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Gilad Atzmon: "Il Sionismo sta tutto nella segregazione, è là per separare gli Ebrei dal resto dell’umanità..."




Oggi mi accingo a parlare di un uomo che è stato rimosso dai nostri discorsi intellettuali.
Considerando la sua immensa influenza nella prima metà del ventesimo secolo, la sua totale scomparsa suscita alcune domande. Wittengstein lo considerava di un'influenza rilevante, James Joyce attinse a lui nella stesura di Ulysses. Il signore in questione ispirò Robert Musil e Herman Broch. Riesco a rintracciare facilmente il suo pensiero nelle opere di Lacan e Heidegger. Freud stava discutendo sulle sue idee e pure Hitler lo menzionò, ammettendo che "c’era un unico ebreo decente ma anche lui si è ammazzato".

Otto Weininger è stato una delle figure intellettuali più influenti dei primi quattro decenni del ventesimo secolo e, tuttavia, suppongo che in questa stanza non molti siano a conoscenza del suo pensiero o abbiano anche sentito il suo nome prima d’ora. Suppongo che vi debba spiegare perché. Signori e Signore, Otto Weininger era un razzista, un antisemita e un misogino radicale. Non gli piacevano gli ebrei né le donne ma indovinate, era lui stesso un ebreo e, per quanto le ricerche storiche possano rivelare una qualche verità, era un effeminato.

Vi assicuro che non sono interessato alle tendenze sessiste e antisemite di Weininger. Se mai, trovo questi due aspetti dei suoi scritti piuttosto divertenti. Molte delle sue affermazioni non possono essere prese sul serio. Le sue declamazioni contro le donne ne dipingono un’immagine di scolaro impertinente che lotta per vivere il rapporto con il mondo degli adulti, e tuttavia, è uno dei più straordinari pensatori nei quali mi sia mai imbattuto. La sua conoscenza del concetto di genio trova facilmente strada nelle ultime pagine della terza critica di Kant. La sua comprensione della sessualità è schiacciante e considerando il fatto che il suo libro fu pubblicato quando era solo ventunenne, anche i suoi molti oppositori ammettono che quest’uomo fu un talento straordinario. In breve, c’è fin troppa saggezza in Weininger per metterlo da parte senza osservarlo. In più, personalmente devo ammettere che Weininger mi ha aiutato ad afferrare chi sono, o piuttosto chi potrei essere, quello che faccio, quello che cerco di ottenere e perché alcune persone cercano così tanto di fermarmi.

Weininger pubblicò Sesso e carattere, il suo solo e unico libro nel 1903. All’epoca aveva appena 21 anni. Il libro fu presentato come studio filosofico sulla sessualità. E’ un attacco feroce sul concetto della donna, sia sull’idea che sull’apparenza. Ma non sono solo le donne che Weininger sembra disprezzare, la descrizione che fa degli Ebrei in quanto esseri degradati è lungi dall’esser lusinghiera. L’uomo Inglese è descritto come un personaggio effeminato. Lasciatemelo dire ad alta voce, Weininger è oltraggioso. Alcune delle mie associate che videro il testo l’hanno congedato prima di finire il primo paragrafo e nonostante ciò, insisto che quasi ogni frase del libro di Weininger cade nella prestigiosa categoria della letteratura provocatoria. Davvero Weininger è un razzista, un sessista, odia le Donne, odia gli Ebrei, odia tutto ciò che viene meno alla mascolinità Ariana, la sua propensione per le formulazioni matematiche è leggermente infantile e senza dubbio datata. Commette degli errori categorici ma mi ha fatto pensare. E con il vostro permesso vorrei condividere con voi le mie opinioni su questo uomo.

Sessualità

Il punto dal quale Weininger parte non è molto originale. Uomini e Donne, dice, sono soltanto dei modelli. Ogni individuo è un composto dei due modelli sessuali in proporzioni differenti. Alcuni uomini sono più mascolini di altri, alcune donne sono più femminili delle loro sorelle. Questa idea è supportata ovviamente da molte osservazioni psicologiche così come da scoperte genetiche e biologiche.


