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Osho: "Lascia che ti racconti un aneddoto..."



Il poliziotto di un piccolo villaggio era lì da ormai vent’anni, ma non era molto popolare tra i residenti. Ben lungi dall’essere solo il poliziotto locale, un membro del villaggio come gli altri, come il macellaio o il postino, si era sempre mostrato come lo sceriffo di un film western e trattava persino ogni infrazione minore come se fosse un caso da Scotland Yard. Era la sua grande vanteria che ogni residente del villaggio avesse ricevuto almeno una citazione come risultato del suo attaccamento al dovere. Ma si stava avvicinando il momento in cui sarebbe stato congedato. Improvvisamente si rese conto del fatto che non aveva mai intentato una causa contro il parroco. E il suo orgoglio non poteva permettergli di andare in pensione senza mettere quest’uomo nelle mani della giustizia.

Era un caso senza molte speranze, ma osservando il parroco che andava al villaggio in bicicletta, un giorno escogitò un piano magistrale. Appostandosi ai piedi della collina del villaggio, attese che il parroco scendesse con la sua bicicletta. Quando il parroco era solo a pochi metri di distanza, il poliziotto si piantò di fronte a lui, pensando tra sé e sé: “Mi investirà. Farà male, ma lo denuncerò per non avere dei freni adeguati”. Tuttavia i riflessi del parroco gli permisero di fermare la bicicletta a pochi centimetri dagli stivali del poliziotto. Il quale, ammettendo a malincuore la sua sconfitta, disse: “Pensavo di averti in pugno questa volta, parroco”.

Il parroco disse: “Oh certo, ma dio era con me”.

“Ti ho colto in flagrante!” disse il poliziotto. “In due sulla bici!”.


È così che funziona la mente. Qualsiasi scusa, razionale, irrazionale; qualsiasi scusa, persino una assurdità qualsiasi, e la mente immediatamente salta su e cerca di continuare con il suo vecchio schema...


Osho




"Yoga La Scienza Sacra. Samadhi il più alto stadio di saggezza..." di Swami Rama

 



Swami Rama evidenzia il valore terapeutico di alcuni aforismi di uno dei testi yogici più antichi, spiegando il metodo per applicarli al fine di migliorare la qualità della nostra vita: metodi pratici dotati di valore terapeutico esercizi di respirazione, asana, concentrazione e meditazione.

Gli Yoga-Sutra di Patanjali sono la base della psicologia antica e la sua descrizione della totalità della mente, delle sue funzioni e delle sue emozioni, sorpassa i concetti della psicologia moderna, aprendo spiragli sulle complessità della psicologia dello yoga. È un'opera di valore inestimabile, non soltanto dal punto di vista terapeutico, ma anche perché è una guida pratica per imparare a condurre un'esistenza sana ed equilibrata.

L'approccio illuminato di uno dei più grandi iniziati dei nostri tempi rivela i segreti impenetrabili dell'intricato gioco della mente e delle emozioni. Un trattato che va ben oltre i concetti della moderna psicologia, offrendo nuove intuizioni profonde e rivoluzionarie. Un'interpretazione moderna di uno dei più importanti testi classici della Sacra Scienza dello Yoga. Un testo reso unico da spiegazioni filosofiche che lo rendono interessante e adeguato anche ai non addetti ai lavori. Uno tra i più importanti trattati dal punto di vista terapeutico per la profonda saggezza che lo distingue ma anche un manuale pratico per rendere serena e armonica la nostra vita.

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Fissione nucleare, reattori e bombe atomiche...



Le reazioni “atomiche” differiscono da quelle puramente “chimiche” perché, mentre in queste ultime vengono coinvolti solo gli strati di elettroni più esterni degli atomi (come previsti nel modello atomico di Rutherford – Bohr), e quindi gli atomi mantengono la loro individualità chimico-fisica ed il loro peso, nelle reazioni atomiche vengono coinvolti i nuclei atomici con trasformazioni sostanziali dell’individualità chimico-fisica e sostanziali cambi nei pesi atomici. Ricordiamo che il peso di un atomo di Idrogeno, il più leggero, è una quantità piccolissima, 1,38 x 10-25grammi, quasi tutta concentrata nel nucleo, costituito da un solo protone.

