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Il caso Giordano Bruno....

 


Il caso Giordano Bruno è emblematico perché all'origine di un pensiero realmente alternativo a quello post-scolastico che ancora ci perseguita. Possiamo dire che soltanto F.Nietzche ha rappresentato un punto d'arrivo del processo di evoluzione su base scolastica, e non a caso il suo momento ha coinciso coll'incontro della filosofia con la fisica post-quantistica. 

[Doxogr.303]: Eraclito afferma il fuoco periodico eterno (essere Dio) e la sorte esse Logo (= legge cosmica) demiurgo delle cose esistenti, dall'attirarsi dei contrari... [ Dox 323 da Posidonio ]: Eraclito insegnava essere essenza della sorte quel Logo che permea attraverso l'essenza del Tutto. E' essa il Corpo Celeste, seme della genesi del tutto e misura del periodo prestabilito.  [Dox.331]: Eraclito (dice) non secondo il tempo esser generabile il Cosmo, ma secondo il pensiero...(distinzione neoplatonica). 


Con Giordano Bruno sfuggiamo dallo schematismo del pensiero imposto dalla mitologia biblica per entrare in una visione che supera la logica dialettica. Questo è un punto di arrivo a cui è giunto il pensiero scientifico chiamato relativistico perché sfugge alle coordinate della logica razionale/razionalista. 

Giorgio Vitali









Post scriptum: 

"Il mio richiamo a Eraclito di Efeso, ed ai suoi echi Plotiniani non è casuale... Per quanto riguarda il relativismo, mi sono riferito alla Teoria della Relatività einsteiniana e non al relativismo dei dati ottenuti dall'esperienza. La quale è comunque molto incerta. Il superamento della fisica classica, questo è il punto essenziale, significa il superamento della statica scolastica, e quindi del cartesianesimo, come ci dimostra la concezione olografica dell'Universo."

Le bugie hanno le gambe corte...?



Buona parte di noi utilizza le bugie nel discorso comune. Le bugie hanno un loro spettro ontologico. Vanno dal taciuto al detto premeditatamente equivoco, dal diversivo allo strumentalizzato, dalla negazione all’invenzione.

A dire il vero, più che buona parte di noi – che è una bugia – si dovrebbe dire tutti noi, circostanza permettendo. Per circostanza si intende una forza superiore alla nostra che non è mai stabile ma sempre variabile.

La circostanza è a suo modo, la sede latente della dimostrazione dell’identicità degli uomini. Sul grande palco della realtà, recitiamo il ruolo opportuno a sostenere la nostra identità, autostima, valore, orgoglio, il nostro io. Un ruolo che può essere del buono o del cattivo, del censore e del libertario, del bigotto e del libertino, della vittima e dell’aguzzino, secondo circostanza appunto, proprio come un vero attore.

Coloro che dissentono dalla rotazione dei ruoli, perché “a me non è mai successo”, e vantano rettitudine, stanno pensando alle occasioni in cui hanno potuto mantenere la propria coerenza valoriale, ma non a quelle in cui, agguantati dall’opportuna circostanza, hanno innocentemente vestito panni altrui.

Circostanza permettendo arriviamo a tutto. Per osservare la banalità di questa affermazione è sufficiente ascoltare la cronaca, la storia grande del mondo e quella piccola della nostra biografia. Circostanza permettendo infatti, abbiamo fatto e affermato ciò da cui poi abbiamo preso le distanze, abbiamo negato noi stessi.

Abbiamo travalicato la dirittura morale che a freddo sosteniamo di seguire.

Abbiamo preferito fuggire invece di affrontare.

La circostanza è un contesto non protocollabile. In quanto ognuno è in inconsapevole attesa della propria, la cui caratteristica è essere sempre su misura.

Tuttavia se ne possono individuare anche prête-à-porter, da tonnara, ovvero idonee a infrangere molto facilmente le basse protezioni etiche di molti di noi.

Dedicare attenzione alla circostanza è filosoficamente e spiritualmente necessario. Fermarsi al piano morale, al giudizio, alla condanna o, all’opposto, al senso di colpa, non è funzionale all’evoluzione individuale – che vuol dire sociale – ma alla guerra.

Dunque, sebbene implicato, non interessa qui il riflesso che induce a concludere che, con la scusa della circostanza propiziatoria, siamo tutti assolti.

Non interessa in quanto dovremmo prima definire un criterio meritocratico profondo, che contempli e coniughi la genetica e l’epigenetica, la condizione familiare e quella scolastica, i traumi subiti e le fortune accadute, le malattie patite e il benessere goduto, il contesto geografico e quello storico. Ma sarebbe una modalità di grande soddisfazione soltanto per gli scientisti. Essa sarebbe disumana, a meno di credere fermamente nel meccanicismo o in farse di potere norimbergariane. Nelle norme, sempre autoreferenziali, non si può comprimere la serenpidità quantica della vita.

Al di là di quanto precisato. E al di qua della base distintiva di ognuno, che permette definizioni quale coraggioso, pusillanime, codardo, saturnino, pacioso, riflessivo, impulsivo, eccetera, si può affermare che buona parte di noi utilizza le bugie nel discorso comune. Non ne può fare a meno. Ne dipende. Senza esse sarebbe nudo,  sarebbe un altro. Sarebbe morto.

