Il grande sviluppo delle scienze “esatte” (come la fisica o la chimica) nell’800 convinse molti studiosi ad impostare anche le nascenti scienze “umane” su basi scientifiche. Grande sviluppo ebbero nell’800 gli studi di psicofisica e psicologia (già iniziati nel ‘700) che però talvolta ebbero caratteristiche disomogenee: molte ricerche seguirono metodi sperimentali, ma altre si ispirarono a considerazioni filosofiche non sempre legate alla realtà(1).
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NASCITA DELLA PSICOFISICA, PSICOLOGIA E PSICANALISI
Perché il Dalai Lama tutto sommato piace alla chiesa...?
Come mai Papa Bergoglio non sparla del Dalai Lama (anche se lo snobba)?
Il motivo è semplice. Il Dalai Lama è sullo stesso piano degli altri religiosi cattolici, ortodossi ed affini. Il Dalai Lama non è un mistico ma un religioso ed un politico come il papa romano.Ha una visione nobile della vita, ma poiché non sostiene a spada tratta solo il misticismo, non è considerato un avversario come tutti gli altri che fanno del misticismo la loro ragione di vita (Osho, Ramakrishna, Ramana Maharshi, Sai Baba, ecc.).
oggi lo dicevano i mistici di ventimila anni fa". Il Dalai Lama, invece, è attratto dalla scienza come qualsiasi uomo che vive nel Mentale. Il mistico che vive la maggior parte della sua giornata nella dimensione superiore, invece non se ne interessa molto.
Come capo religioso, il Dalai Lama è una persona squisita che tutti vorrebbero avere come amico, come fratello, ma è un religioso, come il papa romano. Ognuno di loro difende la propria religione. Il Dalai Lama non rinuncerebbe a credere nella reincarnazione e il papa non rinuncerebbe a credere nella resurrezione di Gesù.
Per quanto il Dalai Lama sia più aperto, positivo e consapevole del papa romano, la sua strada è quella religiosa e non spirituale. Vi sembrerà un assurdo, ma domandiamoci se il Dalai Lama, per quanto intelligente e squisito, segua effettivamente l'insegnamento del Buddha. E non mi riferisco all'aspetto morale. Mi riferisco a quello metafisico, perché è di quello che stiamo parlando.
I Maestri illuminati sono spirituali, mentre i loro rappresentanti sono religiosi. È una regola fissa, purtroppo. Tra il pensiero del papa e quelli di Gesù c'è un abisso. Tra quello del Dalai Lama e del Gautama Buddha c'è il ritualismo.
Nel "fare non fare" non v'è realizzazione...
"Un vero sufi siede assieme ai compagni, si alza e mangia, dorme, compra e vende al mercato, si sposa e partecipa alla società, e tuttavia mai per un momento dimentica Dio..." (Abu Sa'id ibn Abi al-khayr)
Mi scrive un'amica esprimendo i suoi dubbi "sul comportamento ideale da assumere al fine del compimento spirituale, seguendo l'esempio dei santi..."
Le ho risposto dicendole che non si può dare una regola sulla base del comportamento di un santo. Il realizzato non si identifica più con un io, riferito al corpo ed alla mente, ma ha anch'egli un prarabdha karma (un destino della vita corrente) come qualsiasi altro essere umano. Persino ritenere che ci siano realizzati e non realizzati nella visione del santo è illusorio, poiché nella sua esperienza tutto è Uno ed indivisibile.
A questo punto come si può ritenere che qualsiasi azione umana possa rappresentare una linea di demarcazione tra il presunto realizzato ed il presunto ignorante? Quello che i santi raccontano della loro vita è solo l'aspetto esteriore del loro specifico prarabdha karma, niente a che vedere con l'ipotetico "fare o non fare" ai fini della "realizzazione".
Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare diversi santi e dal loro comportamento ho ricevuto un insegnamento universale, mai in antitesi con le esigenze della mia vita. Loro hanno vissuto la loro vita nel modo che era loro dovuto, come io sto vivendo la mia vita nel modo che mi è dovuto. Ciò vale per chiunque. Inutile arrabattarsi sul fare non fare.
Quando si parla di ricerca spirituale non si intende il perseguire un sentiero codificato, una normativa fideistica, un’appartenenza ad un credo; il cercatore spirituale è semplicemente colui che guarda se stesso, colui che riconosce il Tutto in se stesso e se stesso come il Tutto.
Da questo punto di vista la ricerca spirituale può essere considerata un fatto strettamente personale. Conciliare la propria via personale con quella di chiunque altro significa saper fluire senza ostruire, apprendere e trasmettere senza pretendere, insomma si tratta di fare la pace con noi stessi e con gli altri.
