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Galileo Galilei ed il viaggio quantico


Galileo Galilei, inquisito


Nel 1623 Galileo pubblica "Il Saggiatore" (dal nome di un bilancino di precisione, contrapposto idealmente alla libra, bilancia approssimativa tal quale, a suo dire, il pensiero aristotelico). 

Curioso a dirsi, per una volta lo scritto non incontra l'ostilità del papa (che all'epoca, dopo la morte del già inquisitore Bellarmino, è Urbano III), anzi una certa benevolenza degli ambienti ecclesiali. Forse perché Galileo include certe posizioni filosofiche le quali benché di origine sperimentale (benché simili al genere dell'"esperimento mentale, poi tanto caro ad Albert Einstein) sfociano in conclusioni in qualche modo compatibili con l'idealismo.


Quali sono, si chiede l'autore, le qualità veramente oggettive del mondo? Per poterle dire proprie degli oggetti esse devono risultare indipendenti dagli accidenti dei sensi. Poniamo il caso del colore di un oggetto: esso dipende dal meccanismo della visione oculare, tant'è vero che se un uomo fosse cieco, o gli fossero stati cavati gli occhi, non vedrebbe alcun colore. 

Non si tratta dunque di una proprietà intrinseca dell' "ente in sé", bensì della specifica relazione sensoriale tra osservatore ed osservato, la quale nemmeno esiste se si immagini il caso in cui l'organo di senso sia eliminato. Parimenti si può dire dei suoni.


Procedendo in modo un po' macabro su questa linea di pensiero lo scienziato pisano immagina cosa accadrebbe se un essere umano fosse privato di occhi, naso, orecchie, lingua, epidermide, e, ormai privo di organi di senso, possa comunque il suo cervello continuare a pensare, non essendo morto.


Che cosa rimane a quel punto che sia studiabile e comprensibile? 

In modo analogo a quanto fece qualche decennio più tardi Locke, Galileo dichiara sopravvivere le qualità cosiddette "primarie", che sono a suo dire la forma geometrica dei corpi, il numero delle parti che li costituiscono, la loro condizione di quiete o movimento, tutti oggetto di studio di matematica, geometria e fisica.


L'argomento, in realtà, appare piuttosto debole ed arbitrario, attraverso il tentativo si separazione tra diverse funzioni organiche umane. Se proviamo a distinguere nella fisiologia umana funzioni primarie (quelle indispensabili alla sopravvivenza) e secondarie, possiamo qualificare primari gli organi della circolazione sanguigna o della respirazione, ma non propriamente il cervello, perlomeno riguardo le sue attività coscienti, come dimostrato dal fatto concreto che un essere umano può sopravvivere (in certi casi anche a lungo, e talvolta riemergendone in secondo tempo) in stato di coma, nel quale l'attività cosciente manca. 

Dunque, è scelta completamente immotivata e arbitraria quella di qualificare primarie le qualità superstiti attraverso l'attività cerebrale cosciente piuttosto che quella visiva o uditiva.

Ma c'è di peggio. Nell'ipotesi espressa di un umano privato degli organi di senso benché ancor vivo con cervello cosciente in funzione, gli elementi citati come primari (geometria, numero delle parti, stato di quiete o moto) vengono a mancare del loro fondamento, ovvero degli elementi sensoriali che permettono la formazione stessa di questi concetti immaginati quali oggetti di studio: non ci si può costruire alcuna idea di forma, partizione, quiete o moto senza poter vedere, toccare o in qualche modo percepire attraverso le relazioni sensoriali, e tutta la teoria delle qualità "primarie" quali oggettive crolla senza scampo.


Naturalmente, si può immaginare che un uomo abbia formato tali concetti prima di venire privato dei sensi, e possa dunque continuare ad elaborarli, allo stesso modo di Beetheoven che continuò a comporre musica (ottima) pur non potendola sentire, poi che era divenuto sordo.


Ma in tal caso, lo stesso ragionamento si può riapplicare anche alle altre qualità (e la citazione non casuale dell'opera di Beethoven lo conferma): una volta formati i concetti dedotti dall'elaborazione delle informazioni originali sensoriali, essi possono venire elaborati e studiati anche quando non vi siano più segnali.


Dunque, in effetti, tutti i concetti ideali si fondano su una origine sensoriale, ed esprimono nient'altro che qualità relazionali tra l'essere umano e l'ambiente, senza alcuna qualità "oggettiva" che possa essere riferita all'oggetto in sé, privato di alcuna osservazione.


Il che risulta sempre più evidente nella fisica moderna, giacché lo studio quantorelativistico di campi e particelle mostra niente altro che una complessa rete di relazioni/trasferimenti energetici, e niente altro.


A Galileo, così come ai filosofi, gioverebbe probabilmente la lettura non solo della fisica moderna, ma anche di opere quali "la politica dell'esperienza", nella quale l'antipsichiatra scozzese Ronald Laing analizzava con cura le fenomenologie del nostro sentire e pensare.


Con le quali direi che la cultura contemporanea farebbe bene a ri-familiarizzare meglio, in modo da riconsiderare la vita e l'esperienza umana nella sua vastità, non comprimibile entro stretti recinti culturali, politici o filosofici. L'intero mondo delle sensazioni e dei pensieri non è che un mondo di relazioni, di una vastità e varietà senza fine, senza le quali peraltro non sopravvivono né esperienza né conoscenza né pensiero.

Vincenzo Zamboni


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