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L'insegnamento di Swami Muktananda

 

…tutti i pensieri sono passeggeri ed effimeri ma alcuni rappresentano positivamente “quella forza” che spingerà successivamente la “persona” ad attuare quanto è stabilito nel suo destino. La meditazione consente di far chiarezza fra quelle che sono semplici proiezioni immaginarie o problemi inventati e quei pensieri che invece definiscono in germe “il veniente”… ciò che deve accadere.

La creazione di problemi “fittizi” è uno degli aspetti della mente. Alla base delle preoccupazioni mondane –ovviamente- c’è sempre il senso di responsabilità per le nostre azioni dovuto all’identificazione con il corpo-mente.

Il processo dell’individualizzazione della coscienza è la funzione stessa della mente. La mente è la capacità riflettente della coscienza che assume su di sé il compito dell’oggettivazione e quindi della creazione del cosiddetto mondo delle forme. L’esteriorizzazione è la sua tendenza.

Eppure non è una condizione definitiva o irreparabile, anche le sensazioni più negative possono essere trascese. Le preoccupazioni mondane che ci assalgono sono frutto del meccanismo mentale che proietta l’attenzione sui fattori esterni, desideri e paure, ed è per questa ragione che nella meditazione si consiglia di fissare l’attenzione sulla consapevolezza, sul soggetto, ignorando le apparizioni mentali, che son solo “impedimenti” (distrazioni) che sorgono per inveterata abitudine all’esternalizzazione, non tenerne conto significa restare quieti mantenendo l’osservatore in se stesso.

Personalmente ho avuto una grande fortuna nella vita. Considero questo mio corpo e questa mia mente estremamente benedetti e santi poiché attraverso di loro ebbi la possibilità di incontrare un grande Maestro che diede alla mia esistenza vero significato. Dimostrandomi come il distacco ed allo stesso tempo l’attenzione siamo importanti per restare focalizzati nel Sé… nell’auto-consapevolezza.

“Due volte nato” si dice di chi nasce allo Spirito. E senza alcun merito particolare da parte mia ciò è avvenuto allorché incontrai nel 1973 il mio padre spirituale, Swami Muktananda, il quale risvegliò la mia coscienza individuale alla consapevolezza del Sé.

“Medita sul tuo Sé, cerca il tuo Sé, inchinati al tuo Sé, onora il tuo Sé, adora il tuo Sé, poiché Dio vive in te, sei tu..!” Questo il messaggio profondo e liberatorio che egli mi trasmise ed attraverso il quale ri-nacqui nello Spirito.

Baba Muktananda lasciò il corpo il 2 ottobre del 1982, con ciò rimasi “orfano”…? Ma no… scoprii in verità la sua costante presenza dentro di me…

Paolo D’Arpini

Conventi cristiani misti anche in Europa, sino all'anno 1000...



La chiusura dei Conventi Cristiani Misti, ordinata dalla Chiesa,  è intrigante e mi fa intravvedere ragioni economiche e di potere dietro all'abbandono di questa consuetudine laica. La chiesa cattolica ha rinunciato alla naturalezza spirituale per divenire sessuofobica e perversa a partire dall'ultimo millennio. Forse prima c'era ancora qualche traccia di spiritualità e naturalezza al suo interno...

Comunque la tradizione dei conventi misti è almeno rimasta in India, negli ashram laici dello yoga, in cui uomini e donne possono praticare assieme, senza per questo incorrere in peccati di sorta ma aiutandosi vicendevolmente ed amorevolmente. Io stesso ho avuto esperienze in tal senso permanendo per anni in varie di queste comunità spirituali sincretiche.

Paolo D'arpini




Articolo sui conventi misti cristiani, prima di quelli a sesso unico coatto.

Desta in alcuni meraviglia sapere che fino all'anno mille i preti potevano sposarsi. Siamo sempre nel solco della sacra sessuofobia, tant'è che a questi veniva raccomandato di non avere rapporti intimi nel giorno in cui avevano da celebrare riti, perchè non adeguatamente puri.

