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La creazione e la presunzione antropocentrica

Diversamente dal conosciuto – direbbe Krishnamurti – tutto il sapere che vantiamo non è che idoneo a tenerci lontani dalla conoscenza.


Presunzione antropocentrica

Per Kurt Gödel, logico-matematico del 1900, anche partendo da assiomi matematici certi non necessariamente le evoluzioni che ne seguiranno saranno certamente vere o certamente false. Nel rispetto delle medesime inafferrabili ragioni del principio di incompletezza – come lo studioso aveva chiamato quella parte dei suoi studi che metteva in crisi la presunta veridicità e inattaccabilità del linguaggio matematico – forse è possibile esaminare altre osservazioni che riguardano però il mondo delle relazioni. Se queste dovessero rivelarsi attendibili, molto stupore nei confronti delle faccende umane verrebbe meno.

Uno stupore la cui origine è da attribuire anche all’atteggiamento proiettivo (Freud) di noi stessi verso il cosiddetto fuori da noi. La proiezione di noi sul mondo implica la creazione di un mondo a nostra immagine e somiglianza. Una modalità di esserci nel mondo (Heidegger), che ci impone l’identificazione con i nostri sentimenti e pensieri e che perciò impedirebbe l’identificazione del proprio sé (Jung). Ovvero, quella condizione necessaria per tendere all’ armonia, all’equilibrio e all’invulnerabilità. In pratica, ci stupisce tutto ciò di non previsto con cui entriamo in relazione, così come tutto ciò che non è per noi accettabile tende a generare il nostro stupore, giudizio di valori e sentimenti di repulsione.

In ambienti relazionali chiusi, tendenzialmente puri e composti da piccoli numeri, l’imprevisto tende a non generarsi. In tal caso, diversamente, la reazione del gruppo/cominità sarebbe terapeuticamente unanime: il corpo estraneo sarebbe estromesso e l’equilibrio, in breve, recuperato. Si potrebbe dire che si tratti di un previsto imprevisto.

Quando la purezza originaria viene meno – cosa implicata con il crescendo dei componenti e delle relazioni – tendono a generarsi reti di realtà non previste dagli assiomi originari. In fisica quantica questo tipo di accadimenti ha il nome di entanglement, un termine introdotto da Erwin Schrödinger.

È necessario osservare che gli “assiomi originari” non solo sono caricati dal principio psicologico dell’io, detto di proiezione. Essi sono ulteriormente gravati dal peso del razionalismo e del meccanicismo. Due prospettive in una, in quanto rispettano e agiscono con medesima modalità logica: elaborare un ordine del mondo che contenga l’oggettività, che rappresenti il sempiterno. Una lettura degli assiomi originali che induce un tempo uguale per tutti, una realtà definitivamente corrispondente alla descrizione che ne fa la fisica (meccanica classica), un uomo assimilato alla macchina, un’indagine analitica del mondo, ovvero un mondo scomponibile dove la verità organica ed olistica neppure è presa in considerazione. In una parola, gli assiomi d’origine della concezione razionalistica del mondo prevedono una reale pressoché bidimensionale, pressoché paragonabile ad un’immagine fotografica, composta dagli elementi contemplati dalla nostra proiezione.



Sinapsi irriverenti

Tornando alle relazioni moltiplicate dagli scambi di comunicazione, a maggior ragione se in epoca digitale, si può sostenere provochino l’accensione di sinapsi altrimenti dormienti. E che stiano alla base di creazioni di idee e pensieri, posizioni e consapevolezze, politiche e sentimenti, ruoli e contraddizioni altrimenti inibite, prive dell’habitat utile al loro avvento. Dinamiche occultamente euristico-serendipidiche perciò, tendenzialmente impreviste e imprevedibili e che non riguardano soltanto le relazioni tra individui e/o entità organizzate, ma anche tra noi e la nostra concezione di noi stessi.

