedia.org/wiki/Crimean_Khanatehttp://en.wikipedia.org/wiki/Göktürks, http://en.wikipedia.org/wiki/Oghuz_Turkshttp://en.wikipedia.org/wiki/Turkic_people,  http://en.wikipedia.org/wiki/Turkish_peoplehttp://en.wikipedia.org/wiki/History_of_the_Turkish_people,  http://en.wikipedia.org/wiki/Altaic_languageshttp://en.wikipedia.org/wiki/Mongolic_languageshttp://en.wikipedia.org/wiki/Mongolian_language,  http://en.wikipedia.org/wiki/Tungusic_languageshttp://en.wikipedia.org/wiki/Kalmyk_languagehttp://en.wikipedia.org/wiki/Buryat_languagehttp://en.wikipedia.org/wiki/Nikudarihttp://en.wikipedia.org/wiki/Turkic_languageshttp://en.wikipedia.org/wiki/Mogholi_languagehttp://en.wikipedia.org/wiki/Turkish_languagehttp://en.wikipedia.org/wiki/Category:Indo-Europeanhttp://en.wikipedia.org/wiki/Proto-Indo-European_languagehttp://en.wikipedia.org/wiki/Indo-European_sound_lawshttp://en.wikipedia.org/wiki/Indo-European_languageshttp://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Indo-European_rootshttp://en.wikipedia.org/wiki/Indo-European_peoplehttp://en.wikipedia.org/wiki/Proto-Indo-Europeans). L'opinione più diffusa in ambito scientifico è che l'origine dei Turchi sia connessa con quella dei popoli altaici e uraloaltaici. Le mescolanze (anche ma non solo) con gli indoeuropei, che semmai vennero turchizzati piuttosto che il contrario, furono successive. D'altronde, quando le orde di Gengis Khan giunsero molti secoli dopo alle terre dei Khazari, già sconfitti e sbaragliati, questi ultimi pensarono bene di collaborare con loro come con fratelli di sangue. Era la soluzione più naturale, assolutamente al di là del fatto che i mongoli fossero sciamanico-animisti e i predoni stanziati in Ucraina seguaci del nero Talmud. 


(4) L’odio e il disprezzo nei confronti del mondo contadino, considerato come forza "reazionaria", come intralcio e catena sulla via dell’industrial-capitalismo di Stato verso le "magnifiche sorti e progressive" e il "sol dell’avvenire" (oggi visibile a tutti nella sua realtà spettrale), è tipico, anche se certo non esclusivo, delle varie sette talmudiche marxiste (cfr. http://holywar.org/jewishtr/07poland.htmhttp://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/61382http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/76879http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/76880http://www.mailstar.net/marx-vs-the-peasant.html e, più in generale, http://www.mailstar.net/zioncom.html). Un esaustivo compendio di questo spirito-sguardo lo si può leggere nella squallida serie di articoli di "Rotta comunista" sull’argomento (cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/100427). Val la pena ricordare che già nel Talmud l’agricoltura è definita "la più bassa delle occupazioni" (Yebamoth 63a) e che per centinaia di anni il lavoro principale, "d'elezione", degli Ebrei ashkenaziti nei territori dell'immenso Regno di Polonia-Lituania fu quello di arendarz (esattori), sfruttatori immediati e implacabili dei lavoratori della terra (cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/68087http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/76374http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/78647http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/98232http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/100442,  http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/100444, e, ancora, il 7°, fondamentale capitolo di When the victims rulehttp://holywar.org/jewishtr/07poland.htm). 

