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La storia che il DNA ci racconta e la transgenetica


“Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove siamo. Altrimenti saremo solo come la rana del proverbio cinese che, dal fondo di un pozzo, guarda in su e crede che quel che vede sia tutto il cielo”. (Tiziano Terzani)

Bolla di Vita - Immagine di Daniela Spurio 

Il DNA, molecola della vita, presente in tutti gli organismi viventi, dialoga con l’ambiente e spesso si modifica per adeguarsi ai cambiamenti ambientali. Alcune di queste modifiche, invisibili, passano anche alle generazioni future. Il DNA dell’adulto è diverso da quello del giovane. La vita è una danza continua del DNA con tutte le altre componenti interne ed esterne all’organismo. 
Il DNA non è statico, costituito da una sequenza ordinata di geni (pezzi di DNA), così come si è pensato per molto tempo, ma è dinamico, costituito da un insieme di geni che possono mutare, spostarsi e collaborare con altri pezzi di DNA e fare altre cose ancora, a noi sconosciute. 
Queste nuove conoscenze sul DNA, ci danno la certezza che i geni non sono pezzi che possiamo spostare a nostro piacimento e soprattutto non li possiamo brevettare, come hanno fatto e continuano a fare molte multinazionali per geni umani e vegetali, per sfruttarli commercialmente. 
Si può brevettare qualcosa che garantisce una funzione costante in un tempo ragionevolmente lungo. Se non è così il brevetto è falso. Così tutti i geni brevettati sono dei falsi, come confermano alcune sentenze negli USA. Questo spiega in parte perché anche gli OGM sono dei falsi. Infatti, gli OGM sono instabili, tanto che gli agricoltori devono ogni anno acquistare i semi. Sono instabili per diversi motivi. Primo perché il transgene non è il gene originale, è un gene sintetizzato, approssimativamente simile a quello originale; secondo perché i legami che tengono il transgene unito al resto del DNA sono deboli; terzo perché all’interno del transgene ci sono dei punti particolari, detti punti caldi alla ricombinazione.
Tutto ciò sfascia gli OGM, rendendoli diversi da quelli costruiti dagli ingegneri genetici, con l’aggravante che il DNA transgenico, attraverso l’aria, l’acqua superficiale e profonda, ed il suolo, si ricombina al DNA di altri organismi creando nuovi virus, nuovi batteri e quindi nuove malattie. Se a ciò si aggiunge che non è vero che le colture geneticamente modificate (GM) fanno aumentare le produzioni o i redditi degli agricoltori, ma anzi fanno aumentare i costi di produzione con un maggior uso di prodotti chimici, venduti dalle stesse multinazionali, che inquinano l’ambiente, con ricadute negative sulla salute, sulla biodiversità e sugli ecosistemi, con estinzione di specie e formazione di super parassiti, possiamo concludere che gli OGM sono pericolosi e inutili. Che gli OGM non avrebbero permesso di ottenere i risultati previsti dalle multinazionali e, purtroppo, anche da alcuni scienziati, lo si sapeva già da quando si capì che i geni non sono indipendenti ma lavorano insieme e con l’ambiente. Considerando che una componente dell’ambiente è il cibo, si comprende perché alla base di molte malattie ci sono le relazioni con l’ambiente e l’alimentazione.
Abbiamo, dunque bisogno di sistemi agricoli, alimentari ed energetici sostenibili e non di sistemi agricoli industriali, inquinanti e che vogliono promuovere la coltivazione di OGM. 
Facciamo sapere queste cose anche alla Commissione Europea. 
La scienza regala fondi all’industria delle biotecnologie La nuova ricerca genetica invalida la scienza che regala 73,5 miliardi di dollari all’industria mondiale delle biotecnologie, confermando così perché la modificazione genetica è inutile e pericolosa. Abbiamo bisogno di realizzare sistemi agricoli, alimentari ed energetici sostenibili. E’ sbagliato continuare ad investire per una ricerca che oltre ad essere inutile è anche dannosa. 
Mae-Wan Ho


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Mio commentino: 
"Perché un bambino nato da donna è più vivo di un golem? Alla domanda è facile rispondere: perché un bambino è un organismo naturale in crescita che si adatta all’ambiente ed è in grado di rispondere alle sue sollecitazioni persino modificando, ove necessario, la sua struttura in funzione di un necessario cambiamento, mentre un “golem” ovvero un organismo costruito in laboratorio è mancante di questa capacità, esso è una struttura apparentemente viva ma che non sa rispondere a sollecitazioni diverse da quelle a cui è stato predisposta. 
Per questa ragione è preferibile che le modificazioni genetiche avvengano in un contesto di manifestazioni naturali e spontanee, come è accaduto nel processo evolutivo di tutti gli organismi viventi dall’inizio della vita sul pianeta. 
Se invece viene eseguita una modificazione arbitraria sul patrimonio genetico (attuata dall’uomo in funzione di un ipotetico miglioramento di “prestazioni” o “risultati immediati”) di alcuni organismi “utili” allo sviluppo della sua economia il rischio è che questa modificazione porti ad uno sconvolgimento nelle risposte globali di ogni altra forma di vita (poiché tutto è collegato), con conseguente possibilità di tracollo dell’ecosistema della Terra."