Ma Weininger non si ferma qui. Va avanti e formula la "legge dell’attrazione sessuale".
Secondo Weininger: "Per una vera unione sessuale è necessario che si uniscano un maschio assoluto e una femmina assoluta". (Weininger, 2003:29). Il legame tra l’uomo e la donna si risolve in un’unità di mascolinità e femminilità, alla quale i due partner contribuiscono reciprocamente. In pratica qui Weininger parla del completamento tra uomo e donna. Entrambi i partner contribuiscono reciprocamente alla formazione di una più grande femminilità e mascolinità. Per esempio, se Tony ha una componente maschile dell’80% e femminile del 20% e Sue ha una componente del 20% maschile e dell’80% femminile allora la somma delle due componenti avrà come risultato una unione perfetta con il 100% di femminile e 100% di maschile. In parole povere, per quanto riguarda l’attrazione sessuale possiamo presumere che Tony e Sue siano altamente eccitati l’uno dall’altro. La loro relazione riunisce una assoluta unità al 100% tra uomo e donna.

Superfluo dire che il riferimento di Weininger al genere umano in quanto dato statistico è lievemente bizzarro tanto quanto problematico.

Quando facciamo delle prospezioni sulle persone intorno a noi non vediamo delle figure matematiche o divisioni ben definite tra la parte maschile e quella femminile. Vediamo piuttosto esseri umani con voglie, desideri, intenzioni, speranze e bisogni sessuali. E, nonostante ciò, l’opinione di Weininger, senza badare alle sue implicazioni pratiche, è tutt’altro che stupida. L’idea che Tony e Sue siano impegnati in una relazione complementare è molto esplicativa. Tony sta cercando la sua parte maschile smarrita mentre Sue sta celebrando il ritrovamento della sua femminilità smarrita. Tony è attratto da Sue non solo per le sue qualità femminili ma anche perché possiede ciò che a Tony manca. Secondo Weininger noi siamo attratti da chi ci porta vicino all’unità.

Naturalmente ci aspettiamo che il legame tra estrema mascolinità e estrema femminilità risulti in una forte attrazione sessuale. Ma come Weininger fa notare, questa attrazione è collegata con una così scarsa comprensione incrociata dei due generi: "Più femminilità possiederà una donna e meno capirà un uomo… Così come più un uomo sarà mascolino e meno capirà le donne " (Weininger, 2003:57). Il motivo è chiaro, più femminilità possiede la donna, e meno la sua parte maschile viene mostrata nel suo insieme fisico e psichico.

Questo acume weiningeriano può spiegare perché gli uomini vogliono le loro donne a letto in pigiama mentre le loro amanti a letto con calze e giarrettiere. Con la moglie si preferisce parlare di tanto in tanto. Si vuole che sia comprensiva, si vuole che ascolti quelle noiose e ripetitive storie sulla giornata di lavoro. Lei vuole lamentarsi dei figli. Entrambi desiderano condividere il più possibile: notte dopo notte, si raccontano storie, a volte si leggono anche dei libri insieme, poi si spegne la luce e ci si gira dall’altra parte. L’amante è tutta un’altra storia: lei è "l’assenza", non è lì per parlare ma piuttosto per "l’azione". Si fa l’amore, poi ci si fa una doccia e si ritorna in ufficio. Piuttosto che condividere, si è entrambi coinvolti in una silenziosa "consumazione" l’uno dell’altro. Supponendo per esempio che Tony è molto maschile e Sue molto femminile, allora si attrarranno sessualmente, ma le possibilità di comunicare sono insignificanti.

Questa idea è sconvolgente nella sua semplicità, ma le implicazioni sono di una devastazione totale. Come appare, lascia il pensiero di sinistra in rovina. Se Weininger è corretto, allora la comprensione dell’Altro è fondamentalmente una forma di auto realizzazione. Se Weiniger è corretto, allora i concetti di empatia e diversità sono completamente fuorvianti. Il concetto di "Altro" che fu abbracciato entusiasticamente dal pensiero di sinistra post Seconda Guerra Mondiale (Levinas), cade a pezzi. Se Weininger ha ragione non c’è spazio per una dissertazione riguardo il concetto di empatia solo come un suggerimento normativo. In altre parole, potrebbe non esserci motivo per credere che questo uomo sia un essere empatico. Tony può capire Sue purché Sue sia ben presentata nel suo regno psichico. Comprendo la mia beneamata fintanto che possiedo abbastanza di lei dentro di me. Così di fatto, la comunicazione con il mio partner è fondamentalmente una conversazione che conduco con me, me stesso e il mio io. Apparentemente, uomini e donne tendono a lamentarsi della mancanza di comunicazione tra i due sessi. Da quel che sembra, Weininger riesce a gettare un po’ di luce sull’argomento.

