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L' "Io" è solo un pronome personale...?

 

Treia: Lorenzo Merlo (di spalle) e Paolo D'Arpini

Domanda di  Lorenzo Merlo: “È possibile agli uomini andare oltre se stessi, oltre il proprio Io e restarci? Oppure si tratta più modestamente solo di puntare oltre il confine di se stessi?”

Mia rispostina: “La domanda implica che vi sia un ipotetico "io" individuale che cerca di superare se stesso. Cosa si intende per "se stessi"?  Se qualcuno si riferisce al corpo od alla mente come se stesso ovviamente pone dei confini al suo essere.  Il mondo dei nomi e delle forme nel quale noi riconosciamo un'identità personale come "noi stessi", non rappresenta in verità l'Esistenza. Tutto ciò che ha un nome ed una forma è fittizio ed impermanente mentre ciò che trascende la forma ed il nome è eterno.  Nel momento della sua  dipartita corporale qualcuno chiese al Buddha "dove andrai ora?" e lui disse che la sua nascita è stata simile ad una bolla d'aria. Una sottile pellicola d'acqua  ha imprigionato una piccola quantità d'aria ma quando la bolla si rompe l'aria si ricongiunge all'aria e l'acqua torna all'acqua.  Nulla è mai mutato nella natura dell'acqua e dell'aria. Ogni movimento nel mondo dei nomi e delle forme avviene automaticamente per la durata stabilita dal destino quindi l'idea di poter andare oltre se stessi, superando un ipotetico confine, è del tutto immaginaria.  In tal senso un'altra analogia  è quella indicata  dal santo  poeta persiano Jalāl al-Dīn Rūmī:   “Tu non sei una goccia nell'oceano. Tu sei l'intero oceano in una goccia.” -  Tutto ciò però non implica un abbandono della ricerca di Sé anzi spinge l'anima individuale (immaginaria) a riconoscere la sua vera natura.” 

(Paolo D'Arpini)



La domanda e la risposta qui riportate fanno parte di un libro di Lorenzo Merlo:


TITOLO - VIVERE, PARLARE, PENSARE SENZA DIRE IO
SOTTOTITOLO - INTERVISTE A UOMINI COME NOI
AUTORE - LORENZO MERLO
INTERVISTATI - PAOLO D’ARPINI, MARCO BASTON
POSTFAZIONE - PAOLO LISSONI
EDITORE - PRIMICERI 




A proposito di comunicazione mistificata nell’era di internet...

 


Il 27 settembre 2009  arrivò al Circolo vegetariano  la ragazza Diana, giunta apposta da Milano per conoscere me e la realtà del Circolo e di Calcata. La “colpa” di tanto interesse è ancora una volta la mole di leggende sorte sul luogo  e raccontate  sui vari siti  e su alcuni libri (non ultimo quello di Malatempora sulle Comuni, Comunità, Ecovillaggi d’Italia).  “Gutta cavat lapidem” dice l’adagio antico ed è verissimo…  giorno dopo giorno, anno dopo anno, a forza di scrivere su e da Calcata ormai la fama del luogo è insopprimibile… e che fama!  

La prima cosa che Diana mi ha detto appena arrivata è stata: “Ma lo sai che l’autista dell’autobus appena ha saputo che venivo qui mi ha detto  - Ah vai a farti le canne a Calcata…-“. Insomma la diceria del paese alternativo colpisce ancora, le masse metropolitane credono che questo sia il luogo dell’amore libero e delle canne…

Com’è stato travisato e fuorviato il messaggio trascritto in migliaia di articoli… Che in essi  si parli di amore libero e di libertà espressiva  ed antiproibizionista è anche vero… ma andate un po’ a leggere il reale significato di queste parole nei numerosi testi da me inseriti  nel sito del Circolo, oppure riscoprite tutte le storie raccontate sui giornali dal 1978 ad  oggi sulla “verità” di questa libertà espressiva.  Si tratta di esperimenti in cui la licenza è totalmente assente… ma ciò non ostante diversi sderenati sono venuti qui, hanno occupato lo spazio e si sono esibiti nei loro vizi approfittando della discrezione a loro concessa….  Ed alla fine cosa resta…?  Invece del messaggio  liberatorio dai condizionamenti  ecco che l’immaginifico su Calcata è macchiato da indesiderati condizionamenti.

La società della licenza e della stupidità cerca un suo sfogo e dove trova spazio libero fa diventare  la cultura “pettegolezzo” e il costume “pornografia”… e non solo  a Calcata… mi pare che  questo avvenga in tutto il mondo, tanto è il vuoto intellettuale lasciato dopo vent’anni di televisione e di internet…..  Eppure  continuo a scrivere e pure ad usare internet, che posso farci… sono malato di comunicazione.