(5) Emblematica, a questo proposito, la figura repellente di Lazzaro Kaganovich, l’"Eichmann sovietico", stretto collaboratore e ispiratore di Stalin innanzi tutto nelle imprese di pulizia etnica e genocidio dei contadini (non solo dell’Ucraina). Sopravvissuto indenne a qualunque "purga" e al dittatore stesso, ne causò, con ogni probabilità, la morte insieme con altri congiurati (cfr. http://www.mailstar.net/kaganovich.htmlhttp://www.mailstar.net/death-of-stalin.htmlhttp://www.mailstar.net/radzinsk.html,http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/100343). 
I "fattori di razza e nazione" sono operanti come forze materialissime - v. sull'argomento l'apposito saggio di Amadeo Bordiga: http://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/fattori_razzanazione1.htmhttp://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/fattori_razzanazione2.htmhttp://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/fattori_razzanazione3.htm (lo stesso Engels così affermava in una lettera a W. Borgius scritta nel 1894, un anno prima di morire: "Per noi, le condizioni economiche determinano tutti i fenomeni storici, ma la razza stessa è un dato economico."). Interessante la seguente annotazione di Marx ripresa da Bordiga: "Marx si interessa alla dottrina di Duchinsky (un professore russo di Kiev, domiciliato a Parigi). Questi sostiene che 'i grandi Russi, i veri Moscoviti, cioè gli abitanti dell'antico granducato di Mosca, sono in gran parte mongoli o finlandesi, come d'altronde sono mongoli gli abitanti delle parti orientali e sud-orientali della Russia europea. Vedo in ogni caso che la questione ha grandemente turbato il gabinetto di Pietroburgo (poiché sarebbe la fine del panslavismo). Tutti i sapienti russi sono stati invitati a redigere delle risposte o delle confutazioni; ma queste sono di una estrema debolezza. La purezza del dialetto grande russo e la sua parentela con lo slavo della Chiesa sembrano, in questo dibattito, testimoniare più in favore della concezione polacca che della concezione moscovita [...]. E' stato provato inoltre dalla geologia e dalla idrografia che all'Est del Dnieper si stabilisce una grande differenza 'asiatica' per rapporto ai paesi che restano all'Ovest del fiume, mentre l'Ural, come Marchison ha di già sostenuto, non costituisce affatto una separazione. Il risultato, quale Duchinsky lo, stabilisce, è che i Moscoviti hanno usurpato il nome di Russia. Essi non sono Slavi, non appartengono insomma alla razza indogermanica, e sono degli intrusi che bisogna respingere al di là del Dnieper. Il panslavismo, nel senso russo, è dunque un'invenzione del governo di Pietroburgo. Mi auguro che Duchinsky abbia ragione e che in ogni caso la sua opinione si generalizzi presso gli Slavi. D'altra parte, egli afferma che molti dei popoli della Turchia, fin qui considerati come Slavi, quali i Bulgari, per esempio, non lo sono'. Noi non sappiamo se questo brano sia stato adoperato nella polemica borghese recente contro la rivoluzione russa nella comune accezione che il popolo russo è asiatico e non europeo, e che per questo subisce la dittatura! Certo la tesi, assolutamente inoffensiva per il marxismo vero, è scottante per i Russi di oggi che, sulle orme di Stalin, fanno leva su una tradizione razziale, nazionale, e linguistica più che sul legame di classe del proletariato di tutti i paesi. Nel senso marxista il fatto che i grandi Russi siano da classificare come mongoli e non come ariani (vecchia frase che Marx ricorda spesso: gratta il Russo e troverai il Tartaro) ha (...) fondamentale importanza (...)"(http://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/fattori_razzanazione3.htm).

(6) Cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/libertari/message/61307.


(8) Cfr. http://www.humanitas-international.org/perezites/news/jewish-dna-nytimes.htm.

(9) Com’è ovvio, delle due figure genitoriali la più certa è, in ogni caso, quella materna.
 
(10) Nella genuina ottica razzista-sionista male minore risulta l’unione di una femmina ebrea con un maschio goy, male maggiore il contrario, perché in questo secondo caso è l’eventuale discendenza stessa (non del cognome, ma del SANGUE) che viene spezzata. Val la pena ricordare che qui in Italia qualunque giudeo/a cittadino/a italiano/a può ricevere, a semplice richiesta, anche la cittadinanza israeliana (nonché andar a fare il servizio militare in Israele - e persino combattere per l’entità sionista), sol che porti le prove della propria ebraicità per via matrilineare "eletta". Effettivamente oggi Israele è l’unico Stato razziale del mondo.

(11) Cfr. http://gbe.oxfordjournals.org/content/5/1/61.full. Per quanto riguarda le ultime ipotesi e acquisizioni scientifiche sull'origine etnica degli ebrei ashkenaziti e le discussioni relative v.  http://www.khazaria.com/genetics/abstracts-cohen-levite.html,   ,   ,    
, 
  http://judaism.about.com/,  http://www.khazaria.com/khazar-biblio/sec6.html,   
 
http://www.khazaria.com/khazar-biblio/sec14.html,   http://www.jewish-heritage.org/spp5.htm, http://www.rockethub.com/projects/7471-the-khazar-dna-project .


(13) Cfr. Herman Rosenthal, "Chazars", articolo tratto dalla Jewish Encyclopedia, 1901-1906, http://www.jewishencyclopedia.com/view.jsp?artid=402&letter=C; Hugo Freiherr von Kutschera, Die Chasaren, Holzhausen, 1910; il II cap. di John Beaty, Iron curtain over America, 1951, http://www.iamthewitness.com/books/John.Beaty/Iron.Curtain.Over.America.htm; Benjamin H. Freedman, Facts are facts, 1954, http://www.iahushua.com/JQ/factsR1.htmlhttp://www.iahushua.com/JQ/factsR2.htmlhttp://www.iahushua.com/JQ/factsR3.htmlhttp://www.iahushua.com/JQ/factsR4.htmlArthur Koestler, The Thirteenth Tribe, Random House, 1976, http://www.christusrex.org/www2/koestler/, trad. it.: La tredicesima tribù, UTET, 2003; Alfred Posselt, Geschichte des chazarisch-jüdischen Staates, Wien 1982 - la tesi di dottorato di Posselt, lontano parente di Koestler, è forse il più considerevole fra tutti gli studi su questo tema, insieme con l’opera di Kutschera; Erwin Soratroi, Attilas Enkel auf Davids Thron. Chasaren-Ostjuden-Israeliten, Grabert-Verlag, Tübingen 1992, http://www.vho.org/D/Attila/; Paul Wexler, The Ashkenazic 'Jews': A Slavo-Turkic People in Search of a Jewish Identity, Slavica Publishers, 1993; Kevin Alan Brook, The Jews of Khazaria, Rowman & Littlefield Publishers, 2009 - 2° ed.

