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Essere non è un pensiero...

 


"In assenza di tempo/spazio c’è assenza di pensiero. Ed in assenza di pensiero chi sono io?" (Saul Arpino)


Essere non è un pensiero. Il pensiero è contenuto nella coscienza, è un oggetto della coscienza e come tale ha bisogno di estendersi nel tempo e nello spazio. La coscienza esiste indipendentemente dalla presenza o meno di oggetti (pensieri), ciò è riscontrabile anche nella condizione di sonno profondo in cui gli oggetti scompaiono ma permane il senso di permanenza, infatti al risveglio siamo coscienti di aver dormito profondamente.

L’assenza dell’io durante il sonno profondo prova che l’esistenza e la coscienza non sono condizionati dal senso d’identificazione con uno specifico soggetto/oggetto (osservatore/osservato), ma questo avviene non consapevolmente.

Lo stato del Sé è coscienza ed esistenza senza identificazione in una  forma specifica,  tale consapevolezza non è di un qualcosa  e nemmeno dell’essere consapevole di essere consapevole (che è la condizione dell’io riflesso nella mente) è pura consapevolezza aldilà di ogni possibile differenziazione speculare e quindi non comparabile. Per questa ragione gli illuminati la definiscono come né consapevolezza né inconsapevolezza, ogni  descrizione non corrisponde  alla realtà del Sé, che è indescrivibile però concreto ed assolutamente reale.

L’attaccamento all'io (ego)? Non esiste, è solo una proiezione che prende vita dal senso di separazione e che cerca di ricongiungersi al Sé originale che si proietta nell’immagine osservata. Ma come può l’immagine avere qualsiasi possibilità di esistere e ricongiungersi esternamente al Sé che si sta riflettendo? Una volta compreso questo attaccamento, che è non esistente, esso scompare…

Paolo D'Arpini



Energia universale akashica e Coscienza…



La coscienza individuale è in costante movimento ed evoluzione, seguendo i diversi modi di sviluppo della società od i periodi storici nei quali si manifestano le vicende umane. Ogni transizione assomiglia al superamento di un livello d’apprendimento, un po’ come succede nella spirale del DNA. La coscienza, in questo caso meglio definirla mente, si muove dalle espressioni più semplici a quelle più complesse. Una sorta di testimonianza-memoria dei vari processi sofisticati della vita. 

Per crescere spiritualmente dalla persona dobbiamo partire, in quanto depositaria della prima scintilla di Coscienza dalla quale tutto deriva. Non voglio perciò sminuire il valore dell’io-persona, e come “questo” anche tutto gli altri “io” che pazientemente seguono e precedono.

Il pensiero, si dice, ha la forza di promuovere l’azione e quando molti pensieri vanno in una certa direzione forse la conseguenza inevitabile è proprio quella preconizzata. Oppure è  una sensazione/impulso che ha a che fare con l’inconscio, con il pescare nella “akasha”, o mente collettiva,  e così le cose immaginate accadono sincronicamente…?!

I cicli (e le pieghe) del karma.. sono misteriosi…

Il  Vuoto (Sunyata) non è vuoto. E' costituito da  una energia spirituale  conosciuta da millenni nelle antiche tradizioni spirituali come energia Akashica dell’universo. Questa energia non solo dà forma al mondo fisico, momento per momento, ma si relaziona costantemente  con la coscienza.

La scienza contemporanea rivela che concepire una  distinzione tra mondo materiale e spirituale è un errore. Non c’è dualità, l’universo è prodotto e composto  da una sostanza sola e sia il mondo fisico che spirituale prendono forma da questa singola sostanza, detta anche “etere”, che compenetra ogni essere in quanto “Coscienza”.

Attenzione, qui occorre precisare che la “Coscienza” non è ciò che appare nella coscienza, non è  -per intenderci- sensazione, pensiero, emozione, intuizione, visione, etc. (che sono il suo contenuto) ma è quella luce (lumen) che rende possibile ogni  percepire.  Ed infatti  neanche questa spiegazione fatta di parole  può qualificare o indicare la Coscienza. Anche questo mio è un futile tentativo di definire l’indefinibile "Consapevolezza"… 

Paolo D’Arpini



Fine del mondo o attesa del nuovo Messia...?



Parecchi anni fa aiutai l'amico Peter Boom a rendere in italiano “2020 - Il nuovo Messia” * di cui scrissi anche l'introduzione, si tratta di  un libricino di fanta-ecologia in cui si immagina la fine del mondo in seguito ad una serie di catastrofi ecologiche causate dall'uomo. A quel tempo, primi anni '90 del secolo scorso, già facevo parte del nascente filone bioregionale e della “deep ecology” (come allora si diceva), e trovai interessanti le tesi di Peter, che immaginava un goffo tentativo da parte dei potenti di salvarsi dalla distruzione planetaria per mezzo di “una nuova arca” (che accogliesse loro stessi e le loro donne) e finì miseramente in un boato atomico autodistruttivo. Insomma l'interrogativo era ed è se gli umani saranno  in grado di ereditare la terra..