Sicuramente la vecchia penna procurava meno guai, l’unico inconveniente essendo la fine  dell’inchiostro. Ricordo ancora come da bambino scrivessi con una penna di legno, intingendo il pennino dentro un calamaio, le dita sempre sporche d’inchiostro e spesso anche il foglio.

Poi cominciò il momento della penna stilografica anche questa però perdeva inchiostro da vari punti (dal pennino e dalle giunture), giunse la bic, la biro, ma anche con questa bisognava stare attenti al defluire dell’ inchiostro dal fondo e  dalla punta. Quando le penne iniziarono a scrivere senza perdere inchiostro avevo già finito di andare a scuola. Insomma pare che in ogni epoca la comunicazione abbia avuto i suoi problemi e questa corrente ha  le disinformazioni telematiche, lo spam ed i virus…

 Sembra che tutto sia lì lì in procinto di concludersi eppure manca sempre uno per far trentuno… Manca sempre 1 o lo zero per arrivare a dieci.  Il mio numero d’ordine è il 9, l’ho scoperto nel 1950/51 in prima elementare allorché avendo imparato a memoria la lezione di religione, chiedevo di essere interrogato per prendere un bel 10, la cosa non funzionò giacché mi impappinai su una parola e presi 9. Ritornai al banco e  ripassai la lezione bene bene, ripetei a mente tutto e chiesi ancora di essere interrogato. Che disdetta, ancora una volta  mi impappinai e mi fu confermato il 9 di prima. Volli ancora riprovarci dopo aver ulteriormente ripassato il testo, sicuro stavolta di farcela, ma la maestra mi disse che non mi avrebbe più interrogato e mi lasciò il 9, con mio grande disappunto e frustrazione.

Poi ancora sempre verso quegli anni venne a trovarci un giorno  mio zio Fausto, che distribuì a ciascun bambino, le mie sorelle e cuginetti ebbero 10 caramelle. Purtroppo quando venne il mio turno erano rimaste solo 9 caramelle e quelle ebbi da mio zio. le mie proteste servirono a poco egli  mi disse “le caramelle rimaste son queste e queste ti toccano”. Ricordo che quella volta ero proprio arrabbiato, scesi giù nel giardino condominiale e regalai tutte  le caramelle (meno una che mangiai subito…) ai bambini che  stavano lì, con loro grande gioia

Ed ancora accadde qualcosa di simile quando andai per la prima volta in India, mi trovavo all’ashram di Muktananda, in uno stato di pieno zelo, in quei mesi sentivo la forte presenza della Grazia del Guru, stavo vivendo momenti di grande enfasi spirituale. Avevo messo ‘in naftalina’ ogni altro desiderio dedicando tutte le mie attenzioni alla pratica spirituale. Un giorno fui preso da un ‘raptus’ di golosità ed acquistai al ‘chaishop’ (negozietto del tè) 10 monete di menta bianca, ne misi in bocca  subito una, con grande avidità, poi mi diressi verso la porta dell’ashram, appena entrato vidi Baba seduto lì all’ingresso ed improvvisamente mi ricordai della mia lotta per il 10. Una mentina era nella mia bocca, le altre 9 nella mia mano. Mi avvicinai al Guru pensando “fammi vedere tu che son 10”  e tesi la mano verso di lui, Baba aprì la sua e prese nel palmo le mentine, sorrideva, io mi girai di scatto e mi allontanai senza più voltarmi indietro né aspettare un’ipotetica risposta…

Insomma pare proprio che il 9 sia il mio numero, tra l’altro è anche il numero d’ordine  della Scimmia che dice: “Io sono l’esperta viaggiatrice del labirinto, il genio dell’alacrità, la maga dell’impossibile. Il mio cuore è colmo di potenti magie e sa gettare cento incantesimi. Io esisto per il mio piacere. Io sono la scimmia”.  Muktananda era nato scimmia di terra del 1908 ed io son nato scimmia di legno del 1944.


Intanto nella memoria continuo a sfogliare pagine e pagine sulle iniziative del Circolo, come la festa del grande cocomero o l’ostello per animali erbivori o l’ampliamento del parco del Treja o l’istituzione dell’anagrafe canina o proposte sull’energia rinnovabile o gli scavi archeologici dell’agro falisco o l’alimentazione vegetariana o l’arte e la cultura locale ed internazionale o problemi d’inquinamento da traffico od analisi sociologiche su Calcata o storie sulla montagna sacra del Soratte o sul come dipingere annusando o sulla salvaguardia degli antichi mestieri o sulla filosofia dell’uomo e sulla spiritualità laica… Insomma su tutti quegli argomenti che sono riuscito a trasmettere, con fantasia e caparbietà su quasi tutti i giornali d’Italia, sulle agenzie di stampa, sulle reti televisive e radiofoniche… e qui su internet.  Eppure cosa è rimasto? 

"Ah, Calcata… quel posto dei figli dei fiori, dell’amore libero e delle canne…"

Paolo D’Arpini




I mitici Vimana, ossia i carri volanti degli Dei vedici...

