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NASCITA DELLA PSICOFISICA, PSICOLOGIA E PSICANALISI



Il grande sviluppo delle scienze “esatte” (come la fisica o la chimica) nell’800 convinse molti studiosi ad impostare anche le nascenti scienze “umane” su basi scientifiche. Grande sviluppo ebbero nell’800 gli studi di psicofisica e psicologia (già iniziati nel ‘700) che però talvolta ebbero caratteristiche disomogenee: molte ricerche seguirono metodi sperimentali, ma altre si ispirarono a considerazioni filosofiche non sempre legate alla realtà(1).

Principale centro di questi studi fu la Germania, anche sulla spinta della filosofia materialista di Herbart (N. 71). Negli anni intorno al 1860 Ernst H. Weber e Gustav T. Fechner   studiarono con metodi sperimentali i rapporti tra stimolo esterno ed intensità delle sensazioni, argomento centrale della “psicofisica”, stabilendo delle leggi sperimentali ed anche una scala logaritmica per gli stimoli, come viene ancora usata in acustica con la scala dei Decibel.  Wilhelm Wundt (1832-1920), allievo di Helmholtz, svolse anch’egli esperimenti su sensazioni, tempi di reazione agli stimoli, ed intensità dell’attenzione, rinunciando a sperimentare su attività mentali superiori tipiche della “psicologia” (come ragionamento, linguaggio, giudizio, memoria, emozioni), oggetto secondo lui solo di filosofia.

Anche l’olandese Franciscus Donders (1818-1889), autore dell’opera “Cronometria Mentale” del 1860, svolse ricerche sperimentali sui tempi di reazione basate sul metodo detto della “sottrazione”, in cui erano confrontati tempi relativi a stimoli semplici con tempi relativi a stimoli composti, o necessitanti di una scelta. Questo metodo, abbandonato per molti decenni, è stato poi ripreso nell’ambito della moderna “Psicologia cognitiva”, affermatasi nella seconda metà del ‘900.

 Hermannn Ebbinghaus (1830-1909) e Georg E. Müller (1850-1934) svolsero invece studi sperimentali sulla memoria. Il primo effettuò anche misure dell’intelligenza dei bambini, mentre il secondo si avvicinò poi alle idee di Mach (N. 95), che valorizzava le sensazioni come dati primari della conoscenza, ed a quelle della “Gestalt”, movim̈ento di cui ci interesseremo più avanti, che privilegiava i processi mentali coscienti (non automatici).

Su posizioni neo-kantiane si pose Ewald Hering (1834-1918), che si interessò essenzialmente di percezione visiva: ritenne – infatti - che la percezione dello spazio fosse innata ed immediata (“Innatismo”), a differenza della posizione degli empiristi (cui si ispiravano anche Helmholtz Wundt) secondo cui era di origine empirica, ed era frutto di un processo di apprendimento attraverso esperienze ripetute. Anche Karl Stumpf (1848-1916), che si interessò di percezione visiva e psicologia della musica, fu sostenitore dell’Innatismo neo-kantiano e si avvicinò anche alla Fenomenologia di Husserl (N. 99) ed al pensiero – anch’esso vicino alla Fenomenologia - di Franz Brentano (1838-1917) che sosteneva il concetto di “intenzionalità della coscienza” che si rivolgerebbe a contenuti anche non derivati dalla realtà, ed a rappresentazione di giudizi ed affetti.

Il filosofo “empirio-criticista” Richard Avenarius (che già vedemmo al numero precedente su posizioni simili a quelle di Mach), pur riconoscendo che coscienza ed esperienza dipendono dal sistema nervoso centrale, fu avversario di ogni “meccanicismo” e sostenne l’esistenza di dati fisico-percettivi indipendenti dal sistema nervoso, a metà strada tra fisico e psichico, che rappresenterebbero una specie di “esperienza pura” (concetto in cui è evidente l’influenza della Fenomenologia).