Allora, come i puri che entrano in politica e a un certo punto tradiscono le loro originarie posizioni – tradiscono per noi, che guardando le pagliuzze imbracciamo il vessillo della coerenza e la spada della moralità, ma non per loro stessi – anche noi nel tempo mutiamo di ruolo e convinzione. In questi due casi, e in tutti i suoi consimili, assistiamo alla generazione di novità che, a ben guardare, sono soltanto mutamenti, trasferimenti, cambiamenti che il modello razionalistico e moralistico, per mantenere se stesso, non contempla e non accetta. Mutamenti che, quando non ne sappiamo riconoscere la biografia, non esitiamo a chiamare novità. Come a dire che ciò che ci hanno detto Gödel e la fisica quantica non solo va oltre una concezione del mondo sempliciotta, ma allude alla caducità del pensiero bidimensionale, di cui – penso si possa affermarlo – ne trova il limite e il conseguente terreno d’applicazione relativo alla sola vita amministrativa. Una critica che ha in sé il seme per avviare una cultura alternativa a quella in essere, idonea per generare le consapevolezze utili al miglioramento delle relazioni interpersonali e intrapersonali, per recuperare o raggiungere la condizione di armonia.

Non solo. Dalle dinamiche dei grandi numeri possiamo osservare che tutti i perché ci sono già e così tutta la conoscenza, e hanno a che fare con l’infinito. Esse ci dicono che la vanità ci impedirà di esserlo, ci costringerà a seguire tracciati noti, ci costringerà alla ripetizione e all’alienazione, ci impedirà la realizzazione di noi stessi, ovvero, di vivere una vita piena, creativa, armonica. Se la vita durasse un istante, chi lo vorrebbe passare in pena? E chi in armonia?



Siamo creatori

Ritornato a terra, l’astronauta Buzz Aldrin ha detto che guardando a noi da lontano, pensava alla Terra come a un’oasi di pace, che se fosse venuto da altri mondi si sarebbe sorpreso di tanto dolore che la abita. E noi, immaginando altri pianeti abitati, li immaginiamo abitati da entità in conflitto? O possiamo sospettare altre modalità di vita? Forse sono sufficienti questi interrogativi per cogliere la concreta opportunità, già in noi, per vederci tutti terminali di una sola vita, per vedere che la storia sarebbe privata dell’energia conflittuale che la alimenta appena prendiamo le distanze dai nostri sentimenti, dall’importanza personale, appena cioè cessiamo di credere di avere da difendere idee e cose, in nome di cui sopraffare o farci sopraffare.

Non lo sapevamo, ma in fondo avevamo a che fare con assiomi, supposizioni, superstizioni, tutti espedienti autoreferenziali, tutti investiti di sapere e colmi d’intelligenza, che per la solita egoica vanità avevamo scambiato per verità.

Lorenzo Merlo




Kundalini e la realtà dell'immateriale



Il paranormale ha la sua realtà. Il termine “paranormale” indica un altro livello di realtà: quella immateriale. Per la mente realtà e materia sono diventati sinonimi, ma non lo sono. La realtà è molto più vasta della materia. La materia è solo una dimensione della realtà. 

Anche un sogno ha la sua realtà. Non è materiale, ma non è irreale. È solo un’altra dimensione della realtà.

Anche un pensiero ha la sua realtà, sebbene non sia materiale. Ogni cosa ha la sua realtà e ci sono livelli di realtà, gradi di realtà, dimensioni di realtà diversi. Ma per la mente la materia è diventata l’unica realtà, perciò quando diciamo “paranormale”, quando diciamo “mentale”, si pensa subito a qualcosa di irreale.

La kundalini è simbolica, è paranormale: la realtà è paranormale. Ma il simbolo è qualcosa che è stato aggiunto, non è una sua parte integrante. 

Il fenomeno è paranormale. Qualcosa sorge in te, senti che qualcosa di molto potente si sta risvegliando. Qualcosa dal basso si muove verso la mente. È una penetrazione potente. Puoi sentirla, ma quando devi esprimerla usi un simbolo. Anche se cominci a comprenderla, usi un simbolo. E non lo usi solo per esprimere il fenomeno agli altri. Tu stesso non puoi capirla senza usare un simbolo.