Il motivo che possiamo addurre alla nostra mancanza di verità, ammesso la si voglia definire così, è di due tipi. Uno, consapevole e argomentabile, ha la tendenza interna a salvaguardaci dalla mancanza stessa, a sostenere la necessità della bugia pronunciata, in quanto funzionale al mantenimento dell’immagine che abbiamo di noi stessi, e a quella con cui cerchiamo di essere riconosciuti quindi, alla ricerca del buon giudizio del prossimo. L’altro, è facilmente inconsapevole e allude a un’immaturità, all’inadeguatezza, alla fuga dal confronto col prossimo.

È noto a tutti infatti che ciò per cui mentivamo prima e non mentiamo più riguarda soltanto la nostra capacità di assumerci la responsabilità del nostro fare, l’emancipazione dal giudizio altrui, l’idoneità a essere noi stessi. Cioè lo svincolo da certe consuetudini che, come una forza maggiore, ci imponevano comportamenti allineati, anche ben prima della grave moda del politicamente corretto, della cosiddetta inclusività tout court.

Ma c’è un aspetto ulteriore che si può aggregare all’argomento dei bugiardi.

Utilizzare la bugia in modo ordinario nei nostri discorsi è sempre un’energia rubata. Un atto di tipo sottile che ci appare innocuo. Ma che, invece ci allontana dal flusso energetico che tutto compone. Inquina le relazioni, impone recitazioni.

Mentire non è solo venire meno al proprio sé, non è seguire vie senza un cuore, né brutalizzare i propri sentimenti, è venire meno al bene comune.

Utilizzare le bugie nel discorso ordinario costituisce una garanzia al ripetersi del ciclo della menzogna come e alla sua misera educazione. La bugia è un mattone con cui erigere la Torre di Babele.

Lorenzo Merlo



Il pensiero non dualistico di Nisargadatta Maharaj...

 


"La maggior parte dei libri religiosi dovrebbe rappresentare la parola di una persona illuminata. Comunque una persona illuminata dovrebbe parlare sulla base di certi concetti che trova accettabili. Ma la notevole distinzione della Bhagavad Gita è che il Signore Krishna ha parlato dal punto di vista che lui è la fonte di ogni manifestazione, cioè dal punto di vista non del fenomeno, ma del noumeno, dal ... punto di vista "la manifestazione totale sono Io stesso".
Questa è l'unicità della Gita. Considera cosa deve essere accaduto prima che qualsiasi antico testo religioso fosse registrato. In ogni caso, la persona illuminata deve aver avuto pensieri che deve aver messo in parole e le parole usate potrebbero non essere state del tutto adeguate per trasmettere i suoi pensieri esatti.
Le parole del maestro sarebbero state ascoltate dalla persona che le ha registrate, e ciò che ha registrato sarebbe stato sicuramente secondo la sua comprensione e interpretazione. Dopo questa prima annotazione manoscritta, varie copie sarebbero state fatte da più persone e le copie avrebbero potuto contenere numerosi errori. In altre parole, ciò che il lettore legge in un determinato momento e il tentativo di assimilare potrebbe essere molto diverso da quello che era veramente inteso essere trasmesso dal maestro originale.
Aggiungete a tutto ciò le interpolazioni inconsapevoli o deliberate di vari studiosi nel corso dei secoli, e capirete il problema che sto cercando di trasmettervi. Mi è stato detto che lo stesso Buddha parlava solo in lingua maghadi, mentre il suo insegnamento, come registrato, è in pali o in sanscrito, cosa che avrebbe potuto essere eseguita solo molti anni dopo; e quello che ora abbiamo del suo insegnamento deve essere passato attraverso numerose mani. Immagina il numero di modifiche e aggiunte che devono essersi introdotte in esso per un lungo periodo.
C'è quindi da meravigliarsi che ora ci siano divergenze di opinione e controversie su ciò che il Buddha ha effettivamente detto o intendeva dire? In queste circostanze, quando vi chiedo di leggere la Gita dal punto di vista del Signore Krishna, vi chiedo di rinunciare immediatamente all'identità con il complesso corpo-mente durante la lettura. Vi chiedo di leggerlo dal punto di vista che voi siete la coscienza animatrice - la coscienza di Krishna - e non l'oggetto fenomenico a cui dà la sensibilità - in modo che la conoscenza che è la Gita può esserti veramente rivelata. Capirai allora che nel Vishva-rupa-darshan ciò che il Signore Krishna mostrò ad Arjuna non era solo il suo Svarupa, ma lo Svarupa - la vera identità - di Arjuna stesso e quindi di tutti i lettori della Gita.
In breve, leggi la Gita dal punto di vista del Signore Krishna, come la coscienza di Krishna; ti accorgerai allora che un fenomeno non può essere "liberato" perché non ha esistenza indipendente; esso è solo un'illusione, un'ombra.
Se la Gita viene letta con questo spirito, la coscienza, che si è erroneamente identificata con il costrutto corpo-mente, diventerà consapevole della sua vera natura e si fonderà con la sua fonte".
Nisargadatta Maharaj

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Il Guru secondo Nisargadatta Maharaj

 


Visitatore: che rapporto c'è tra il Guru interiore e quello esterno?
Nisargadatta: quello esterno rappresenta l'interiore mentre quest'ultimo accetta quello esterno, per un po' di tempo.

V.: chi compie lo sforzo?
N.: il discepolo, naturalmente. Il Guru esterno dà le istruzioni, quello interiore la forza; l'applicazione attenta è del discepolo. Senza volontà, intelligenza ed energia da parte del discepolo, il Guru esterno non può far niente. Il Guru interiore, invece, offre una possibilità. L'ottusità e gli errori nella ricerca causano una crisi e il discepolo si risveglia, rendendosi conto del pasticcio in cui si è messo. Saggio è chi non aspetta questo risveglio, che può essere molto brusco.