I mondi dell'uomo sono molteplici ma tutti nel pensiero.. uno solo è
reale: questa Terra. Se non siamo in grado di conservare la nostra
vita onorevolmente sulla Terra come potremo sperare la salvezza
emigrando su altri pianeti? Come potremo sperare di essere accolti nel
consesso della vita universale extraterrestre se non siamo stati in
grado nemmeno di mantenere la vita sul nostro piccolo pianeta? Con ciò
ritengo che l'esperimento della nostra sopravvivenza deve potersi
avverare qui dove siamo...  Inutile sperare in colonie sulla Luna, su
Marte o su Venere... inutile cercare l'acqua su quei mondi desolati se
qui -dove ce ne è tanta- non siamo in grado di mantenerla pulita.


Eppure già ci furono diversi scienziati e spiritualisti illuminati che
sin dagli albori della società dei consumi avvertivano l'uomo del
rischio di uscir fuori dai binari dell'equilibrio scienza/vita. Oggi
il treno umano sta deragliando con scintillio di schegge impazzite:
OGM, avvelenamento chimico metodico della terra e dell'acqua, energia
atomica sporca, deperimento sociale e morale, urbanizzazione
selvaggia, distruzione delle risorse accumulate in millenni dalla
natura, etc.

L'uomo nel corso della sua breve storia ha enormemente trasformato la
faccia della Terra, perché egli può deliberatamente modificare quasi
tutto quel che costituisce il suo ambiente naturale e controllare quel
che cresce e vive in esso.

La trama della vita è però tanto delicata e tanto legati sono tra loro
il clima, il terreno, le piante e gli animali, che se una componente
di questo complesso viene violentemente modificato, se alcuni fili
vengono tagliati all'improvviso, l'intero complesso subisce una
modificazione. Questo è il significato intrinseco del Bioregionalismo
e dell'Ecologia Profonda.

Per centinaia di anni -e soprattutto nell'ultimo secolo- l'uomo è
stato la causa di deturpazioni, stermini ed alterazioni profonde... e
questo malgrado la sua contemporanea capacità di creare abbellimento
ed armonia. Il potere intellettivo che consente all'uomo di progettare
e costruire è lo stesso che gli consente di distruggere. Con l'aumento
smisurato della popolazione umana la capacità di procurare danni
materiali come pure l'affinamento del pensiero e della riflessione
sono cresciuti esponenzialmente.

Purtroppo questa nostra Terra non è un Paese di Bengodi od un corno
dell'eterna abbondanza... le risorse del pianeta, pazientemente
accumulate e risparmiate nel suo ventre, sono ora in fase di
esaurimento. La biodiversità e la purezza del genoma vitale sono
sempre più a rischio... molte specie animali resistono solo negli zoo
o nei giardini botanici. In tutto il mondo moderno ogni nuova impresa
economica e scientifica viene seguita da peste e malanni, lo sviluppo
continuo equivale al consumo accelerato dei beni, nella incapacità di
recupero ambientale e ripristino da parte della natura.

Occorre da subito e con la massima serietà e determinazione fermare la
caduta, preservando le risorse residue e quel che rimane della vita
selvatica, non solo per il mantenimento della bellezza naturalistica
ma soprattutto perché l'armonia complessiva, cioè la reale
sopravvivenza della comunità dei viventi (e dell'uomo stesso) dipende
da quelle componenti.

Il futuro dell'umanità, infatti, non sta nella sua colonizzazione di
altri pianeti del sistema solare bensì nella sua abilità di conservare
la vita sul pianeta Terra.

Per questa ragione la biologia, l'ecologia profonda, la spiritualità
della natura sono aspetti essenziali del nuovo paradigma coscienziale.
Uno dei più grandi misteri vitali, che abbiamo il dovere di affrontare
e risolvere, è quello relativo alla nostra vera natura. Ma le
religioni e la scienza non saranno mai in grado di darci una risposta
se non cominciamo a cercarla direttamente in noi ed attorno a noi.
Altrimenti non saremo in grado di uscire dal meccanismo ripetitivo
delle guerre, dello sfruttamento insensibile, dei conflitti razziali e
interspecisti.

Umanità non è solo simbolizzata da questi bipedi antropomorfi e non è
solo un agglomerato organico definito “corpo”. Possiamo dire che
Umanità è la capacità di riconoscersi con tutto ciò che vive e pulsa
energeticamente dentro e fuori di noi.

La Terra è la nostra casa, l'abbiamo avuta in eredità da un lento e
laborioso processo globale della vita, ma siamo sicuri di poterla
lasciare a nostra volta alle generazioni future nella stessa integrità
e opulenza nella quale noi l'abbiamo ricevuta? La dignità umana si
gioca anche in questo, accettiamo dunque la sfida posta alla nostra
intelligenza.

L'evoluzione ha una direzione univoca, la crescita della Coscienza,
restiamo in essa!


Paolo D'Arpini 









*




Avanti e indrè... che bel divertimento!

 


La destra di oggi ha perso il legame con lo spirito della vita. Quella di ieri ha avuto il torto di realizzare politiche impiegando l’autoreferenziale diritto alla forza. Entrambe nulla hanno e hanno avuto a che vedere con il cosiddetto pensiero di destra. Cosiddetto, in quanto da sempre abbinato a politiche conservatrici e prevaricatrici. Se c’è un abbinamento da fare o quantomeno da prediligere è quello con lo spirito della vita. Quello che non ha a che vedere con la narrazione progressista.

