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Andiamo verso la luce o restiamo al buio?



Nonostante la narrazione che l’Occidente fa di se stesso, oltre le edulcorate vetrine di distrazione che mette in campo, si scoprono dei disordinati retrobottega. La disperazione è qui, oggi. Tutto viene fatto per nasconderla.

Oswald Spengler, Julius Evola, Réne Guénon, Friedrich Nietzsche, Zygmunt Bauman sono tra i più noti pensatori che, in modi differenti e più o meno diretti, hanno osservato la decadenza dell’Occidente. Proprio lui, quello che vanta di essere la guida del mondo, quello che ha prodotto una cultura che permette ai suoi uomini di giudicare gli altri popoli, di imporre unità di misura del giusto e del vero.

Se da una parte è doveroso non colpevolizzare, ma sottolineare la legittimità storica dell’arco epopeico della cultura occidentale, dall’altra ciò non significa non riconoscerne la sua precipitosa discesa verso il tramonto.

Cercando una ragione, per quanto presuntuoso, si potrebbe sostenere che la sua morte ha una sola causa e una moltitudine di sintomi.

Per causa si può addurre la separazione dal divino. Per sintomi basta prendere in toto tutto ciò che i vizi capitali già contemplano.

Separazione del divino è perdita del senso del sacro comune, è la vanità, l’individualismo, l’arroganza di parità con il mito, la mortificazione dell’eros. Tutti esiziali intenti promossi da una cultura dell’avere che ha creduto di poter fare a meno di quella dell’essere.

Senza un solco, senza una bussola, non è possibile trovare l’imperturbabilità per attraversare i deserti, la determinazione per navigare gli oceani, il coraggio per scalare le montagne, la tranquillità per scoprire gli abissi, la visione per elevarsi nei cieli.

Il senso del sacro è di semplice esplicitazione. Esso corrisponde al punto di attenzione. Un magnete che ci mantiene fermi sul pezzo. Se ciò può accadere anche nei confronti di un ultimo modello di telefono, di una borsetta firmata e di qualsiasi altro effimero oggetto di consumo, non significa che non vi siano livelli differenti.

La decadenza dell’Occidente – in senso lato, ovvero esteso a tutte le culture che ne hanno abbracciato i valori materialisti –, volendo, sta nell’aver buttato a mare i pochi valori tradizionali, per sostituirli con una messe di attrazioni usa e getta.

Le comunità, le nazioni, le differenze, le identità sono così venute meno e con esse la potenza dell’uomo si è ulteriormente mortificata, seppellita sotto montagne di facezie e falsi intenti.

Il nichilismo, il futile, l’ingannevole, il superfluo, il posticcio, il succedaneo, il surrogato, il buio, sono in agguato. Non serve uno studio, né una dimostrazione, né scienziati. Cancri e malattie psichiche sono solo alla loro alba. E sarà una giornata lunga, perché il crepuscolo dell’Occidente invece di essere colpito a morte da qualche esercito di saggi è mantenuto in vita, sebbene agonica, dall’accanimento terapeutico di tutti i suoi fedeli adepti. Singoli individualisti, attenti al proprio benessere che garantisca loro di andare a sciare d’inverno e un ombrellone d’estate.

Lorenzo Merlo



E se anche il mondo finisse... ?



Da dove viene la paura? E dove va? Tutte le tue paure sono frutto della tua identificazione.

L’uomo ha un’immensa capacità di adattamento a qualsiasi situazione.

Si dice che solo l’uomo e lo scarafaggio abbiano questa immensa capacità di adattamento a qualsiasi situazione. Ecco perché, dovunque trovi un uomo, trovi anche uno scarafaggio e dovunque trovi uno scarafaggio, trovi anche un uomo. Procedono insieme, tra loro esistono delle analogie. Perfino in luoghi lontani come il Polo Nord o il Polo Sud… Quando l’uomo raggiunse questi luoghi, si accorse improvvisamente di aver portato con sé alcuni scarafaggi. Erano in perfetta salute, vitali e in grado di riprodursi.

