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Errare humanum est, perseverare autem diabolicum...

 


Nonostante l’impegno che ognuno può mettere per migliorare lo stato della storia, seguendo strade sbagliate, non potrà che viverne la mortificazione.

Non si può risolvere un problema con gli strumenti che l’hanno creato, pare sia un’affermazione di Einstein (1879-1955). Ipotizzando che il fisico tedesco fosse un cosiddetto genio – ma pare abbia anche detto che tutti siamo geni – penso che la sua affermazione, sia un culmine al quale chiunque può arrivare. Tuttavia, secondo il principio che capire non conta nulla, in chiunque condivida il motto del noto scienziato della linguaccia, certamente non scaturirà un aggiornamento del proprio comportamento. Vale a dire che, nel suo fare, non cesserà di contraddirlo. Mentre chiunque, nel rispetto di un secondo principio che ricreare è necessario, inizierà ad osservare la realtà per riconoscere in che termini la formula einsteiniana corrisponde a verità. Un atteggiamento che lo porterà ad escogitare modalità differenti dalle consuetudinarie, cioè egocentriche, per eludere all’origine il problema.

Dei problemi che si tenta di risolvere con i mezzi che l’hanno generato, Ronald David Laing (1927-1989) ne ha dato una rappresentazione nelle sue pubblicazioni. Lo psichiatra scozzese ne evidenzia un quadro osservando la realtà delle relazioni interpersonali. Nelle situazioni di conflitto (problema) ambo le parti, sostenendo la propria posizione nel tentativo di ridurre il nodo, di fatto, lo alimentano. La lettura della questione da una prospettiva egocentrica, necessariamente nega l’altra se di pari posizione. L’ingarbuglio diviene quindi sempre più profondo, fino alla sofferenza reciproca, primo combustibile dell’esplosione violenta rivolta a sé o al prossimo. Impotenza, prevaricazione, collera, prostrazione, vendetta, cattivi pensieri sono le emozioni che vanno a riempire di sé la realtà delle parti. Ovvero, nonostante il tentativo di fuggirla, la ingarbugliano in una morsa penosa, che si serrerà via via di più finché l’ottica che ne ha avviato la stretta, non cesserà di venire impiegata.


“Giovanni Il tuo guaio è che sei invidiosa di me.

Maria Il tuo guaio è che tu la pensi così.

Giovanni Non mi dai credito di nulla.

Non sopporti d’ammettere che me ne spetti.

Maria È qui dove ti sbagli. Non sopporti d’ammettere che non me ne importa.

Giovanni Sei proprio come mia madre.

Maria È certo che mi tratti come lei.

Giovanni Be’ allora non comportarti come lei.

Maria Cerchi di distruggere me perché odi lei.

Giovanni Perché non la smetti di proiettarti. Sei tu la frigida.

Maria Quando ti ho conosciuto non lo ero.

Giovanni Potresti fare a meno di non morderti la fica nel disprezzare il mio cazzo.

Maria Quando la metti su questo piano mi perdo d’animo.

Giovanni È comunque un inizio. È questa la prima volta oggi che ammetti un minimo di inadeguatezza.

Maria Proprio non si può essere amici?

Giovanni Certo. Non ho mai smesso d’esserti amico”. (1)


Raggiungere la consapevolezza di fondare la realtà su una concezione soggettiva, autoreferenziale, egocentrica è la premessa alla soluzione e prevenzione dei nodi. Colui che rispetta ed è capace di amore incondizionato l’ha già in sé. Con essa, possiamo prendere coscienza, trovare evidente, che solo lasciando perdere o dando dignità all’affermazione altrui, il seme del problema non ha di che schiudersi.

Il penoso confronto tra le parti viene meno, quando dalla reazione si passa all’ascolto, che significa presa in considerazione dell’altro, interrompere la prevaricazione del proprio giudizio, lasciare spazio all’assertività e alla lettura fenomenologica. L’arrocco sulla propria verità cessa di venire difeso. L’orgoglio mostra il suo dannoso lato B. L’importanza personale che ci attribuiamo, evidenzia la nuce del nodo. L’assunzione di responsabilità, da – secondo i canoni comuni – dimostrazione di debolezza, muta in forza e potere. L’energia che sperperavamo pur di averla vinta, diviene a disposizione per seguire strade nuove che portano alla rivoluzione del mondo, delle relazioni, alla bellezza, alla serenità, alla salute.