Il genio e l’artista

Questo assoluto concetto di conoscenza approfondita delle differenti caratteristiche psicologiche è esplorata da Weininger nella sua trattazione del genio. Per Weininger è più che ovvio che il genio non è solo un essere dotato, il genio non è un talento e non è una qualità che può essere appresa o sviluppata. Il Genio è "un uomo che scopre molti ‘Altri’ in se stesso. E’ un uomo con molti uomini nella sua personalità. Ma allora il genio può capire gli altri più di quanto gli altri possano capire se stessi, perché dentro di sé non ha la sola personalità che sta stringendo, ma anche il suo opposto. La dualità è necessaria per l’osservazione e la comprensione… in breve, capire l’uomo vuol dire avere in parti uguali se stesso e il suo contrario in un unico individuo" (Weininger, 2003:110).


In un certo senso, il Genio è una persona che ospita un dinamismo dialettico che permette a un ricco prospetto del mondo e del suo panorama umano di animarsi. Fino a un certo punto, Weiniger qui sta alludendo alle qualità positive della schizofrenia. Idee che vennero poi esaminate anni dopo da Lacan. Il Genio ospita dentro di se un vivace dibattito. Può esplorare differenti punti di vista mentre simultaneamente esamina prospettive diverse e i loro antagonismi.

Il Genio ci racconta sempre qualcosa sul mondo, qualcosa che non conoscevamo prima d’ora. Lo scienziato osserva il mondo materiale e fisico, il filosofo esamina a fondo il regno delle idee e l’artista esamina se stesso. Bizzarro come può sembrare, l’artista ci dice qualcosa sul mondo solo osservando il suo mondo interiore; "nell’arte, l’esplorazione del se è l’esplorazione del mondo…" (Weininger,2003 :Author’s preface pg.1).

Weininger sostiene che il genio è esposto alle "passioni più strane" e "agli istinti più ripugnanti". Ma queste passioni sono contrastate da altre personalità interne. Per esempio, "Zola che ha descritto così fedelmente l’impulso a commettere omicidio non ha egli stesso commesso omicidio perché in lui vi erano molte altre personalità" (Weininger, 2003:109). Zola, secondo Weininger, riconoscerebbe l’impulso omicida più dell’omicida stesso proprio perché avrebbe la capacità di riconoscere l’impulso piuttosto che rimanervi sottomesso. L’abilità di convogliare una autentica personalità immaginaria è dovuta al fatto che la personalità e i suoi opposti sono ben orientati dentro la psiche dell’artista.

Confessione

Come alcuni di voi possono capire, è qui dove io stesso comincio a prendere seriamente in considerazione Weininger. Da alcuni anni a questa parte sono stato impegnato a scrivere su Israele, il Sionismo e l’esser Ebreo. Nei miei lavori di narrativa mi sono specializzato nel dar vita ad alcuni affascinanti e nello stesso tempo spaventosi personaggi israeliani: sono tutti dei perdenti che corrono a tutta velocità contro un muro di cemento. Scrivo di gente che non riuscirà mai a vivere un buon rapporto con le condizioni che loro stessi si impongono, gente che non troverà mai la strada di casa. Nei miei scritti politici e ideologici cerco di affermare un modello filosofico che possa evidenziare la complessità insita dell’esser Ebreo. Sto cercando il nocciolo metafisico della differente visione della supremazia mondiale. Sto cercando di seguire le tracce delle identità umiliate moralmente e eticamente. Ma poi, penso sempre a me stesso come ad un pensatore autonomo che si colloca in una archimedea posizione distaccata di esplorazione, aspiravo a costruire una ricerca imparziale sulle condizioni del conflitto Israelo-Palestinese.