V.: è una minaccia?
N.: non una minaccia, un avvertimento. Il Guru interiore non fa voto di non-violenza. A volte può essere molto violento, fino al punto di distruggere una personalità ottusa o perversa. I suoi utensili da lavoro sono la sofferenza e la morte, ma anche la vita e la felicità. Solo nel dualismo la non-violenza diventa una legge unificatrice.

V.: si deve aver timore del Sé?
N.: no, non bisogna temerlo, perché il Sé è il bene. Ma è necessario prenderlo sul serio. Richiede attenzione e obbedienza; quando non gli viene dato ascolto, passa dalla persuasione alla coercizione. Per un po' può aspettare, ma non puo' essere trascurato. La difficoltà non è del guru interiore o esterno, perché un maestro è sempre disponibile, ma è del discepolo che non è abbastanza maturo. Quando una persona non è pronta, cosa si può fare per lei?



Quel fatale momento dell'illuminazione...



Il Buddha ha detto: “Poiché in realtà non c’è nessun ego, è come un miraggio”. Mi ricorda quel fatale 21 marzo del 1953. Per molte vite avevo lavorato – lavorato su me stesso, lottando, facendo qualunque cosa si potesse fare – e non era mai successo niente.

Ora capisco perché non succedeva niente. Quello sforzo in se stesso era la barriera, la scala su cui mi trovavo era l’impedimento, la voglia stessa di cercare era l’ostacolo. Non che si possa raggiungere qualcosa senza cercare. La ricerca è necessaria, ma poi arriva un punto in cui la ricerca deve essere abbandonata. La barca è necessaria per attraversare il fiume, ma poi arriva il momento in cui devi scendere dalla barca, dimenticartela del tutto e lasciartela alle spalle. È necessario uno sforzo, senza sforzo nulla è possibile. Ma anche solo con lo sforzo, nulla è possibile.

Poco prima del 21 marzo 1953, sette giorni prima, avevo smesso di lavorare su me stesso… Arriva un momento in cui vedi tutta l’inutilità dello sforzo. Hai fatto tutto quello che potevi fare e non sta succedendo niente. Hai fatto tutto ciò che era umanamente possibile. A quel punto cos’altro puoi fare? Nell’assoluta impotenza abbandoni ogni ricerca.

E il giorno in cui la ricerca si fermò, il giorno in cui non cercavo più nulla, il giorno in cui non mi aspettavo più che accadesse qualcosa, cominciò a succedere. Dal nulla sorse una nuova energia. Non aveva un’origine. Veniva dal nulla e da ogni parte. Era negli alberi, nelle rocce, nel cielo, nel sole e nell’aria, era ovunque. E avevo cercato così tanto, pensando che fosse molto lontana. Ed era così vicina, così vicina.

Proprio perché stavo cercando, ero diventato incapace di vedere ciò che era vicino. La ricerca è sempre rivolta a ciò che è lontano, a ciò che è distante… E non era lontano. Ero diventato presbite, avevo perso la capacità di vedere da vicino. Gli occhi si erano focalizzati sulla distanza, sull’orizzonte, e avevano perso la capacità di vedere ciò che era vicino a me, che mi circondava.

La fatica cessò e anch’io cessai. Perché non puoi esistere senza…

Osho


 Tratto da: The Discipline of Transcendence, Vol. 2

 

Una memoria su Nazareno Reda e Vivi Viterbo...

 


Nel 2008 avviai una corrispondenza con il direttore del notiziario on line Vivi Viterbo, Nazareno Reda. Tutto cominciò con la richiesta fatta da un suo collaboratore, Francesco Zappatore, di fare uno scambio di link fra il loro ed il nostro sito di Calcata.

A quel tempo non avevo previsto di fare questi scambi, volevo mantenere il sito del Circolo su una torre eburnea, irraggiungibile a chiunque si occupasse di attività  economiche e turistiche. Com’era prevedibile avendo assunto una posizione così “adamantina”, priva di ogni “considerazione” per la vita del mondo, il destino volle che dovessi cambiare idea…

Siccome mi piacque la risposta che ricevetti, in cui mi si diceva “che Vivi Viterbo avrebbe continuato a prendere in considerazione i miei articoli anche se –come da me affermato- non ero disposto allo scambio dei link”, cambiai prontamente idea e decisi anzi di aprire una lunga colonna di link di tutti i siti di qualsiasi genere e natura che avessero ripreso qualcosa del Circolo. Ed è per questa ragione che abbiamo una colonnina così lunga di “link amici” che nel frattempo è diventata carente di altri indirizzi che non sono stati ancora aggiunti.

Ma il punto non è questo, il punto è che Nazareno Reda, fondatore di Vivi Viterbo, volle persino conoscermi personalmente e venne a trovarmi in occasione della Festa dell’Acqua Cotta del 2008. Fatalità volle che fosse lui l’unico partecipante, ciò non impedì di fare quello che avremmo fatto se fossimo stati in venti (invece che solo due). La passeggiata fu molto intensa, durante il lungo percorso ci scambiammo tantissimi pareri e facemmo conoscenza –come si dice- intima. Scoprii così che anche Nazareno è della Scimmia (sia pur più giovane di 12 anni) e molti aspetti sincretici e di lucidità e laicità di pensiero ci accomunano.