Anche se la cultura ci spinge alla competizione fino ad ammettere la sopraffazione, così come osservato per la relazioni interpersonali, la medesima considerazione è mutuabile ad ogni problema diretto e indiretto. Al fine di eluderlo, serve una prospettiva differente da quello che l’ha generato. È una verità che vale dall’aritmetica – ipotetico terreno di realtà elementare – fino a qualunque altro maggiormente complesso. Uno di questi, potrebbe riguardare la realtà nella sua totalità, nella misura in cui accreditiamo la scienza, quale unico strumento in grado di definirla e di estrapolare da essa, le uniche cosiddette verità. Tuttavia, il suo criterio d’indagine, la sua prospettiva, si dipana su un terreno che essa stessa ha, autoreferenzialmente, circoscritto ed eletto a superiore. Si tratta del grande campo logico-razionale. Grande, ma non unico. Nonostante il suo inconsapevole impegno a crederlo e a farcelo credere, esso non è che la metà dell’infinito volume che contiene tutti i pensieri e le azioni degli uomini. Tra i mille che se potrebbero citare, ne sono campioni questo articolo, commenti inclusi, e quest’altro, in cui, ogni riga si muove e fa riferimento al piano logico-razionale-dimostrativo. Il pezzo tratta della costituzione dell’universo e perciò, anche della realtà e di noi tutti. Una questione dalla quale niente del volume dovrebbe essere escluso. Tuttavia, in nessuna riga fa capolino il piano esistenziale, che chiamiamo emozionale e sentimentale, mai quantitativamente misurabile, nonostante sia il solo dal quale può fiorire il mondo e ogni sua descrizione. Uno spazio che non è governato dalla ragione e neppure dalla logica, più rappresentabile dal quantistico che dal meccanicistico. In esso, infatti, diversamente da quanto accade in terreno meccanicistico-deterministico, la prevedibilità tende a ridursi e a restare in balia della probabilità, un’area vagolante, in cui il deus ex machina del causa-effetto cede il passo al miracolo, all’impossibile, alla serendipità, alla variabilità e circolarità del tempo, all’assenza dello spazio, alla contiguità di tutto, all’evidenza che l’altro è un noi in altro tempo e modo, che – fatto salvo gli ambiti chiusi, quelli in cui tutti sanno tutto e condividono il gioco – la comunicazione non è lineare ma circolare. Di più, in esso, logica e dimostrazione i due pilastri, dell’apparente incrollabile edificio della scienza, non esistono proprio, e la realtà non c’è più, se non nelle nostre visioni. L’assolutismo dell’oggettività si palesa come dogma, miraggio, chimera. Quando si vuole assoggettare l’esistenziale al loro dominio, è come immettere tossine che generano problemi irrisolvibili con gli strumenti che li hanno generati, che castrano la bellezza e la creatività evolutiva, sola strada giusta verso la vita serena.

Tanto l’uomo comune, quanto il ricercatore, ma anche il sociologo e qualunque studioso, consumano l’energia della vita per dedicarsi a statistiche, algoritmi, percentuali, intelligenza artificiale e chatgpt. Lo fanno con serietà, come è serio il bigotto religioso. Loro idolatrano però la scienza. Sono cioè scientisti – come chiunque formato da questa cultura – ovvero coloro che considerano la cosiddetta scienza quale solo ambito capace di generare verità, tra cui la sola attendibile descrizione del reale. Uomini sulla strada sbagliata, che corrono certi di se stessi e delle loro munizione di logica, raziocinio e nominalismo, a velocità ora digitale, cioè senza alcuna possibilità di relazione e controllo con il criterio che li domina, ma in totale dipendenza dalla tecnologia. Moltitudini che pretendono la dimostrazione per accreditare qualsivoglia voce estranea al loro monoteismo meccanicistico, che non sospettano niente di quanto è conoscenza oltre il proprio steccato ricamato da riconoscimenti accademici, da ossequi popolani, da carriere dispiegate al mondo. Nel rispetto dell’educazione ricevuta e mai messa in discussione, come frotte fanatiche, percorrono il rettilineo del buon senso, della scienza e della ragione senza mai fermarsi, né lasciarlo. Seguitando a vedere il mondo come un oggetto e mai come relazione. Il percorso è fornito di tutto ciò che serve alla vita. Una strada dritta, costruita con le teste appiattite di cui i magazzini del progresso straboccano. Sfrecciano attraverso gallerie scavate in montagne di corpi esanguati dal mercato, dalle sue leggi, dalla sua tirannia. Gli acritici eroi di se stessi, sono lanciati a velocità che nascondono la rete di conoscenza composta da viottoli, carrozzabili, piste polverose, tratturi sconnessi, selciati storici, ciottolati artistici. A loro non importa, e ridono di chi li ammonisce, di chi li redarguisce sul senso a fondo cieco che hanno imboccato; di chi sventola la bandiera analogica, pregna di misura d’uomo. Anzi, dalla loro strada sbagliata, dalle loro deccapottabili, con diritto d’aguzzino, li denigrano.

Logica e razionalità non hanno a che vedere con emozioni e sentimenti, i quali svolazzano in un cielo alogico e irrazionale, privo di materia, pregno di flussi energetici ancestrali, nel quale mente, coscienza, e universo non sono elementi separati, individualmente analizzabili, ma la realtà stessa, riflessi della coscienza. Per accedere al mistero del mondo, i gelidi strumenti meccanici non possono produrre alcuna convincente soluzione. Fatto salvo le esigenze storico-organizzative, la dimensione umana, il suo nucleo creatore, non rispetta alcuna legge materiale. Non comprenderlo, non ricreare questa verità, ci porta a seguitare su strade sbagliate che, nel tentativo di migliorare la nostra condizione, alimenta lo stato di prostrazione, di cui il presente, cui stiamo assistendo, ne è campione esemplare.

Lorenzo Merlo



Nota

  1. R.D. Laing, Nodi, Torino, Einaudi, 1974, p. 29.

...e sia poesia...


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Anche gli stati mentali, le emozioni, partecipano allo sviluppo del cervello. La parte analogica del cervello, così trascurata ai giorni nostri, rischierebbe di atrofizzarsi se i sentimenti non entrassero in gioco nella nostra vita. Per fortuna, malgrado l'iper-tecnologia e le macchine che hanno sostituito l'avventura con l'utilità, non è possibile cancellare l'anelito d'esprimere i nostri sentimenti.

