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L'illusione dell'apparenza...



Viviamo in un mondo dove il falso e l’artifizio hanno preso il posto del vero e del semplice. Questo è il meccanismo della “seduzione” -dell’apparenza- che prende il posto del “naturale” -dell’intrinseca verità. “se-ducere” letteralmente significa “condurre a sé” e ciò avviene attraverso una caleidoscopica mascherata che sterilmente si avvicenda nel riflesso degli specchietti. 

Gira e rigira il caleidoscopio e gli specchietti mostrano fugaci composizioni. Un gioco sterile dell’esteriorità. La seduzione è allusione e miraggio, con essa si mostra ciò che l’altro vorrebbe vedere, è semplice barbaglio proiettivo di una immagine costruita a misura per attrarre l’altro. E chi è l’altro? Chi svolge la funzione separativa dell’io e dell’altro? Perché si sente la necessità di appropriarsi della attenzione dell’altro?

La fissità dello specchio, come nella storia di Narciso, è imbroglio erotico spirituale, è fascinazione che conduce alla morte, sebbene lo specchio sia nato per uno scopo magico, lo scopo di vedere “attraverso le forme” riflesse. Ricordate la storia di Don Juan che istruisce Castaneda ad attrarre gli spiriti (l’alleato) attraverso uno specchio immerso nell’acqua corrente?

Lo specchietto per le allodole è un altro eufemismo utile a capire come la fascinazione seduttiva sia una trappola mortale, in cui sia il seduttore che il sedotto giocano a perdersi vicendevolmente. La seduzione insomma è camuffamento, un mescolamento dell’apparente bello e di desiderio mentre la chiara visione, potremmo dire la “chiaroveggenza” è la vera capacità percettiva di scorgere il bello in ciò che è, senza orpelli, senza luminarie, senza zavorra inutile di finzione incipriata. 

Questo il significato di Santa Lucia, la santa della Luce?

Paolo D'Arpini




La domanda essenziale, tra ignoranza e conoscenza...



Esistono due modi di fare domande. Uno di essi non nasce perché non sai, ma perché sai qualcosa: scaturisce dalla tua cosiddetta conoscenza. Hai già la risposta e quindi sollevi la domanda. È così stupido!

Qualunque cosa tu sappia, non la sai per davvero, altrimenti non ci sarebbero domande. In secondo luogo, dal momento che la domanda è nata da una risposta preconcetta, non sei pronto a ricevere una nuova risposta. Con domande del genere è assolutamente inutile, non ti portano da nessuna parte.

Non chiedere mai perché sai qualcosa. Se sai, va benissimo e non c’è alcun bisogno di chiedere. E se non sai, chiedi come se fossi ignorante, come se non sapessi. Se non senti di non sapere, non sarai mai vulnerabile, aperto, ricettivo. E la ricettività è necessaria, altrimenti fai una domanda e non permetti alla risposta di entrare.

Più o meno tutte le domande sono così. Abbiamo già la risposta e cerchiamo una conferma. Non siamo sicuri, perché non sappiamo per davvero, ma abbiamo semplicemente raccolto determinate informazioni. Ora vogliamo che qualcuno ci convinca ulteriormente, qualcuno che sia testimone della nostra conoscenza, in modo da poter sentire: “Sì, ho ragione”.

Questo è assurdo. Se sai, la conoscenza stessa, il fatto stesso di sapere, ti dà fiducia e fornisce una prova di se stessa. Se sai qualcosa, anche se il mondo intero lo nega, non fa alcuna differenza. E allo stesso modo, se non sai nulla e tutto il mondo dice: “Sì, è vero”, anche questo non fa differenza. Conoscere è auto-provante e anche l’ignoranza rivela se stessa.

Quindi non chiedere basandoti sulle tue conoscenze. Se sai, va bene così. Se non sai, sii consapevole di non sapere e chiedi basandoti sulla coscienza della tua ignoranza.