In un recente articolo, Marcello Veneziani scrive: “[…] molti autori della grande cultura di destra sono intraducibili in politica: autori come Julius Evola, Ernst Junger o Yukio Mishima non offrono sbocchi politici ma solitudini eroiche, passaggi al bosco, rifiuto della società di massa e del realismo politico”. (1)

Tutto vero, ma ad una condizione. Che l’attuale stato delle cose, la cultura del momento, squisitamente a sfondo materialista e meccanicista, venga data – o peggio, concepita – come definitivamente inamovibile. Una specie di Tina in campo culturale, o meglio esistenziale.

Capisco che non è piacevole sentirselo dire. Spero, e chiedo in merito, una lettura fenomenologica della mia affermazione.

Ma il punto non è per niente questa nota critica a Marcello Veneziani, uomo di spessore verso il quale non c’è in me alcun intento competitivo. Come potrebbe?

Il punto è che la concezione materialista e meccanicista, nonché scientista della storia, è suntzuanamente certamente da legittimare al fine di riconoscerne logica e ragioni. Ma non è la sola come pretende di essere. Peggio, come la vulgata, salvo eccezioni, intellighenzia inclusa, crede sia.

L’alternativa vedrebbe la presenza fattiva (“realismo politico”) anche dei tre intellettuali citati da Veneziani: Julius Evola, Ernst Junger, Yukio Mishima. Quantomeno del significato profondo del loro pensiero sull’uomo, la società e la vita.

La modalità meccanicista che domina i nostri pensieri, le nostre scelte e le politiche ha ragione d’essere in un tentativo razionale di organizzazione sociale. È una modalità eccellente in contesto amministrativo, ovvero per quelle situazioni nelle quali tutti sanno tutto, dalle regole, ai ruoli, alla semantica, allo scopo, alla verità. Campi chiusi insomma.

Estendere questa modalità logico-amministrativa al contesto relazionale aperto, ovvero intendere meccanicisticamente l’uomo, è all’origine di tutti gli equivoci, nonché di tutti gli attriti, malesseri, malattie, conflitti.

In ambito relazionale, come settorialmente diverse scuole psicoterapiche, didattiche, semantiche hanno già implicitamente riconosciuto, la realtà oggettiva – a sua volta figlia del dominio dell’immaginario da parte della logica e del materialismo – diviene un dannoso, inconsapevole dogma.

Secondo la formula che siamo universi diversi, in ogni persona ne vortica uno dal quale si estrae il necessario per definire la realtà. Definizione che rispetterà sempre la biografia che la elabora. A causa dell’incantesimo meccanicista, saranno tutte definizioni con tale matrice.

Emanciparsi da questo dna culturale, vederne i limiti, riconoscerne l’inopportunità se applicato in ambito relazionale, permette di riappropriarsi della vita, il cui ordine non è esauribile su un piano cartesiano, la cui infinità non può essere compressa in poche, seppure erudite, scatole logico-razionali.

Ed è qui che i tre autori e tutta la concezione sottile dell’uomo ha ragione d’essere presa in considerazione.

Quando, quanto e come sia possibile la decantazione di una concezione altra della realtà rispetto all’attuale – che accetta di buon grado di ridurre l’uomo a consumatore, a produttore, a merce, a elettore, a fenomeno economico, a replicante ideologico, pena la criminalizzazione e ghettizzazione, ad alienato, e ultimamente a futile, nonché neppure più sovrano del suo corpo, comunque sempre allineato e coperto in adunata sotto la bandiera del dirittismo e del politicamente corretto, meglio se individualista, edonista e votato all’opulenza – non è per nulla importante. Quest’uomo omologato, ormai virtuale come un videogioco, non sa cosa sia essere creativo, né che identità non corrisponde a una scelta, ma a una radice. Non sa che la sua formazione è destinata a essere funzionale a un sistema di valori che neppure sospetta possano essergli fatali. Non lo sa, ma il nichilismo con la sua carica mortificante incombe, così è contento perché va a sciare.

Che fare? Nulla che pretenda il risultato, sarebbe una modalità a sfondo produttivistico. È solo necessario essere sul pezzo. Operare per promuovere una cultura evolutiva nelle occasioni che la vita offre significa alzare al massimo il rischio di successo di una concezione umanistica della cultura, della politica, della vita. La sola idonea a superare l’obbrobrio del pil come indice del benessere di una comunità.

Come il terrazzamento di un intero versante, che avrebbe richiesto l’opera continuativa di più generazioni, non intimoriva il primo uomo che ne aveva avuto visione nonostante la fitta vegetazione, e non intimoriva neppure tutti coloro che lo avrebbero nel tempo realizzato, così, stando sul pezzo lo avevano portato a termine e la comunità ne avrebbe goduto.

Allo stesso modo, con pari dedizione e continuità, sarebbe da intendere il lavoro in corso per un cambiamento evolutivo di paradigma. Se i montanari dissodavano senza interruzione, noi lanceremo messaggi di deliberata bellezza nella bottiglia. Tra le onde, faremo semplicemente ciò che ogni naufrago dell’attuale mortifera burrasca politico-culturale non esiterebbe a fare, unendovi tutta l’energia che la sua visione di cambiamento richiede. Proprio come i montanari.