E qual'è il mezzo più consono per questa “trasmissione” romantica? La poesia, ovviamente! Ed allora lasciamoci sedurre dalla vena poetica. Che siano poemetti, mottetti, detti, aforismi o persino epitaffi, la brevità aiuterà le immagini a prender forma, a diventare “messaggio”. La sintesi aiuta. “Piccolo ma sintetico” dicevano di me  ragazzo i miei compagni di strada.

Perciò sin da adolescente mi son cimentato in tenzoni poetiche, in forma di gioco di società. Si sceglieva un tema ed ognuno dei partecipanti scriveva estemporaneamente e liberamente un breve poemetto riponendolo poi  in un cestino,  si mescolavano i foglietti e poi a turno ognuno ne pescava uno e lo leggeva a voce alta, chi otteneva più "mi piace" si aggiudicava la tenzone poetica. Non c'era imbroglio od inganno nella scelta  e nella preferenza. 

Questo torneo poetico andò avanti per anni, finché ci furono poeti... 

Paolo D'Arpini 



Pensiero poetico di Nisargadatta Maharaj: 

Anche uno jnani darà libero sfogo al pianto o gioirà anche qualunque situazione si presenti. Un tale jnani non sopprimerà nessuna espressione delle emozioni che verranno spontaneamente da questa coscienza e da questo apparato del corpo. Normalmente le persone suppongono che un jnani dovrebbe sopprimere tutti gli scoppi emotivi. Questo non è corretto. Dalla posizione dell'Assoluto non si è implicati con i sentimenti e gli scoppi istintivi dell'apparato. Uno jnani non partecipa volontariamente; tutto accade spontaneamente; mentre un non jnani è profondamente coinvolto e considera ogni cosa come reale.” 



Lo stato naturale...

 


Lo stato naturale non è uno “stato senza pensieri”, questa è una burla che dura da millenni giocata ai poveri creduloni. Non sarai mai senza pensieri finché il corpo non sarà un cadavere. Pensare è necessario per sopravvivere. Ma in quello stato [lo stato naturale] il pensiero smette di soffocarti e cade nel suo ritmo naturale. Non c’è più un “io” che legge i pensieri credendo siano i suoi!  

La coscienza è talmente pura che qualunque cosa facciate per purificarvi non fa altro che rendervi impuri. La coscienza deve sgorgare, per così dire: deve purgarsi da ogni traccia di santità e non-santità, da tutto quanto. Anche ciò che voi considerate «sacrosanto» è una contaminazione in quella coscienza. 

Non avviene attraverso una volontà da parte vostra; quando le barriere vengono distrutte, non attraverso uno sforzo da parte vostra, né per mezzo della vostra volontà, allora le chiuse si aprono e tutto scaturisce. [...] Lo stato di coscienza separativo non funziona più; c’è sempre lo stato di coscienza unitario, e niente può toccarlo. Qualunque cosa può arrivare – un pensiero buono, cattivo, il numero di telefono di una prostituta di Londra… [...] Quello che viene non ha nessuna importanza – buono, cattivo, sacro, profano. Chi può dire: «Questo è bene; questo è male»? – è tutto finito. Si è come ricondotti alla sorgente.

Uppaluri Gopala Krishnamurti 



C'era una volta una "fierucola"...

 