 


Fantasia di uomini di 4.000  e più anni fa o semplicemente esposizione di qualche realtà? Sui Vimana e su altre macchine volanti del subcontinente indiano si sono scritti decine e decine di testi in tutte le lingue. Alcuni degni di attenzione, altri un po’ meno. Poi purtroppo quando ci mettono le mani persone che cercano popolarità nel travisare o inventare storie, si finisce per vanificare il tutto, anche studi e ricerche rigorose fatte da studiosi onesti. Infatti nell’ultimo summit archeologico (2015) organizzato in India dalle più prestigiose università del continente, sono stati presentati passi estrapolati da un’ opera sanscrita più antica di 3000 anni, ossia il Subbaraya Shastry, che con dovizie di particolare parla della costruzione e uso di velivoli volanti. Purtroppo si è poi scoperto che questi pseudo scienziati hanno utilizzato parte dei testi che trattano dei vimani già rielaborati e falsificati in più occasioni a partire dal 1900. Sono queste, purtroppo, trappole che chiunque intraprende lo studio del passato delle civiltà e dell’uomo può incontrare. Da questo clamoroso tentativo di falsare la storia dei vimani, i saccenti del negazionismo ne hanno fatto un’arma di propaganda capace di smontare tutta la questione degli stessi vimana.

Per fortuna ci sono lavori di traduzione delle grandi opere della letteratura vedica tradotti già nel 1800 dal sanscrito all’inglese che la scienza ufficiale l’ha riconosciuti rigorosamente originali.

I testi sacri per l’induismo, il Mahabharata e il Ramayana, fanno spesso menzione a battaglie epiche nei cieli della Valle dell’Indo tra gli dei Deva e Asura che facevano uso di armi che solo oggi, dopo la seconda guerra mondiale, possiamo comprendere. Infatti tra la descrizione delle varie armi che usavano nelle battaglie una era definita l’estrema, un’arma capace di incenerire città ed eserciti. Quello che segue è rigorosamente tratto dal Ramayana che descrive la fine di un’epica guerra da dei: “…..Aswatthaman scagliò una colonna di fuoco che si aprì in tutte le direzioni, e provocò una luce brillante, come il fuoco senza fumo, cui succedette una pioggia di scintille che circondò completamente l'esercito dei PARHTA. I quattro punti cardinali per un raggio che lo sguardo non poteva abbracciare, furono coperti di buio. Un vento violento e cattivo cominciò a soffiare, né il sole stesso diede più calore. Colpiti e bruciati i guerrieri caddero come alberi abbattuti da un fuoco furioso. Grandi elefanti scorticati dalla vampata, si misero a correre intorno, lanciando urla di terrore, l'aria e l'acqua erano avvelenate. Coloro che sopravvissero morirono poco dopo: La loro pelle iniziò ad ingiallire ed a cadere. I capelli e le unghie cadevano….."

In questo antico poema gli studiosi hanno specificato che le storie di battaglie, che noi oggi definiremmo di fantascienza, erano riportate da racconti tramandati oralmente e, quindi, più antichi rispetto all’opera scritta. Per gli studiosi questi eventi sarebbero accaduti circa 15.000 anni fa. Viene spontaneo chiederci oggi che se non si trattasse di un resoconto vecchio di 15000 anni, non sarebbe difficile paragonarlo a quanto accaduto nel 1945 a Hiroshima e Nagasaki

E’ da chiedersi come potevano, non 15.000 anni fa, ma all’atto della redazione del Ramayana (3500 anni fa), conoscere nei dettagli gli effetti di un’esplosione che oggi potremmo definire atomica. Se fossero solo storie di fantascienza (ma le persone di allora non avevano la nostra “fantasia” né le conoscenza tecnologica e scientifica di oggi) come avrebbero fatto a descrivere nel dettaglio un tale evento? Sappiamo anche dai testi storici accademici, che allora le guerre si combattevano con spade e lance.



In tutto questo comincia a prendere corpo il mistero della distruzione della città di Mohenjo-daro (X), nonché altre storie descritte in questi sacri testi. Ma veniamo ai vimana: una volta scoperta la truffa storica attribuita agli scritti sul “Samaraanganasutraadhaara”, passiamo a vedere cosa dice il primo testo storico veda, il RigVeda. In esso si fa menzione di 6 macchine anche volanti e tra queste:

  • Jalayn, un veicolo progettato capace di muoversi sia in aria che nell’acqua ( RigVega 6.58.3);

  • Kaara, un veicolo capace di muoversi sia sulla terra che in mare ( RigVega 9.14.I)

  • Vidyut Ratha, un mezzo aereo mosso da un motore potentissimo.

In altri testi si fa addirittura menzione dei viaggi che compivano questi velivoli, da cosa erano alimentati e di che armi(come abbiamo visto)erano dotati.