Signori e Signore, mi sbagliavo. Weininger me lo ha reso chiaro, non sono distaccato dalla realtà di cui scrivo e mai lo sarò. Non guardo agli Ebrei o alla loro Identità. Non osservo gli Israeliani. Sto guardando dentro di me, sto osservando ciò che io possiedo, il mio interiore e anche eterno essere Ebreo. Ma l’ebreo dentro di me non vive su di un’isola, è circondato da molti nemici ostili e personalità opposte proprio all’interno della mia stessa psiche. Proprio qui dentro di me, una guerra si sta prendendo il suo tributo. Molte personalità si combattono l’un l’altra. Ma però credetemi, non è così terribile come può sembrare. Infatti. è alquanto produttivo.

L’antisemita

Secondo il proprio paradigma Weininger sostiene che "la gente ama negli altri le qualità che vorrebbe avere ma di cui difetta in grande misura. Quindi detestiamo negli altri solo ciò che non desideriamo essere, e ciò di cui purtroppo siamo in parte. Odiamo solo le qualità alle quali ci avviciniamo, ma che vediamo prima in altre persone… Di conseguenza, il fatto è spiegato, i più accaniti Antisemiti sono da cercarsi tra gli stessi Ebrei" (Weininger, 2003:304)

Evidentemente alcuni Ebrei si oppongono a ciò che disprezzano in loro. Questa tendenza è chiamata antisemitismo ma come ben sappiamo gli Ebrei non sono i soli. Alcuni tra i non Ebrei trovano una inclinazione ebrea dentro di se. Secondo Weininger, neanche Richard Wagner, il più accanito antisemita poteva essere immune dall’accrescimento di “ebraicità nella propria arte" (Weininger, 2003:305). Perciò mi permetterei di affermare che per Weininger l’ebraicità non è affatto una categoria razziale. E’ chiaramente una forma mentis che alcuni di noi possiedono e un bel po’ di noi cercano di contrastare.

Ma allora non è questa una ripetizione del trattato di Marx sull’identità Ebraica come viene indagato nel suo famoso e controverso saggio "La questione ebraica"? Nel suo saggio Marx equipara gli Ebrei con il capitalismo, gli interessi personali e l’avidità di denaro. Per Marx il capitalismo è giudaismo e il giudaismo è capitalismo. Il denaro è divenuto un potere mondiale, e il pratico spirito ebraico è divenuto lo spirito pratico dei paesi cristiani.


Gli Ebrei si sono emancipati a tal punto che i Cristiani sono diventati Ebrei. Agli occhi di Marx gli Ebrei sono sia i creatori che la creazione, letteralmente escrementi del capitalismo borghese. Così conclude ferocemente: "L’emancipazione sociale della comunità Ebraica è l’emancipazione della società dagli Ebrei."

Ma poi, giudicando i concetti di Marx usando lo stile Weiningeriano appare:

1 – Che Marx non considerava l’ebraicità in quanto identità razziale ma piuttosto come forma mentis. In pratica sono i paesi Cristiani ad adottare la forma mentis ebraica.

2- Che l’analisi di Marx è la conseguenza che lo stesso Marx era in parte ebreo. In altre parole, essendo un genio alla Weininger, Marx cercò di porre resistenza alla propria mentalità ebrea.

Come possiamo notare, Weininger ci fornisce dei mezzi di analisi abbastanza utili.
Dobbiamo ammettere che ci sta dando la capacità di osservazione sull’argomento ‘odio e odio nei confronti di se stessi’. Weininger va oltre affermando che "l’Ariano deve ringraziare l’Ebreo perché attraverso lui impara a guardarsi dal Giudaismo insito in se".
Quando odiamo gli ebrei odiamo l’ebreo che è in noi. Questo potrebbe spiegare l’odio cieco dei nazisti nei confronti di tutto ciò che anche remotamente poteva odorare di ebreo. Ma allora se l’odio è una forma di negazione di se, a questo punto dovrei ammettere che la mia guerra contro lo Sionismo si dovrebbe attuare in una guerra che dichiaro a me stesso. E lasciatemi fare un passo oltre, fintanto che qualcuno in questa stanza è d’accordo con me che Sionismo e Razzismo devono essere sconfitti, allora noi tutti dobbiamo ammettere di avere un piccolo caro sionista razzista dentro la nostra mente.
Combattere sionismo e razzismo è combattere noi stessi. E lasciatemelo dire, questa è proprio la strada giusta da percorrere.