Per raccontare questa storia debbo fare diversi passi all’indietro e partire da quando a Verona fondai la prima associazione di cultura “alternativa” d’Italia.  Avvenne sulla scia del ‘68, a quel tempo le associazioni si “legalizzavano” depositando uno statuto e la lista dei fondatori alla Questura di competenza e così feci nel 1970 aprendo nei locali di una vecchia osteria dei poeti sita in Piazzetta San Marco in Foro quel che si chiamava “Club Ex”, composto non solo di ex sessantottini ma soprattutto di membri della cultura locale, scrittori, artisti, cantanti, etc. Dal Club Ex passarono gruppi come i Gatti di Vicolo Miracoli, pittori di grido e persino cantautori di “fuori porta” come Francesco Guccini ed altri. A quel tempo io stesso mi fregiavo del titolo di “artista concettuale” ed essendo un alternativo lanciai una contro-biennale (in antitesi a quella borghese e finta di Venezia) definita “itinerante” che si svolgeva lungo le strade di Verona, una specie di “marcia”che al posto dei cartelli di protesta esibiva opere d’arte portate a mano (od in motoretta) in ostensione.
Un'altro evento importante che organizzammo fu "Quattro giorni a Piazza Broilo" che si svolse a Verona vicino al Vescovado, vennero artisti ed artigiani di ogni genere e con l'aiuto di alcuni grafici stampammo anche grandi manifesti che attaccai di nascosto nella strada pedonale più importante della città, Via Mazzini, stranamente nessuno li strappò nemmeno il servizio municipale.
Dopo qualche anno di vita alternativa, dopo un periglioso viaggio prima in Africa e poi in India, avendo cambiato genere ed essendomi dedicato alle attività spirituali ed essendo tornato nella mia città natale, Roma, aprii un centro di meditazione che si chiamava “Sri Gurudev Mandir” che ospitava ricercatori spirituali di passaggio, con cui compartecipai al primo Festival dello yoga italiano, che si tenne a Milano nel 1974. Nel mentre a Roma cominciai ad interessarmi di erbe  selvatiche e frutti spontanei che crescevano nei grandi parchi della città, un buon sistema di sopravvivenza naturalistica.  
Alfine nel 1977, dopo un periodo di “prova”, mi trasferii stabilmente nel villaggio semi-abbandonato di Calcata, che doveva essere demolito per rischi sismici, lì mi dedicai con più attenzione all'agricoltura di sopravvivenza e ad un rapporto più sensibile con gli animali, e per non perdere di vista la "cultura" fondai nel 1979 con altri amici “mezzo spiritualisti e mezzo artisti” l’associazione teatrale che si chiamava Vecchi Tufi, che operò per le vie di Calcata e dei paesi limitrofi con l’esecuzione di varie pieces dal sapore zen (articolo esemplificativo:  https://riciclaggiodellamemoria.blogspot.it/2013/04/il-circolo-vegetariano-vvtt-ed-il-parco.html?m=0). 
Giunse quindi il tempo in cui sentimmo il bisogno di avere una sede “meno mobile” e così, con buona parte dei soci dei Vecchi Tufi, fondai nel 1984 il Circolo vegetariano VV.TT. per promuovere oltre alla cultura alternativa ed allo yoga anche la pratica vegetariana ed ecologista nella ricerca di un’armonia fra società e habitat.
Dal corpo del VV.TT. nacquero anche altri movimenti e sigle, come ad esempio il Comitato per la Spiritualità Laica, il Punto Verde di formazione bioregionale, etc. , per dare una visibilità esterna alla nostra “linea” organizzammo incontri per la promozione del biologico, tra i primi in Italia, nonché eventi open air, in giardini, nel Parco del Treja, in vecchie strutture, nella nostra sede, ma anche in sedi istituzionali di Calcata, di Viterbo, di Roma e di vari altri luoghi del Lazio.  Tra gli eventi che mi furono più a cuore, ce n'è uno che  si svolse nel Palazzo Baronale di Calcata,   la  “Fiera delle Arti Creative” (articolo esemplificativo:  http://www.parcotreja.it/public/it/news/2008/archivio_080325.asp) che poi si spostò anche a Viterbo con il titolo di “Biennale d’arte creativa” (Articolo esemplificativo: http://www.viviviterbo.it/node/38267).
Ma le cose non stanno mai ferme e ad un certo punto, nel 2010, lasciai  Calcata, che nel frattempo era diventato un luogo glamour, alla moda, e mi trasferii armi e bagagli (ovvero compreso il Circolo VV.TT. e tutto l’ambaradam) in quel di Treia, in provincia di Macerata, ospite della mia fedele compagna, Caterina Regazzi.
Disse l’amico Stefano Panzarasa: “Dal Treja a Treia c’è solo una linguetta di differenza...”. In verità trattasi di una linguetta molto lunga, composta da numerosi  aderenti che non mi seguirono affatto, salvo in occasioni particolari come durante le “feste comandate” del Circolo. Treia non avendo a fianco una città come Roma ed essendo poco “propensa” alla cultura alternativa non ha consentito al nostro Circolo di crearsi un entourage pari a quello di Calcata. "Poco male, mi son detto, ripartiamo da dove siamo e vediamo cosa succede".
Non avendo la possibilità di cooptare un numero di affiliati in sintonia con la filosofia vegetariana ecologista e spiritualista laica mi adattai alle consuetudini locali, basate su un forte attaccamento alle tradizioni, e con pochi amici  fondai nel 2015 un comitato civico denominato “Treia Comunità Ideale” che organizzò con non poche difficoltà una prima “Fierucola delle Eccellenze Bioregionali”, che si tenne sotto l’ex Mercato Coperto sottostante al Palazzo Comunale. Malgrado tutto la cosa ebbe successo, piacque sia agli amministratori, inizialmente un po’ scettici, ed anche al popolo treiese che partecipò con interesse. 
Da allora ogni anno, salvo il periodo pandemico, la Fierucola si tenne in varie località del territorio treiese in collaborazione con altre associazioni tra cui, in particolare Auser Treia, e nel 2024 dovrebbe svolgersi a Passo di Treia, forse in una sorta di canto del cigno, visto come le cose stanno velocemente cambiando ed esaurendosi... mentre io invecchio e mi preparo alla dipartita.
Paolo D'Arpini

L'autore con Caterina Regazzi a Cingoli




Talmud, l'altro "vangelo" - Talmudismo alla conquista del mondo...

 

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L’infiltrazione del talmudismo è globale e metastatizzata. Mi spiego a scanso di equivoci. A mio avviso termini come “sionismo”, “sionisti”, “anti-semitismo” e simili sono incorretti nella loro comune accezione e nei loro impliciti o sospettati connotati ideologici. Per non andare per le lunghe preferisco usare il termine “talmudismo” per identificare posizioni ideologiche ed essenzialmente razziste, esplicite nel “Talmud,” testo giudaico equivalente al “Nuovo Testamento” per la religione cristiana.

I talmudisti, a livello mondiale, sono di gran lunga la setta più compatta e determinata nei suoi obiettivi, indipendentemente dal grado individuale di aderenza o ottemperanza ai molteplici e curiosi riti talmudisti. Non è necessario sfoderare Aristotele per dedurre che l”exceptionalism”, sbandierato direttamente da Obama e sempre meno indirettamente da Reagan in poi, è la versione laica del talmudismo con la dottrina del “popolo eletto.”