Servirebbero molte altre pagine per descrivere le conoscenze tecnologiche e scientifiche tramandate dai Veda relativamente ad una civiltà antecedente alla loro e poi, misteriosamente scomparsa intorno al 1000 a.C., per motivi di spazio ci fermiamo qui, ma ne parleremo in un'altra puntata.

Tutto questo, comunque, era a conoscenza anche dell’entourage di Hitler che in varie spedizioni nel Tibet e nel nord India sperava di scoprirne i segreti dei vimana e così da dotarsi di armi rivoluzionarie per dominare il mondo (per fortuna non è andata cosi!). Anche i Russi, già nel periodo dell'ex Unione Sovietica, cercavano e cercano tutt’ora di carpire i segreti dell’India dei Deva e degli Asura, al fine di trovare qualche vimana nascosto, ma soprattutto trovare le formule, descritte anche nell’Upanisad, per vincere con il minimo sforzo la forza di gravità terrestre.

Rimangono ancora molti interrogativi su questa antichissima "tecnologia fuori del tempo"; l'argomento quindi merita la massima serietà ed impegno da parte di chi studia il passato delle grandi civiltà. Forse, chissà, un giorno scopriremo che gli antichi testi, siano essi indiani o della Mesopotamia, alla fine descrivevano fatti reali e non più, come alcuni pensano, frutto di pura fantasia di uomini di migliaia e migliaia di anni fa (!?).

Di certo in tutto questo c’è da dire che la descrizione dei vimana e l’uso che se ne faceva nel bene e nel male, non è una fake new , ma forse qualcosa di concreto, andata purtroppo perduta dopo il 1000 d.C. a causa delle innumerevoli invasioni di barbari e di orde musulmane che hanno distrutto ogni prova del passato dell’India vedica.

Ennio La Malfa











(X)Le genti della civiltà vedica, secondo gli ultimi studi, provenivano dall’Afghanistan e circa nel 2200 a.C. si stanziarono in India nell’attuale regione del Punjab. Furono i loro saggi a comporre i sacri testi religiosi. Nel VI secolo a.C. la coltura vedica finì per fondersi con l’Induismo.

(X)Mohenjo-daro, significa letteralmente “Monte dei morti”,  è un'antichissima città della civiltà della valle dell’Indo risalente all’incirca al 3000 a.C. – Per l’epoca era una metropoli perché si stima avesse oltre 70.000 abitanti. Era una città per l’epoca all’avanguardia, infatti aveva una rete fognaria, le abitazioni erano dotate di bagno, con strade larghe fino a 10 metri e una rete urbanistica efficiente. Si pensa che un’improvvisa catastrofe ne abbia causato l’abbandono. Sulla storia di Mohenjo-daro ne abbiamo trattato ampiamente nel notiziario n. 45 del 10 novembre scorso (Si può richiedere).

Dall’Odissea del Saul Arpino smarrito in Emilia - Ed altre facezie!

“Mentre Eraclito è il filosofo del divenire e della dinamicità, Parmenide è il filosofo dell’essere e della staticità… Ma valà..?!” (Saul Arpino)


…cari amici vicini e lontani, sono qui a narrarvi emozioni e  fortissime sensazioni. Un grandioso avvenimento è trascorso sotto i nostri occhi: La transumanza dell’apparentemente inamovibile  Saul Arpino, detto il Parmenide. La sua fuga o rapimento voluttuoso da Calcata a Spilamberto.  Un volo d’amore! Un poema dell’Anima degno del Boccaccio! O dell’Ariosto, a scelta!

Dunque, riepiloghiamo.

Ho ancora nelle orecchie gli echi del canto che ha accompagnato il commiato del Nostro da Calcata (http://www.circolovegetarianocalcata.it/2010/06/10/calcata-29-giugno-2010-chiusura-dei-festeggiamenti-per-il-solstizio-destate-tavola-rotonda-le-stagioni-come-metro-sociale-sessuale-e-riproduttivo-nella-societa-umana-ed-in-natura%e2%80%9d/ )

Sento ancora la voce melodiosa provenire dal boschetto di Priapo che intonava….

“Non dimenticar che ti ho voluto tanto bene………” mentre la cricca delle 12 verginelle, 12 devote al gran Dio (Priapo….),  gorgheggiava con voci gutturali e urla scimmiesche:  “Woof woof, ah, ha, ahhh!”

I portatori della lettiga sulla quale erasi mollemente adagiato l’Arpino intonavano con voce virile…  “Addio, mia bella addio, che l’Arpino se ne va…..e se non lo portassi anch’io sarebbe una viltà….”

 L’aspetto più portentoso di tutta la processione era la presenza di un Coro Celeste  Oscuro (misto di angeli e demoni)  che anticipavano la mesta compagnia. Gli angeli volavano a mezza altezza sopra la lettiga trasportando un grande striscione con la scritta…. “Il coro degli Angeli mi fa sognare ancora….dolcemente dolcemente, un sogno fatto di felicità…..”,  mentre i demoni si sfregavano le corna ed intrecciavano le code suonando “Il trillo del Diavolo” su violini infernali.  