Conclusione

Senza dubbio Weininger ci offre in quantità mezzi di analisi per decostruire il suo stesso lavoro. Ci si dovrebbe chiedere, come fa a sapere così tanto sulle Donne? Come mai le odia così tanto? Come fa a sapere così tanto sugli Ebrei? Perché li odia così tanto?
La risposta ce la rivela il pensiero di Weininger ma non in parole sue. Weininger odia le Donne e gli Ebrei perché lui stesso è Ebreo e Donna. Adora la virilità Ariana perché in lui non ve n’è una goccia. Ed è probabilmente questa rivelazione a condurre Weininger al suicidio alcuni mesi dopo la pubblicazione del suo libro. Alla fine arrivò a comprendere di cosa trattava il suo libro.

Oggi ho deciso di parlarvi di Otto Weininger principalmente perché uno dei più grandi filosofi è stato rimosso dai nostri scaffali e praticamente bandito dalle nostre protezioni del PC. E’ perché non aveva nulla da dire? Esattamente il contrario, aveva di gran lunga molto da dire. Molto più di quanti di noi vogliono ammettere. Weininger, uno degli ultimi giganteschi filosofi tedeschi, getta una luce sugli aspetti più vivi del nostro essere. E come tutti noi sappiamo, raramente vediamo ciò che ci sta sotto il naso.

Ma c’è dell’altro su cui volete riflettere. Potreste aver notato che mentre stavate entrando in libreria un gruppo rumoroso di "ebrei antisionisti" sta picchettando in strada. Stavano picchettando contro di me, amici miei, contro il mio messaggio, il nostro messaggio o anche qualsiasi messaggio in generale. Vi posso assicurare che, sia io che la libreria, li abbiamo invitati a prendere parte a questo dibattito. Come potete immaginare, chiaramente hanno rifiutato. Weininger ci spiega perché. Evidentemente mi odiano, odiano tutto quello per cui sono a favore. Ma allora perché mi odiano così tanto? Perché mi conoscono bene, molto bene. Vi chiederete come mai mi conoscono così bene? Semplice, io sono là, nel profondo di ognuno di loro, sono colui che solleva quelle domande insopportabilmente irritanti: Sono quello che chiede che cosa rappresenta l’ebraicità, che cos’è la laicità ebraica. Metto in discussione il rapporto intrinseco tra Sionismo e Ebraicità. Sono felice di discutere apertamente ogni narrazione storica Ebraica incluso l’Olocausto e semplicemente mi odiano.
Grazie a Weininger ora dovremmo intuire che mi disprezzano perché proprio quelle domande tolgono sonno ai loro occhi. Fanno fronte a questi interrogativi quotidianamente, ma non riescono a trovare dentro di se i mezzi per affrontare le conseguenze per aver fronteggiato quelle domande. Non osano nemmeno sedersi qui con noi. Stare qui tra di noi significherebbe stare con se stessi. Significherebbe confrontarsi. Invece di fare questo sono impegnati nel solito Talmudico gioco simbolico di etichettare e calunniare il messaggero. Ammettiamo, uccidere il messaggero è una parte intrinseca della narrativa storica ebraica.