Ma desterà ancor più meraviglia sapere che fra il V e XI secolo in gran parte d'Europa, compresa l'Italia, furono aperti dei conventi misti, alcuni dei quali retti da badesse e successivamente anche da loro figlie.

Esempi diffusi, uno dei quali quello rappresentata da Santa Brigida in Islanda, per arrivare alle poetesse e scienzate Rosvita e Ildegarda...figure e ruoli poi epurate.

Non sfugga il ricordo de divieto per le donne a frequentare scuole e teatri, per i cori "religiosi" la chiesa era costretta a ripiegare sui giovanetti che provvedeva ad evirare per rendere le loro voci gradevoli "voci bianche" .
Ci volle la "Breccia" di Porta Pia per far cessare questa obbrobriosa distorsione.

Furono le riforme: carolingia la prima e la gregoriana la seconda a "mettere ordine", fu introdotto l'insegnamento del latino per acculturare il basso clero, fu abolito il matrimonio bisex tra eccllesiastici e escluso l'accesso delle donne alla scolarizzazzone e/o docenza.
Cio' che invece era previsto nelle scuole d'impostazione pitagorica, compreso l'insegnamento delle scienze matematico-astrologico-astronomiche. La stessa moglie di Pitagora, Teano, era impegnata in studi e docenza.
Ci sarebbe amcora da meravigliarsi se, fino al 1970, in alcune Universita' americane imperava ancora il divieto per le donne all'insegnamento di Matematica e Fisica?

Ma ci sarebbe ancor piu' da meravigliarsi se, ancora oggi, nella chiesa cattolica persiste la squalifica ( per decenza non riportiamo le frasi-direttive, usate da S.Paolo e S.Agostino al riguardo) delle donne all' esercizio sacerdotale.
Un giudice-donna, contemplata in tutte le istituzioni democratiche del mondo, e' esclusa solo nella magistratura dello Stato del Vaticano, la Sacra Rota, anche se e' da contestare non questa chiusura o esclusione, quanto il numero e la varieta', azzeccata e stravagante, dei casi per l'ìannullamneto dei matrimoni.
Se puo' essere interessante il ricordo della bellezza, culturale e teologica, dei conventi misti (beati chi vi pote' frequentarli), fa invece paura la persistenza di quelli a sesso unico coatto, questo si' contronatura.

Come reagireste se sentiste ancora affacciare, da parte dei cattolici, la richiesta di riconoscimento delle "radici cristiane" dell'Europa?

Giacomo Grippa 



La meraviglia e l’assurdo di esistere...

 


Effettivamente, come evidenzia Pierre Hadot nel suo “La filosofia come modo di vivere” (pag.176), per molti pensatori esistenzialisti (egli pensa soprattutto a Sartre e Camus) dopo la “morte di Dio” la vita non ha più un fondamento e quindi è diventata un assurdo.

Ora questa conclusione è del tutto logica e giustificata, se andiamo in cerca di un fondamento metafisico, cioè di un fondamento che vada oltre la vita e che si ponga prima della vita.

E tuttavia le cose possono essere viste anche da una prospettiva diversa, tutta interna alla vita stessa: in questa prospettiva la vita ha un fondamento in sé stessa e, quindi, ritrova un senso.

Io voglio vivere perché un impulso vitale mi porta a voler vivere.

Che non ha bisogno di alcuna giustificazione: esiste e basta!

Semmai sono portato a chiedermi come mai esista in me questo impulso.

E qui in alcuni sopravviene il sentimento della meraviglia, dello stupore.

In altri, come, ad esempio, in Sartre e Camus, quello dell’assurdo.

Ma tali sentimenti non traggono origine dal pensiero filosofico, dall’aver trovato o meno un fondamento razionale, metafisico, quindi filosofico, alla vita in generale, bensì, piuttosto, dalla condizione esistenziale singolare della persona che li prova.

Addirittura la stessa persona, in fasi diverse della sua vita, può provare gli uni o gli altri: la meraviglia e, quindi la gioia, in certi momenti, addirittura, la felicità di esistere; o il dolore, perfino l’angoscia, e quindi l’assurdo di esistere.