Paolo D’Arpini




Di questo e simili temi se ne parlerà durante l'Incontro Collettivo Ecologista, che si tiene a Vignola dal 22 al 23 giugno 2013.

Vedi: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2013/03/02/incontro-collettivo-ecologista-vignola-mo-22-e-23-giugno-2013-%E2%80%9Cecologia-profonda-e-bioregionalismo-per-la-riscoperta-dellidentita-locale%E2%80%9D/

La chiesa si prepara a cambiare l'impianto teologico del cristianesimo



Sono ormai diversi gli studi che vogliono smentire che nel vecchio testamento, conosciuto come Pentateuco per i cristiani e come Torah per gli ebrei, ci sia il racconto di una creazione voluta da un Dio. 

Per quanto nelle esegesi di carattere teologico si insista che il linguaggio biblico non è necessariamente solo quello storico, in quanto messaggio di ispirazione divina, di fatto troppe cose non tornano, a comunicare dalla differenza del Dio geloso, assassino e guerrafondaio del vecchio testamento ed il Dio amorevole e buono del nuovo testamento.  

La stessa chiesa comincia a prepararsi ad una riformulazione della Teologia e della Cristologia, per avviarsi verso una nuova religione, forse universale e trasversale di sapore new-age che si stacchi dal Dio cosi come ce lo hanno fatto conoscere e si concentri solo sul "messaggio" (amatevi) piuttosto che sul messaggero (io sono l'amore). Le dimissioni di Papa Ratzinger certamente hanno molte  motivazioni ma tra le tante forse c'è anche quella di non volersi prendere la responsabilità di questo traghettamento verso la nuova religione e il nuovo impianto teologico.

Certamente diverse affermazioni del papa "emerito" se analizzate razionalmente e mettendo da parte la fede per un attimo, fanno riflettere seriamente, si pensi alla circolare di non usare più il nome "Yahweh" nella pastorale, (e perchè mai ci chiediamo?), alla diverse affermazioni di prepararsi a un "Nuovo ordine Mondiale". 

Se i nostri sospetti sono fondati ci troveremo una Teologia monca, che taglia e separa nettamente il messia, il "Cristo" del nuovo testamento dal vecchio testamento nullificando l'attesa del messia salvatore. Non c'è più la profezia di Isaia, non c'è più la "radice di Jesse". Del resto alcuni studiosi  (Jim Marrs - Ellen  Van Wolde - Shlomo Sand ) confermano la non "divinità della creazione" della "Torah". 

Se si smentisce la Torah di fatto si smentisce anche il "pentateuco" perchè di fatto sono gli stessi cinque libri comuni alle due religioni. Una tra le tante illogicità sta proprio nel contrasto tra il messia (ebraico) che deve essere in linea genealogica e di sangue ebraico per poi arrivare a Giuseppe che invece è il padre putativo, ossia  non ha fatto niente perché il Cristo si è fatto carne per opera dello spirito santo, ossia per intervento diretto di Dio. 

Ci sarà un motivo perché gli ebrei di allora non lo hanno riconosciuto!! ed ecco perché anche oggi, se si confermano questi studi,  e gli ebrei non si pronunceranno per smentire, la Teologia e la Cristologia andrà riscritta escludendo il vecchio testamento ( quanto meno il pentateuco) e facendo consolidare l'impianto Cristologico solo attorno al messaggio evangelico orfano del vecchio testamento e quindi anche di "peccato originale" con tutte le conseguenze del caso.   

Giuseppe Turrisi


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Commento di Giorgio Vitali:

FINALMENTE CONFERMATO QUANTO DAL SOTTOSCITTO SEMPRE SOSTENUTO:il cristianesimo è nato dal CORPUS DELLE DOTTRINE NEOPLATONICHE ESPLICITATE NELLA BIBLIOTECA ( UNIVERSITA') DI ALESSANDRIA. I suoi creatori sono i filosofi alessandrini, che hanno ritenuto necessario costruire una FIGURA UMANA che contenesse CONCRETAMENTE tutte le virtù contenute nel vastissimo groviglio culturale costituito dalla KULTUR NEOPLATONICA. A questo "uomo" che è anche "LOGOS" non a caso, (essendo l'impersonificazione della "loro" idea di uomo/essere perfetto/DEUS) è stato messo il nome più comune dell'epoca yoshua, come dire Mario Rossi. COME DIRE: un uomo generico, uomo/tutti.Ma solo in un secondo tempo la MANO RAPACE di Lorsignori si è impossessata del personaggio inoculando in esso il veleno vaccinale del giudaismo. QUALI SONO I PERSONAGGI AI QUALI SI SONO ISPIRATI I FILOSOFI DI ALESSANDRIA? Presto detto: Platone (concetto di Amore=DIO), Socrate (ultima cena....), Pitagora ed i Misteri, Mithra ed il suo mito, ed infine SENECA! Loro contemporaneo. SOLO CHI NON HA LETTO SENECA NON PUò CAPIRE LA DIRETTA DISCENDENZA DELLA MORALE CRISTIANA DA QUELLA NEOPLATONICO-STOICA

Habemus papam - Don Paolo Farinella aveva profetizzato che il prossimo papa si sarebbe chiamato Francesco

E chi è questo? 