L’exceptionalism è il diritto auto-conferito di imporre (con la forza quando necessario), la propria volontà, cultura, governo e ideologia (americane), a chiunque e dovunque nel mondo, in base a un’ipotizzata “superiorità” degli us of a. E ringraziateci per permettervi di lasciarvi vivere se vi comportate bene, dicono gli eccezionalisti.

Lo schizzinoso che vede esagerazione nel ragionamento, lo vada a chiedere ai milioni di morti in Iraq, Afghanistan, Libya, Syria, Palestina, Iran, etc. etc. Per non parlare dell’Unione Sovietica, dove il colpo ‘eccezionalista’ e’ riuscito alla perfezione, riuscendo a ridurre il paese in uno stato di povertà e divario sociale inimmaginabili solo due o tre anni prima, con conseguente riduzione della popolazione di ben quattro milioni durante i primi anni di “riforme.”

Come un articolista talmudista ha scritto di recente in un articolo di fondo sul “Los Angeles Times”, “Non m’importa niente che si dica che  noi ebrei (leggi ‘talmudisti’) controlliamo il governo, la Corte Suprema, le banche, Wall Street, la “Federal Reserve” (la banca che stampa i dollari e li presta ad interesse al governo americano), Hollywood e l’educazione. Quello che m’importa è  continuare a controllarli.”

Che il talmudismo sia metastatizzato nelle cosiddette pseudo-sinistre non deve sorprendere – le destre storiche il talmudismo le controlla da tempo.

Non per niente organi come il WSWS (organo in rete socialista), predica e predica contro il “capitalismo”, ma fatica e stringe i denti quando (raramente peraltro), è costretto a indirizzare qualche critica a Israele, per non alienare l’uditorio, che suppongo in gran parte ignaro delle circostanze ideologiche insite nel WSWS.

Per finire, allego un breve video che ritengo il piu’ educativo sul 9/11, proprio perchè non parla di chi furono i mandanti e gli esecutori dell’episodio apocalittico, ma si limita a dimostrare in modo inoppugnabile che la distruzione delle torri Uno e Due, per non parlare della Sette fu demolizione controllata.

Tra l’altro David Chandler, che appare nel video e anche apparve in uno degli shows qui a Portland (non mainstream), aveva dimostrato con un esperimento semplice e geniale - usando i video del crollo del WT7 - che la caduta era avvenuta con accelerazione gravitazionale (caduta libera).

Durante la presentazione del rapporto NIST (National Institute of Science and Technology) - 10mila pagine, 15 milioni di $$ di costo -  Chandler aveva totalmente smerdato il presidente Shiam. Incapace di rispondere alla breve dimostrazione di Chandler, Shiam si era immerso nel ridicolo dicendo che “la gravità è la forza che tiene insieme l’universo." “Tipica risposta di uno dei miei studenti che non ha neanche aperto il libro per studiare” – aveva commentato Chandler.

Ma l’assurdo (della NIST) era talmente grottesco che, tre mesi dopo, hanno corretto la versione precedente del “rapporto,” ammettendo che avevano sbagliato sull’accelerazione. Tuttavia per coprirsi il sedere, hanno aggiunto 2.5 secondi al tempo totale di caduta, chiara cazzata evidente a chiunque abbia il tempo di osservare il video e il grafico di Chandler (misura autentica) con quello artificiale della NIST. Ovvio scopo dell’aggiunta di tempo di caduta era copertura del sedere. Senza l’aggiunta la caduta è incontrovertibilmente libera (cioè demolizione controllata).


Come si leggeva nelle vignette western, non sparate sul pianista....

Jimmie Moglia

Per non dimenticare... “Tribù indiane. Capitale e proletari nella storia del Nord America” di Giorgio Stern – Recensione

 


Qualche tempo addietro, verso la metà di luglio del 2019, ricevetti una email da Giorgio Stern in cui mi chiedeva un indirizzo postale per farmi pervenire il suo libro “Tribù indiane. Capitale e proletari nella storia del Nord America” (Zambon Editore), in quel periodo mi trovavo in Emilia, a casa di Caterina, e nel giro di pochi giorni ricevetti il volume. Conoscevo solo di nome Giorgio Stern e la sorpresa nel ricevere questo dono inaspettato fu tanta. Ma in fondo non c’era poi da meravigliarsi, poiché sia lui che io facciamo parte della lista No-Nato e quindi dal punto di vista “politico” già condividiamo diverse opinioni.

La curiosità solleticata dal come ero venuto in possesso del libro mi spinse immediatamente alla lettura, anche perché delle vicissitudini e delle sofferenze degli indiani d’America avevo iniziato ad interessarmi dai tempi di “Soldato blu” un film epico e drammatico che per primo modificava l’approccio verso l’epopea del “selvaggio West” (pellicola del 1970, diretto da Ralph Nelson e ispirato al romanzo storico di Theodore V. Olsen, Arrow in the Sun, a sua volta ispirato ai reali eventi del massacro di Sand Creek del 1864. Si tratta di uno dei primi film western a schierarsi dalla parte degli Indiani d’America).

L’epopea e la tragedia del popolo dalla pellerossa sono descritte in dettaglio nel libro “Tribù indiane” di Stern ed è subito chiaro sin dalla prefazione dell’autore, in cui è detto: “Quanto qui brevemente esposto riassume un capitolo di storia determinante nei suoi sviluppi successivi, facilmente documentabile per l’accesso alle fonti e per i numerosi studi editi negli stessi Stati Uniti, spesso disatteso o snaturato dai mezzi di diffusione di massa e dagli storici di professione”.