Tempestoso mare immondo, le cui paurose onde non sono che l’inerzia della vulgata non solo popolare, perché ora fanno corpo anche gli intellettuali. In cima ai marosi, spumeggianti di vuota vanità, troviamo le vaporizzate istituzioni, definitivamente separate da ciò di cui dovrebbero occuparsi. Per quanto riguarda la cosa pubblica, va riconosciuto all’arguto selettore capitalistico il nefasto merito di aver prodotto la sua razza capolavoro, non a caso ora sua cagna da guardia, chiamata Politica.

Viviamo così entro un catino di forzati guerrieri in lotta individual-civile. A pieno diritto, ci diamo da fare non nel rispetto dei vizi capitali, ma in quello del business is business che, all’opposto, li rinnega tutti. In suo nome, in nome di quel dio, possiamo arrivare a fare di tutto per la conquista della rampa che conduce al piano di sopra.

La dedizione per ascendere al palazzo di Babele può durare una vita. Non sospettiamo l’elevato rischio di finire con sorpresa dritti ad affacciarci infine al vuoto della perdizione esistenziale, sempre disponibile al di là dei cristalli.

Appena le opportunità ci offriranno la consapevolezza di aver dedicato anima e corpo – in senso stretto – ai valori effimeri, di un mondo che neanche Truman Burbank era stato bastato a dimostrarci che era fittizio, nel nero staremo precipitando.

Che altro sono le crescenti psicopatologie, bulimie e neoplasie, nonché i vari mitra scaricati a scuola, se non sintomi di quel precipitare nel vuoto di questa cultura?

Diversamente da quanto afferma Veneziani: “[…] solitudini eroiche, passaggi al bosco, rifiuto della società di massa e del realismo politico”, quei tre e molti altri, non certo ultimi né il Cristo né il Buddha, avrebbero motivo e ragione di non far parte della congrega socio-politica, per la realizzazione di un altro realismo politico. Oggi, da chi ne ha coscienza, perdentemente lasciato a nutrire l’utopia.

Se possiamo chiamare uomo compiuto la persona con le consapevolezze idonee alla sua emancipazione dalle ideologie, dai luoghi comuni, dall’attribuzione di responsabilità, dal vittimismo, dalla personalizzazione dei fenomeni, e così via, questo ha ragione di scaturire da una cultura che abbia incarnato in sé, e perciò mantenuto, il legame con il volume dal quale tutta la storia diviene. Platone lo chiamava iperuranio. In esso vi è già tutto. Soltanto l’uomo inconsapevole pensa perciò che la sua competenza logico-analitico-scientista possa portare alla verità, come la formula “in cerca della più piccola parte della materia” ben rappresenta. Quell’uomo è inetto a vedere nel suo fare il limitato campo in cui può sostenerlo e l’implicazione blasfema che comporta quando, come sempre accade, assurge a verità definitiva. Per spiegazioni, chiedere a Julius, Ernst e Yukio.

E già che siamo in tema di domande, chiediamoci anche quale tipo di politiche e di società metterebbe in essere l’uomo compiuto. Il terrazzamento non è un’utopia e se lo fosse la boscaglia sarebbe rimasta al suo posto.

Lorenzo Merlo











Nota

  1. https://www.inchiostronero.it/se-la-cultura-trasloca-a-destra/

Dignità umana e pensieri di Omraam Mikhaël Aïvanhov

 


Se volete essere sempre degni di stima, dovete mostrarvi all’altezza della situazione qualunque cosa accada. A quel punto, se anche dovessero farvi dei rimproveri, umiliarvi o infangarvi, in realtà nessuno potrà colpirvi né sporcarvi. Siete solo voi che avete il potere di sporcarvi, nessun altro, è una legge. Nessuno può sminuirvi se voi stessi non vi compromettete.

Se siete sempre legati al Cielo, occupati unicamente a compiere la volontà di Dio, qualunque cosa si faccia esteriormente, voi sarete sempre grandi, sarete sempre luminosi. Questo perché non sono gli esseri umani i più potenti, ma è il Cielo, ed è lui che vi protegge.

Ciascuno di voi è un singolo individuo, ma questo non significa che sia separato dagli altri. Anche se non lo vedete, anche se non lo percepite, da qualche parte, nei piani sottili, siete legati agli altri, e in un modo o nell’altro tutto ciò che fate si ripercuote su di loro. Via via che diventate più attenti e più illuminati, anche a vostra insaputa – e persino a loro insaputa – comunicate agli altri alcune delle ricchezze e delle luci che avete ricevuto. Allo stesso modo, se iniziate a oscurarvi, gli altri subiranno a causa vostra delle influenze malsane.

Qualunque cosa facciate, siete responsabili. Di qualcuno che è direttore, dirigente d’azienda, ministro o capo di Stato, si dice che ha grandi responsabilità. È vero, ma in realtà tutti gli esseri umani sono anche responsabili nei confronti gli uni degli altri. Purtroppo, i più lo ignorano, e questa ignoranza è causa di molte sofferenze. Se volete dunque manifestarvi come un essere utile e benefico, cercate di considerare ogni vostra attività come un’occasione per elevarvi spiritualmente poiché, anche se in modo impercettibile, trascinerete altri esseri con voi.

Omraam Mikhaël Aïvanhov



Alchimia e trasformazione... senza fare nulla

 


Quando sei seduto in silenzio, senza fare nulla, senti solo che ti stai dissolvendo, che ti stai sciogliendo... Che stai scomparendo nel tutto. Perdi i tuoi confini... Perdi la consapevolezza dei tuoi confini. Non pensare di finire alla tua pelle. Espanditi.