Se ti guardi intorno, vedi che l’uomo vive in moltissimi climi e in condizioni geografiche diverse, in situazioni sociologiche, politiche e religiose diverse, eppure riesce sempre a sopravvivere. È sopravvissuto per secoli: le situazioni cambiano continuamente e l’uomo continua ad adattarsi.

Non hai niente da temere. Se anche il mondo finisse… E allora? Tu finiresti con il mondo. Pensi forse che rimarresti in un’isola – da solo – mentre il mondo finisce? Non preoccuparti: avrai almeno la compagnia di qualche scarafaggio!

Se il mondo finisce, qual è il problema? Molte volte mi hanno fatto questa domanda, ma qual è il problema? Se il mondo finisce, finisce. La sua fine non creerebbe alcun problema, perché non saremmo più qui, saremmo finiti con il mondo e non rimarrebbe più nessuno a preoccuparsi. Sarebbe davvero la massima liberazione dalla paura.

La fine del mondo significa la fine di ogni problema, la fine di ogni disagio, la fine di ogni nodo allo stomaco. Nella fine del mondo io non vedo alcun problema! Ma so che voi tutti siete pieni di paura.

Il motivo è sempre lo stesso: la paura è una manifestazione della mente. La mente è codarda – deve essere codarda perché non ha alcuna sostanza – è totalmente vuota, perciò ha paura di tutto. La paura fondamentale della mente è che un giorno possiate diventare consapevoli. Quella sarebbe davvero la fine del mondo!

La paura fondamentale della mente non è la fine del mondo, ma è la possibilità che diventiate consapevoli, che entriate in uno stato meditativo nel quale dovrebbe scomparire: ecco la paura fondamentale! A causa di questa paura, la mente vi tiene lontani dalla meditazione e crea conflitto verso una persona come me, una persona che tenta di diffondere la meditazione e di mostrarvi la via della consapevolezza e dell’essere testimoni. La mente è la mia antagonista e non senza motivo, la sua paura è davvero fondata.

Forse non ne siete consapevoli, ma la mente è terrorizzata dall’avvicinarsi a qualsiasi cosa possa creare una maggiore consapevolezza. Sarebbe l’inizio della fine per la mente. Sarebbe la morte per la mente.

Ma il vostro essere interiore non ha niente da temere. La morte della mente è la sua rinascita, l’inizio di una vita reale. Dovreste essere felici, di fronte alla morte della mente dovreste rallegrarvi, perché non potreste godere di una libertà maggiore. Nient’altro potrebbe darvi le ali per volare alti nel cielo, nient’altro potrebbe far sì che tutto il cielo sia vostro.

La mente è una prigione.

Consapevolezza è uscire dalla prigione, ossia riconoscere di non essere mai stati in prigione, di aver soltanto pensato di esserci. E tutte le paure scompariranno.

Io vivo nello stesso mondo, ma non ho mai avuto paura, neppure per un istante, perché nulla mi può essere sottratto. Certo, potrei essere ucciso e starei a guardare ciò che accade, perché colui che ucciderebbero non sono io, non è la mia consapevolezza.

Nella vita umana la consapevolezza è la massima scoperta e il tesoro più prezioso. Senza la consapevolezza sei destinato a vivere nelle tenebre, pieno di paure. E continuerai a crearti paure sempre nuove, all’infinito. Vivrai nella paura, morirai nella paura e non sarai mai in grado di gustare neppure un minimo di libertà. E questo è da sempre il tuo potenziale; avresti potuto rivendicarlo in qualsiasi momento, ma non l’hai mai fatto.


Osho


Testo  tratto da: Beyond Psychology



Autopoiesi e cognizione... ed il cambiamento necessario

 


Pensiamo che capire sia tutto, che acquisire dati attraverso lo studio sia conoscenza. È un peccato che ci limita e che ci obbliga ad una storia di conflitto.