La giornata fu molto più vigorosa e piena di quello che avevo immaginato, l’acqua cotta con le erbe raccolte, ottima, e la condivisione della conoscenza archetipale nella Stanzetta del Pastore, con Nazareno, coronò una giornata per me indimenticabile.

Dopo un paio di mesi mi arrivò una lettera di Nazareno in cui mi rimproverava: “la tua acqua cotta benedetta non ha funzionato, dovrò farmi operare di un male…”. Da una parte mi prendeva in giro ma dall’altra mi comunicava qualcosa di vero e drammatico…..

Il modo in cui lo espresse mi fece ricordare di Terzani e della sua fierezza e ammirai e benedissi ancor di più Nazareno. Ora qualche giorno fa mi ha riscritto dicendo che sarebbe tornato per un’altra acqua cotta, il che mi ha fatto ben sperare per la sua salute…

Quello che segue è il primo articolo che scrissi per Vivi Viterbo e lo pubblico qui per un mantenimento della memoria.


Vivi Viterbo ed il VV.TT.

Siccome sto sempre molto attento ai segnali che la vita mi manda non ho potuto ignorare che la sigla del VV.TT. assomiglia, sembra quasi una parafrasi, di Vivi Viterbo…. In effetti una delle “traduzioni” fatte in passato per significare VV.TT. era “Vivi Vegetariano Tornerai Trappista” (spiegazione apparsa sul settimanale Cuore diretto da Michele Serra, ve lo ricordate?). Insomma Vivi Viterbo e VV.TT. stanno bene insieme…. Perciò mi è sembrato di buon auspicio che, attraverso una corrispondenza avviata fra il sottoscritto ed i “soci” di questo giornale, si profilasse l’ipotesi di una collaborazione con Vivi Viterbo. La collaborazione fra un piccolo centro “provinciale” e periferico, come è Calcata, ed il suo capoluogo Viterbo. Una sorta di dialogo fra un ri-abitante della Tuscia, quale io sono, e gli abitanti storici della Tuscia che vivono a Viterbo.

Siamo tutti nella stessa barca ma ci siamo imbarcati in porti diversi ed in momenti diversi ed ora lungo il viaggio cerchiamo di far conoscenza ed amicizia gli uni con gli altri. Ci scambieremo perciò impressioni e sentimenti e –spero- giungeremo ad una reciproca conoscenza ed accettazione. Ma prima di cercare di “capire il senso” di queste lettere … accettate, vi prego, le mie parole come un’espressione amorosa, come suono armonico, non come un “significato” (se volete percepire il messaggio del cuore). Queste lettere non vogliono nemmeno essere una “trasmissione” né un “riconoscimento” sono e saranno semplici racconti, forse favole, le parole che sono e basta.

Ed in fondo che senso ha discutere di ottenimenti prefissi? In tutta la vita non c’è un singolo evento che possiamo far derivare da una scelta nostra propria, che possiamo definire “questo l’ho voluto io”, in realtà tutto succede per conto suo e solo “dopo” possiamo falsamente affermare “questo l’ho voluto io”. In questo caso dov’è il vantaggio e dove lo svantaggio? Lo vediamo solo attraverso l’outlook da noi utilizzato. Già non focalizzarci sul male significa restare nel bene. Dipende solo da come si ascolta, da come si legge e si scrive, se l’attenzione viene attratta da una visione o dall’altra. Capire ciò è sufficiente per restare tranquilli. Buddha consigliò la via di mezzo. Non fermiamoci quindi a giudicare lo schema delle cose, restiamo in attenta osservazione e procediamo….

Questa è la mia prima lettera ai Viterbesi Vivi. 

Paolo D'Arpini




Strade di Roma, misteri di Roma...

"Poesia, pause e silenzi… solo parole nere su fogli bianchi..." 

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... ricordate il mistero di Via Gradoli (che prende il nome da paesetto in provincia di Viterbo) in cui si celava il covo BR di Aldo Moro.. e nello stesso palazzo fu "pizzicato" Marrazzo con i trans...? Misteri di Roma!

Questo discorso sulle strade di Roma è molto intrigante... Ricordo ad esempio Via Cairoli, dove fui ospite dalla sora Liliana, una vecchia affittacamere, assieme a personaggi incredibili, lì vissi avventure straordinarie, nelle vesti di un finto studente di 18 anni.  Da quelle vicende Pozzetto ne ricavò un film... interpretato dalla stessa signora Liliana che impersonava se stessa. Ma la parte più intensa e più significativa del mio vivere nelle strade di Roma fu allorché vi feci ritorno, dopo 10 anni di assenza, in veste di cercatore spirituale professionista. Una specie di novizio santo. 


Ed in parte ho descritto  alcuni  degli incontri particolari con vari "maestri" da me fatti  dal '74 al '76 in quel di Roma. In quegli anni gloriosi ero tornato a vivere a Roma (provvisoriamente perché di lì a poco mi trasferii a Calcata), la madre patria mi aveva richiamato al dovere della presenza, ed io zitto zitto me ne stavo in trincea, nella vecchia casa di uno zio da poco defunto, in Via Emanuele Filiberto 29.

Da lì imparai a conoscere bene Roma, percorrendo le sue strade giornalmente a piedi e visitando ogni possibile angolo in cui si manifestasse qualche forma di “spiritualità”, dalla vicinissima Porta Alchemica di Piazza Vittorio, alla basilica di Santa Maria Maggiore, al Museo per il Medio ed Estremo Oriente, alle grotte del Colle Oppio, ai vicoli e vicoletti, chiese e chiesuole del Borgo....