Il secondo modo di fare domande, che è quello autentico, sincero e onesto, proviene sempre dalla sensazione di non sapere. Le tue porte sono aperte e sei pronto a invitare l’ospite. Altrimenti, inviti l’ospite e la tua casa è completamente chiusa e quindi non è un vero invito. 

Se fai un invito, crea lo spazio per l’ospite! Se hai delle risposte già pronte, non hai spazio per ricevere la risposta.

Fare domande è inutile se non c’è lo spazio per ricevere. 

Quando fai una domanda, osserva se c’è lo spazio per ricevere la risposta. Prima crea lo spazio, poi chiedi. Così la domanda non è solo intellettuale, non è solo mentale. Tu sei totalmente coinvolto, è in gioco tutto il tuo essere, il tuo essere totale. Questo è ciò che si intende con “esistenziale”. Ora la domanda arriva dalla tua stessa esistenza, dal tuo essere.

Il primo modo di fare domande è sempre condizionato dagli altri e questo va compreso molto chiaramente. L’ignoranza è tua, ma la tua cosiddetta conoscenza ti è data dagli altri. L’ignoranza è più esistenziale della cosiddetta conoscenza. Se non sai, questo non-sapere è tuo. Ma se dici: “Lo so perché ho letto la Gita. Lo so perché qualcuno da qualche parte ha detto una cosa del genere. Lo so perché Buddha aveva una teoria simile e io ne ho sentito parlare, quindi, lo so”, questa conoscenza non è tua! 

E ricorda, persino la tua ignoranza è più preziosa della conoscenza altrui, almeno è tua, è possibile fare qualcosa. È reale, è esistenziale. 

Con una finzione non si può fare nulla. 

Ciò che è reale può essere trasformato e cambiato, ma con una finzione non puoi fare nulla, con l’immaginazione non puoi fare nulla. La conoscenza immaginata, basata solo sull’informazione, è fittizia, non è esistenziale.

Quindi poni una domanda, indaga su qualcosa, ma attraverso i tuoi sentimenti esistenziali, non attraverso le informazioni mentali accumulate. 

Se chiedi davvero a partire dalla tua ignoranza, la tua domanda sarà universale in un senso e individuale in un altro, perché quando chiedi basandoti sulla tua ignoranza, sollevi una questione che è uguale per tutti. Se chiedi a partire dalla tua conoscenza, la questione sarà diversa. Un hindu non farà mai la stessa domanda di un musulmano; un cristiano non farà mai la stessa domanda di un giainista. La conoscenza di un musulmano è completamente diversa dalla conoscenza di un hindu, ma non esiste l’ignoranza del musulmano o l’ignoranza di un hindu. L’ignoranza è universale, esistenziale, ma la conoscenza si differenzia. La conoscenza musulmana è diversa dalla conoscenza hindu, giainista o cristiana.

 

Se la tua domanda scaturisce dalla tua conoscenza, è inevitabile che provenga dal tuo condizionamento sociale. Quindi non è universale, esistenziale. Quando un musulmano chiede qualcosa, in realtà non è lui che chiede. Chi chiede è ciò che gli è stato imposto, ciò che gli è stato inculcato, ciò per cui è stato condizionato. È quel condizionamento che pone la domanda. 

L’uomo reale è nascosto dietro il musulmano e il musulmano imposto (o l’hindu imposto) fa la domanda. E allora è superficiale e qualunque risposta riceverà non arriverà in profondità, perché la domanda non è nata dalla profondità.

Le domande esistenziali implicano che attraversi tutti gli strati condizionati della tua mente e chiedi in quanto esistenza pura e nuda, non come musulmano, sikh o giainista. Chiedi come se non ti fosse mai stata fornita alcuna risposta prima. Metti da parte tutte le tue risposte. 

E allora la tua domanda sarà individuale in un certo senso, perché è arrivata da te, e sarà contemporaneamente universale, perché ogni volta che una persona entra dentro di sé così profondamente, arriva la stessa domanda.