Paolo D'Arpini
“In accordo con il Prarabdha karma di ogni persona, l’Ordinatore controlla il destino delle anime in accordo con le loro azioni passate. Qualunque cosa sia destinata a non accadere non accadrà, per quanto ci provi. Qualunque cosa sia destinata ad accadere accadrà, per quanto si possa provare a fermarla.” (Ramana Maharshi)
Osho: "Iniziazione alla Meditazione" - Abstract
La meditazione è un cammino verso l'eternità. Ed è un viaggio senza fine, eterno, nel senso che la porta si apre e continua ad aprirsi... fino a divenire l'universo. La meditazione sboccia e fiorisce, e continua a farlo fino ad abbracciare il cosmo intero nella sua fioritura. Il viaggio è eterno: inizia, ma non ha mai fine. Non ci sono gradi di illuminazione. Una volta conseguitala essa è presente. È come tuffarsi in un oceano di sensibilità. Saltate, divenite tutt’uno con esso, come una goccia che cade nell'oceano e vi si confonde, ma ciò non significa che abbiate conosciuto tutto l'oceano. Il momento è assoluto: è il momento in cui l’ego viene abbandonato, L'istante dell’eliminazione dell'Io, l’attimo della morte dell’ego. È assoluto e totale. Per quanto vi riguarda è perfetto. Ma per quanto riguarda l’oceano (per quel che concerne il divino) si tratta soltanto di un momento iniziale, l’inizio di un processo che non avrà mai fine. Vi è una cosa da ricordare: l'ignoranza non ha principio,ma ha un termine.
Non riuscirete mai a scoprire dove ha avuto inizio la vostra ignoranza. Ve la trovate accanto da sempre; da sempre essa vi circonda. Non ne scoprirete mai l'inizio: non c’è principio. L'ignoranza non possiede un punto iniziale, ma ha un termine. L’illuminazione comincia, ma non finisce mai. I due punti vengono a coincidere; sono in realtà lo stesso. L’inizio dell'lluminazione e la fine dell’ignoranza coincidono. È un unico punto, un punto pericoloso a due facce: l'una è rivolta a un'ignoranza che dura da sempre e l’altra all’inizio di un’illuminazione che non avrà mai fine.Conseguite cosi l'illuminazione, eppure non la raggiungete mai. Pervenite ad essa, vi ci immergere, divenite tutt'uno con essa, eppure l’ignoto è sempre là, nella sua immensità. È questa la sua bellezza e il suo mistero.
Se con l’illuminazione tutto divenisse noto, non ci sarebbe più alcun mistero. Se cosi fosse, l’intera faccenda diverrebbe sgradevole. Dissolto completamente ogni arcano, tutto sarebbe morto. L’illuminazione non è « conoscere » in questo senso. Non è conoscere come suicidio. È conoscere come apertura a sempre maggiori misteri. « Conoscere » significa quindi avere nozione del mistero, esserne consapevoli. Non significa averlo risolto una volta per tutte: l’illuminazione non è il possesso di una formula matematica per cui tutto ora vi è noto. Il conoscere dell’illuminato significa piuttosto essere giunti al punto dove il mistero è divenuto definitivo.
Avete riconosciuto che questo è il fondamento di ogni mistero; l’avete conosciuto come mistero esso stesso. Ora l'arcano è divenuto tale che non avete più alcuna speranza di risolverlo. Ora lasciate ogni speranza. La vostra, però, non è sfiducia, non è disperazione. Avete soltanto compreso la natura del mistero.
L’arcano è tale da essere insolubile; il mistero è tanto fitto che è assurdo finanche sforzarsi di svelarlo. Cercare di far luce in esso con i mezzi dell’intelletto non ha senso. Siete arrivati al limite delle vostre possibilità razionali. L’intelletto ora cede le armi e si comincia a conoscere. È qualcosa di completamente diverso dal conoscere scientifico. La parola « scienza » significa - è vero - acquisizione di conoscenza, ma qui il senso è quello di penetrare a svelare gli arcani, mentre il conoscere religioso significa assolutamente l’opposto. Non si tratta, in esso, di indagare e rendere manifesta la realtà; tutt’altro. Anche quanto già si conosceva ridiventa in questa dimensione misterioso, comprese le cose di tutti i giorni sulle quali eravate certi, assolutamente certi, di sapere tutto. Ora perfino la porta è scomparsa. Tutto, in un certo senso, diviene inaccessibile... infinito e irresolubile.
Il conoscere va concepito in questo senso: è partecipare dell’esclusivo mistero dell'esistenza, dire si all’arcano della vita. L’intelletto non ha ora alcuno spazio per le sue teorizzazioni. Siete faccia a faccia con il mistero, e l'incontro è esistenziale... non per il tramite della mente, ma tramite voi stessi, tramite la totalità di voi stessi. Lo sentite con ogni parte del vostro essere: il vostro corpo, gli occhi, le mani, il cuore, l’intera vostra personalità giunge in contatto con il mistero assoluto. Questo è soltanto un inizio. La fine non verrà mai, poiché la fine sarebbe demistificante.