Seduto nella stanza, sentiti perso, come una goccia che cade nell’oceano e scompare. Più pensi in termini di dissoluzione, più diventi consapevole, in pace, centrato. E succederà con facilità, non è una cosa difficile.

Sdraiati sul letto, prima di addormentarti, e senti che ti stai dissolvendo. E addormentati mentre ti stai dissolvendo.

Quel sapore rimarrà intorno a te per tutta la notte. Avrai un sonno più profondo e ne scaturirà una tranquillità più profonda. E al mattino sentirai di essere stato da qualche parte, in uno spazio totalmente silenzioso.

Ogni volta che ne hai l’opportunità, trasformala nella tua meditazione. Seduto al sole, senti che ti stai dissolvendo nei suoi raggi. Mentre tieni per mano un amico, senti che ti stai dissolvendo nell’amico. Quando fai l’amore, senti che ti stai dissolvendo nell’amore.

Durante la giornata, ricordati di scioglierti, tutte le volte che puoi. A poco a poco i tuoi confini diventeranno sfocati. A poco a poco inizierai a sentirti non limitato al corpo, non in gabbia, non imprigionato nel corpo. Sentiti straripare. E quando straripi, dio straripa in te. 1

 

Il cerchio completo dell’energia

Nell’esperienza taoista, l’energia che impieghi nella tua estroversione può essere sempre più cristallizzata, piuttosto che esaurita, se impari la scienza segreta di voltarla all’indietro. È possibile e in questo consiste la scienza di tutti i metodi di concentrazione.

Davanti allo specchio, fai un piccolo esperimento.

Ti stai guardando allo specchio, stai guardando il tuo viso allo specchio, i tuoi occhi. Questa è estroversione: stai guardando il viso che si specchia. È il tuo viso, ovviamente, ma è un oggetto al di fuori di te. Poi, per un momento, inverti il processo. Inizia a sentire che il riflesso nello specchio sta guardando te. Non sei tu che stai guardando il riflesso, ma è il riflesso che sta guardando te. E ti troverai in uno spazio molto strano. Prova per pochi minuti e ti sentirai molto vivo: qualcosa di un potere immenso inizierà a entrarti dentro. Potresti persino spaventarti, perché non lo avresti mai immaginato; non avevi mai visto il cerchio completo dell’energia.

E sebbene non sia menzionato nelle scritture taoiste, questo mi sembra l’esperimento più semplice che chiunque possa fare, molto facilmente. In piedi davanti allo specchio, in bagno, prima guarda il riflesso: guardi e il riflesso è l’oggetto. Poi capovolgi la situazione, inverti il processo. Inizia a sentire che il riflesso sta guardando te. E immediatamente vedrai accadere un cambiamento, una grande energia che si muove verso di te.

All’inizio può fare paura, perché non l’avevi mai fatto e non l’avresti mai immaginato; ti sembrerà pazzesco. Potresti sentirti scosso, potrebbe sorgere in te un tremito o potresti sentirti disorientato, perché il tuo orientamento è sempre stato estroverso. L’introversione deve essere imparata lentamente. Ma il cerchio è completo. E se lo fai per qualche giorno rimarrai sorpreso di quanto ti sentirai più vivo. Solo pochi minuti in piedi davanti allo specchio, lasciando che l’energia torni a te, in modo che il cerchio sia completo... E quando il cerchio è completo c’è un grande silenzio.

Il cerchio incompleto crea irrequietezza. Quando il cerchio è completo crea riposo, ti fa centrare. Ed essere centrati significa essere potenti: il potere è il tuo. E questo è solo un esperimento; puoi provare in molti modi.

Guardando una rosa, prima guarda la rosa per alcuni istanti, alcuni minuti, e poi inizia il processo inverso: la rosa sta guardando te. E rimarrai sorpreso di quanta energia può darti una rosa. E puoi fare lo stesso con gli alberi, con le stelle e con le persone. E il modo migliore è farlo con la donna o l’uomo che ami. Guardatevi negli occhi. Prima inizia a guardare l’altro e poi inizia a sentire l’altro che ti restituisce l’energia; il dono sta ritornando. Ti sentirai rinfrescato, ti sentirai inondato, imbevuto, contenuto in un nuovo tipo di energia. Ne uscirai ringiovanito, rivitalizzato. 2

 

La verità opera attraverso te

Se hai trovato la tua verità dentro di te, non hai più niente da trovare in tutta questa esistenza. La verità opera attraverso te. Quando apri gli occhi, è la verità ad aprire gli occhi. Quando chiudi gli occhi, è la verità che chiude gli occhi.

Questa è una meditazione meravigliosa. Se riesci semplicemente a capire il trucco, non devi fare nulla; qualunque cosa tu stia facendo è fatta dalla verità. Stai camminando, è la verità; stai dormendo, è la verità che riposa; stai parlando, è la verità che parla; stai in silenzio, è la verità che tace.