Quindi sii esistenziale nel chiedere e non chiedere mai a partire dalla tua conoscenza, chiedi in base alla tua ignoranza. Se vuoi trasformazione, mutazione, chiedi in base alla tua ignoranza. Sii consapevole della tua ignoranza. Scava in profondità e trova quelle domande che arrivano dalla tua ignoranza e non dalla tua conoscenza.
 

Tratto da: Osho, The Eternal Quest #12




 






Fonte: Osho Times n. 271

Calcata, un “proto-ecovillaggio” non riconosciuto...


Secondo il mio parere il vivere  in comunità non può essere il risultato di considerazioni aprioristiche. Abbiamo visto infatti innumerevoli esempi nella storia di comunità sorte con la funzione di soddisfare intenti collettivi e che per lo più o si frantumavano o perdevano la spinta iniziale. Magari nel tempo cambiando completamente le finalità. Partendo da questo presupposto, la mia “discesa” a Calcata non fu in conseguenza di un atto deliberato o di una propensione idealistica. Semplicemente avvenne che cercando un nuovo modo di vita comunitario, sotto la spinta delle mie esigenze spirituali ed ecologiste, capitai in questo paesino in corso di definitivo abbandono da parte della popolazione originaria e che era stato addirittura dichiarato inabitabile per ragioni di (presunta) pericolosità sismica. 

Ciò avvenne nei primi anni ’70 del secolo scorso, da poco tornato dai miei primi viaggi in India. A Calcata trovai uno spazio vuoto dalle immense possibilità per rinnovate azioni culturali, abitato da una “comunità” di vecchietti che volevano morire dove erano nati. Questi vecchietti, custodi di un sapere antico e di un rapporto unico con la natura che circonda Calcata, furono i miei maestri per un nuovo – antico vivere nell’ecologia, nel sociale e nella totale semplicità e mancanza di pretenziosità nelle funzioni svolte. Da ciò nacque una successiva aggregazione di amici e parenti che come me sentivano l’esigenza di un “ritorno alle origini” e che trovarono sull’acrocoro di Calcata una nuova e promettente casa. Nel corso dei primi anni da quel primo gruppo di sperimentatori fu portato avanti un laboratorio assolutamente libero da finalità concrete. 


Tutto si svolgeva all’insegna del gioco, dell’innovazione fantasiosa, della ricerca culturale in piena libertà espressiva, nella ricerca di nuovi/vecchi mestieri da praticare con le mani oltre che con la mente. Un riconoscere la capacità di convivere con gli altri animali come componenti della stessa comunità umana (ovviamente non parlo di cani e gatti, ma di capre, pecore, asini, maiali, galline, ecc. ecc.) e del poter vivere fra esseri umani in forme anticonvenzionali. 
Questo meraviglioso esperimento nel vecchio borgo si ampliò e progredì e giunse ad un suo climax. Il culmine avvenne allorchè la comunità, inizialmente di pochi elementi, raggiunse il numero di un centinaio di abitanti, mentre il resto della popolazione calcatese, composta da circa 800 persone, si era definitivamente trasferita in un nuovo centro geograficamente separato. A quel punto soese il problema della inabitabilità delle vecchia Calcata. Non essendoci più residenti autoctoni (i vecchietti erano morti tutti), il rischio che il paese potesse subire la demolizione prevista nella legge sulla pericolosità sismica, divenne più tangibile. 
A quel punto fummo costretti a tentare la via istituzionale per modificare la suddetta legge. A quel tempo le mie amicizie politiche e giornalistiche erano consistenti e solide e non fu difficile far presentare una legge specifica di riqualificazione del vecchio borgo da parte di consiglieri regionali del Lazio. Purtroppo, salvata “istituzionalmente” la rupe e quindi restituito un valore reale agli immobili e quindi riportato il contesto comunitario all’interno di un contesto di economia utilitaristica, il destino di Calcata mutò irreversibilmente. Da libero e giocoso esperimento per un nuovo vivere libero dal limite dell’utile, divenne un “meccanismo” per la sopravvivenza di chi operava in una qualsiasi attività a quel punto divenuta remunerativa. Insomma, da emanatore di luce propria, il paese divenne uno specchietto per le allodole. Da teatro di strada a teatrino. 
Certo, non tutto è andato perduto: alcuni elementi hanno tenuto fede allo spirito originario continuando nella sperimentazione e nella “resistenza”, pur relegati in una sorta di esilio interno. Io ebbi la fortuna, dopo 35 anni, di poter lasciare Calcata, senza una ragione, ovvero, non per fuga da una situazione che lasciavo, bensì perchè attirato nel vortice di un nuovo inizio, intriso d’amore.
Paolo D'Arpini