Quando diciamo che “sale”, anche questo è un simbolo. Quando diciamo “quattro”, anche questo è un simbolo. Quando diciamo “alto” e “basso” sono simboli: nella realtà niente è alto e niente è basso.

Nella realtà ci sono sensazioni esistenziali, ma non ci sono simboli attraverso i quali comprendere ed esprimere queste sensazioni. Perciò quando arrivi alla comprensione, usi una metafora. Dici: “È come un serpente”. E diventa come un serpente. Assume la forma del simbolo che hai creato, comincia ad apparire come l’hai descritta. Le dai una forma particolare, altrimenti non riusciresti a comprenderla.

Quando la tua mente percepisce che qualcosa ha cominciato ad aprirsi e a fiorire, sei costretto a trovare un modo per dare forma a ciò che sta accadendo. Nel momento in cui arriva al pensiero, il pensiero usa le sue categorie. Quindi dici “fioritura”, “apertura”, “penetrazione”. La cosa in se stessa può essere compresa attraverso molte metafore, ma la metafora dipende da te, dipende dalla tua mente. E ciò da cui dipende è legato a molte  cose, ad esempio alle tue esperienze.

Tra duecento, trecento anni, è possibile che sulla Terra non ci saranno più serpenti, perché l’uomo elimina ogni forma di vita antagonista. A quel punto il termine “serpente” avrà solo un valore storico, qualcosa che esisterà unicamente nei libri. Non sarà una realtà. Perfino oggi non è molto reale per la maggior parte della gente. 

A quel punto la bellezza e la forza di questa immagine saranno perdute, morte, e si dovrà descrivere la Kundalini in un modo nuovo.

Potrebbe diventare “un aumento improvviso di elettricità”. Il termine “elettricità” sarà più congeniale, più adatto rispetto al termine “serpente”. Potrebbe diventare “come un aereo che decolla, o una navicella che parte per la Luna”. L’immagine della velocità sarà più adatta: come un aereo. Se riesci a sentirla e se la tua mente riesce a immaginarla come un aereo, diventerà simile a un aereo. La realtà è una cosa, ma la metafora la crei tu, la scegli in base alle tue esperienze, perché per te ha un significato.

Lo yoga si è sviluppato in una società agricola e perciò usa simboli agricoli: il fiore, il serpente etc. Ma sono solo simboli. Buddha non parla neppure di kundalini, ma se lo avesse fatto, non avrebbe usato il simbolo del serpente. E neppure Mahavira. Provenivano entrambi da famiglie reali e i simboli adatti ad altre persone non erano congeniali a loro: usavano altri simboli.

Buddha e Mahavira provenivano da palazzi reali dove non c’erano serpenti. Ma per i contadini il serpente era una realtà importante: non potevano rilassarsi, era pericoloso, dovevano starci continuamente attenti. Ma per Buddha e Mahavira i serpenti non erano una realtà.

Buddha non poteva parlare di serpenti, parlava di fiori. Conosceva i fiori, più di chiunque altro. Aveva visto moltissimi fiori, ma solo fiori vivi. I giardinieri del palazzo avevano ricevuto istruzioni dal re affinché Gautama non dovesse mai vedere dei fiori morti. Doveva vedere solo fiori giovani e freschi. Perciò durante la notte i giardinieri preparavano i giardini per lui. E la mattina, quando arrivava, non c’era nemmeno una foglia secca, o un fiore morto; vedeva solo fiori che si aprivano alla vita.

Perciò la fioritura per Buddha era una realtà diversa rispetto a ciò che è per noi. Quando si illuminò, parlò dell’illuminazione come di un processo simile alla fioritura di migliaia di fiori. La realtà è qualcos’altro, ma Buddha usò questa metafora.

Queste metafore non sono reali, sono immagini poetiche che corrispondono alla tua natura: tu appartieni a loro e loro appartengono a te. La negazione dei simboli si è dimostrata troppo drastica e pericolosa. Avete negato e rinnegato tutto ciò che non è materia e i riti e i simboli si sono vendicati. Ritornano, riescono a intrufolarsi ovunque. Nei vestiti, nei templi, nelle poesie, nelle vostre azioni. I simboli si vendicano e ritornano. Non possono essere negati, perché appartengono alla vostra natura.