Questa è una delle tecniche di meditazione più semplici. Lentamente tutto si assesta con questa semplice formula e dopo non c’è più bisogno della tecnica. Quando sei guarito, getti via la meditazione, getti via la medicina. E vivi come verità: vivo, radioso, soddisfatto, beato, una canzone per te stesso. Tutta la tua vita diventa una preghiera senza parole, o meglio una preghiera, una grazia, una bellezza che non appartengono al nostro mondo mondano, un raggio di luce che arriva dall’oltre, nelle tenebre del nostro mondo. 3

Osho 





1. The Buddha Disease #8

2. The Secret of Secrets, Vol. 1 #7

3. The Great Zen Master Ta Hui #23

Astratto e piatto... una dimensione effimera della realtà...

 


L’interesse personale ci impone la separazione e la diversità dall’altro, nonché la somiglianza, se questa ci eleva.

L’interesse personale è un prodotto dell’identificazione di noi stessi con il nostro io.

Questo è una incastellatura che gli ambienti culturali di cui risentiamo hanno montato e montano con silente pazienza.

Così pensiamo di essere realmente il nome che portiamo, il titolo che abbiamo, il ruolo che svolgiamo nei luoghi privati e sociali che frequentiamo.

Ne scaturisce una dimensione effimera della realtà. Ovvero la sua presunta oggettività. Nonché l’idea che il sapere cognitivo, lo studio, l’erudizione, la scienza possano portarci a scoprire verità come, per esempio, “la più piccola parte della materia”. Effimera, in quanto lo spirito che tutto genera rimane sopito sotto il peso greve della concezione materialistica della vita e del cosmo. In quanto non ci avvediamo di essere noi stessi, con il nostro sterile pensiero, ad aver creato ciò che riteniamo di osservare neutralmente. Sterile, poiché abbiamo generato un criterio di conoscenza esaurito nella misurazione, soggiogato dalla disgraziata idea che il nostro pensiero abbia il diritto assoluto e definitivo di porsi sul trono della conoscenza.

Non vediamo l’autoreferenzialità delle affermazioni che esprimiamo, loro argomentazioni a sostegno incluse. Non riconosciamo in esse un imperativo categorico dell’io, obbligato a ciò per alimentare la sua struttura e il suo dominio su noi. Un frutto a cui cediamo tutta la nostra energia al fine della sua sopravvivenza, nonché della sua difesa. Se necessario, fino al conflitto o all’adeguamento o alla frustrazione, qualora un’affermazione opposta dovesse avere la meglio sulla nostra. Un gioco delle tre carte dal quale usciamo sempre perdenti. Nel quale si trova la sede della sofferenza e delle malattie.

Quantomeno, fino alla scoperta del proprio sé. Fino all’emancipazione dall’io e dal suo potere, momento nel quale potremo disporre dell’energia, prima regalata, a vantaggio della vita ora nostra e creativa. Non più ordinata e dipendente da cliché altrui, né dal pensiero debole e uniformato o dall’apparenza.

Senza quell’emancipazione, non vediamo che la burrasca di malessere/benessere dipende dall’io. Se soddisfatto ci beiamo; se insoddisfatto, alienato, violentato, umiliato, ne soffriamo.

Tutto è in noi

Nonostante la pesca a strascico che la rete dell’attuale cultura raschia sui fondali delle nostre vite, qualcuno si trova nelle circostanze adatte per prendere coscienza che un altro ordine delle cose sia possibile. Che quello che ci viene inconsapevolmente imposto non è il solo, come ci ripetono e costringono a farci credere. Che ha un limite oltre il quale si inceppa, come cadesse oltre il profilo della sua piatta terra. Si tratta della presa di coscienza della artificiosa ed effimera natura dell’io. Un passo che, contemporaneamente, comporta il riconoscimento del proprio sé. Quello che Jung ha chiamato individuazione. Quel luogo in cui troviamo noi stessi. Quello che fanfare e gran pavesi culturali, scientisti, razionalisti, etici, irresponsabili fautori del mito della conoscenza cognitiva, quale sola e rispettabile, ci impediscono di vedere. Costi quel che costi.

Ed ecco, allora, i giovani suicidi perché tenuti fuori da gruppi social. Persone che, per eccellenza, rappresentano l’ultimo campione di una concezione di sé, del mondo, della vita, che dire superficiale non basta, in quanto anche autodistruttiva, esiziale.

Chi ha l’opportunità di vivere certe consapevolezze, di vedere più in profondità ciò che ci muove, riconosce senza sforzo le ragioni storiche del mondo che abbiamo e le legittima. Ma, contestualmente, si avvede della dimensione spirituale che in esse manca. E la auspica. Ha chiaro ciò che è effimero e impermanente e, viceversa, ciò che è imperituro e sostanziale. Ciò che ci distingue e ciò che rende identici.

Riconosce cioè la struttura dell’io. Non se ne libera, in quanto la vita nella storia non lo permette, ma se ne emancipa. Non si fa più dominare e inconsapevolmente succhiare energie da ciò che sa e che deve, ma si muove secondo quanto sente.