Seguendo il mio stesso confronto con gli scritti di Weininger ora mi sto rendendo davvero conto che il mio lavoro sta traendo potere dall’auto riflessione. Piuttosto di guardare il mondo, sostanzialmente osservo me stesso. Io esco con la musica, la letteratura e le idee. Se il mio operato è di una qualsivoglia qualità sta a voi decidere. Se riesco a dire qualcosa sul mondo, lo dirà il tempo. Alcuni di voi leggeranno i miei libri e sono quasi sicuro che voi possiate prendere una decisione. Ma quando toccherà a coloro che prima stavano picchettando lì fuori, è categoricamente chiaro, non prenderanno nessuna decisione; non desiderano stare in mezzo agli altri, o per esser più precisi, non hanno alcuna intenzione di guardarsi dentro. Mentre noi ci trovavamo qui in questa libreria, loro erano occupati a bruciare libri. Questo è il vero significato dei muri del ghetto ebraico, che sia il muro dell’apartheid in Palestina o solo un piccolo muro divisorio qui fuori da Bookmarks, Londra. Il Sionismo sta tutto nella segregazione, è là per separare gli Ebrei dal resto dell’umanità. E’ triste scoprire che questo male politico ha contaminato anche i pochi ebrei che si sono dichiarati suoi oppositori. Auguro del bene a questi ebrei antisionisti e voglio credere che prima o poi si emancipino. Allora poi verranno a sedersi con noi.

Gilad Atzmon



Una conversazione da Bookmarks, libreria marxista di Londra, tenuta il 17.6.05


Fonte:http://www.gilad.co.uk/

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LAURA

Note

1. Otto Weininger, Sex and character (ed. Howard Fertig : New York, 2003)
2. Karl Marx, La questione ebraica, 1844 www.marxists.org


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Banalità metafisiche...


Per un aggiornamento culturale e politico. Non si possono sciogliere i nodi con il sistema che li ha creati. Qualche considerazione evolutiva che prima di dare chiede.

Non di rado si critica l’epoca in corso, anche in quanto materialista. Si vuole alludere così alla dimensione metafisica del tutto trascurata o, peggio, lasciata alla religione.

Il materialismo è una concezione del mondo. Da essa discende una collana di perle, tanto affascinanti per la falsa sicurezza che inducono, quanto sconvenienti per la limitazione creativa che impongono. Sono il dualismo (oggettivazione della realtà), il determinismo (causa-effetto quale solo fondamento della realtà), il meccanicismo (gli organismi e le loro relazioni sottostanno alle leggi che governano le macchine), il positivismo (solo ciò che produce un guadagno è giusto), il razionalismo (solo piano per la ricerca della verità), lo scientismo (fideismo nella scienza, sola epistemologia della verità). Un rosario in cui l’uomo è concepito alla stregua di una macchina.

I ricercatori di tutte le storie e di tutte le geografie, nonostante l’abbiano necessariamente espresso in forme differenti, hanno in comune il medesimo culmine: la causa della sofferenza è in noi stessi; ognuno può sottrarsi alla sofferenza attraverso la propria evoluzione.

Tale evoluzione è di tipo metafisico. Non comporta idiozie quali non si capisce come mai, stava benone, faceva sport e si è ammalato. La dimensione fisica non è altro che la presenza nella storia di uno spirito. Come un ponte, una filosofia, un record sportivo richiedono a priori il relativo intento adeguato alla difficoltà del progetto, così il nostro aspetto, il nostro campo d’azione, la nostra vitalità, la nostra identità, eccetera non sono che la realizzazione di uno spirito soggiacente. Parlare di rispetto e arrivare a fare una legge che lo imponga è differente dal provare rispetto a causa della consapevolezza dell’altrui spirito soggiacente.

Lo stato di benessere/malessere è totalmente relativo ad un solo elemento: l’accettazione di ciò che è. Anche nella pena, attraverso l’accettazione, la sofferenza si riduce. La sofferenza è la conditio dell’evoluzione. Di sicuro una certa presa di coscienza evolutiva può accadere anche senza il mezzo della sofferenza. In questo caso, però, resta limitata alla dimensione intellettuale. Essa resta una semplice nozione di scarso valore evolutivo. Di conseguenza, se non viene incarnata, non è ricreata da ogni singolo uomo. E, non essendo ricreata, non diviene implicitamente espressa nel nostro fare.

Al contrario, l’evoluzione attraverso la sofferenza comporta una diffusione energetica, sottile, il cui pieno valore evolutivo si compie.