La mente umana non è capace di pensare in termini puramente astratti, non le è possibile. La realtà non può essere descritta in termini di pura matematica: siamo capaci di descriverla solo attraverso i simboli. La capacità di creare i simboli è una caratteristica fondamentale della natura umana. In realtà solo la mente umana crea simboli, gli animali non sono in grado.

Un simbolo è un’immagine vivente. Quando ti accade qualcosa dentro, devi usare un simbolo esteriore. Quando cominci a sentire qualcosa, automaticamente crei un simbolo e nel momento in cui si crea il simbolo, la forza è plasmata attraverso di esso. In questo modo la kundalini diventa come un serpente. Diventa un serpente: puoi sentirla e vederla. E per te sarà più reale di un serpente vivo. Sentirai la kundalini come un serpente, perché non sei capace di sentire un’astrazione. Non puoi!

 



Questo è il paradosso, quando conosci qualcosa che non è un fatto materiale, ma che non è neppure immaginazione (ma è una necessità, è reale), devi trascendere il simbolo. Devi andare al di là e conoscere anche ciò che c’è di là.

Ma la mente è incapace di concepire l’al di là. E la mente è il solo strumento che abbiamo. Ogni concetto passa attraverso la mente. Perciò sentirai il simbolo e per te diventerà una realtà. E per un’altra persona diventerà realtà un altro simbolo, come è accaduto a te. Da qui nascono le controversie. Per ogni individuo il proprio simbolo è autentico, reale, ma siamo tutti ossessionati dalla realtà oggettiva. Deve essere reale per tutti, altrimenti non può essere reale.

Diciamo: “Questo giradischi è reale”, perché è reale per tutti. È oggettivamente reale. Ma lo yoga riguarda la realtà soggettiva. La realtà soggettiva non è reale come quella oggettiva, ma a modo suo è reale.

L’ossessione per l’oggettività deve essere abbandonata. La realtà soggettiva è reale tanto quanto quella oggettiva, ma nel momento in cui la crei, le dai un’impronta che è solo tua. Le dai un nome tuo, crei una metafora che è solo tua. Questo modo di percepire la realtà deve essere individuale. Anche se un altro ha la stessa esperienza, la vivrà in maniera diversa. Anche due immagini di serpente saranno diverse, perché la metafora è stata creata da due individui diversi.

Perciò queste metafore (il sentire che la kundalini si muove come un serpente, per esempio) sono solo simboliche. Ma corrispondono alla realtà. C’è il movimento, il sottile movimento, simile a quello del serpente. C’è la forza e il colore simile all’oro. Tutte queste caratteristiche corrispondono al simbolo del serpente. Se ti è congeniale, va bene.

Ma potrebbe non esserlo! Quindi non dire mai a nessuno che quello che è accaduto a te accadrà anche a lui. Non dirlo mai a nessuno! Può accadere e può anche non accadere. Il simbolo è adatto a te, ma può non esserlo per lui. Se riuscite a capire questo, non nasceranno controversie.

Le differenze si sono create a causa dei simboli.

Ogni esperienza soggettiva è tradotta in simbolo, ma qualunque nome o simbolo le attribuiamo, non è irreale. Per noi è reale. Perciò ognuno deve difendere i propri simboli, ma non deve imporli agli altri. Bisognerebbe dire: “Anche se tutti sono contro questo simbolo, a me è congeniale. Mi è arrivato spontaneamente, naturalmente. Il divino arriva a me in questo modo. Non so come arriva agli altri”.

Per questo esistono moltissimi modi per indicare queste cose, migliaia e migliaia di modi. Ma quando dico che è soggettivo, mentale, non mi riferisco solo al nome. Non è solo un nome. È la tua realtà. A te arriva in questo modo e non può essere diversamente. Se non confondiamo la materia con la realtà e non confondiamo l’oggettività con la realtà, tutto diventa chiaro. Ma se li confondiamo, le cose diventano difficili da capire.

Osho

Tratto da: Osho, Meditazione Dinamica, Edizioni Mediterranee