Il primo ad ipotizzare che gli atomi più pesanti fossero un’aggregazione di particelle simili all’atomo di Idrogeno (per spiegare il fatto che i pesi degli atomi più pesanti sono multipli di quello dell’Idrogeno) era stato il fisico inglese William Prout all’inizio dell’800 (vedi N. 69). Dal suo stesso cognome, e dal fatto che egli avesse chiamato questo atomo elementare “protile” (dal greco “protos”, cioè “primo”) deriva il termine “Protone”. Dopo la scoperta del “Neutrone” (che ha stessa massa del protone, ma è neutro) ad opera di Chadwick nel 1932, furono superate le difficoltà che aveva incontrato il modello di Prout che ignorava la presenza di neutroni e si poterono elaborare modelli più realistici del nucleo atomico(1)(2).

Già nel 1930 il fisico sovietico George Gamow (1904-19) aveva elaborato un modello del nucleo atomico, detto “a goccia” per analogia con le gocce di liquido dove le molecole sono tenute insieme dalle forze di adesione e dalla tensione superficiale(1)(2). In questo modello l’adesione tra le particelle che formano il nucleo (all’inizio si pensava fossero solo protoni) è assicurata da forze atomiche attrattive cui si oppongono le forze elettromagnetiche repulsive che tendono ad allontanare tra loro i protoni positivi. Il modello fu modificato da Bohr dopo la scoperta che anche i neutroni erano presenti nel nucleo.

Nel 1933 il brillante fisico teorico e sperimentale italiano Enrico Fermi (1901-1954) elaborò una teoria, secondo cui nel nucleo i protoni si potevano trasformare in neutroni perdendo un elettrone negativo, e i neutroni potevano trasformarsi in protoni acquistando un positrone, cioè la particella positiva predetta da Dirac ed individuata da Anderson (vedi N. 107). In entrambi i casi si sarebbero prodotte anche le piccolissime particelle predette da Pauli, ma di fatto individuate solo nel 1956, i “Neutrini” (così battezzati dallo stesso Fermi), che traversano a miliardi continuamente i nostri corpi e tutti gli oggetti senza causare effetti perché interferiscono pochissimo con la materia.

Nel 1935 il giapponese Hideki Yukawa (1907-1981) ed Heisenberg teorizzarono che le trasformazioni tra neutrone e protone, già previste da Fermi, sarebbero avvenute con l’intermediazione di una particella, il “Mesone”. Una particella di questo tipo (il mesone Pi, o “Pione”) fu effettivamente trovata presso l’Istituto Cavendish di Cambridge nei raggi cosmici dall’inglese Cecil Frank Powell (che ottenne per questo il Premio Nobel) e dall’italiano Giuseppe Occhialini (che invece non lo ottenne, così come non lo aveva ottenuto anni prima per l’individuazione del positrone, attribuito invece al collega Brackett). Si vide però che il Pione era un “leptone”, cioè di natura diversa del mesone previsto da Yukawa. Furono poi trovati nei raggi cosmici anche altri leptoni come il Kaone, che poteva scindersi in due Pioni.

Intanto, intorno al 1934, Enrico Fermi, negli esperimenti condotti in collaborazione con il noto gruppo di fisici che operavano nei laboratori di via Panisperna a Roma (tra cui Emilio Segre, Bruno Pontecorvo, Ettore Majorana, Edoardo Amaldi, più il chimico D’Agostino) dimostrò che il bombardamento dei nuclei atomici con neutroni “lenti”, cioè a bassa energia, era il metodo migliore per provocare fenomeni radioattivi in nuclei di atomi pesanti, come l’Uranio, con emissione di raggi “beta” (3). Fermi però non prese sul serio la giusta tesi della chimica tedesca Ida Noddack (1896-1978) secondo cui essi avevano ottenuto la spaccatura dell’atomo.

Esperienze analoghe erano condotte in Germania dal chimico Otto Hahn (1979-1968) e dalla sua collaboratrice la fisica austriaca Lise Meitner (1878-1968), allieva di Boltzmann e Planck. Insieme isolarono il Protoattinio. La Meitner fu poi costretta a fuggire in Svezia per sfuggire alle persecuzioni naziste, in quanto ebrea(2). Tenendo conto di queste esperienze Niels Bohr, in collaborazione con il danese Fritz Kalckar, tra il 1936 ed il 1937 fornì un nuovo modello dinamico (cioè basato su un equilibrio di forze) più perfezionato del nucleo.

