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IL PARADOSSO DEL GATTO E L’ESPERIMENTO EPR...



La posizione di Bohr – che dette luogo alla cosiddetta “Scuola di Copenhagen” ed all’interpretazione detta “ortodossa” della fisica quantistica, era condivisa dal gruppo di ricercatori che si radunava presso l’Università tedesca di Gottinga, tra cui il matematico Max Born (1882-1970) maestro di fisici importanti come Oppenheimer e Delbrück, (e poi Premio Nobel solo nel 1954 dopo essere fuggito dalla Germania in quanto ebreo), il suo collaboratore Pascual Jordan, e più saltuariamente due giovani e brillanti fisici: l’austriaco Wolfgang Pauli (1900-1958) ed il tedesco di Monaco Werner Heisenberg (1901-1976)(2)(3).

Quest’ultimo era noto per le sue idee “patriottiche”: aveva partecipato come volontario alla sanguinosa repressione del moto comunista del 1919 noto come “Repubblica Sovietica della Baviera”. Dopo una visita di lavoro a Bohr presso l’Istituto di Fisica Teorica di Copenaghen, e durante una permanenza solitaria nella quiete dell’isola di Helgoland (dove si era ritirato per curare un’allergia), concepì un complicato metodo di calcolo, che fu la base della cosiddetta “Meccanica Quantistica“ (2).

Il metodo metteva in relazione matematica tra loro “solo quantità (fisiche) che sono osservabili” (come le frequenze e le intensità degli spettri atomici) ricavandone delle equazioni che dovevano esprimere il comportamento delle particelle sub-atomiche. L’amico Born interpretò queste relazioni matematiche come tipiche del calcolo con “matrici”, ovvero tabelle quadrate di dati che vengono moltiplicati e sommati con un criterio ed una sequenza particolare non commutabile. Alla fine del 1925 il metodo “matriciale” fu riassunto nel cosiddetto “Lavoro dei tre uomini” pubblicato a firma di Heisenberg, Born e Jordan. Einstein commentò ironicamente che il metodo era inconfutabile perché molto complesso (e quindi difficile da capire!).

Da parte sua Heisenberg, proseguendo sulla stessa strada, che lo portò fino alla conquista del Nobel nel 1932, elaborò nel 1927 per via matematica il famoso principio di indeterminazione secondo cui è impossibile nella fisica microscopica determinare con precisione contemporaneamente la quantità di moto (cioè il prodotto della massa per la velocità) e la posizione di una particella. Analogo risultato si avrebbe per altre coppie di grandezze fisiche tra loro “coniugate” (come energia e tempo, ecc.). I fisici della “scuola di Copenaghen” – seguaci di Bohr ed Heisenberg - ne derivavano l’impossibilità di determinare il reale comportamento delle onde-particelle elementari, se non su base probabilistica.

Heisenberg riteneva che le particelle comparissero saltuariamente in punti diversi senza una vera traiettoria. Un trentennio dopo il fisico statunitense Richard Feynman riteneva che nell’esperienza della doppia fenditura (vedi numero precedente) potessero esservi infinite traiettorie alternative degli elettroni (compresa quella fino alla Luna e ritorno!) di cui calcolare la probabilità. Di qui il passo è breve verso una posizione, non solo agnostica, ma addirittura anti-deterministica. Di qui provengono una serie di affermazioni dei fisici quantistici “ortodossi” tese a sostenere che ciò che succede nel mondo subatomico è “casuale” e che il rigoroso principio di causa-effetto va sostituito da un principio di semplice interrelazione tra fenomeni.

Posizioni simili erano sostenute anche nell’antichità. Abbiamo ricordato nei primi numeri di questa rubrica, che mentre all’atomista Leucippo viene attribuita la bellissima frase di stampo determinista: “nulla avviene nell’Universo che non abbia una causa ed una ragione”, Epicuro, pur adottando la fisica atomistica, sosteneva che gli atomi potevano subire delle deviazioni arbitrarie ed ingiustificate (in latino: “clinamen”).

Einstein, che era determinista, coniò – in polemica con Bohr – la notissima frase: “Dio non gioca a dadi”, ovvero la natura procede per leggi precise, individuabili anche con “esperimenti mentali”, mediante i quali dagli effetti si può risalire alle cause, ma anche dalle cause prevedere gli effetti. Einstein dichiarò anche che, se il comportamento microscopico della materia fosse stato casuale, allora egli, piuttosto che fare il fisico, avrebbe preferito fare il croupier! Ricordiamo che tutti i grandi scienziati sono stati in genere deterministi, materialisti ed indagatori della realtà “oggettiva” data per scontata (vedi Galilei, Newton, Lavoisier, Laplace, Dalton, Faraday, Maxwell, Planck, De Broglie, ed il povero Boltzmann che all’inizio del ‘900 si suicidò, anche per gli attacchi continui mossigli dagli ambienti anti-realisti ed empirio-criticisti).