"Chi è chi?", ovvero: "Chi fa la parte di chi fa la parte?" (Seconda parte di una non-intervista)

Cari amici quella che segue è la trascrizione di uno stralcio di una "non-intervista" per interposta persona che è andata in onda il 14 ottobre 2008 su Radio Brussellando, l'emittente multilingue della Comunità Europea, emessa nell'etere a Bruxelles. La storia di questa non-intervista è alquanto complicata da raccontare, nasce tutto dall'idea di uno scherzo radiofonico alla Orson Wells... Nel giorno in cui erano attesi gli extraterresti ecco che qualcuno per un'ora ha recitato la parte di qualcun altro, un "chi è chi" complicato sul personaggio "Paolo D'Arpini".

All'epoca della non-intervista nel giardino del Circolo VV.TT. di Calcata


Ecco, per cominciare, una lettera introduttiva  di Mari D.

"Le persone coinvolte sono Mari D e Massimiliano Bonne. In regia Dani M. In radio  Mari D.  (e non Marilena, le due immagini corrispondono ma non i loro spiriti... sono due anime che appartengono alla stessa persona ma in qualche modo differiscono... l'una è proiezione dell'altra, l'altra trova in essa conforto, a volte scontro spesso anche ribellione... convivono in un sottile equilibrio di momenti ora colorati, ora tristi, ora intensi, ora folli o irosi... ebbene si, s'alimentano anche di sentimenti di cui spesso si tende a dimenticare, come l'ira non "funesta", ma creativa... fonte di analisi e riflessione). Potremmo coordinarci e presentare il materiale in contemporanea sul sito della radio e il tuo. Che ne dici? Poi io e Massimiliano (il poeta che ti ha interpretato alla radio) ti telefoniamo insieme. Così vi conoscete almeno telefonicamente. Ho evitato di farlo prima per rendere la recita più credibile. Ho preferito che tu andassi in onda quando il mio collega in radio, Georges Laurand non era con noi, per avviare un dialogo a due voci, il più vicino possibile alla tua intervista...".
Mari D