Ante Scriptum:

....è un'analisi sulle proiezioni "fantastiche"  che non sempre sono solo immaginazioni nel nostro pensiero, nel nostro sentire, il pensiero fantastico è mutevole ma attinge al  bagaglio dell'inconscio,  e lì tutto cova, a metà fra la fantasia e la "realtà". 

All'atto pratico si risolve tutto eliminando la fissità del credere unicamente nella "realtà oggettiva",  basata sull'attenersi ai fatti, accettando l'apparente incongruenza che li precede, in forma di fantasia (preveggenza).  
Questo atteggiamento è comunque utile  al mantenimento della congruità  della intelligenza coscienza nell'affrontare il contingente "storico". Insomma la "saggezza" è la capacità di vedere e vivere  le cose in "movimento".  
E qui qualcosa si muove!

(Paolo D'Arpini)


Se la fantasia è più vera della realtà!



HABEMUS PAPAM: FRANCISCUM!
IL NOME È UN PROGRAMMA,
ABOLIRÀ ANCHE IL VATICANO?

Si è avverata la profezia del mio romanzo Habemus papam, Francesco, riedito nel 2012 da Gabrielli Editori con il titolo «HABEMUS PAPAM. La leggenda del papa che abolì il Vaticano». Il nome c’è già. Ora aspettiamo che abolisca il Vaticano, se non lo fanno fuori prima. Le premesse ci sono, la primavera anche e Bertone e i suoi complici facciano le valigie.

Francesco è il nuovo vescovo di Roma, e di conseguenza, papa della Chiesa cattolica. Avevo cominciato a scrivere questo pacchetto dedicato alle elezioni italiane e alle sue conseguenze, martedì 12 marzo, ma mi attardavo in attesa dell’elezione del papa che finalmente è arrivata. Sentivo che mercoledì 13 sarebbe stata la giornata giusta. Se fossero stati due o tre scrutini, sarebbe stata la vittoria della curia, con l’elezione di Scola o di Scherer. Invece se si fosse arrivato al quarto o quinto scrutinio, la curia avrebbe perso terreno e avrebbe preso corpo un’altra possibilità. Così è stato.

Quando ho visto che il quinto diventava più lungo, ho capito che la scelta sarebbe caduta su un nome nuovo, senza legami con la curia (Scola) e il partito dello Ior (Scherer). Per tutto il giorno mi ronzava in cuore il nome del mio romanzo Habemus papam, «Francesco». Dicevo a me stesso: non è possibile! E’ un nome «maledizione», troppo impegnativo. Se il papa sceglie questo nome si condanna da sé a fare sul serio perché deve scegliere la povertà come criterio e metodo di vita; deve essere coerente: come può Francesco abitare in mezzo al lusso Vaticano? Può il papa essere «personalmente» povero, ma apparire «istituzionalmente» potente e ricco? Non licet! Ora non ci resta che aspettare. Intanto colpiscono alcune cose, che ai profani non saltano agli occhi perché non addentro alla simbologia e al rituale. 

Facciamo un po’ di esegesi di scavo:
1. Francesco si è presentato «nudo» con la semplice veste bianca, senza mozzetta rossa e senza stola, i simboli del «papa» e del capo di Stato Vaticano. La stola era piegata e portata dal cerimoniere, quasi a stabilire le priorità: prima la persona, poi il vescovo, poi il papa poi il capo si Stato.
2. L’immagine plastica dello «smarrito» cerimoniere, Guido Marini, genovese, tutto bardato di rossiccio, con un sorriso di circostanza, che guardava il papa con terrore, era la foto del cambiamento. Marini è stato l’artefice, anzi il complice di Ratzinger per riportare la Chiesa nel passato. Nel suo volto c’era lo smarrimento degli sconfitti tradizionalisti. Un buon inizio.
3. Il biglietto di visita di Francesco è stato un laicissimo «Buona sera!», rivolto ai «fratelli e sorelle».
4. Si è presentato non «al mondo», ma alla diocesi di Roma: «sono il vescovo di Roma». Ottimo!
5. Scandalizzando il cerimoniere che era fuori luogo e fuori posto, ha chiesto la benedizione al suo popolo, prima di dare la sua. Mai era avvenuto una cosa del genere.
6. Dopo 35 anni, per la prima volta, è risuonato in San Pietro, sulla bocca di un papa, il termine «popolo» che era stato espunto dai documenti ufficiali di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
7. La croce che ha al collo è di ferro e non di oro. «Signa temporum!».
8. Anche al mattino del 14 marzo è andato a S. M. Maggiore senza abiti pontificali, ma da semplice prete, vescovo, col solo abito bianco. Come se volesse dire: farò il vescovo e il resto verrà da sé.
9. Il suo passato, lascia ben sperare: a Buenos Aires, viveva in un appartamento e andava a farsi la spesa da solo e la sera si preparava da mangiare da sé. Viaggiava in metro e non aveva la macchina. Piccole cose, certo, ma sono una rivoluzione all’interno di un sistema di peccato come il Vaticano che ormai era la centrale di Satana e la fornace degli scandali di ogni ordine e grado.
10. Infine, un papa latinoamericano, è una svolta nella storia della Chiesa: finisce la Chiesa italiana, eurocentrica e comincia la Chiesa universale, la Chiesa della periferia, la Chiesa dei poveri, nella speranza che inizia anche l’era di una Chiesa povera.