Giovanni Lamagna



Treia: “La casa sulla roccia... e le campane al vento” - Breve racconto bioregionale

 

La casa di Treia, la prima illuminata dal sole,  vista da una distanza

La peculiarità di questa casa di Treia, da Caterina ereditata dalla nonna Annetta e da me abitata, è che -pur stando su quattro piani di diverso livello- è sempre al piano terra... La cosa sembra strana ed in effetti fu proprio questa particolarità, descrittami da Caterina una notte mentre risiedevo ancora a Calcata, a farmela sognare e poi a spingermi a superare la mia inveterata pigrizia ed a desiderare di visitarla, di conoscerla, insomma di vedere com'era...

Ricordo che uno dei miei sogni ricorrenti, sin dall'infanzia, era quello di immaginarmi su una torre, e da lì osservare il modo sottostante con un certo distacco. Certo è una visione simbolica.. Ad esempio ricordo la sensazione di appartenenza provata nel momento stesso in cui misi piede per la prima volta a Calcata, villaggetto costruito su un acrocoro... Ma a Calcata manca il senso dello spazio, della visione panoramica, poiché l'acrocoro è più basso di tutte le alture circostanti, mentre l'effetto che mi fece la casa di Treia, quando al fine la visitai, fu proprio quello di stare sul più alto pennone di una nave e da lì contemplare il mondo..

Monticulum era chiamata nell'alto medio evo la città di Treia, proprio perché si trova su una collina transfuga, isolata dalle montagne del circondario e adagiata su una dolce valle che si allontana sino al mare. Non è una collina conica è piuttosto allungata ed è per questo che l'abitato storico è alquanto esteso, e probabilmente si sviluppò nei suoi due estremi in periodi ed in condizioni diverse... comprendendo da un lato un'antica torre avamposto dei longobardi e dall'altro l'insediamento della popolazione originaria, sorto dopo la caduta dell'impero romano, in cui si erano rifugiati gli antichi treiesi stanchi delle razzie subite a partire dal 500 d.c.

Attorno al XIII secolo, in periodo francescano, Monticello fu conosciuto perché patria di un santo frate, il beato Pietro Marchionni, contemporaneo e seguace di Francesco, che vi fondò una piccola comunità monastica, che si trovava fuori le mura.. nei pressi di un'antica fonte, denominata appunto “francescana” e che si trova lungo un sentiero anch'esso detto “francescano” che conduceva chissà dove... forse a Loreto od a Cascia?

Visitai, durante una passeggiata erboristica con Sonia Baldoni, quella sorgente. Ma la struttura attorno è quasi crollata, restava solo una parvenza di muro ed una specie di pozza con dentro ranocchie e tritoni, mentre lì a fianco c'era un piccolissimo stagno completamente ricoperto dal verde delle lenticchie d'acqua.

Forse mi sono un po' disperso nelle mie rimembranze e sto correndo il rischio di dimenticare la ragione per cui ho iniziato a scrivere questa storia... Ah sì, si tratta di campane... Dicevo che la casa di Treia è su vari piani ed ha vari ingressi, questo perché essendo costruita seguendo il dislivello della collina, capita che ogni ingresso sia a piano terra.. a partire dal più alto che si trova in prossimità della Cattedrale sino al più basso nelle vicinanze della Porta Montana.


Dal piano principale, quello che si affaccia quasi sulla Cattedrale, ovviamente si ode lo scampanio regolare, a tutte le ore e a tutte le messe e orazioni, che scandisce lo svolgimento religioso della chiesa principale di Treia. Ma scendendo di un piano si ode un'altra campana di una chiesetta che sta quasi a ridosso delle mura, scendendo di un altro piano ancora si può ascoltare il tintinnio delle campane di una chiesa fuori porta, ed all'ultimo piano terra si ode lo scampanio di un monastero francescano che sta nei pressi del cimitero. Insomma ogni livello ha le sue campane.. E questa diversità non mi dispiace affatto, anzi la trovo simbolica di un percorso.. spirituale, ma anche vitale... Dalla Cattedrale dove ci si battezza e ci si sposa.. sino al monastero vicino al cimitero.. dove infine ci si riposa...