Paolo D'Arpini



Questo racconto continua nel libro "Compagni di viaggio" ...
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P.S. “Compagni di viaggio. La ricerca spirituale laica inizia e finisce nel "Sé" di Paolo D’Arpini, può essere richiesto in libreria o direttamente alla OM Edizioni (Tel. 051767079 – Cell. 393/33.64.368). Se qualcuno degli amici fosse interessato ad organizzare una presentazione  nel luogo di sua residenza ce lo comunichi al più presto in modo da accordarci sui modi e tempi più convenienti (chiamare 333.6023090) - Recensione bilingue:  https://bioregionalismo.blogspot.com/2020/01/travel-friends-lay-spiritual-search.html

Società del crepuscolo ed autodeterminazione...

 

"Spezzato il circolo vizioso, conquistata la libertà dal desiderio, la fiumana, prosciugata, non fluisce più; la ruota, infranta, più non rivolve. Questa, solo questa, è la fine del dolore."  (Buddha Sakyamuni, in Udana, VII, 2)  

Questa è davvero la massima più ostica per gli occidentali. Però, se ci si pensa bene, quanta verità – e sempre più evidente, anche e soprattutto a noi – nel detto lapidario… 
In effetti la società del crepuscolo borghese, dello spettacolo-degli spettri, “produce” gli esseri umani proprio in quanto “macchine desideranti”… 
Un continuo trapassare da un oggetto all’altro, anzi ormai da un sostituto spettrale a uno successivo, senza tregua, all’infinito, “individui” soggetti all’oggetto come a una chimera, consumati e annullati nel mulinello delirante. Il “pieno appagamento” non può esistere, perché niente e nessuno lo può pagare-comprare. E, d’altra parte, è inconcepibile dentro la macchina-vortice, che gira e vive solo in base all’insoddisfazione sempre rinnovata, inesausta. 
A me interessa per gli spunti di liberazione che può dare OGGI, quell’antico sguardo cristallino. Anzi, mi sembra che essendo, prima che “religione”, una grandiosa disciplina – atea – di disvelamento degli errori-illusioni della mente, proprio nel regno della menzogna universale e della servitù volontaria compiuta possa rivelarsi particolarmente efficace. Fermandoci per un istante (eterno), almeno con la meditazione, la natura del desiderio e la sua valenza intrinseca in rapporto alla autodeterminazione dell’individuo ci può finalmente apparire sotto una luce diversa. Molte certezze svaniscono, ma si è come sgravati da un incubo. Più leggeri e più liberi”
Joe Fallisi

Da un disastro nacque l'uomo...


Risultati immagini per formazione della Rift Valley (

Fu un grande e gigantesco evento climatico e tellurico,  che colpì l’Africa orientale, a trasformare il piccolo Australopithecus in ominide e poi in uomo. Circa 8 milioni di anni fa iniziò la formazione della Rift Valley (spaccatura tettonica che va dal Mar Rosso fino allo Zambia per circa 3.500 Km) che condannò la grande foresta pluviale dell’Africa orientale alla morte. In quel vastissimo territorio l’evento tettonico modificò l’andamento dei venti, causando una irreversibile crisi climatica: cessò di piovere. 

Lentamente ma inesorabilmente la foresta lasciò il passo alla savana. I piccoli primati, gli australopitechi che vivevano quasi esclusivamente sugli alberi, lontani dai grandi predatori come le tigri dai denti a sciabola, gli orsi, i leoni e altri mammiferi carnivori, dovettero scendere a terra e ingegnarsi per sopravvivere. 

Ci riuscirono e avviarono quella che è definita “la fase dell’ominazione”. 

Risultati immagini per “la fase dell’ominazione”.

Gaia, (il nostro pianeta visto come “un’entità suprema”) ebbe pietà di questo esserino e l’aiutò a superare i rischi della savana. Passarono milioni di anni e l’australopithecus si trasformò in ominide, prima in Homo Habilis, poi in Homo Erectus e infine 200/150 mila anni in Homo Sapiens – Naeanderthalensis. 

In quel periodo i nostri avi erano raccoglitori e cacciatori. Si muovevano in gruppi di 10, 20 individui alla ricerca del cibo, seguendo gli spostamenti di grandi branchi di animali da cacciare. Purtroppo l’ultima grande glaciazione era ancora attiva e ciò comportò nelle zone non coperte dai ghiacci scarsezza di precipitazioni meteoriche. Poca acqua, vegetazione in forte stress, difficoltà di reperimento di cibo. 

A causa di ciò 70 mila anni fa l’uomo corse il reale rischio d’estinzione, ridotto com’era a poco più di 2000 individui. Mentre un evento climatico iniziato più di 8 milioni di anni fa aveva sancito la nascita dell’uomo, ora un altro evento climatico ne minacciava la sopravvivenza. Una grande occasione persa per Gaia che avrebbe, con un sol colpo, eliminato il suo peggiore parassita. 

Ma ancora una volta “qualcuno” ebbe pietà per gli uomini e così gli si consentì di riprendersi e moltiplicarsi fino a raggiungere oggi l’impressionante numero di oltre 7 miliardi e mezzo di individui.

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(A.K. Informa N. 43)

"Habemus antipapam" - La profezia di Nostradamus su papa Francesco...