Insomma si tratta, come diremmo oggi, di un “libro verità” in cui i vari aspetti ed eventi che portarono allo sterminio, da parte dei “civili yankee” di una popolazione indiana stimata attorno ai 14 milioni di persone ed oggi ridotta a poche centinaia di migliaia. Un olocausto tremendo perpetrato non tanto per motivi “ideologici” quanto per motivi di rapina.

Il “selvaggio west” del popolo dalla pelle rossa è stato così descritto da un esponente Sioux, Standing Bear, nel 1890: “Noi non abbiamo mai considerato le grandi pianure, la distesa delle colline e i tumultuosi torrenti fiancheggiati da folti cespugli, come qualcosa di “selvaggio”. Solo per l’uomo bianco la natura era un “mondo selvaggio”, e solo per lui la terra era “infestata” da animali selvaggi e da gente “selvaggia”: Per noi tutto era famigliare e domestico. La terra ci ricopriva di doni ed eravamo circondati dalle benedizioni del Grande Mistero. Solo quando l’uomo peloso venuto dall’est con la sua brutale frenesia rovesciò ingiustizie, su di noi e sulle cose che amavamo, questo mondo divenne “selvaggio”. Quando gli stessi animali della foresta cominciarono a fuggire davanti ai suoi passi, ebbe inizio per noi l’epoca del “Selvaggio West”.

Già da queste parole potei capire e dare una giusta collocazione agli eventi storici contenuti e particolareggiatamente descritti nel libro di Stern. Gli imbrogli, le nequizie, le stragi, la diffusione volontaria del vaiolo e dell’acqua di fuoco, lo sterminio gratuito dei bisonti, il continuo restringimento entro piccole riserve desertiche, l’espropriazione delle stesse ove facesse comodo alla costruzione di reti ferroviarie o allo sfruttamento di risorse minerarie. Insomma la riduzione in schiavitù e la quasi estinzione di un popolo nobile e generoso. Questo fecero i fautori della democrazia e della religione cristiana e giudea che ancora osano mettere sulla loro monete e sui loro simboli: “In God we trust”.
Quale Dio?, mi chiedo, forse trattasi di Mammona, se non peggio. E ciò viene evidenziato anche nel capitolo relativo all’affermarsi del primo capitalismo bancario, finanziario e industriale e conseguente sfruttamento delle masse popolari di immigrati affamati ed oppressi.

Leggendo le tristi vicende occorse ai lavoratori bianchi “di serie b” trucidati durante gli scioperi e costretti ad orari sfibranti per soddisfare la sete di denaro dei padroni, nonché alle mistificazioni portate a scusante dell’eccidio del popolo pellerossa, libero e pulito, è più facile oggi comprendere la frenesia di dominio e di sfruttamento dimostrato da questi “uomini bianchi pelosi” nei confronti di ogni altra nazione del mondo. Gli sterminatori “religiosi e democratici” che affermano “In God we trust” ma solo per giustificare ruberie e distruzioni, allora come ora!

L’emozione provata scorrendo i vari nitidi capitoli del libro mi ha impedito una lettura continuata, ho dovuto riporre il volume più volte, per non soccombere alla rabbia ed alla frustrazione. Insomma ho impiegato quasi un mese a completare la lettura di un testo di appena 160 pagine.

“Tribù indiane” si conclude con le vicende attuali di un ultimo eroe indiano perseguitato dai “democratici e religiosi”, Leonard Peltier, tutt’ora imprigionato senza giusta causa ma solo per punirlo del suo amore e rispetto verso la sua gente e verso le tradizioni ancestrali.

Che dire di più? Termino con le parole della mia compagna, Caterina Regazzi, che a sua volta avendo preso in mano il libro di Giorgio Stern gli scrisse: “Gentile Sig. Stern, sto anch’io leggendo il suo libro su “Tribù indiane…” e lo sto trovando veramente esaustivo , interessante e illuminante su tanti aspetti non certo edificanti della storia degli Stati Uniti d’America. Credo che meriti di essere diffuso e conosciuto…. Cordiali saluti!”

Paolo D’Arpini e Caterina Regazzi


Giorgio Stern l'autore del libro




Restiamo ciò che siamo sempre stati...

 


“Io sono l’oceano infinito di coscienza in cui tutto accade. Io sono anche prima di tutta l’esistenza e di tutta la conoscenza, pura beatitudine dell’essere. Non c’è nulla da cui io mi senta separato, pertanto io sono tutto. Nessuna cosa è me, quindi io sono nulla.”    (Nisargadatta Maharaj)
 Ante scriptum - La mente (ego) tende ad appropriarsi delle esperienze vissute. Naturalmente non è necessario, al fine di realizzare la nostra vera natura, "negare" l'identità fisiologica (nome-forma) ma dobbiamo integrarla con il Tutto, anche perché ne facciamo parte ed il Tutto è inscindibile. Vedi il concetto di “ologramma”, in cui ogni parte che compone l'immagine è costituita dalla totalità dell'immagine stessa. Illudersi di essere separati dal Tutto significa cadere nel dualismo separativo. Il nome-forma è come un'onda che sorge sul mare dell'Assoluto, il quale è appunto il substrato necessario all'esistenza dell'io. Realizzare che l'io è solo il Sé riflesso nello specchio della mente è la chiave della Conoscenza.  