Il passo decisivo in questi studi fu però compiuto dalla stessa Meitner, in collaborazione con il nipote Otto Frisch (1904-1979). Essi ricevettero in Svezia nel 1938 una lettera di Hahn - che insieme al collaboratore Fritz Strassmann (1902-1980) aveva continuato gli esperimenti - in cui si segnalava la presenza del Bario (un atomo relativamente leggero) tra i prodotti del bombardamento dell’Uranio con neutroni lenti. Essi ne dedussero in una chiara memoria dell’inizio del 1939 che stava avvenendo un processo di spaccatura del nucleo dell’atomo di Uranio (definita dalla Meitner e Frisch “fissione”) con formazione di atomi più leggeri ed emissione di neutroni. Pochi mesi dopo questo processo fu illustrato anche in un articolo di Bohr insieme al noto fisico statunitense John Wheeler.

Otto Hahn fu poi insignito del premio Nobel per la chimica nel 1944, mentre lo stesso premio non è stato mai assegnato alla più che meritevole Meitner. Si riscontrò che la reazione di fissione coinvolgeva essenzialmente solo il più raro dei due tipi di atomo (o “isotopi”) dell’Uranio: l’Uranio 235. Esso avveniva con grande produzione di energia (un Kg di Uranio ne produceva quanto 10 milioni di Kg di esplosivo tradizionale tipo TNT) ed inoltre aveva un andamento esplosivo perché i neutroni provenienti dalla prima fissione (una media di 2,4 neutroni per ogni atomo scisso) provocavano altre fissioni “a catena”.

Nel numero dedicato ad Einstein (102) abbiamo visto come, in seguito alla lettera che il grande fisico tedesco, aveva indirizzato nel 1939 al Presidente Roosvelt, in cui lo avvertiva della possibilità che la Germania nazista producesse una nuova terribile bomba, era stato varato nel 1941 il Progetto “Manhattan”. Questo progetto, diretto dal fisico statunitense Julius Robert Oppenheimer (1904-1967), con la partecipazione di Fermi, trasferitosi dall’Italia negli USA, Von Neumann, Feynman, Bethe, ed altri valenti scienziati (ma non di Einstein, né della stessa Meitner che si tennero in disparte), portò alla produzione della prima “bomba atomica” che fu sperimentata con terribile “successo” (se così si può dire) sulla città giapponese di Hiroshima il 6 agosto 1945.

Per produrre la bomba si era dovuto arricchire l’Uranio nella sua componente 235 con centrifughe in quanto l’isotopo più comune (Uranio 238) partecipava poco alla reazione. Tuttavia era possibile sfruttare anche l’Uranio 238 bombardandolo con neutroni “veloci” e trasformandolo prima in Uranio 239, poi in Neptunio 239, ed infine in Plutonio 239, un elemento artificiale anch’esso fissionabile, e quindi adoperabile come esplosivo. Una seconda bomba di questo tipo fu sperimentata con “successo” sulla sfortunata città di Nagasaki provocando un’altra terribile strage di civili.

Le due tecniche prima illustrate per le bombe sono poi servite per creare anche reattori nucleari per la produzione di energia per usi civili molto usati poi sia negli USA, che in URSS, UK, Giappone, e soprattutto in Francia, e altri paesi. Nei reattori ad Uranio “arricchito” (nella componente 235, mediante l’uso di centrifughe) si usano dei moderatori per rallentare i neutroni e barre di controllo inseribili per rallentare la reazione. Le barre possono essere di vari materiali. Nel primo reattore sperimentale costruito da Fermi a Chicago nel 1942 (prima delle bombe poi costruite a Los Alamos) le barre erano di Cadmio. I moderatori possono essere a grafite (cioè carbonio), ad acqua semplice, che serve anche a raffreddare, o ad acqua “pesante” che contiene nella molecola un isotopo dell’Idrogeno più pesante perché contenente un neutrone, oltre che un protone, detto Deuterio.

In via sperimentale sono stati creati (soprattutto in Francia con il reattore “Superphenix”) anche reattori ad Uranio 238, con uso di neutroni “veloci” e produzione di Plutonio 239 (come nella bomba di Nagasaki). Essi sono detti “autofertilizzanti” e sono raffreddati a Sodio liquido, ma finora hanno avuto scarsa diffusione per motivi di costi e sicurezza. I reattori nucleari sono stati poi vietati in vari paesi tra cui la Germania, l’Italia, la Svezia, sia per la possibilità di incidenti disastrosi, sia per il problema di smaltire le scorie radioattive di lunga durata che vi si accumulano. Essi presentano però il vantaggio di non produrre i gas-serra che fanno aumentare la temperatura del pianeta, per il cui il dibattito su di essi rimane aperto.

Tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50 gli Stati Uniti, per riacquistare la supremazia militare sull’URSS che era stato in grado di produrre anch’essa la bomba atomica, produssero un nuovo tipo di bomba molto più potente basata sulla reazione nucleare in cui 2 atomi di Deuterio (o 4 atomi di Idrogeno “normale”) si fondono per formare un atomo di Elio, reazione (detta di “fusione”) che avviene naturalmente anche nel Sole e altre stelle producendo luce e calore.

Principale progettista di questa bomba (detta all’Idrogeno o termonucleare) fu il fisico di origine ebrea ungherese Edward Teller (1902-2003), già collaboratore di Fermi a Chicago, e noto per le sue idee di destra. Egli testimoniò contro il collega Oppenheimer - divenuto sospetto per essersi rifiutato di partecipare al progetto della nuova bomba all’Idrogeno - durante i processi maccartisti nel 1954; e fu poi tra gli ideatori del programma “Guerre Stellari” voluto dal Presidente Reagan negli anni ’80. Suo principale collaboratore fu il matematico di origine polacca Stanislav Ulam (1909-1984).

Tuttavia in pochi anni la Scienza sovietica fu in grado di produrre bombe simili ristabilendo l’equilibrio militare che dura fino ai nostri giorni, anche dopo che la Russia si è sostituita all’Unione Sovietica. Altri paesi, come Israele, Cina, India, UK, Francia, Pakistan e Corea Popolare sono stati in grado di produrre un certo numero di bombe nucleari e termonucleari.

Vari paesi del mondo hanno cercato di progettare e produrre reattori che sfruttassero ad uso civile la reazione termonucleare di “fusione” dell’Idrogeno, tra cui anche l’Italia nei laboratori di Frascati dell’ENEA, ma dopo circa 60 anni questa branca di ricerca è rimasta in fase sperimentale, sia per la difficoltà di controllare la reazione con metodi magnetici tenendola “sospesa” (dato che nessun materiale solido potrebbe controllare la reazione che avviene a temperature altissime), e probabilmente anche a causa della scelta di governi e grandi gruppi capitalistici di continuare per ora ad utilizzare i più economici e diffusi idrocarburi (petrolio e gas).

Vincenzo Brandi 


(questo articolo è tratto dal libro “Conoscenza, scienza e filosofia” di V. Brandi, 2020, di cui costituisce il capitolo 110)

(1) RBA, “Le grandi Idee della Scienza – Gamow”

(2) RBA, “Le grandi Idee della Scienza – Heisenberg”

(3) RBA, “Le grandi Idee della Scienza – Fermi “


La nostalgia del passato non vissuto...

"La Kaukokaipuu è una parola Finlandese che descrive la strana emozione che si prova quando si vive la nostalgia di un posto in cui non si è mai stati. Provare quest'emozione significa vivere direttamente la logica dell'inconscio: Il tempo e lo spazio si disgregano." (Morgan Colaianni)



"È il passato non vissuto che diventa un carico psicologico, e ogni giorno continua a diventare più pesante.

Ecco perché chi è vecchio spesso diventa irritabile.
Non è colpa sua. Egli non sa perché ogni cosa lo altera, perché è costantemente arrabbiato, perché non può tollerare che qualcuno sia felice, perché non può vedere i bambini ballare, cantare, saltare, gioire, perché vuole che tutti siano zitti - cosa gli è successo?

È un semplice fenomeno psicologico: è il risultato di tutta la sua vita non vissuta. Quando vede un bambino ballare, il suo bambino interiore sta male.

Da bambino gli è stato in qualche modo impedito di ballare - forse dai suoi genitori, dai suoi parenti, forse da se stesso perché così si sentiva rispettato e onorato quando veniva portato davanti ai vicini e introdotto: "Guarda che bravo bambino, silenzioso, calmo; nessun disturbo, nessun dispetto. "
Il suo ego era appagato. Ma così è venuto meno a se stesso.
Ora non può sopportare, non può tollerare alcun bambino che si comporti spontaneamente. E' per via della sua infanzia non vissuta, che inizia a dolere. Ha lasciato una ferita.

Ognuno porta dentro di sé tante ferite, tante quanto i momenti che non ha potuto vivere."
Osho