Infatti  i luoghi santi calcatensi, per il principio della “pariglia” non hanno solo presenze benigne ma anche malvagie. La dimostrazione veniva anche  dal corteo (che seguiva ignominiosamente) di un gruppo di gay, travestito da gaypride, che stonava….”Noi siam come le lucciole ya ya ya yaaaa, viviamo nelle tenebre..ya ya ya yaaaa…schiavi d’un mondo brutal…popopopopopopo ( gorgheggio di  bassotuba), noi siamo i fior del maaaaaal…” 

Nel  frattempo in lontananza, e precisamente da Faleria,  giungeva ad ondate, portato dal vento caldo d’Oriente,  un canto di ottimistico saluto. Questo, che usciva da una tromba da giradischi “ La Voce del Padrone”  a 78 giri, che ci ricordava la voce di don Marino Barreto Jr che sussurrava…..”arrivederci….con una estretta di mano, da buoni amici sinceri… ci salutiamo col dir….  arrivederci…”

Ma ora eccoci qui, cari amici, davanti alla porta principale di Spilamberto, sotto la quale in passato sfilarono prenci et cavalieri (anche perché, nelle vicinanze, eravi un loco ove scaricare le proprie vergogne).  Sotto gli archi di questo torrione antico mendicò Spillo, un frate cantautore che, a comando, e dietro lauta mancia, improvvisava Laudi al Signore. In questa cittadina, posta a due passi dallo Spielberg, castello dedicato nei secoli passati alle cure reumatiche, come ricorda nei suoi diari salutistici il noto naturopata Silvio Pellico, vi fiorì anche il grande scrittore e poeta Friedrich Spielhagen, nato nel 1829 e seguace della Grande Cermanya. Gran parte dell’opera di questo poeta è però comunque sciupata dalla tendenziosità politica. Insomma, un luogo ameno e tranquillo (od almeno così pare..).

Così pertanto vi appare il Saul Arpino Parmenide, pelato, canuto e barbuto, nonché munito dalla tradizionale valigia di cartone legata con spago santo di canapa oleosa, Egli è stato scambiato dalla popolazione di villici locali per un santone, erede di un tal padre Pio pi pio pio….detto anche  “Delle Gallinelle”.  Santone giramondo e giraluna, vagamente hippie e yuppie (come tutti i frati, con un sovraccarico per i cappuccini.)

Quelle brave persone di villici spilambertiani( o spiambertesi come dir si voglia) non si sono fatti attendere e, di diritto e di rovescio, hanno trovato un asinello su cui caricare l’Arpino (da ora denominato: “Colui che siede sull’asìno”). Tutto ciò mentre alcuni fanatici della nuova religione  materialistica “newagemarketing” si esibiscono danzando coi piedi nudi su finti carboni ardenti.  Et voilà  arriva anche la grande orchestra strumentale Northern Kamurra composta esclusivamente di camorristi al konfino. Il complesso strumentale è così articolato: caccavella, triccheballacche, scetatevaiasse e putipù. In disparte, alcuni coreuti vestiti di velluto nero assicurano il ritmo con l’uso magistrale delle guimbard, o scacciapensieri.

Un Coro di Gallinacci del vicino mercato dei polli intona:  “La gallina fa coccodèèè, il galletto chicchiricchiiiii..” E s’ode di lato:  “Vieni amore il sole spunta già.. Quaqquaraquaqquaquà… quaqquaraquaqqualààààààà” che è l’inno corale delle voci grezze di anatra pseudo selvatica di un  allevamento intensivo, mentre in lontananza si disperde il ritmo della caccavella….. “Voooom, vooom, vooom…”.

Si tratta, cari amici vicini e lontani, di uno spettacolo entusiasmante, al quale tutti voi vorreste partecipare, pari solo alla trasfigurazione di  Priapo nell’orto delle fragole.

Mentre il ciuchino, affittato dal vicino tendone del Circolo Orfei, s’inchina ogni tre passi rendendo precaria la permanenza dell’Arpino sulla sua groppa,  ed alcuni animalisti vegetariani vengono a porgere doni (al ciuchino ed all’Arpino): si tratta di manciate di grano saraceno, di orzo, di uva ursina, di caramelle  al permanganato, dette “della buona creanza”, quelle che tingono le urine di uno splendido colore verde. Arpino però preferisce attingere  al contenuto di una catana (sacchetta calcatese) che porta a tracolla  e sparpagliando a destra ed a manca, manciate di pangrattato secco misto a scorze di formaggio pecorino e di prugnole amare tagliate molto fine.

E’ a questo punto che nugoli di badanti ucraine lo acclamo e proclamano “Grandissimo Atamano”.



IL DISCORSO.