Il papato di Ratzinger è stato solo una parentesi quadra che ha fatto perdere otto anni di tempo. Ora, in attesa che lo facciano fuori, speriamo che abbia la forza di fare piazza pulita, cominciando a dare un segno, chiamando in Vaticano, magari facendolo segretario di Stato, mons. Carlo Maria Viganò, quello che Bertone ha esiliato negli Usa perché aveva scoperto la corruzione con nome e cognome dei quaranta ladroni bertoniani & C. La primavera comincia con il primo fiore. Sperare è possibile! Rileggere «Habemus papam» è ancora più emozionante e terrificante

Don Paolo Farinella prete 

Non è la storia a dirci chi siamo... poiché noi lo siamo


Affresco di Carlo Monopoli


Ciao Paolo,
qualche domanda e qualche considerazione, di cui, una fondante. L'Uno può essere inteso alla stregua di Dio ma - e/o - come scopo individuale, cioè come possibile acquisizione umana. 

Nonostante le eventuali distinzioni tra le due opzioni, in ambo i casi si fa loro riferimento per immaginarne un'applicazione terrena, sociale che a loro "corrisponda".  Ciò, se ben intendo, può teoricamente e praticamente avvenire attraverso la consapevolezza condivisa dei nostri Sé, nei quali non faticheremmo a riconoscere l'Uno. A viverlo. A esserlo. L'"io" così svanisce. Così pure l'esteriorizzazione dell'Uno, quindi la Storia. Non era lei dunque a dirci come stanno le cose?

L'Assoluto che necessità ha di percepire se stesso?
Se Illuso e Illuminato sono necessari, non è questo un attribuire alla Storia la Verità?

Se siamo tutti Jnani e non possiamo essere diversamente, non è questo attribuire Verità alla Storia? Cioè non è attraverso una qualsivoglia biografia che possiamo sostenere che siamo tutti Jnani?

In sostanza, l'essere è la Storia. Così mi sembra si possa osservare. Così, eventualmente per l'essere dell'Uno, ammesso si voglia considerare essente l'Uno.

Secondo l'ordine dell'Uno esso si trasmette solo attraverso la Grazia.

Se le pratiche individuali non sono propedeutiche al ritorno, la non pratica - dell'illuso - ha ragione d'essere in  quanto diversamente non può fare, pur nel presunto libero arbitrio che ritiene di godere. Come potrà l'illuso sostenere l'Uno? Se l'Uno non ha necessità di essere sostenuto, perché ha necessità di vedersi riflesso nello specchio dell'esteriorizzazione?

Gioco cosmico, opposti necessari. 

Se l'assoluto non ha esigenze perché ha bisogno del gioco cosmico? Di nuovo, perché illuso e illuminato sono necessari?

Se invece la consapevolezza del Sé non comporta l'accesso all'Uno ma solo il senso di esso, forse ciò comporta una irrinunciabilità alla Storia, lasciando l'Uno come immanente ma non come essere.

Diversamente l'accesso all'Uno, anche solo momentaneamente, non può che avere valore sociale in quanto quell'esperienza è fonte di spinte storiche al bene. 

Allora, è ancora la Storia allora a dirci la Verità?

Grazie per l'ascolto
Lorenzo Merlo



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Risposta:


L'Essere, l'Assoluto, non ha esigenze e non è interessato  a conoscere se stesso, poiché  l'Uno  è inconoscibile a se stesso. In quanto non è oggettivabile.  

Nella proiezione duale dell'esistenza, ovvero dell'Uno che specularmente si trasforma in Due, tale oggettivazione e la conseguente necessità di conoscenza sorge come "urgenza" del riconoscimento di Sé. 