 


Nella Centuria X, quartina 91 delle profezie di Nostradamus leggiamo:

Clergé Romain l’an mil six cens e neuf,
Au chef de l’an feras election:
D’vn gris e noir de la Compagnie yssu,
Qui onc ne fut si maling.
Nostradamus scriveva in un francese arcaico, comunque la migliore traduzione è la seguente:
Il Clero Romano l’anno 1609,
All’inizio dell’anno farà elezione
Di un grigio e nero uscito dalla Compagnia di Gesù,
Giammai ci fu qualcuno così malvagio.
La quartina sembra alludere all’elezione di Bergoglio al soglio pontificio, ma salta agli occhi il problema della data.
Spesso, nelle profezie di Nostradamus, troviamo predizioni abbastanza precise, ma con date "sbagliate".
Studiosi che hanno indagato per anni su queste misteriose quartine affermano che bisogna trovare la chiave per decifrare queste date e che questa chiave sarebbe celata proprio nell’opera del veggente francese. Qualcuno asserisce anche di averla trovata.

Ma veniamo al significato recondito della quartina:

....è un'analisi sulle proiezioni "fantastiche"  che non  sono solo immaginazioni nel nostro pensiero, nel nostro sentire, il pensiero fantastico è mutevole ma attinge al  bagaglio dell'inconscio,  e lì tutto cova, a metà fra la fantasia e la "realtà". 

All'atto pratico si risolve tutto eliminando la fissità del credere unicamente nella "realtà oggettiva",  basata sull'attenersi ai fatti, accettando l'apparente incongruenza che li precede, in forma di fantasia (preveggenza).  

Questo atteggiamento è comunque utile  al mantenimento della congruità  della intelligenza-coscienza nell'affrontare il contingente "storico". Insomma la "saggezza" è la capacità di vedere e vivere  le cose in "movimento".  
E qui qualcosa si muove!

Paolo D'Arpini


Post Scriptum:  
“ ...tutta l'informazione è anche un po' di parte. Per questo bisogna cercare di vedere le cose da diverse angolazioni. Comunque nell'articolo si parla di "proiezioni fantastiche" non di verità assodate... ma anche nei "miti" permane un fondo di "verità oggettiva". Lobo logico ed analogico compongono un unico cervello. La mente non è fatta di sola "ragione" e le cosiddette prove storiche sono solo costruzioni di fatti adattati ad una ipotetica ragione...” 
(P. D'A.)

La giusta misura...?

 


Ho conservato per anni un vecchio dipinto nel Tempio della Spiritualità della Natura, prima di abbandonare Calcata al suo destino e trasferirmi a Treia. Era  solo una banale copia, rappresentava un alchimista (od un semplicista) che mostra la giusta dose di sostanza da porre nell’intruglio ad un apprendista. Il gesto  eloquente, la mano alzata con l'indice rivolto in avanti, significante “basta così”. Né troppo né poco!

Le cose cambiano e non serve portarsele appresso, la memoria  è utile se ci aiuta a non ripetere gli errori del passato, contemporaneamente è una zavorra se ci impedisce di compiere nuove esplorazioni e ricerche.

Anni ed anni di meditazione… per scoprire la giusta misura? 
 
Macché essa è nella semplicità della risposta immediata che siamo in grado di dare al momento opportuno, rispondendo del tutto spontaneamente e semplicemente all’esigenza contingente, nel presente….
  
Non sappiamo i motivi per cui le cose avvengono come avvengono e dal punto di vista etico ed umano possiamo anche non essere d’accordo con ciò che siamo costretti a vedere ed a compiere nella società.  Così dobbiamo sentirci liberi da ogni schema, non temendo di cadere in  contraddizioni e incongruenze.

Ricordo di quando Nisargadatta raccontava le conseguenze del suo lavoro di venditore di beedies, le sigarette indiane, che causano il cancro anche più delle altre, e pure lui  le ha fumate per anni e tra l’altro è morto per un cancro alla gola… ma tutto ciò non ha cambiato il suo “vero stato”.

Consideriamo sempre che possiamo solo compiere ciò che è per noi possibile… Non ciò che riteniamo dovrebbe essere… E poi come dovremmo porci di fronte ai dettami della legge di causa effetto? Come dovremmo considerare  la favola della reincarnazione…?  Libero arbitrio, predestinazione, scelte, miglioramenti voluti o causali?…  


A volte anch’io  racconto delle storie, che stanno nella mente duale, che rientrano nel funzionamento empirico nel mondo, esprimendo  un modo razionale di percepire la vita. Ma  nel mio intimo so che son tutte  favolette, so che la verità non ha bisogno di giustificazione alcuna, né di spiegazioni. Uso dei sotterfugi.. per poter guardare le persone negli occhi e scorgere la loro anima, toccare il loro cuore e sentirmi una parte di loro. Questo è ciò che è possibile per me e vorrei che così fosse anche per chiunque altro!

Assomiglia ad una commedia? C’è una nota di finzione in questo atteggiamento? Beh, occorre pur adattarsi al sogno… finché si sogna. A che serve districarsi dalle considerazioni sul bene e sul male con giustificazioni che infine rientrano nell’illusione duale?  
Tanto vale adattarsi e compiere quei gesti che sono in armonia con la nostra natura umana, che ci consentono di poter condividere al meglio le nostre emozioni ed i nostri pensieri con il prossimo… Sia pur che ciò non è necessario per “essere quello che realmente siamo”.

Ma perché limitarsi, perché non  amare il proprio sogno (come diceva saggiamente il Vate)? In verità l’armonia interno/esterno non è basata su ciò che entra dalla bocca (come diceva Gesù) ma da ciò che ne sorte, ovvero come riusciamo a centrarci al nostro interno, ritrasmettendo parole ed   amore all’esterno.
 