Tutto cambia

Per gli interessati a questi temi è necessario precisare che il culmine del discorso non indica, né comporta, buttare a mare tutto e votarsi a mistica santità. Tutt’altro. Significa adottare scelte e pensieri corrispondenti alla nostra natura e talento, i soli idonei alla nostra realizzazione e felicità. Ideali per rischiare di realizzare al meglio le progressioni che ci stanno a cuore. Significa anche adeguarsi, ma senza più alienazione, frustrazione, mortificazione e prevaricazione del brutto e del cattivo nella nostra esistenza. Nonché alzare al massimo il rischio di realizzare una cultura e, quindi, una società diversamente ordinata da quella creata dai pensieri egoici che ci avviluppano. Non si tratta, perciò, in nessun modo, di reprimere le passioni e l’implicita identificazione col fare e progettare, ma di elevare al massimo l’invulnerabilità e il mantenimento della capacità di riconoscimento e accettazione di posizioni differenti.

Significa conoscenza empatica, educazione all’ascolto, riconoscimento di noi nell’altro, consapevolezza della creazione del mondo, dell’identicità degli uomini, della circolarità del tempo, della sua variabilità in funzione del sentimento e dello stato di benessere/malessere. Tutti aspetti oggi misconosciuti, quando non derisi. Significa tolleranza autentica, capacità di legittimazione, consacrazione del principio di reciprocità, assegnazione di pari dignità a quella che chiediamo all’altro per noi stessi. E, anche forza sufficiente per rifiutare l’ipocrisia e la menzogna come ordinari elementi del nostro dire nelle relazioni e nella vita. Significa accettazione di sé e, dunque, disponibilità del necessario per migliorarci, per non nasconderci più dietro quelle bugie, finzioni, simulazioni e dissimulazioni. Significa saper esprimere i nostri sentimenti e non negare le nostre emozioni. Significa sapere cosa è adatto a noi e cosa è opportuno tenere alla larga; e sarà una discriminazione energetica. Perché di energia cosmica è costituito il nostro sé

Significa astrazione, perché le forme fanno la storia ma la vita è una soltanto.

Lorenzo Merlo



La nascita del computer...



Il matematico inglese Alan Turing (1912-1954) è stato uno degli scienziati più influenti del secolo XX, considerato l’iniziatore dell’era dei computer e dell’Intelligenza Artificiale. Le vicende personali della sua vita furono molto particolari. Fu uno dei membri più importanti del gruppo che decifrò durante la Seconda Guerra Mondiale il codice Enigma usato dai Tedeschi per i messaggi cifrati e morì suicida nel 1954 a soli 41 anni dopo essere stato condannato da un tribunale britannico alla castrazione chimica per omosessualità, allora vietata nel Regno Unito(1). Queste vicende sono state narrate in due film di successo: “Enigma” e “The Imitation Game”. Il secondo titolo si riferisce ad un test con cui Turing intendeva misurare l’intelligenza di un dispositivo intelligente.


Un precedente delle macchine calcolatrici può essere visto nei progetti di Pascal e Leibniz nel ‘600 e ‘700 (vedi NN. 44 e 53) e nelle macchine meccaniche dell’800 dovute all’intelligente figlia del poeta Byron, Lady Lovelace, ed al matematico inglese Babbage, capaci di compiere operazioni matematiche (N. 72).

Nel 1936 Turing raccolse la sfida posta dal grande matematico logico Hilbert (N. 93), che sosteneva la possibilità di trovare algoritmi (cioè una serie di formule matematiche) per dimostrare la veridicità di qualsiasi teorema matematico con una macchina calcolatrice(2). Turing ideò la struttura di una macchina detta di Turing-a (automatica) programmabile mediante un nastro fornito di caselle dove venivano inserite le informazioni utilizzando il sistema binario di Boole (N. 92) formato da BIT (quantità minima di informazione) che potevano assumere solo i valori 0 ed 1, o nessun valore (“blanck”).

Una testina di lettura e scrittura rilevava il dato, cioè lo stato della macchina, e lo sostituiva con uno nuovo, spostandosi poi di un posto. Esisteva anche una “tabella delle azioni” che programmava i vari stati della macchina (come in una lavatrice). Furono ideate versioni più complesse della macchina con più nastri o più testine, fino a giungere al modello Turing-u (universale) che era multi-programmabile (come gli odierni smartphone). Fu descritto anche un terzo tipo (teorico) ancora più versatile detto Oracle”. Turing aveva così creato il concetto di computer programmabile in cui il nastro aveva una funzione simile a quella della memoria RAM nei moderni calcolatori. Lo svizzero N. Wirth ha definito il programma come un algoritmo più una strutturazione dei dati.

Negli anni seguenti, in collaborazione con il matematico statunitense Alonzo Church (1903-1995), Turing definì computabile un algoritmo calcolabile con una macchina di Turing, riconoscendo che vi sono algoritmi e teoremi non computabili (ad esempio le sequenze dei numeri decimali di molti numeri reali, o la semplice asserzione che la somma di due numeri pari non è dispari!). Acquista, quindi, importanza il tempo di arresto della macchina, cioè il momento in cui il processo elaborativo finisce. Se la macchina continua a calcolare, ed il tempo di risposta continua a crescere esponenzialmente, teoricamente all’infinito, significa che l’algoritmo non è computabile. Church elaborò anche un linguaggio “lambda” equivalente ad una macchina di Turing, da cui poi nel 1958 John McCarthy (1927-2011) derivò il “linguaggio di programmazione funzionale” per macchine intelligenti” LISP.