Questo è l’inizio dell’illuminazione. Non vi sarà mai fine, ma questo è l’inizio. Capite che l'ignoranza è finita, ma non ci sarà un termine a questo stato illuminato della mente. Siete saltati ormai in un abisso senza fondo.
Potete concepire il processo in tanti modi quanti sono i punti di vista. Se si perviene a questo stato mentale attraverso kundalini, sarà un’interminabile fioritura. I mille petali del sahasrara non sono realmente mille: « mille » sta a indicare semplicemente un numero superiore a ogni immaginazione. È un simbolo. Significa che i petali di kundalini che si stanno schiudendo sono infiniti. Continueranno a schiudersi, a schiudersi e a schiudersi. Assisterete al loro primo sbocciare, ma non ne vedrete mai la fine. Non c'è limite al processo. Si può giungere a questo punto attraverso kùndalini o per altre vie. Kundalini non è indispensabile.
Coloro che conseguono l'illuminazione per altre vie giungono allo stesso punto; differirà soltanto il nome, il simbolo sarà diverso. Le vostre rappresentazioni mentali varieranno poiché questo non è evento che si possa descrivere, e poiché quanto è possibile descrivere non corrisponde esattamente a quanto sta accadendo. La descrizione non è che un’allegoria, è per forza di cose metaforica. Potete dire: "È come un fiore che si schiude"... ma non c'è affatto alcun fiore. La vostra sensazione è però esattamente quella di essere un fiore che sta cominciando a sbocciare. La sensazione è né più né meno quella dell’aprirsi. Ma qualcun altro potrebbe esprimersi altrimenti. Potrebbe ad esempio dire: «È come lo spalancarsi di una porta... di una porta che dà sull'infinito e che non cessa mai di aprirsi». E chi più ne ha più ne metta.
I tantrici adottano una simbologia sessuale. Loro possono usarla! Dicono: « È un incontro, un'unione senza fine ». Quando il Tantra afferma che « è proprio come nel maithuna (rapporto sessuale)», quanto intende è «un incontro dell'individuo con l’infinito... ma interminabile, eterno».
Il fenomeno si può rappresentare anche in questa forma, ma ogni rappresentazione è destinata a essere metaforica. Ogni rappresentazione è simbolica; non può che essere cosi. Ma quando dico «simbolico», non intendo certo che un simbolo non abbia significato.
Un simbolo ha significato fintantoché è soltanto la vostra individualità, che l’ha concepito e l’adotta, a essere in causa. Vi sarebbe impossibile rappresentarvi la cosa altrimenti. Una persona che non ha mai amato i fiori, che non ha mai imparato a conoscerli, che passando fra i fiori non li ha mai degnati di uno sguardo, che per l'intera sua vita non ha mai avuto nulla a che spartire col «regno floreale », non potrà certo sentire l’illuminazione come lo sbocciare di un fiore. Se però voi l’avvertite in questo modo, ciò ha una quantità di significati. Vuol dire che il simbolo vi è congeniale, che corrisponde in un modo o nell’altro alla vostra personalità.
Il bisogno di "spazio" cambia con le situazioni vissute...
I confini dello spazio personale cambiano molto da persona a persona, a seconda delle culture e degli ambienti. Nel 2020 la pandemia ha introdotto un elemento del tutto nuovo che ha inciso sul nostro livello di comfort quando siamo in presenza di altre persone. Mantenere una distanza fisica è stata per mesi una delle poche cose che potevamo fare per limitare il rischio di infezione. I consueti spazi personali improvvisamente erano diventati “sbagliati”.
Questo cambiamento è illustrato molto bene dall’anticipazione di uno studio di Daphne Halt e colleghi di Boston, Massachusetts. I ricercatori pensano che le nostre preferenze sugli spazi personali non solo ci raccontino molto degli effetti della pandemia, ma possano essere usati come indicatori per monitorare il ritorno alla normalità.Gli autori sostengono che l’aumento dei limiti personali perfino nella realtà virtuale, dove non esiste alcun rischio di infezione, possa essere indicativo di cambiamenti nella rappresentazione neuronale della “zona di sicurezza” che circonda il nostro corpo e nei circuiti sensorio-motori del cervello che assolvono al compito di mantenerci al sicuro.
Esiste la possibilità che questo aumento persista anche oltre la pandemia; ma è altrettanto possibile che il nostro bisogno di spazio ritorni a livelli prepandemici una volta risolto il problema. La scala in base alla quale sono state misurate le distanze sociali non ha precedenti, e quindi è difficile fare previsioni su come queste si assesteranno in futuro.