Ramana Maharshi a una signora che le chiedeva come potersi moderare nei comportamenti alimentari consigliò la via del “tendere verso”,  finché la cosa non avvenisse da sola, senza intenzione…

Paolo D’Arpini





"... quella volta che da Calcata volevo andare in Ciociaria…” — Racconto di viaggio con poesia di Gabriele D’Annunzio


...in  partenza da Calcata


La parola Ciociaria deriva da “cioce” le calzature di pelle appiccicate su misura al piede che per la verità venivano usate un po’ ovunque nell’Italia centrale e meridionale, ma che durarono più a lungo e furono più diffuse in terra ciociara (appunto). In verità quella che noi oggi conosciamo come la Ciociaria era un tempo una regione molto più vasta che comprendeva buona parte dell’attuale provincia sud di Roma e dell’attuale provincia di Latina. Il simbolo di questa terra è stato in epoca romana il celeberrimo “avvocato” Cicerone, così chiamato perché nato balbuziente vinse il suo difetto. divenendo un grande oratore, mantenendo in bocca una “cicerchia” (tipo di legume).  In epoca medioevale fu l’abbazia di Montecassino a dar lustro a quel territorio, ed in tempi moderni è stato il famoso  detto di Nino Manfredi (di Ceccano) “Fusse ca fusse la vorta bbona…”.


Molto prima, prima ancora di chiamarsi Ciociaria, quella terra  era abitata da una varietà di popolazioni italiche: Volsci, Ernici, Equi, Sanniti… con spruzzi di Etruschi e Greci. Oggigiorno è soprattutto l’origine “volsca” che tende ad essere matrice di riferimento culturale per molti centri della zona. Questo perché da diversi archeologi la civiltà dei Volsci viene riconosciuta come “luminosa e fertile” (molti i reperti conservati al Museo di Castro dei Volsci). Però c’è da dire che solo durante il papato la terra ciociara cominciò ad acquisire una identità condivisa, distaccandosi pian piano da legami “antichi” con le genti del Casertano – Napoletano, del Molise e dell’Abruzzo. Nacque così la “Ciociaria” ed effettivamente questo territorio meriterebbe una propria identità bioregionale.

Infatti se dovesse scorporarsi il Lazio, come da me auspicato nell'opzione del riassetto amministrativo in chiave bioregionale, le parti a sud della provincia di Roma e di Latina, che sono molto affini, potrebbero aggregarsi in una nuova entità amministrativa. Ma questa per il momento è fantapolitica….

Ricordando comunque le mie “radici” ciociare -avendo  un ascendente in tal senso, essendo mio nonno paterno originario di Arpino, decisi di visitare la terra Ciociara, il 1 agosto 2009, invitato da un gruppo di artisti di Castro dei Volsci che desideravano farmi riscoprire antichi valori di ospitalità e di solidarietà umana.

Nella mia discesa verso le origini decise di accompagnarmi la cara amica, nonché segretaria del Circolo VV.TT., Luisa Moglia. Quel che segue è il racconto della nostra avventura.


Colleferro, Segni Paliano 1 agosto 2009


Mentre aspettavamo non si sa bene cosa, un treno, una grazia, un’ispirazione, un aiuto dal destino, nella stazione di Colleferro (un tempo chiamato Segni Paliano), la porta della Ciociaria, ecco che Laura ha scoperto, su una lapide in pietra affissa ad una parete della biglietteria,  una poesia di Gabriele D’Annunzio, che sembrava scritta apposta per noi. Sarà stata dedicata alla terra Ciociara dal poeta ancora in giovane età, nel 1889, allorché visitando quelle parti restò incastrato da qualche intoppo che gli impedì di proseguire.

Ecco il poemetto: “L’alberello. Oh tu nell’aria grigia, torto e senza fiori, alberel di Segni Paliano, che deridendo accenni di lontano alla inutile nostra impazienza…” (Gabriele D’Annunzio).


Tutto per me era iniziato con l’invito ricevuto da alcuni amici di Castro dei Volsci che desideravano farci conoscere il posto. Avevano predisposto tutto per riceverci: il pranzo di benvenuto al ristorante centrale, la camera nell’albergo “diffuso”, la festa serale in piazza, il raduno di vari artisti del territorio giunti a Castro dal mattino per poterci incontrare… Ma il destino volle che restassimo invece bloccati alle porte della Ciociaria, a Colleferro, e che mangiassimo un tramezzino al bar  e che riposassimo le esauste membra sulle panchine di pietra della stazioncina ferroviaria… in attesa di qualcosa che non sapevamo bene cosa potesse essere ma che alla fine, giunte le ore pomeridiane e l'estinguersi delle speranze di continuare il viaggio, si trasformava nell’unica possibilità rimasta: tornarsene a casa con qualsiasi mezzo!

Ma cominciamo dall’inizio, da quando decisi, in compagnia di alcuni fedeli amici, di affrontare il viaggio in Ciociaria, pensando di arrivare fino alla città delle mie origini ancestrali, Arpino,  per rendere omaggio ai miei avi e per controbattere la mia perenne  Ritirata  (I Ching: vedi esagramma "La Ritirata"),  e mi  trovai a vivere un’avventura epica, a vari livelli…. dall’infernale al paradisiaco con tutte le vie mediane.