Negli anni della Guerra, il gruppo britannico decifratore, in cui Turing ebbe una funzione di primo piano, mise a punto un dispositivo, detto “Bomba” per poter leggere i messaggi scritti dai Tedeschi con la macchina “Enigma”. La prima macchina effettivamente funzionante che somigliasse ad un computer fu il Colossus, costruito dal gruppo di decifratori britannici nel 1944 per decifrare un altro linguaggio criptato relativo alla macchina tedesca “Lorenz”. Il Colossus, il cui “hardware” (cioè la struttura materiale) era dovuta al tecnico Tommy Flowers, derivava da una precedente macchina “Robinson” a due nastri. La memoria era ottenuta collegando una serie di valvole, con una valvola sensibile alla luce (fotomoltiplicatore) che funzionava da amplificatore. Aveva due porte tipo AND ed OR, cioè circuiti elettronici che trasmettevano le informazioni in linguaggio digitale booleiano.

Il primo vero computer, progettato da Turing subito dopo la Guerra, quando si era spostato presso l’Istituto Nazionale di Fisica (PNL) fu il Pilot-ACE (Automatic Computer Engine), presentato nel 1950 e piuttosto avanzato per l’epoca. Esso utilizzava per la memoria colonne di Mercurio con terminali piezoelettrici in cui i dati erano distinti dal tempo in cui i segnali passavano attraverso la colonna dopo essere stati trasformati in ultrasuoni e poi ritrasformati in segnali elettrici. Il computer, che funzionò fino al 1955, possedeva anche una memoria principale e utilizzava programmi predisposti per effettuare operazioni matematiche invece di appositi circuiti elettronici. La memoria, divisa in caselle, era “a due indirizzi”, cioè conteneva sia l’indirizzo della casella interessata che l’indirizzo dell’istruzione successiva.

Dall’ACE derivarono alcuni computer commerciali come il DEUCE ed il MOSAIC. Turing, trasferitosi a Manchester – dove nel 1949 era stato completato da M. Wilkes il computer EDSAC, fornito di circuiti elettronici e 3000 valvole - partecipò alla programmazione di altri computer, come il Manchester Mark 1, per i quali l’ingegnere F.C. Williams aveva progettato un’innovativa memoria costituita da un tubo catodico. Tuttavia i Britannici, pur essendo partiti con un vantaggio tecnologico, furono poi superati dagli Statunitensi.

Il primo importante computer prodotto negli USA nel 1943 (dopo alcuni computer sperimentali come ABC e Harvard Mark I) fu – a fini militari - il gigantesco, ma primitivo ENIAC fornito di ben 18.000 valvole. ENIAC, che consumava 160 kW, era privo di memoria principale, per cui era incapace di memorizzare programmi. Funzionò fino al 1955 e fu usato per i calcoli relativi alla bomba atomica con algoritmi messi a punto da Enrico Fermi(3).

Seguirono i più piccoli FERMIAC e MANIAC per studi atomici e delle particelle, e poi il grande EDVACCSIRAC UNIVAC I, che utilizzavano colonne di Mercurio. Per la memoria nei computer più evoluti furono successivamente usati tamburi ricoperti di materiale ferromagnetico e poi dischi rigidi sottili a due testine Nel 2007 il fisico francese A. Fert ed il tedesco P. Grünberg hanno vinto il Nobel per i loro studi sulla magnetoresistenza gigante che hanno permesso la costruzione di dischi rigidi innovativi con memoria superiore al megabyte.

Fu soprattutto l’adozione di transistor al posto delle valvole che permise una miniaturizzazione dei dispositivi, una riduzione dei consumi elettrici di 1000 volte, e la creazione di personal computers, smartphone, tablet, ecc. come meglio vedremo nell’articolo dedicato ai semiconduttori ed altre tecnologie innovative (N. 121). Alla società UNIVAC si sostituì poi l’IBM e furono poi adottati vari metodi operativi (Unix, Windows, ecc.) a seconda della tecnologia adoperata dalle varie compagnie (IBM, Apple produttrice del computer McIntosh, ecc.).

Un decisivo impulso allo sviluppo dei computer USA fu dato dal brillante matematico di origine ungherese John Von Neumann (1903-1957), già membro del Progetto Manhattan e considerato padre del computer insieme a Turing(4). Fu importante soprattutto il suo rapporto del 1945 su EDVAC, in cui fissava l’architettura necessaria del computer, che doveva comprendere, un’unità aritmetica logica, un’unità di controllo per gestire i programmi e una memoria principale (RAM). Insieme al matematico di origine polacca Stanislav Ulam (1909-1984), Von Neumann mise a punto anche il metodo di calcolo Montecarlo ben noto anche a Fermi. Si tratta di un metodo di calcolo per soluzioni approssimate che parte dal dominio delle soluzioni possibili; poi passa ad una serie di soluzioni aleatorie distribuite secondo il grado di probabilità. Si calcolano le varie soluzioni ed alla fine si sceglie una soluzione finale(3).

Nei moderni computer i nastri della macchina universale di Turing sono stati sostituiti progressivamente, per analogia di funzioni, da dischi rigidi, tastiere, monitor, memorie RAM, microprocessori, ecc., ma il contributo teorico di Turing, Von Neumann e quello di altri tecnici e ingegneri che svilupparono le prime soluzioni tecnologiche (“Hardware”) rimane fondamentale.

Vincenzo Brandi





(1) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Turing”

(2) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Hilbert”

(3) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza - Fermi”

(4) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Von Neuman”