L'io vuole conoscere l'io è può farlo attraverso la sua manifestazione. In tal senso la storia (la memoria forse è termine più corretto)  ha un valore, poiché delinea il percorso nell'esistenza speculare. L'Essere, in quanto unica sostanza, è presente nel percorso che si svolge nella concettualizzazione, nello spazio-tempo, ma continua a mantenere la sua peculiare unicità ed assolutezza.  L'Essere è  la Consapevolezza che consente alla  coscienza,   di svolgere la sua funzione di "riconoscimento" nella esistenza... Ma non perde la sua Natura pur riflettendosi in innumerevoli forme, come il sognatore mantiene la sua Unità pur apparentemente trasformandosi nei personaggi e nelle immagini e nelle sensazioni del sogno. 

Ovvio che anche  questa descrizione, queste parole, sono parte del sogno, come lo chiami tu "storia". Ramana definisce questa capacità dell'Uno di apparire nell'esistenza "saguna" -il manifestarsi- mentre l'Assoluto immobile ed inconoscibile viene definito "nirguna" - immanifesto privo di qualità.

"A che pro?" Tu chiedi...   Ma a chi serve la risposta?

Alla stregua di filosofi sofisti parliamo in vari modi dell'astrazione e della trascendenza del pensiero, utilizzando il pensiero come base. Ci piace così... Ci illudiamo di voler "raggiungere" ciò che già siamo.... C'è meraviglia più grande di questa?

Paolo D'Arpini

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Replica di Lorenzo Merlo:


Ciao Paolo,

Ma come si fa senza storia, senza memoria a trattare l'Assoluto dell'Uno?
Forse (certamente) torneremo all'Uno anche da un coma inconsapevole di ogni sé, ma in quella condizione non lo tratteremmo. Solo trattandolo esso diviene essere. Trattarlo è storia, memoria, biografia.

"L'io vuole conoscere l'io è può farlo attraverso la sua manifestazione. In tal senso la storia (la memoria forse è termine più corretto)  ha un valore, poiché delinea il percorso nell'esistenza speculare."

"Storia unica verità" intende che quando possiamo condividere qualche aspetto delle realtà fisiche e metafisiche lo dobbiamo a lei. E che quanto la costituisce (qualunque essa si voglia considerare tale) ha avuto tutte le ragioni per essere stata. Che se vogliamo altro da quanto è stato è opportuno legittimare il passato, l'altro, piuttosto che colpevolizzarlo, negarlo, rinnegarlo. Nient'altro. E che quando non possiamo condividere, credere, vedere qualcosa, solo attraverso la storia potremo aggiornarci.

Nella precedente ti ponevo quelle domande in quanto evinte dal testo a proposito di Sri Ramana Maharshi. E' lì che si legge "Usando le parole stesse del Maharshi “consente all’Uno di percepire se stesso”. Se come mi scrivi l'Assoluto non ha necessità di conoscere se stesso, come interpretare le due posizioni?

Qualunque certezza, dubbio, consapevolezza, fede, sentimento o intuizione l'uomo possa esprimere, vivere, accade come prodotto  - momentaneo - della sua biografia. Diversamente si dovrebbe riferirsi all'innato. Questo, non è però estraneo alla biografia. Anzi nella sua misura la condiziona. Ma siamo ancora nella storia.

La biografia che afferma una posizione ne ha diritto, così pure la sua antagonista. Al loro confronto possono apparire, essere reciprocamente invere. Ritenere ve ne sia una definitivamente superiore è posizione prevista in ambito razional-positivista. Come perciò non ritenere nel vero colui che nega l'Uno? Senza l'"io" si potrebbe anche fare. Ma senza l'"io" non c'è l'altro cui concedere pari verità.

Posso condividere l'Assoluto e l'Uno ma non quando esso viene espresso. Nell'espressione esso decade a finito, per questo ti ponevo quelle domande.

La stessa percezione dell'Assoluto che non necessita che di supporti cosiddetti biologici ha in questi stessi supporti storici la sua possibilità d'essere.

Infine una questione dedicata al rischio di equivoco.
Si cita l'Uno per fare riferimento ad una condizione esperibile o per cosa?
Personalmente cito l'Uno in quanto raggiungibile, sebbene, come altre volte accennato non in forma permanente in quanto quella condizione è disponibile dalla nostra stessa emancipazione con l'"io" in poi. Momentaneamente in quanto senza "io", senza la separazione dall'altro, dal mondo,  non c'è lotta per la sopravvivenza. E le ragioni storiche la richiedono, anche al martire.
Dunque l'"a che pro?" forse è solo un problema che sorge all'infedele?

Ci illudiamo di voler "raggiungere" ciò che già siamo.... C'è meraviglia più grande di questa?

La mia opinione è che la realtà è maschera. Significa che ogni pertugio dal quale traguardiamo il mondo non può che essere preso per vero pur nella consapevolezza che a breve si chiuderà per spingerci ad un altro.