Avevo trascorso la notte insonne del 31 luglio in ambasce, in seguito ai rimbombi dei bassi che giungevano sin dentro la mia  casarsa sulla fogna dalla “festa” rave techno diabolic music organizzata a Monte Gelato, con musica a palla giorno e notte, con il silenzio delle autorità del Parco del Treja (roba da matti:    http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/08/03/comunicato-stampa-alcuni-particolari-e-dati-economici-sul-rave-party-reloaded-super-sonica-dal-31-luglio-al-3-agosto-2009-a-monte-gelato-nel-parco-del-treja/).

Insomma per allontanarmi dall’inferno del chiasso tecnologico mi sembrava una benedizione poter andare in Ciociaria. Ma già all’inizio sono accadute varie cosucce che mi hanno segnalato quale sarebbe stata l’energia della giornata. Appena uscito per strada ho incontrato il solito satanasso, soddisfatto dei suoi dispetti ordinari, che canticchiava maligno e quello mi è sembrato un segnale nefasto, poi ho atteso a lungo sul cavalcavia  di Calcata la mia accompagnatrice ed amica Luisa, che a mia insaputa era stata bloccata a casa sua da una assurda storia di piscina da curare lasciatale in eredità dai suoi vicini… che -bontà loro-  erano partiti in vacanza. La piscina si è riempita di alghe e lei ha dovuto chiamare vari tecnici, tutto dalle 6 e mezza di mattina sino alle 9 e mezza, e dovette procurarsi varie sostanze e tipi di cloro da immettere nella vasca. Poi dopo aver combattuto per tre ore con questa sua prova Karmica/piscinale, è venuta in ritardo a prendermi al cavalcavia dove io l’attendevo speranzoso non sapendo degli intoppi.

Giunti a Roma con qualche altra  piccola vicissitudine abbiamo raccolto Laura, sulla via Cassia, e poi sulla Tuscolana a Cinecittà abbiamo incontrato il quarto ospite, Vincenzo, che ci aspettava alla fermata di un autobus. Poi abbiamo girato in tondo per andare a bere un cappuccino nel “baretto giusto”, infine avendo fatto il pieno di benzina ci siamo avviati sull’A1 verso Napoli.

Giunti all’altezza di Colleferro la macchina di Luisa ha iniziato a fare rumori strani, lei si era dimenticata di ingranare la quarta ed avevamo viaggiato in terza per tutto il percorso autostradale. La spia dell’olio era rossa. Ci siamo fermati ad una piazzola e lì stavamo già pensando di chiamare un carro attrezzi in soccorso allorché abbiamo deciso di tentare la sorte ed almeno arrivare alla prima uscita. Appunto a Colleferro. Per fortuna poco fuori il casello c’era il servizio ACI e lì abbiamo depositato la macchina. Il meccanico ha detto subito appena ha sentito il rumore: “il motore è fuso”.

Pensando comunque di continuare il viaggio, siamo andati alla stazione ferroviaria ed abbiamo preso i biglietti per Castro dei Volsci, dopo un po’ che aspettavamo il treno l’annunciatore ha comunicato che c’era stato un incendio fra Ciampino ed un'altra stazione che ora non ricordo, i treni viaggiavano con un imprecisato ritardo, stavamo allora meditando se fosse il caso di tornare a Roma ma abbiamo perso il treno per la nostra indecisione… Stavamo allora pensando di proseguire per Castro dei Volsci aspettando una qualsiasi coincidenza  ma ormai s’era fatto troppo tardi ed i treni erano tutti bloccati in entrambe le direzioni. Per fortuna alla fine ci siamo accorti che fuori della stazione c’era un ultimo autobus che stava partendo per l’Anagnina, l’abbiamo preso al volo e dopo vari giri siamo infine giunti a casa di Laura, che ha preso la sua  macchina e ci ha riportati indietro,  Luisa a Nepi e me  sino a Calcata (Vincenzo era già tornato a casa sua  dalla stazione Anagnina vicina alla Tuscolana).

E pensare che al ritorno a Calcata ho ricevuto una email di Simona che mi diceva: “Ciao Paolo, perché non decidi un giorno insieme a Laura e Luisa o altri di venire a pranzo qui da me in Sabina? Muoviti anche tu ogni tanto pigrone… un abbraccio, Simo”

Siete contenti della storia che vi ho raccontato?

Paolo D’Arpini, 2 agosto 2009

Paolo D'Arpini acccende un cero al suo ritorno a Calcata



P.S. Per fortuna il 20 agosto 2009 Caterina Regazzi venne a Calcata per conoscermi  e di lì a poco lasciai (per sempre?) la Valle del Treja per trasferirmi con lei a Treia. 

















Caterina appena arrivata a Calcata




P.S. "Con tutti i danni che hanno fatto i romani, prima quelli dell'impero e poi quelli del papato, almeno contribuirono a formare un’identità condivisa in terra ciociara”.
Ad integrazione del presente articolo leggete la storia sulla Ciociaria scritta da Antonella Pedicelli: http://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2009/08/ciociaria-ciociaria-per-piccina-che-tu.html

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Riflessioni sulle parole 

… ho avuto la sensazione che il tempo si fermasse. Non vedo giudizio, non trovo attesa, semplicemente “esserci”, stare, in un completo e condivisibile silenzio, dove le parole acquistano una veste universale. Ci si siede e si osserva ciò che accade: è l’incontro dell’alba con la notte, del vecchio con il giovane, è la linea d’ombra che non vediamo, riflessa negli abissi oceanici; è il colore del vento che prende forma, è il gioco che non ci siamo mai concessi che ruba il suo manifestarsi ad ogni altra azione; è il nulla che semplicemente E’…
Per un attimo si ha quasi l’impressione di percepire il volto di Dio mentre sorride… (A.P.)