Assembratasi la turba,  l’Arpino è invitato dai seguaci più stretti a tenere un discorso. Salito pertanto su di un trogolo rovesciato, egli pronuncia il  “DISCORSO DEL TROGOLO”

Care, cari… Fratelli e sorelle, cugini e cugine, zii e zie… nonni et nonne, fratelli carnali, di sangue e di latte, amici vecchi e nuovi eccomi infine tra voi che mi vedete, per diffondere la Lieta Novella (ed egli mostra, tra gli applausi del pubblico, il nuovo numero di…Novella 2000!)

Poi continua… “I Nostri Comandamenti sono direttamente impartiti a voi dal Gran Dio Priapo, calcatense, protettore di Calcata e dei suoi fiumi, che mi ha inviato al vostro cospetto affinché possiate assistere all’emissione del Verbo…  I nostri Comandamenti sono dieci imperocchè non vanno oltre il numero delle nostre dita.

Essi sono i MEMORABILIA (detti memorabili.)

1)      Siano le babbucce calzate in ordine. Quella sinistra calzi il piede sinistro, mentre quella destra il piede rimanente.

2)      Siano introdotte nel naso le dita della mano destra (o della sinistra per i mancini…) nel seguente ordine: mignolo, anulare, medio, indice ed indi: pollice.

3)      E’ vietato mangiare le unghie dei piedi.

4)      Sono vietate le flatulenze ed i carmi emessi sotto vento.

5)      Siano tutte le strade rinominate coi nomi benedetti degli adepti del Maestro Parmenide.

6)      Al risveglio e all’atto di prendere sonno sia invocato cinque volte il sacro nome del Dio Priapo.

7)      Sia istituita nella data ricorrenza del mio ingresso a Spilamberto, che coincide con l’apparizione della Dea delle Selve, Priapa, la Festa cittadina, dedicata alla santa Priapa Spilambertina.

8)      Non desiderare i rifiuti già differenziati da altri.

9)      Non inserire bigliettini contenenti barzellette oscene negli anfratti del muro del pianto.

10)  Traversando a piedi nudi e con gli occhi bendati il deserto di sale, non devi toglierti le mutande. Imperocchè la luce solare, rimbalzata dal biancore di sale, ferisce i glutei.

Eccovi, o amici vicini e lontani, il resoconto verace di una grande giornata, occorsa nella presentazione del Saul Arpino Parmenide a Spilamberto.

Alla prossima riporterò “I sermoni del ponte sul Panaro ad Altolà”

Omerus Georgius Vitalicus




Dall’Ashram di Swami Muktananda al Tempio della Spiritualità della Natura, le due incarnazioni del cane Shankar e della cagna Vespa



Si chiamava Vespa, questo il nome che le era stato affibbiato dai suoi vecchi padroni, due anziani contadini di Faleria. Ma da parecchio tempo non stava più nella campagna faleriana essendosi trasferita, con il mio consenso, nel Tempio della Spiritualità della Natura in quel di Calcata.

Ed infine  se n’era andata  la cana guardiana, ormai vecchia e malandata, che custodivo in un recinto al Tempio. Il fatto stesso di tenerla ristretta in un recinto era motivo di continui interrogatori da parte di nuovi visitatori.

“Perché  tu che ti dichiari animalista tieni questa cagna rinchiusa? Ma la fai uscire ogni tanto? La porti a spasso, La curi a sufficienza, la spulci quando serve, la fai visitare dal veterinario, quanti anni ha?….” Ed infinite altre domande mi venivano poste senza ritegno…

Ed ogni volta ero costretto a raccontare la storia di Vespa, dall’inizio, dalla sua vita “precedente” in forma di un  cane denominato Shankar che stava nell’ashram di Swami Muktananda a Ganeshpuri (India). Un cane che non si era mai assuefatto alla disciplina ashramitica, che scappava fuori a far danni e faceva danni persino dentro... infastidendo gli altri animali lì custoditi.  Per questa ragione era un po’ ostracizzato dagli ashramiti e tenuto sotto stretto controllo e pure punito all’occorrenza.  Ricordo diverse volte in cui vidi questo cane che incrociando Baba (il mio Guru) si metteva a tremare dando segni di insofferenza.  In una occasione, in cui aveva combinato qualche guaio più serio del solito, alla vista del Guru si mise a latrare e sbavare e Baba, che passeggiava sempre con un bastoncino da  Sadhu (dandha) glielo tirò dietro colpendo Shankar nel di dietro… Il lancio era perfetto ma la forza non era eccessiva e il dandha toccò appena la bestia che comunque guaendo si allontanò..