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Mia rispostina:

Caro Lorenzo, il momento che ci si mette a disquisire sull'io, scindendolo in un io che si riferisce ad un tu, tutte le opzioni sono possibili, poiché si mette in moto un meccanismo speculare dalle infinite possibilità e mutazioni. Che poi resti una traccia di questo percorso, definita "memoria" o "storia" non avvalora però l'insostanzialità del discorso. 

La sola sostanza, che sancisce la sostanzialità, è la coscienza attraverso la quale il discorso si manifesta. 

Se l'io è assoluto, uno in se stesso, ogni discorso decade, resta il silenzio,  l'immanifesto, e  la memoria in tale "stato" non può nemmeno apparire, non ha senso né funzione.  Nulla in verità  è conoscibile nell'uno. La cosiddetta "conoscenza"  è in verità "sogno", percezione  ed identificazione con gli oggetti nel gioco della dualità speculare, nel gioco dell'esistenza spazio-temporale, nella mente. Una palla di cristallo in cui tutto appare, compresa la stessa palla. Una sorta di caleidoscopio in continuo movimento che manifesta innumerevoli forme ed azioni.  Ed in questo la storia e la memoria hanno un "significato", ma è relativo e non può andare oltre la  funzione mnemonica. Un film del film.

Possiamo elucubrare a piacimento su ciò... ma a che pro? 

Cari saluti, Paolo  

"Chi sono io" - Il grande mistero della Presenza


Ramana Maharshi

Sri Ramana Maharshi ha detto che noi, ognuno di noi, siamo in essenza realmente Jnani (conoscitori della verità), che ci muoviamo con le gambe dell’esteriorizzazione (uscir fuori da sé) e dell’interiorizzazione (entrare nel proprio sé). Tutti noi viviamo sottoposti agli stessi imperativi, ci spingiamo verso la stessa realizzazione.
Senza l’esteriorizzazione non potremmo manifestarci nello specchio della creazione, che consente all’Assoluto di percepire se stesso. L’illuso e l’illuminato sono entrambi “necessari”. L’illuso non può scegliere. Il liberato non sceglie. Poiché non vi è “scelta”. Upadesha Saram descrive il sentiero del “ritorno a casa”. Leggere ed assorbire il suo significato vuol dire ricevere la “sua volontà liberatrice”, la sua Grazia (n. 13). Muruganar Sastri
Nota 13 – In verità Maharshi considerava ogni cosa come Grazia Divina. Allorché un suo devoto, Devaraja Mudaliar, si lamentò di alcuni fatti che disturbavano la sua quiete mentale e domandò se tali problemi significavano che Maharshi aveva ritirato il flusso della sua grazia, il Maharshi rispose: “Tu compagno pazzariello, i problemi o la mancanza di pace vengono solo a causa della Grazia” (Recollections, pag. 113).
……………….
Riflessioni sul testo:
Allorché Maharshi afferma che tutti sono Jnani evidentemente fonda tale affermazione nella coscienza Advaita (non duale) in cui esiste solo l’Uno senza un due, per cui ognuno di noi è considerato la manifestazione di quell’Uno e non può essere altri che Quello.
Ramana specifica ulteriormente che nel gioco della Coscienza l’Uno si proietta nel riflesso della mente e si percepisce come separato – questo processo è definito esteriorizzazione- ma allo stesso tempo sempre è in atto la spinta inversa all’interiorizzazione (ovvero del consapevole ritorno all’Unità primigenia).
Alcuni aspetti dello stesso Uno (che definiamo entità o persone) si manifestano come “illusi”, altri come “illuminati” -così appare nello specchio della mente- per espletare la “commedia” della creazione. Usando le parole stesse del Maharshi “consente all’Uno di percepire se stesso”. Il che significa che ai fini del gioco cosmico le parti antagoniste (gli opposti) sono necessarie.
L’ignorante non può scegliere, afferma il saggio, perché sospinto da una volontà, da una forza misteriosa in lui riposta che lo muove secondo le predisposizioni e qualità incarnate, una sorta di agire automatico che ha però la parvenza della manovra volontaria, derivante dalla sensazione che noi definiamo “libera scelta”. Ma pur essendo apparentemente risultato del nostro “arbitrio” l’azione compiuta e le sue conseguenze, sono in verità una semplice proiezione della forza energetica dell’Uno (Shakti).
Il conoscitore dell’Uno (Jnani), che è l’Uno stesso in Coscienza, e quindi aldilà di ogni senso di limitazione, e privo della nozione di “meglio” o “peggio” “giusto” o “sbagliato”, non sceglie, ed in effetti cosa e come potrebbe scegliere se è lui stesso presente in ogni cosa?
Il problema dell’incongruenza di tali affermazioni è solo nella mente del “cercatore spirituale”, il quale viene “invitato” ad esercitare disciplina ed autocontrollo per compiere il “ritorno a casa”, egli perciò ritiene che le opere, le pratiche, da lui portate a termine siano funzionali a quel “ritorno”, in effetti son solo “un segnale” del ritorno ed assolutamente non propedeutiche ad esso.
E poi definirlo “ritorno” è alquanto fuorviante –essendo un termine adatto alla mente duale che ritiene di concludere un percorso- infatti come si può “tornare” a ciò che si è sempre stati? Ma nella condizione presente non possiamo far a meno, utilizzando il linguaggio che è una forma di condivisione e comunicazione nella dualità, di esprimerci “assurdamente”….
Resta il fatto che la consapevolezza non duale del Jnani, essendo incomunicabile a parole, può essere trasmessa solo in forma di “grazia” (noi diremmo anche “amore” o “compassione”), tale Grazia è la costante e reale natura dell’Uno quindi non può esserne mai interrotto il flusso.
Lo stato del Jnani, e la Grazia da lui emanata, non è dispensazione o favore dall’Uno ai molti… è il semplice permanere nella propria natura, totalmente ed assolutamente Una e perciò indistinguibile, e che non può essere suddivisa in “gradi”. In tal senso la presenza del Jnani viene paragonata alla Presenza Divina. E chiunque entra consapevolmente in quella Presenza in essa viene assorbito e riconosce se stesso.
Questo è il grande mistero della Presenza.
Paolo D’Arpini