Non è tutto. Nella concezione spirituale del mondo, la realtà non è composta da parti. Essa è corpo organico. Soltanto la scellerata scienza, convinta di trovare l’ultimo elemento della materia, si dà da fare nella sua scomposizione, nella sua nomenclatura, nelle sue graduatorie. Tutti legittimi e funzionali servizi all’uomo, se non avessero l’ontologica universalistica pretesa di corrispondere al vero. In un corpo organico, l’altro è un terminale della natura come lo siamo noi e, in quanto tale, del tutto spiritualmente identico a noi. Ciò che anima il prossimo è esattamente ciò che anima tutti gli uomini. Riconoscere questa banalità – che il cieco materialismo non vede – è a sua volta essenziale. Essa è, infatti, il prodromo per concepire l’altro, in un noi in altro tempo e modo.

Significa che ciò gli vediamo fare – all’altro – è ciò che abbiamo fatto o faremo. Se lo giudichiamo identificandoci nel giudizio stesso, l’altro resta separato da noi e noi non sfruttiamo l’occasione evolutiva che ci è offerta. Diversamente, senza indentificarci, possiamo cogliere elementi utili per migliorare la nostra condizione esistenziale, per evolvere verso la riduzione di vulnerabilità.

L’altro come un noi tocca un ulteriore elemento di valore evolutivo: l’attribuzione/assunzione di responsabilità della nostra condizione esistenziale. In quanto terminali di un solo organismo, siamo nella condizione di poter spersonalizzare la nostra sorte. Diversamente, se ci riteniamo una singolarità separata, la nostra sorte verrà attribuita al prossimo se cattiva e a noi stessi se buona. La spersonalizzazione della sorte non è che la disponibilità a riconoscere in noi l’origine di ciò che viviamo e di come lo viviamo. Finché il nostro dolore non è vissuto come il dolore dell’umanità, la nostra opera evolutiva non ha che cartucce a salve. Il potere energetico non è che una cilecca, quando il miglioramento della nostra condizione di vita rientra in tutto e per tutto in un progetto egoistico.

Diviene, quindi, necessario prendere le distanze dal nostro ego. Più esattamente, dall’identificazione in esso. Riconoscendo la matrice materialistica – che ci impone di essere qualcuno, di avere un ruolo, una posizione, di difenderla e, se serve, di attaccare – diviene accessibile la presa di coscienza che quelle identità non sono che infrastrutture, legittime, ma che non corrispondono al nostro sé profondo. Limitare noi stessi a un nome, a un titolo, a un ruolo è prendere una briciola caduta dal tavolo dell’infinito e credere sia proprio per noi. È autolimitare le potenzialità creative. È mortificare l’uomo. Esattamente ciò che è ontologicamente implicito nella concezione materialista della realtà.

L’esogeno inseguimento del giusto, dell’equilibrio, del bene ciecamente anelato dall’inetta prospettiva egoica, non può che mantenere noi e la storia così come la conosciamo.

Oltre le sue forme contemporaneamente mutevoli e ripetitive, si può cogliere il percorso endogeno attraverso il quale tutte le ricerche di ogni storia e di ogni geografia conducono.

Lorenzo Merlo 



L'etica non è taoista...

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L'etica appartiene al ragionamento e quindi al cervello logico mentre la felicità è connaturata nell'inconscio, quindi fa parte del cervello analogico. L'Uomo, come tutti gli altri animali è felice di vivere per sua propria natura..

Vediamo cosa dicono i recenti studi scientifici basati su tecnologie, dette ‘Brain imaging’, che permettono di vedere quali parti del cervello si mettono in funzione maggiormente durante certi pensieri, parole e azioni. Da queste ‘mappe del cervello’ risulta che il pensiero razionale e il linguaggio attivano nella maggior parte dei casi l’emisfero sinistro, che e’ simile a un computer, in quanto accumula i dati delle esperienze in memoria e li ripete su richiesta. La parte destra del cervello e’ attivata dalla musica, dal linguaggio non-verbale, che e’ fatto di intonazioni della voce, sguardi, gesti, mimica facciale, ecc. e dalla creatività, che è la combinazione originale di elementi presenti in natura…

Purtroppo nella società moderna, soprattutto in seguito al predominio della scienza razionalista (ed ella cultura maschilista) ha preso il sopravvento la parte giudicativa della mente, da qui il grande passo avanti delle religioni monoteiste, della arroganza dell'uso nei confronti delle altre creature e della natura. In tal senso è illuminate la lettura de "Il Limite dell'Utile" di Battaille.  