Eppure io, abituato a pensare in termini “animalisti” occidentali, non apprezzai molto quella scena e siccome dormivo in uno stabile agricolo nel giardino esterno, dove lo stesso Shankar bazzicava,  iniziai a familiarizzare con il cane, accarezzandolo e dandogli importanza… Forse mettendomi anche in contrapposizione al Guru, ritenendo la sua severità immotivata od esagerata.. “In fondo bisogna essere compassionevoli con tutti gli esseri, animali compresi, perché  Baba ha manifestato tanta severità?” Dicevo fra me e me  sentendomi io stesso più buono del Guru…

Il caso volle che di lì a poco tempo io stesso ricevessi una lezione esemplare sulla testardaggine e mancanza di rispetto da parte del cane Shankar. Una sera caldissima di luglio decisi di passare la notte fuori della ex stalla, nella quale  solitamente dormivo, anche se fra il dentro ed il fuori, essendo le pareti composte di muretti bassi appena un metro e venti, non c’era molta differenza,  ma io speravo che a cielo aperto spirasse un po’ di venticello che mi desse refrigerio e scacciasse le fastidiose zanzare che mi perseguitavano ogni notte.  Siccome dentro la stalla dormivo sul pavimento in cemento e fuori avrei dovuto sdraiarmi sulla terra andai a chiedere al magazzino una stuoia in vimini spiegandone la ragione. Il magazziniere, forse già sospettando qualcosa, si raccomandò che l’indomani restituissi la stuoia come l’avevo ricevuta. Io un po’ meravigliato per la pignoleria affermai che sarebbe stato così e afferrai il rotolino già alquanto consunto che mi avrebbe fatto da giaciglio e me ne andai.

Giunta la sera, tutto contento, mi accinsi a cercare uno spazio comodo sulla spianata antistante la stalla, presi un paio di longi (lenzuolini leggeri, che avevano varie funzioni, ivi compresa quella di gonnellino, scialletto ed asciugamano) e mi sdraiai beatamente a contemplare il cielo stellato… mi sentivo in paradiso!

Ma la mia goduria fu di breve durata, di lì a poco apparve sulla scena il grosso cane Shankar, il quale memore delle simpatie da me dimostrate nei suoi confronti si mise subito a saltarmi addosso ed a balzellare sul mio corpo… avevo un bel cercare di scansarlo.. niente da fare non sentiva ragioni..  continuava tutto il tempo a spiaccicarmi e mordicchiarmi senza ritegno. Mi alzai,  lo scacciai ripetutamente ma lui restava lì dappresso ed appena giacevo mi ripiombava addosso, uno sfinimento senza soluzione alcuna..  Alla fine mi arresi, smisi di reagire e mi sottoposi alla mercé di Shankar, restai immobile sperando che con il mio fermarmi anche lui si sarebbe fermato… Ma non fu affatto così… Egli prese a sbrodolarmi sulla faccia ed in tutto il corpo.. poi, visto che ormai non mi muovevo più, cominciò ad addentare e rosicchiare i miei longi.. ed ovviamente se la prese con la stuoina, che anzi  sembrò particolarmente di suo gusto tant’è che  la ridusse a minuti brandelli, salvo la parte coperta dal mio corpo sfiancato….

Altro che sollievo e refrigerio, altro che pace sotto il cielo aperto, non chiusi occhio tutta la notte, neanche un minuto, mentre il cane soddisfatto compiva la sua opera devastatrice e le zanzare imperversavano contente della mia immobilità (se avessi fatto cenno di scacciarle il cane avrebbe ripreso a tormentare il mio braccio).

Finalmente giunse il mattino,  potevo così rientrare nella stalla appena aperta, ove andai a riporre i longi ed i resti della stuoia, e poi mi recai subito ai bagni per darmi una bella rinfrescata.   Terminata la routine mattutina (meditazione, canti, lavoro, etc.)  tornai in magazzino per restituire la stuoia avuta in prestito. Il magazziniere mi guardò interrogativo:  “What is this mess?” –  “It is your mat that I bringing back” – “What, watth..?” – “The fault is  of Skankar, the dog.. he did all the michief..” – “But you were responsible for the mat.. non the dog..”

Insomma mi dovetti sorbettare la predica… e starmene zitto!

In seguito il cane deve averne combinata una veramente grossa perché scomparve sia dall’ashram che dal paese di Ganeshpuri in cui andava sovente a compiere le sue scorribande selvagge, probabilmente aveva fatto secca una gallina di troppo e qualche paesano l’aveva finito a  bastonate.

E questo è il primo tempo. Ed ora passiamo a Vespa.

Quando ancora gestivo il circolo vegetariano di Calcata, usavo acquistare alcuni prodotti biologici da una anziana coppia di  contadini di Faleria che mi fornivano di vino, verdure, olio, etc. Siccome vivevano da soli ed erano già alquanto acciaccati (operazioni varie, malattie, strascichi, etc.) avevano pensato di farsi un cane di grossa taglia per far la guardia alla casa ed al fondo. Qualcuno gli aveva procurata una bastarda nera e robusta, piena di energia. Anzi troppo piena di energia... tant’è che era completamente ingovernabile, correva appresso ai polli, scavava buche profonde nell’orto distruggendo ogni cosa. Saltellava addosso ai visitatori, senza però minimamente svolgere la funzione per la quale era stata presa: fare la guardia!