"Ecco la mia persona, senza infingimenti" - Autoritratto psicologico di Riccardo Oliva




Ci sono individui che tendono a creare stereotipi etichette molto superficiali senza andare ad indagare, limitandosi ad osservare l'ego senza conoscere il sé di chi si va ad attaccare, cioè l'universo che ognuno di noi rappresenta e dove convivono in diverse misure lo Yin e lo Yang, cioè il bene o il male.

Io ho un bagaglio spirituale e culturale in cui  mi piace  dimostrare apertamente quel che sono, in tutta  onestà intellettuale, trasparenza e solarità, e non mi sembra di aver mai nascosto le mie idee.

Io rispetto la gerarchia: perché la gerarchia è per me una cosa naturale e non imposta come si crede, è una qualità che determinate persone hanno di essere riconosciute come guide da altri che ne rimangono affascinati e non si necessita di fucili puntati per avere riconosciuta dagli altri questa autorevolezza.

Io credo nella diversità: non siamo tutti uguali ognuno ha delle proprie peculiarità e caratteristiche ben precise che lo rendono assolutamente UNICO. Ciò che non esiste è la netta separazione tra queste differenze quando si raggiunge la consapevolezza olistica dove tutto è collegato ed ha una relazione intima con tutte le singole parti. Ma è un processo in divenire che non si ferma mai altrimenti la ricerca che ognuno intraprende nella sua vita per andare oltre quell'abito corazza che ci riveste, avrebbe poco senso.

Io credo in una forza necessaria da utilizzare in talune situazioni ma mai nella violenza effimera, prepotente o gratuita (visto che esiste anche una violenza psicologica ben peggiore a volte di quella fisica) vuol dire che alla maniera di Gandhi esistono tre tipi di fermezza: quella del forte, quella dell'opportunista e quella del codardo. Io appartengo alla prima perché mi sento un guerriero spirituale che diventa impersonale per servire una causa (ad esempio quella contro  la sofferenza animale, in un altro potrà essere la difesa degli alberi o di un ecosistema ma anche di un popolo, cioè di tutto quel complesso che si chiama VITA)

Dire guerriero non significa amare la guerra, ma sia la guerra che la pace sono semplicemente stati temporali che fanno parte della Natura stessa e che bisogna considerare solo quando hanno a che vedere con quella precisione dimensione in cui si manifestano. Quindi non sono di certo a favore della guerra comunemente intesa, ma la penso sicuramente come Arjuna, Sun-Tzu e Mishima che hanno rilevato in questa una dimensione sacra, quella che oggi si ignora e che non esiste più. 

Detto questo però sono a favore della pace ma giammai del pacifismo che è un'ipocrisia dei tempi moderni e che ha permesso alle democrazie, cioè ai vigliacchi di ogni razza, di poter dichiarare indisturbati una guerra sottile, standardizzata e omologante, contro le differenze e le identità dei popoli della terra e soprattutto contro il nostro spirito, perché come ricorda il grandissimo Ermete il Trismegisto ciò che in alto è come ciò che in basso è ciò significa che il primordiale campo di battaglia in cui si è in guerra si trova dentro noi stessi.

Se questi pochi e affrettati pensieri  riescono a delineare un quadro di chi sono io (cioè la mia maschera, la mia persona), cioè riescono questi input a categorizzarmi, a darmi un'etichetta necessaria, un colore ideologico e quant'altro, grazie a concetti e parole che non dicono niente sulla mia vera natura, allora prendeteli per buoni. Datemi pure -se così vi aggrada-  del fascista, nazista, razzista, sessista ecc. cioè tutti quei nomignoli, quegli ismi intrisi di odio, che servono al sistema e alla stampa di regime per governare al meglio con il divide et impera che allontana dal vero nemico che oggi sta distruggendo tutto ciò che ci circonda. 