Ma  ad una prima analisi superficiale appare strano che anche il così detto "animalismo" e "veganesimo" facciano parte di un ragionamento.  A dire il vero,  malgrado si pongono in opposizione (apparente) con la sopraffazione maschilista e patriarcale, in realtà ne sono un contraltare paritario. Da una parte si opprime considerandolo un proprio diritto e dall'altra si difende in considerazione della propria "superiorità"  ideologica (etica).

Nel Hua Hu Ching è detto: "Agli altri esseri comuni spesso si richiede tolleranza. Per gli esseri integrali non esiste una cosa come la tolleranza, perché non esiste nessuna cosa come le altre. Essi hanno rinunciato a tutte le idee di individualità e ampliato la loro buona volontà senza pregiudizi in qualunque direzione. Non odiando, non resistendo, non contestando. Amare, odiare, avere aspettative: tutti questi sono attaccamenti. L'attaccamento impedisce la crescita del proprio vero essere. Pertanto l'essere integrale non è attaccato a nulla e può relazionarsi a tutti con una attitudine non strutturata."

Nel taoismo, che non è propriamente una religione e nemmeno una filosofia, ma una forma di naturalismo vissuto senza enfasi, si indica l'astenersi dagli eccessi, sia in positivo che in negativo, come un naturale atteggiamento di vita. Si comprende il bene ed il male ma non si predilige né l'uno né l'altro. Il bene (yang) ed il male (Yin) sono i due aspetti del manifestarsi della esistenza su questa terra. Ed è per questa ragione che i taoisti irridevano il buon Confucio che da razionalista convinto spingeva per un'etica sociale e politica, mentre essi si limitavano a permanere nella propria natura originale. Rispettando le propensioni naturali, non acquisite quindi per convenienza utilitaristica....

La felicità è la nostra vera natura, affermava Osho, e la ricerca della felicità è un modo per oscurarla e nasconderla. Infatti in un antico proverbio calcatese si dice "Il meglio è nemico del bene"...  poiché perseguendo l'ipotetico meglio non si vive il bene che è a portata di mano. Prova ne sia anche a livello legislativo la continua immissione di leggi nella società che non fanno altro che rendere la giustizia sempre più cavillosa ed impraticabile.

Forse andrebbe recuperato il fantastico ed il poetico  anche nella nostra vita sociale e produttiva. ..Quella poeticità, che nel mondo antico caratterizza la forma dell’interrogarsi dell’uomo sul reale e sul senso delle proprie esperienze, è spia significativa di una ORIGINARIA CONCORDIA tra una spontanea accettazione dell'altro (non semplicemente etica) e la felicità innata  che con la razionalità  finisce con l’essere dimenticata.  

Occorre superare il  distacco che ha portato quasi a naturalizzare il conflitto tra  poesia e  retorica, e ciò senza voler efficientemente promuovere ed affermare e ri-pensare la verità della gioia  in quanto risultato di una  concezione "etica".

“L’uomo che non voglia far parte della massa non ha che da smettere di essere accomodante con se stesso; segua piuttosto la propria coscienza che gli grida: ’sii te stesso! Tu non sei certo ciò che fai, pensi e desideri ora’. Ogni giovane anima sente giorno e notte questo appello e ne trema; infatti presagisce, rivolgendo il pensiero alla sua reale liberazione, la misura di felicità destinata dall’eternità; felicità che non riuscirà mai a raggiungere se incatenata dalle opinioni e dalla paura. E quanto assurda e desolata può divenire l’esistenza senza questa liberazione! Nella natura non c’è creatura più vuota e ripugnante dell’uomo che è sfuggito al suo genio e ora volge di soppiatto lo sguardo a destra e a sinistra, indietro e ovunque. Un tale uomo alla fine non lo si può neppure attaccare: è solo esteriorità senza nucleo, un marcio costume, pitturato e rigonfio, un fantasma agghindato che non può ispirare paura e tanto meno compassione.” (Friedrich Nietzsche)

Paolo D'Arpini


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