Penso di condividere la platonica prospettiva dalla quale appare in tutta chiarezza il mondo delle idee. Il filosofo ateniese lo chiamava Iperuranio. Uno spazio in tutto è già presenza, fuori dal tempo e dallo spazio. Uno spazio, aggiungo banalmente, in cui tutti i perché hanno già la loro risposta. In cui la circolarità del tempo diviene facile da riconoscere, così come la contiguità e la relazione di tutte le cose, ovvero l’autoreferenzialità dello spazio. L’eterno ritorno, il nichilismo come culmine della conoscenza, l’Uno come dimensione accessibile nell’astensione.

Il concetto non è semplice. Non lo si agguanta con un ragionamento. Serve ricrearlo. Come sennò andare oltre il materialistico e razionalistico limite del tempo oggettivo, della separazione delle cose, dello spazio misurabile che si pone tra esse?

Ma non si tratta di richiamare ad una questione elitaria, di graduatoria d’intelligenza. A sua volta – come tutte – nient’altro che un’autoreferenziale affermazione umana. Ogni nostra affermazione, financo quella imitativa, adagiata su un modello confezionato da altri, acquisita o rubata al mercato delle idee, appunto, presuppone una ricreazione di una delle infinite prospettive disponibili nell’infinito. Se non altro, nella misura in cui quell’idea, quella posizione e affermazione, occupa lo spazio del nostro pensiero e della nostra azione, impedendo così l’affermarsi di altro, alternativo da essa. La ricreazione non riguarda soltanto dunque le idee cosiddette innovative.

Nella mia personale concezione, quel mondo delle idee – pur non potendogli porre confini – è una sorta di volume che tutto contiene. Un cosmo nel quale tutte le dimensioni che gli uomini elaborano sono presenti. Un corpo dal quale ogni posizione può essere assunta. Un terreno sul quale tutte le affermazioni trovano il loro contrario. Un oceano nel quale ogni cosa si muove, offrendoci la sensazione di saperci nuotare, ovvero di trovare la conoscenza.

Se Platone, con la metafora del Mito della caverna – ricreazione occidentale del schopenhaueriano Velo di Maya, di vedica origine – alludeva all’abbaglio della presupposta conoscenza, nel pensiero del Volume la medesima debacle prende il nome di Bidimensione. Essa non è altro che una specie di fermo immagine della vorticosa realtà volumetrica. Un espediente obbligato dal nostro crederci e sentirci indipendenti da ciò che stiamo osservando, nonché dai lacci della logica a sintassi unica soggetto-verbo-complemento.

La bidimensione è necessaria per affermare, diviene superflua nell’ascolto. Essa, come una fotografia, contiene tutta la realtà che la nostra concezione, coniugata con l’interesse personale, è in grado di cogliere. Solo davanti alla fotografia che, non sempre inconsapevolmente, abbiamo estratto dal Volume, possiamo disquisire su come stanno le cose, su dove è la verità, su come progettare e raggiungere lo scopo. Ma non è un caso che ogni progetto che non sia relativo a pochi elementi, come un ponte, un sifone, un aereo o un palazzo, implichi la sua contraddizione. È ordinariamente così nel mondo delle relazioni, dove l’infinito di ognuno non può essere compresso entro le intenzioni di una sola parte.

Inconsapevoli di queste banalità ci si accapiglia per dimostrare, fare proseliti, avere ragione, attribuire responsabilità, eccetera. Si va così a mantenere la storia di conflitto che tutti conosciamo. Strano, verrebbe da dire, visto che la saggezza dei Veda risalgono al IX secolo A.C., che Platone ce la ricordò settecento anni dopo, e che Schopenhauer, sintetizzò il concetto con la sua espressione Velo di Maya circa centocinquanta anni fa. Ma anche come l’altro ieri, in altro modo, ci hanno fatto presente Gregory Bateson con la sua Ecologia della mente e Humberto Maturana con Francisco Varela con il loro Autopiesi e cognizione. Ma strano soltanto se siamo inconsapevoli prede del campo bidimensionale del razionalismo. Altrimenti logico. Sì, perché il Volume, non è da capire è da ricreare.

Lorenzo Merlo