Le teorie di Mach ed Avenarius furono riprese da Oswald Külpe (1862-1915) – fondatore della Scuola di Würzburg - che fu influenzato anche dalla Fenomenologia di Husserl ed esaminò stati di coscienza non direttamente legati all’esperienza. Egli riteneva che spazio e tempo fossero aspetti solo fenomenologici e fu sostenitore del metodo introspettivo (cioè guardare entro sé stessi) per determinare i meccanismi psicologici. Külpe fu influenzato – come anche il già citato Stumpf – dal pensiero di Brentano. Anche Christian Von Ehrenfels (1795-1876), continuatore dell’opera di Brentano, fu influenzato dal pensiero di Mach: sostenne (come faranno anche i membri della Gestalt) che la “forma” dello spazio e del tempo è diversa dai singoli elementi che lo compongono.

All’inizio del ‘900 l’inglese Edward Titchener (1867-1927), allievo di Wundt, poi trasferitosi negli Stati Uniti, si interessò alla struttura della mente (Strutturalismo), vista come intreccio di elementi distinti: sensazioni, affetti, e concetti.  Contrario allo strutturalismo fu il filosofo statunitense William James (1842-1910) di cui scrivemmo già in precedenza (N. 98). Egli, soprattutto nell’opera del 1890 “Principi di Psicologia”, vide nell’attività della coscienza, nelle sue motivazioni e nei processi di apprendimento, un processo continuo, non divisibile in elementi separati, di adattamento all’ambiente (Funzionalismo).

All’inizio del ‘900 nasceva anche la psicologia della “Gestalt”, cioè della “forma” (in tedesco), in quanto i membri del gruppo che prese questo nome ritenevano che nel processo percettivo la mente riuscirebbe a scegliere la forma migliore completando con un processo cosciente e continuo, configurazioni percettive parziali incomplete. L’iniziatore di questa corrente, il ceco Max Wertheimer (1880-1943), sosteneva nel 1912 che il movimento ci appare come un tutto unico, e non come una serie di sensazioni staccate. Il pensiero si rivolge sempre ad una totalità organizzata. Un altro membro del gruppo, Wolfgang Kohler (1887-1967) sosteneva che la percezione della forma è un tutt’uno, ed è immediata, e che le dinamiche fisiche, neurologiche e psicologiche seguono percorsi analoghi. Sarebbe così superato il conflitto mente-corpo. I membri della Gestalt, tra cui si distinse anche Kurt Koffka (1886-1941), sotto l’influenza della Fenomenologia, valorizzavano l’esperienza immediata, negando l’importanza fondamentale delle esperienze precedenti e dei processi analogici che ne derivavano, ed affermando che l’atto dell’intelligenza è immediato (una specie di illuminazione). Kohler (che si trasferì poi negli USA come Koffka e Wertheimer) effettuò anche esperimenti con gli scimpanzè privi di singole prove specifiche (come il superamento di labirinti, ecc.) per dimostrare che l’intelligenza degli animali è capace di una valutazione intuitiva diretta e complessiva dei problemi. La corrente della Gestalt rifiutava l’automatismo dei processi inconsci privilegiando i processi coscienti.

Contemporaneamente in Inghilterra Francis Galton (1822-1911), influenzato da Darwin, dette grande importanza all’ereditarietà; fece studi statistici sui comportamenti umani e ricerche sulle associazioni mentali inconsce; effettuò test mentali che ebbero poi grandi sviluppi negli Stati Uniti. Anche Alfred Binet (1857-1911), in Francia, fece misurazioni dell’intelligenza dei bambini, anch’esse molto apprezzate negli USA. In quest’ultimo Paese la psicologia si orientò sempre più verso la psicometria e la psicologia del lavoro, e poi, sotto l’influsso del filosofo Dewey, verso la psicologia “funzionale” già adottata da James, cioè intesa come adattamento all’ambiente. Sotto l’influenza dell’evoluzionismo si moltiplicarono gli esperimenti sulla capacità degli animali di apprendere e risolvere problemi dopo esperienze ripetute (come trovare l’uscita da gabbie e labirinti, ecc.) come quelli condotti dallo psicologo americano E. L. Thorndike (1874-1949) ed il tedesco trasferitosi negli USA Jacques Loeb (1859-1924).