Il  "riconoscimento" della nostra vera natura avviene come nel passaggio dal sogno alla veglia, è naturale ed  intrinseco in ognuno di noi. Quando sogniamo siamo immersi nel sogno e quella è per noi la sola realtà… Quando giunge il momento del risveglio ci sono delle avvisaglie che ci fanno percepire l’imminente cambiamento di stato. Come dire, abbiamo sentore dell’imminente uscita dall’illusione del sogno. Certo questa è semplice analogia poiché nel sogno e nella veglia, che sono condizioni mentali, non vi è vera illuminazione e realizzazione. Quel “risveglio” di cui parlo è l’intima essenza indivisibile, inavvicinabile dalla mente, ma la sua realtà è intuibile e sperimentabile nello stato di pura consapevolezza.

Nel processo di ritorno che sospinge ogni singolo essere verso quella pura consapevolezza avvengono vari miracoli e misteriosi cambiamenti. L’adattamento ai nuovi stati di coscienza coinvolge sempre e comunque tutto il corpo massa della specie, ma nella nostra dimensione umana noi siamo abituati al funzionamento a locomotiva, ovvero due passi avanti ed uno indietro, anche definito crescita per tentativi ed errori. Per questa ragione sembra che l’evoluzione manchi di linearità e continuità. Nella nostra civiltà abbiamo vissuto vari momenti che sembravano paradisiaci, che mancavano però di una comprensione olistica. Un po’ come avviene nel mondo animale in cui la spontaneità  regna sovrana ma la coscienza è carente nella auto-consapevolezza e nella ragione.

Insomma dobbiamo poter integrare l’intuizione e la ragione  nel nostro funzionamento e ciò fatto possiamo procedere a dimenticare il processo sperimentale per poter vivere integralmente l’esperienza in se stessa. Osservatore ed osservato non possono essere separati.

Per ottenere questo risultato le religioni consigliano la via “dell’amare il prossimo tuo come te stesso” mentre le filosofie gnostiche indirizzano verso l’auto-conoscenza.

Non scindiamo queste due vie, teniamole strette come due remi della nostra barca che ci aiutano ad uscir fuori dal pantano del “dualismo”.
  
In fondo, come possiamo considerare che qualcosa sia al di fuori di noi stessi? 

Paolo D’Arpini

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Vedanta. Nondualismo e le maschere dell'io...



Il Vedanta, letteralmente “dopo i Veda” è una scuola di pensiero laico basata sull’Assoluto non duale, detto “Brahman”  nelle Upanishad, i testi filosofici vedantici (posteriori ai Veda).

Sulla datazione dei Veda e del Vedanta le opinioni degli studiosi, storici e religiosi, divergono alquanto. La differenza di vedute è soprattutto fra ricercatori occidentali e quelli indiani. Secondo gli europei, proni al credo filo occidentale di una culla di civiltà medio-orientale e mediterranea, i Veda sono posti attorno al primo millennio a.C. e le Upanishad al periodo appena antecedente la nascita del Buddha storico (VI secolo a.C.). Ovviamente per alcuni storici indiani le date sono diverse e si allontanano moltissimo da quanto affermato dagli storici europei. Ma analizziamo i concetti espressi e lasciamo da parte le datazioni (irrilevanti ai fini della sostanza).

La peculiarità della filosofia Advaita Vedanta è che non si rifà ad alcuna divinità.  L'Assoluto non duale è  tra l'essere ed il non essere. Esso è il  Sé (Atman), ovvero la  Consapevolezza priva di attributi,  che è contenitore e contenuto di tutto ciò che si manifesta,  autoesistente, e contemporaneamente   aldilà di ogni manifestazione e pensiero.

Il Sé gode della sua stessa illusione di esistere come oggetto separato e distinto da se stesso e  secondo il Vedanta- questa commedia si rende possibile attraverso  cinque maschere o “guaine” (in sanscrito “kosha”) che nascondono il Sé al sé (l’Io assoluto all’io relativo).

Esse sono: “annamaya”, “pranamaya”, “manomaya”, “vijnanamaya” e “anadamaya”.

Annamaya è la guaina composta dal cibo, il corpo fisico. I suoi costituenti sono i cinque elementi nello stato grossolano, in vari gradienti di mistura. Dello stesso materiale sono fatte le cose del mondo oggettivo sperimentato.

Pranamaya è la guaina dell’energia vitale (nella Bibbia “soffio vitale”) è quella che denota la qualità vitale, la sua espressione è il respiro, in sanscrito “prana” e le sue cinque funzioni o “modi”: “vyana” quello che va in tutte le direzioni, “udana” quello che sale verso l’alto, “samana” quello che equipara ciò che è mangiato e bevuto, “apana” quello che scende verso il basso, “prana” quello che va in avanti (collettivamente vengono definiti con il termine “prana”). Alla guaina del “prana” appartengono anche i cinque organi di azione, ovvero: la parola, la presa, il procedere, l’escrezione e la riproduzione.

Manomaya è la guaina della coscienza, o mente individuale, le sue funzioni sono chiedere e dubitare. I suoi canali sono i cinque organi di conoscenza: udito, vista, tatto, gusto ed olfatto.

Vijnanamaya è la guaina dell’auto-coscienza, o intelletto, cioè l’agente ed il fruitore del risultato delle azioni. Questa maschera, od involucro, è considerata l’anima empirica che migra da un corpo fisico ad un altro (nella teoria della metempsicosi).