Lo scontro fra i due schieramenti era diventato più intenso da quando il brillante fisico viennese Erwin Schrödinger (poi Nobel nel 1933) già nel 1926 aveva elaborato una famosa equazione differenziale a derivate parziali basata su un modello ondulatorio delle particelle derivato da De Broglie, e sul concetto di “funzione d’onda”, che dava gli stessi risultati ottenuti da Heisenberg sull’energia e lo stato delle particelle, ma in maniera molto più semplice ed elegante(4). Questo modello, definito “Fisica ondulatoria“, che era molto più vicino alla fisica meccanica “classica”, ebbe l’entusiastica approvazione di Einstein, Planck, De Broglie, ma fu invece interpretato da Max Born in maniera solo probabilista, nel senso che la funzione d’onda rappresentava solo la probabilità che la particella si trovasse in punti diversi, e non un fenomeno ondulatorio reale. Secondo Born, Bohr, ed i loro seguaci, nel momento in cui le particelle vengono registrate dallo sperimentatore in punti precisi su una lastra finale la funzione d’onda “crolla” e si dissolve.

La polemica aperta tra Bohr ed Einstein si manifestò soprattutto durante il famoso Convegno Solvay della Fisica di Bruxelles nel 1927 e persino durante il pranzo di gala serale(5). Successivamente lo stesso Schrödinger, Pauli, il matematico Eckart, ed altri fisici e matematici hanno dimostrato che il metodo delle matrici e quello della funzione d’onda portano agli stessi risultati. Il noto matematico Hilbert ha cercato di darne dimostrazione con il metodo delle funzioni integrali(6), mentre il brillante fisico inglese Maurice Dirac (1902-1984) si servì della cosiddetta “funzione Delta” male accolta inizialmente ed accettata solo negli anni ’50. Il tentativo più coerente fu fatto matematico ungherese Von Neumann, che già aveva pubblicato insieme ad  Hilbert nel 1927 una memoria sui “Fondamenti della Meccanica Quantistica”. Egli elaborò una cornice matematica assiomatica astratta, definita “spazio di Hilbert”, di cui le matrici di Heisenberg e l’equazione di Schrödinger erano solo casi particolari(7).

L’interpretazione probabilistica di Born completa il quadro dell’impostazione “ortodossa” della Fisica Quantistica, di cui gli altri caposaldi sono l’indeterminismo e la complementarità(8). Ciò comporta l’uso di formule matematiche che prevedano i risultati sperimentali finali senza investigare sulle realtà ed i processi che si celano nel profondo, dove tutto è indeterminato e solo probabile sotto l’apparenza fenomenica rilevata dall’osservatore. È l’osservatore/sperimentatore che – in un certo senso- con il suo intervento diretto determinerebbe il risultato finale.

Nel 1935 Schrödinger prese in giro queste posizioni degli “ortodossi” immaginando un povero gatto chiuso in una scatola dove un meccanismo mortale può o non può scattare. Per gli “ortodossi” il gatto sarebbe contemporaneamente vivo e morto, finché è proprio lo stesso sperimentatore, nel momento in cui apre la scatola, a determinare con il suo intervento la realtà finale, ovvero l’eventuale morte del gatto..

Anche Einstein nello stesso anno, insieme a Boris Podolski e Nathan Rosen, elaborò l’esperimento mentale detto EPR (dalle iniziali dei tre autori), in cui due particelle tra loro “correlate” (in inglese “entangled”: aventi cioè medesimi parametri e comportamenti, fatto che si può ottenere dal decadimento di un atomo in condizioni opportune) si allontanano fino a distanza alla quale non possano interferire tra loro. Si potrebbe allora misurare contemporaneamente il momento e la velocità di una e la posizione dell’altra aggirando il principio di indeterminazione e rientrando in un regime deterministico.

Naturalmente Bohr rispose sia a Schrödinger che ad Einstein innescando un dibattito che sarebbe troppo lungo descrivere. Tuttavia l’esperimento divenne un “paradosso” quando Einstein fece anche notare che il comportamento correlato a distanza delle due particelle poteva essere spiegato, o con l’esistenza di “parametri nascosti” che imponevano deterministicamente quel comportamento (fatto poi smentito dal teorema del fisico nord-irlandese Stuart Bell : vedi N. 108), o con la trasmissione di un’informazione istantanea a distanza tra le due particelle, fatto allora considerato paradossale perché si sarebbe superata la velocità della luce.

Ma proprio partendo da questa presunta paradossalità due valenti fisici, di cui ci interesseremo nei prossimi numeri, lo statunitense David Bohm nel 1951 e lo stesso nord-irlandese Bell nel 1964-66 daranno inizio al più sconcertante sviluppo della fisica quantistica, quella del “non-localismo”, cioè della trasmissione istantanea a distanza di informazioni, poi confermata da numerosi e convincenti esperimenti a partire dagli anni’70 del XX secolo.

Vincenzo Brandi






(1) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Bohr”

(2) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza- Heisenberg”

(3) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Pauli”

(4) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza- Schrödinger”

(5) G. Greison, “L’incredibile Cena dei Fisici quantistici”, Salani, 2016

(6) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza. – Hilbert”

(7) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Von Neumann”

(8) L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970 e seg.

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