Un altro americano H. Spencer Jennings (1868-1947) dimostrò che, contrariamente a quanto molti ritenevano, anche gli organismi più semplici erano dotati di un certo grado di coscienza e capacità di apprendimento. Anche John B. Watson (1878-1958), autore nel 1913 del manifesto della nuova filosofia “behaviorista”, cioè basata su studi di comportamento (“behavior” in inglese) che ebbe grande sviluppo negli anni ‘20, fece esperimenti sulla capacità di animali di superare un labirinto utilizzando la memoria di precedenti esperienze. Questi studi – come abbiamo visto, contestati dalla Gestalt – erano basati sul concetto che il comportamento è una risposta della mente (vista come una “scatola nera”) agli stimoli ambientali, e derivavano dalla psicologia “funzionale” di Dewey e James e dall’evoluzionismo. Una forma di “comportamentismo sociale”, che teneva conto degli stimoli dell’ambiente sociale. fu quella sviluppata da George Herbert Mead(1863-1931) negli anni ‘30.

Una base molto materialista e sperimentale ebbe anche la psicologia russa, i cui principali esponenti furono Ivan Sechenov (1829-1905), che sostenne che ogni azione psichica è causata da uno stimolo materiale, e Ivan P. Pavlov (1849-1936), nemico giurato di ogni “psicologia fumosa”. Celeberrimi sono gli esperimenti effettuati da quest’ultimo sui cani, i cui succhi gastrici si attivavano automaticamente, anche in assenza di cibo, se veniva ripetuto un segnale acustico che in precedenza era stato utilizzato in connessione con la distribuzione di cibo (teoria dei Riflessi Condizionati, sperimentata anche da Watson). Pavlov sosteneva che questo comportamento valeva anche nel caso dell’uomo per il quale esisteva anche un livello superiore, in cui i “segnali” significativi che causavano i riflessi erano simbolizzati attraverso il linguaggio.

In definitiva si può affermare che la psicologia è avanzata tra ‘800 e inizio ‘900 sia su un terreno sperimentale (Fechner, Weber, Wundt, Helmholtz, Donders, Pavlov, Thorndike, Watson, ecc.), sia seguendo suggestioni di filosofie neo-kantiane, fenomenologiche, ed empirio-criticiste (Hering, Külpe, Stumpf, Brentano, Ehrenfels, la Gelstat, ecc.) contenenti anche elementi irrazionalistici ed idealisti. Come vedremo, il complesso di questi studi influenzerà anche la psicologia e la filosofia del ‘900 inoltrato, in cui si affermeranno il “Costruttivismo”, la nuova psicologia sovietica (scuola storico-culturale), e soprattutto la “Psicologia cognitiva”, di cui ci occuperemo in un prossimo numero.

Un discorso a parte merita la nascita della Psicanalisi ad opera di Sigmund Freud (1856-1939), argomento troppo complesso per potèr essere trattato adeguatamente in questa sede. Freud, neurologo viennese ebreo poi emigrato a Londra per sfuggire ai Nazisti, era ateo e di cultura laica, e riteneva di doversi affidare ad un’indagine sperimentale attraverso lo studio dei sintomi mostrati da persone affette da isteria o nevrastenia (atti involontari, associazioni verbali, contenuti dei sogni, ecc.), come emerge ad esempio negli “Studi sull’Isteria” scritti insieme a Joseph Breuer.

 Riteneva che la naturale propensione della specie umana al desiderio sessuale già dall’età infantile, se rimossa per evitare conflitti tra desideri e realtà, avrebbe creato tensioni dolorose che potèvano essere scaricate indirettamente da attività mentali inconsce (“Es”). Freud presupponeva anche la presenza di un “Io” parzialmente cosciente, di una coscienza etica superiore (“Super-Io”) e la possibilità di una presa di coscienza attraverso un processo (curativo) di analisi. È discutibile se Freud sia pienamente riuscito nel suo intento, ma è da rimarcare l’atteggiamento antimetafisico e sperimentale che fanno della sua originale ricerca un tentativo apprezzabile, che ha dato luogo ad interessanti sviluppi e conferme, anche se non sempre adeguatamente trattato dai continuatori della sua opera.

Vincenzo Brandi 


Articolo tratto da "Conoscenza, scienza e filosofia"

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(1) L. Geymonat, “storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970 e seg.

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