La bestia per la sua irrispettosità e incontrollabilità fu così denominata “Vespa”.

Gli anni passavano senza che si potesse far nulla per addomesticarla.  Fu tenuta legata con una catena che scorreva su un lungo filo d’acciaio ma a forza di scorrere e tirare la cagna riusciva sempre a staccare la catena che si consumava sino a fendersi,  una volta addirittura, tirando quando era tenuta al guinzaglio del vecchio padrone, che cercava di riportarla al suo posto, fece cadere  l’anziano che si ruppe un femore.  Inutile dire che i due vecchietti non sapevano più che fare, infine costruirono un piccolissimo recinto di bandoni in lamiera e vi richiusero la cagna.

Ogni volta da allora che andavo a comprare le verdure vedevo l’animale lì rinchiuso che saltellava,  e mi faceva pena.. le portavo perciò qualcosa da mangiare e magari le davo pure una carezza. I vecchi continuavano a lamentarsi dicendo che non potevano più occuparsene, che dovevano andare all’ospedale e non sapevano come fare con il cane, etc. Infine presero il coraggio a due mani e mi dissero: “Beh, lì a Calcata tu hai quel terreno dove tieni tutte quelle bestie, prenditi anche questa cagna e sollevaci da questo peso..” 

A  quel tempo nel Tempio ospitavo diversi animali, capre, pecore, galline, papere, conigli, etc, e pure un cane a me fedelissimo e bravo di nome Herman, che aveva già una decina d’anni. Così pensai che in fondo potevo tenermi pure Vespa e che l’avrei educata io a dovere… ed inoltre avrebbe sostituito Herman, ormai un po’ vecchiotto,  nella sua funzione di guardiano. Ero lì davanti alla cagna, incerto sul da farsi ma i due contadini erano così imploranti e la cagna così saltellante che infine acconsentii e presa la bestia  al guinzaglio la feci salire in macchina e me la portai via……

Tirava, tirava… mai era stata avvezza a camminare affiancata, tirava e tirava. Ma io ero ancora giovane e forte e strattonandola cercavo di insegnarle l’educazione… Tirava ancora di più davanti alle pecore ed agli altri animali e compresi subito che forse l’educarla avrebbe preso più tempo del previsto. 

“Poco male –mi dissi-  intanto la metto qui con questa bella catena lunga e poi giornalmente la addestro,  magari facendomi aiutare dal mio  fedele Herman”.

Passano i giorni, passano i mesi.. la cagna tirava e tirava e di tanto in tanto scappava pure e una gallina oggi, un gatto domani, ed un coniglio dopodomani,  pian piano stava assottigliano la fauna locale, in questo dando anche il cattivo esempio al pur fedele Herman. Non c’era catena che reggesse al suo sfregamento continuo. Dovetti rinforzare tutti i recinti degli animali, ma  Vespa era bravissima a scavare, una vera cacciatrice indomabile. Poi accadde che Herman si prese una leshmaniosi e dopo un mesetto di agonia spirò in pace, era già vecchio e credo che il suo tempo l’avesse comunque vissuto, Cercai allora di concentrami sull’addestramento di Vespa… ma non ci fu nulla da fare… (riuscì pure a far secca una mia affezionata pecora che avevo da quando era agnellina) ed inoltre  scappava fuori dal terreno per  andare a far razzie negli ovili del paese nuovo di Calcata.

“Guarda… -mi disse qualche pecoraro- già abbiamo avuto danni, se la tua cagna la ritroviamo su non torna più giù…”. L’avviso era chiaro e decisi perciò di costruire un bel recinto grande con vecchie reti da letto e pali di ferro e vi rinchiusi la cagna “for good”.  Ancora di tanto in tanto cercavo di portala in giro al guinzaglio nel tempio  ma anch’io un paio di volte inciampai… e il ricordo del contadino faleriano e la mia età avanzata mi consigliarono infine di lasciar la cagna dove stava.. nel suo bel recinto e di nutrirla al meglio, con gli avanzi di casa, senza più toccarla. Le crocchette  e le scatolette che non avrei mai comprato me le portò Luisa per quattro o cinque anni e questa fu la consolazione di Vespa, che passava il suo tempo ad abbaiare ai gatti di passaggio, che però non poteva più azzannare (solo una volta o due riuscì a scappare ed a farne secchi un paio)…

A modo sua Vespa ha pagato il suo karma e compiuto il suo dharma,  nella forma migliore che le fosse possibile… quando stavo per lasciare Calcata, il 3 luglio del 2010, era bell’e morta... Ha aspettato fino all’ultimo giorno e se ne é andata mentre anch’io  dovevo andarmene  a Treia…


Paolo D’Arpini