Anadamaya è la guaina della gioia, non la beatitudine originaria che è del Brahman, essa è la pseudo beatitudine (sperimentata nel sonno profondo) del cosiddetto “corpo causale”, la causa prima della trasmigrazione. Un altro suo nome è “avidya” ovvero nescienza od ignoranza del Sé.

Secondo lo studioso indiano T.M.P. Mahadevam è possibile riordinare queste cinque maschere in tre “corpi”:

1 - “annamaya”, il corpo fisico grossolano;

2 - “suksma-sarira” il corpo sottile, l’insieme delle tre guaine di prana mente ed intelletto  (”pranamaya, “manomaya” e vijnanamaya”);

3 - “karana-sarira”, il corpo causale della guaina “anandamaya”.


E’ per mezzo di questi tre corpi che noi sperimentiamo il mondo cosiddetto “esterno” nei tre stati di veglia, sonno e sonno profondo.

L’esperienza empirica si manifesta attraverso le cinque guaine, proiettate o riflesse nel concetto di “spazio” e “tempo”, senza di esse la coscienza relativa di un “mondo” non potrebbe sussistere.

Come diceva il filosofo  M. Heidegger : "Com’è che l’esistenza umana si è procurata un orologio prima che esistessero orologi da tasca o solari?…Sono io stesso l’”ora” e il mio esserci il tempo? Oppure, in fondo, è il tempo stesso che si procura in noi l’orologio? Agostino ha spinto il problema fino a domandarsi se l’animo stesso sia il tempo. E, qui, ha smesso di domandare...”

Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica




Roma 20 settembre 1870: “Porta Pia ed entrata empia…”

 


XX Settembre, ricordate? Ricorre l’anniversario della presa di Roma, ovvero si festeggia la breccia di porta Pia attraverso la quale i “nostri” bersaglieri poterono penetrare in città. Il papa Pio IX aveva emesso una scomunica su chi avesse consentito l’accesso degli stranieri nella città eterna... e siccome i militi piemontesi erano tutti ferventi cattolici e non si trovava nessuno disposto ad accollarsi la maledizione papale, l’ordine di aprire il fuoco e praticare la fessura fu impartito da un ufficiale ebreo, così le anime cristiane furono salve e il merito della presa di Roma restò ai giudei.

Questo fatto simbolico ancora “pesa” sull’unità d’Italia. Sono in molti a criticare quel 20 settembre 1870 che consegnò l’Italia intera ai Savoia. Una dinastia di poca qualità. Ma almeno, con la breccia di Porta Pia è finito questo strazio delle scomuniche papaline! Infatti il 20 settembre si celebra la caduta del potere temporale del papato (o meglio dire il suo ridimensionamento).

Accadde con l’entrata strombettante dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia. “Alla breccia di Porta Pia sono entrati i bersaglieri…” faceva il ritornello della canzoncina allegra che si cantava una volta nelle scuole il 20 settembre, ed io l'ho cantata. Oggi non si canta più comunque la data resta a segnare un momento cruciale della nostra storia patria e dell’affermazione (sia pur per un breve momento storico) dei valori della laicità dello stato: “..perché niun savio dell’avvenire – reo di verità discoperta – s’inginocchiasse a un prete..”. Diceva il poeta evidentemente riferendosi alla disavventura di Galileo Galilei, costretto a piegarsi dinnanzi al papa ed a rinnegare la verità dei fatti per salvarsi la pelle.

Parlando di eretici mi sovviene anche l’eretico per antonomasia, nato il 21 settembre del 1452, Gerolamo Savonarola il quale si scontrò con il papa Alessandro VI (il Borgia) e finì sul rogo… Per lui niente cerimonie di commemorazione anche se Gramsci così lo ricorda: “Chi lo ritiene uomo del medioevo non tiene conto della sua lotta al potere ecclesiastico che voleva rendere indipendente Firenze dal potere feudale della chiesa”.

La storia è solo un racconto. L’angolazione del giudizio sui fatti esaminati dipende solo dalla propensione emozionale a vedere le cose per come le sentiamo vere. Sappiamo però che la storia non è mai qualla raccontata e nemmeno quella percepita con le budella.

La storia, anche nella migliore delle ipotesi, è un mosaico di piccoli particolari ed eventi disgiunti che solo all’analisi successiva appaiono consequenziali… ” è comunque fondamentale, assolutamente fondamentale, capire e conoscere i fatti. Non credo al relativismo, credo alla verità e la differenza di punti di vista, nella sua infinita varietà, può essere, tra l’altro, tra due errori, tra un errore ed una verità e tra due verità” (Luca Zolli)

Nella nostra vita abbiamo lo stimolo di rispondere adeguatamente alle occasioni più diverse che ci capitano e non possiamo dire che il filo conduttore sia la nostra volontà di ottenere i risultati che ci siamo prefissati… Succede quel che succede e poi noi esprimiamo il nostro parere: ho fatto questa cosa e mi piace, ho fatto quella cosa e non mi piace…

In realtà nessuno fa nulla c’è solo un’intersecazione e commistione di forze diverse che agiscono attraverso di noi. Quel che resta sono i semplici fatti, non le ragioni o le intenzioni. Comunque tendiamo ad esaminare quei fatti con la nostra visione personale ed il nostro senso del giudizio.

La vita è tutta una meravigliosa sorpresa e voler stabilire il suo significato è semplice arroganza! Questa la mia opinione…

Paolo D’Arpini