Beh, oggi pomeriggio mi è capitato di leggere un raccontino sulla saggezza laica, insita nell'astrarsi dalle cure del mondo, pur continuando a svolgere le proprie funzioni. In essa si parla della maestria di un artigiano costruttore di castelli per campane... Sapete vero che per suonare bene una campana ha bisogno di un apposito castello che deve corrispondere a precisi requisiti di distanza, equilibrio e solidità e vuoti fra le sue parti?

Un intagliatore chiamato Ching aveva appena finito di preparare un castello di sostegno per campane. Tutti quelli che lo vedevano si meravigliavano perché sembrava opera degli spiriti. Quando lo vide il Duca di Lu, domandò: “Che genio siete per riuscire a fare una cosa simile?” E l'intagliatore rispose: “Sire sono solo un semplice manovale, non un genio. C'è una cosa però: quando sto per fare un castello di sostegno, medito per tre giorni per acquisire la pace della mente. Dopo aver meditato per tre giorni non penso più a ricompense o guadagni. Dopo cinque giorni di riflessione, non mi importa più delle lodi o delle critiche, né della bravura né dell'inettitudine. Dopo sette giorni, così trascorsi, di colpo dimentico le mie membra, il corpo, anzi tutto me stesso.. Perdo coscienza della corte e di ciò che mi circonda. Resta solo la mia arte. In quello stato d'animo entro nella foresta ed esamino ogni albero finché trovo quello in cui vedo riflessa la mia incastellatura in tutta la sua perfezione. Allora le mie mani si mettono all'opera. Poiché io mi sono tirato da parte, nel lavoro che si compie per mezzo mio, la natura incontra la natura. Questo è senz'altro il motivo per cui tutti dicono che il prodotto che ne nasce è opera degli spiriti...

Grazie per aver ascoltato sin qui...

Paolo D'arpini


Paolo e Caterina nell'orto di Treia



P.S: questo racconto è stato pubblicato nel libro "Treia: storie di vita bioregionale"




Fuga da Calcata. "L’ispirazione ha sempre una sua radice nella vita di ogni giorno"

 



Nel corso degli anni vissuti a Calcata  ho goduto immensamente nello sviluppare forme  immaginarie di ciò che Calcata potesse rappresentare per ognuno di noi, nuovi venuti e vecchi abitanti del luogo. 
E questa immaginazione assunse spesso la forma di "spettacoli" all'aperto, potevano essere mostre d'arte in piazza, concertini improvvisati e soprattutto recite e performances di vario genere. 
Vi ho già raccontato della mia esperienza teatrale con i Vecchi Tufi e poi con il Teatro Cinabro. Questa passione per il teatro fu l'ultima cosa a tenermi legato a Calcata. Fino a pochi giorni prima di andarmene recitai... E sembrava che dovessi continuare a farlo sempre poiché se qualcuno mi chiedeva   “Ma è vero che te ne vuoi andare da Calcata?”


Io  rispondevo sorridendo… “Beh, chissà, può darsi di sì o può darsi di no..". Ed in realtà il giorno che assieme a Caterina, che era venuta a prendermi, lasciai Calcata  non lo dissi a nessuno, me ne partii alla chetichella come se dovessi andare semplicemente al paese nuovo a bere un cappuccino. Ed infatti così facemmo,  il 3 luglio 2010,  andammo su al baretto in piazza e bevemmo il cappuccino e poi proseguimmo per Treia come se nulla fosse...  
In verità ormai per me Calcata era diventata un luogo invivibile, una specie di Sodoma e Gomorra, ma  la gente mi vedeva come immerso in un mondo fantastico…  con addosso  il marchio “Calcata”,  dove poter sognare, litigare, arrabbiarsi ma alla fine dove è tutto un teatro… Un luogo che sarebbe piaciuto a Caravaggio…  
Bene anche questo pezzetto di memoria è stato raccattato per il divertimento dei posteri...
Ciao Calcata, Paolo D'Arpini