(14) Solo qualche nome: Moisei Solomonovich Uritsky - Boretsky -, anche conosciuto con l’epiteto-epitome de "il terrore ebreo contro il popolo russo", Jankel Yurovsky, V. Volodarsky - Moisei Markovich Goldshtein o Goldstein -, Olga Bronstein, I. S. Unschhlicht, Grigory Zinoviev - Ovsei-Gershon Aronovich Radomyslsky -, il "farmacista" Genrikh Yagoda - Enon Gershevich Ieguda, in onore del quale il Premio Nobel per la letteratura Romain Rolland scrisse un inno -, Yakov Agranov, Meer Trilesser, Mikhail Kedrov - Zederbaum -, Artemic Bagratovich Khalatov, Moisei Boguslavsky, Yakov Veinshtok, Zakhlar Volovich, Mark Gai, Matvei Gerzon, Moisei Gorb, Ilya Grach, Yakov Deich, Grigory Rapoport, Abram Ratner, Abram Slutsky, David Sokolinsky, Solomon Stoibelman, Semyon Firin, Vladimir Tsesarsky, Leonid Chertok, Isak Shapiro, Grigory Yakubovsky Jakov Bljumkin, Aron Soltz, A. A. Slutsky, Boris Berman, Shpiegelglas, Moisei Gorb, Lev Elbert, Arkady Gertsovsky, Veniamin Gulst, Ilya Ilyushin-Edleman, Matvei Potashnik, Solomon Milshtein, Lev Novobratsky, Leonid Reichman, Naum Eitigen, Boris Rodos, Lev Shvartsman, Isaia Babich, Iosif Babich, Iosif Lorkish, Mark Spekter, Karl Danker, Aleksandr Orlov, Martyn Latsis, K. V. Pauler, M. I. Gay, Isaac Babel, Béla Kun - Aaron Kohn, variante di Cohen -, Rozalia Zemlyachka - Zalkind -, Leiba Lazarevich Feldbin, Itzik Solomonovich Feffer, Alexander Contract, Zakhar Ilyich Volovich...). Nel gotha sbirresco non ho incluso il successore di Moisei Uritsky alla direzione della Cheka, l’assassino fanatico Felix Dzherzhinsky, essendo quest’ultimo polacco non ashkenazita - ma sposato, come d’ordinanza, a un’ebrea ashkenazita (la maggior parte dei dirigenti bolscevichi non-ashkenaziti ebbero come moglie un’ebrea ashkenazita, sorta di legge non scritta, ma ferrea) -, né quelli del sanpietroburghese Nikolai Ivanovich Yezhov, detto “il nano avvelenato” o “il nano sanguinario” (sposato anch’egli a un’ashkenazita), e del georgiano Cthulhu-Beria ("il nostro Himmler", secondo l’affettuoso appellativo di Stalin), ashkenazita solo per un quarto (da parte però di madre) - in compenso lo erano i suoi più vicini e fedeli assistenti. La Chrezvychainaia Komissiia, Commissione Russa Straordinaria per la Lotta Contro la Controrivoluzione e il Sabotaggio, poi divenuta GPU-OGPU-GUGB (NKVD), NKGB, MGB, KI, MVD, KGB, fu creata per volere di Lenin nello stesso anno del colpo di Stato, solo due mesi dopo. Nel 1918, con macabra ironia involontaria - che è sempre la più efficace -, i benefattori pensarono bene di mutarne il nome in Commissione Russa Straordinaria per la Lotta Contro la Controrivoluzione, la Speculazione e l'abuso di potere. In effetti occorreva da subito combattere e annichilire i controrivoluzionari. Il problema è che i bolscevichi avrebbero dovuto far fuori se stessi. E non era esattamente il loro scopo, almeno per il momento. Quanto ai Gulag (Glavnoe upravlenje lagerei, Direzione centrale dei lager, i cui ideatori-supervisori furono anch’essi, compattamente, ashkenaziti: Matvei D. Berman, l’"ebreo turco" Naftaly Frenkel, Mikhail Kaganovich, Lev Ilic Inzhir, Semyon Firin, Yakov Rappoport, Lazar Kogan, Sergei Zhuk), "il sistema dei campi di concentramento puntitivi appartiene alla storia sovietica sin dagli esordi, dai tempi di Lenin (già nel ‘20, presso le isole Solovki, situate nel Mar Bianco, a circa duecento chilometri dal circolo polare artico, era stato creato un ‘lager di lavori forzati per i prigionieri della guerra civile’, dove vennero imprigionati tutti coloro che si opponevano al nuovo regime, non solo zaristi quindi, ma anche anarchici, socialisti rivoluzionari, menscevichi), ma il maggior sviluppo avviene negli anni del consolidamento del potere di Stalin, e durante il suo lungo 'regno', che va dagli anni trenta fino alla metà degli anni cinquanta." (http://cronologia.leonardo.it/mondo26d.htm)