Il mio è comunque un invito ad andare oltre il giudizio ideologico, a non considerare "l'idea" come uno steccato separativo,  ma  a conservare  la capacità di reciproco rispetto, maturando così la  consapevolezza e la conoscenza profonda di Sé, un Sé che va molto oltre le apparenze e le divergenze, poiché è quello stesso Sé, presente in ognuno,  che ci rende singolarmente  esseri irripetibili in natura.

Io non mi nascondo, sono così senza  veli, guardo in faccia chi mi si presenta, se mi  accetta bene, altrimenti c'est la vie!

C'è un detto taoista che dice "chi vuol convincere e ottenere non convince e non ottiene" quindi   se non ci si mette nella parte dell'avversario  non si potrà mai convincerlo (vincere insieme a lui).

Cordiali saluti, Riccardo Oliva
Presidente di Memento Naturae
Volontari a Difesa di Ciò che è Vita!

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Commento di Lorenzo Merlo:


Ciao Riccardo,
grazie per le tue interessanti note.
La mia ha come fulcro il tuo conclusivo "convincerlo".

Per "vincere insieme a lui" è necessario legittimarlo, apprezzarlo, amarlo.
Per fare ciò è necessario attribuire alla storia (qualsivoglia storiografia si voglia adottare) la verità. Non solo. Esse - le storiografie - necessitano di pari dignità. Diversamente come potremmo alarle, condividerle. Diversamente, come potremmo credere nella nostra?

Se per convincerlo dobbiamo dunque ascoltarlo al punto da poter entrarci (ogni processo fondatamente didattico si risolve in questo), il "così in alto come in basso" non può restare argomento a favore soltanto della nostra prospettiva.  In quella formula vi è forse anche l'accenno che l'equilibrio è nel mezzo. Diversamente, l'illuminato come potrebbe essere se privato della feccia di cui si nutre?

Così avanzando, diviene comprensibile come l'uomo storico possa trovare eccessivo qualche nostro presunto "ismo" fino al punto da creare - noi e lui insieme - qualche ambito/dinamica capace di allontanarci dal nostro ambito/dinamica prediletta, quella dove "tutto" funziona. Fino al punto da provocare in noi comportamenti anche del tutto estranei al nostro io, ma del tutto opportuni ed idonei - almeno in quel momento - a difenderlo.

In quell'istante scade il mandato di "uomo giusto" che pensavamo di poter vantare per divenire oggetto della storia, ne più ne meno di ogni altro "ismo".

Grazie per l'attenzione
Lorenzo Merlo - 110313

Trapianti ed espianti (a cuore battente) - Come la scienza uccide in nome della vita


Il castello del mago - Dipinto di Franco Farina

Per me la storia dei trapianti porta diritto al centro nerissimo dell'epoca nera in cui viviamo... età oscura, Kali Yuga o in qualunque altro modo vogliamo chiamarla... e non è questione di ebrei - i peggiori tra loro sono eventualmente, anche in questo, solo i maestri della dissoluzione... e neppure, come spesso dico, del Nord e dell'Occidente del mondo...  

Pensate ai cinesi, coi loro centri di espianto annessi ai laogai... no, no, è l'individuo senza quasi più distinzioni, a 360°, che ormai è capace di ogni atrocità sui suoi simili e (mostruosamente peggio) sugli animali non umani, pur di far sopravvivere qualche anno in più la sua carcassa derelitta... shylock miserabile, falso, egoistissimo, osceno. 

E Gaza è il mondo."(1) Tutto vero, ma è necessario sottolineare quella specifica, orripilante "maestria". Te li ritrovi, i mostri lovecraftiani, puntuali come cucù da morgue, pressocché in ogni caso di predazione e messa all'asta di organi. Non mi stupirebbe affatto se un giorno risultasse che i committenti degli stessi criminali di Stato a mandorla(2) o, che so, dei mafiosi (e devoti sciiti) torturatori-espiantatori kosovari(3) sono per lo più giudei... 

E' una loro orrida "specializzazione" che, va sans dire, ha la sua base ideologica lontana ma sempre incombente nei litolibri(4)

I goyim, animali parlanti, asini da soma(5), mostrando comunque una notevole similitudine morfologica con gli eletti, i cui sacri cadaveri, si sa, non si devono tagliare, è bene che servano la schiatta neandertaliana anche in quanto potenziali "donatori". Se "volontari" (tipo i disgraziati moldavi), significa (la promessa di) 20.000 $ per un incasso che va dai 110.000 ai 137.000(6); altrimenti, un colpo alla nuca, come in Palestina, e via subito verso la clinica - dal ricavato bisognerà solo sottrarre il costo della pallottola e della benzina, oltre all'onorario del chirurgo. A proposito: "Le operazioni illegali in Sudafrica hanno" anche "incluso la rimozione degli organi da cinque bambini"(7).

Joe Fallisi


NOTE