Stralcio dell'ntervista a Paolo D'Arpini 1. Raccontaci di te Giusto oggi scrivevo ad un'amica spiegandole "..lavoro per un mezzo sderenato che si chiama Paolo D'Arpini, lo conosci?". In verità identificarsi con uno specifico nome forma non corrisponde assolutamente al vero ed inoltre se ci si identifica con la "persona" non si può fare a meno di assumerne i pregi ed i difetti, di accogliere le sue sfumature e macchie, ma siamo noi Arlecchino e Pulcinella? Per questo dicevo che "io" (in quanto coscienza) lavoro per quel personaggio "Paolo D'Arpini" il quale solo attraverso la mia osservazione consapevole può manifestarsi e compiere le nefandezze a cui è avvezzo. Allo stesso tempo gli voglio bene come voglio bene a chiunque mi si presenti davanti, che entra nella mia sfera cosciente. 2. Questa è realizzazione? L'esperienza dello stato ultimo, della coscienza libera da identificazione, è esposta in varie scuole spirituali come: Satori, Spirito Santo, Samadhi, Shaktipat, etc. Di solito si intende che questa "esperienza" del Sé sia conseguente ad una particolare condizione di apertura in cui la "grazia" può manifestarsi ed impartire la conoscenza di quel che sempre siamo stati e sempre saremo. Purtroppo dovuto all'accumulo di tendenze mentali "vasana" non sempre l'esperienza vissuta si stabilizza in permanente realizzazione. Il risveglio quindi non corrisponde alla realizzazione (oppure solo in rari casi di piena maturità spirituale). E qui ci troviamo di fronte ad un paradosso, da un lato c'è la consapevolezza inequivocabile dello stato ultimo che non può mai più essere cancellata, dall'altro un oscuramento parziale di tale verità in seguito all'attività residua delle vasana che continuano ad operare nella mente del cercatore... 3."Può la conoscenza essere persa una volta che è stata ottenuta?" "La conoscenza una volta rivelata prende tempo per stabilizzarsi. Il Sé è certamente all'interno dell'esperienza diretta di ognuno, ma non come uno può immaginare, è semplicemente quello che è. Questa "esperienza" è chiamata samadhi. Ma dovuto alla fluttuazione delle vasana, la conoscenza richiede pratica per stabilirsi perpetuamente. La conoscenza impermanente non può impedire la rinascita. Quindi il lavoro del cercatore consiste nell'annichilazione delle vasana. E' vero che in prossimità di un santo realizzato le vasana cessano di essere attive, la mente diventa quieta e sopravviene il samadhi. In questo modo il cercatore ottiene una corretta esperienza alla presenza del maestro. Per mantenere stabilmente questa esperienza un ulteriore sforzo è necessario. Infine egli conoscerà la sua vera natura anche nel mezzo della vita di tutti i giorni. C'è uno stato che sta oltre il nostro sforzo o la mancanza di sforzo ma finché esso non viene realizzato lo sforzo è necessario. Ma una volta assaggiata la "gioia del Sé" il cercatore non potrà fare a meno di rivolgersi a questa ripetutamente cercando di riconquistarla. Una volta sperimentata la gioia della pace nessuno vorrà indirizzarsi verso qualche altra ricerca" I belong to everyone No one can own me The whole world is my home All are my family (Neem Karoli Baba)
Con l'ultima compagna di vita: Caterina Regazzi

7. Paolo e le sue donne Ho sempre amato le donne da quando son nato, cominciando ovviamente da mia madre, poi le ho amate come sorelle (ne ho due) poi le ho amate come amiche (a scuola e nella vita in generale) e finalmente le amate come amanti e da esse ho avuto anche diversi figli, che senza dubbio amo. Insomma il mio amore per le donne è totale, infatti amo anche la Shakti, l'energia divina o Madre Divina che tutti ci compenetra (maschi e femmine), tant'è che una volta a Viterbo un amico ateo un po' misogino, mi definì "adoratore di Kali", quando io gli parlavo di spiritualità laica, pensando così di offendermi in modo "bestiale"... io gli risposi con una bestemmia ma l'accusa di essere un seguace di Kali non la rinnegai, anzi mi fece piacere, anche perché è la verità! 8. Libertà di amare e di essere amati La coppia monogamica che noi conosciamo non è un riscontro dell'amore o perlomeno non lo è nel modo in cui essa viene oggi vissuta. E qui dobbiamo iniziare un percorso per capire cos'è il libero amore ed in quali modi esso si manifesta. Cominciamo ad esaminare la propensione evolutiva che dall'inizio della specie spinse le donne in età feconda spontaneamente e liberamente ad unirsi con quei maschi che ritenevano più idonei alla sopravvivenza, tali maschi erano molto probabilmente i più intelligenti, cioè quelli che mostravano di possedere un patrimonio di conoscenze ed una maggiore adattabilità all'ambiente ed alle condizioni sociali, in grado di far progredire la specie. Mai un maschio sceglieva una donna se non contemporaneamente all'accettazione di lei. La selezione, sino a circa cinquemila anni fa (siamo in pieno periodo matrista) veniva sempre sancita dalle femmine ed è per questo che l'umanità ha mantenuto una costante spinta evolutiva, lenta ma consona alla propagazione sul pianeta. Questa qualità "elettiva" è stata una risposta evolutiva nonché afflato emozionale endemico. Forse con l'avvento dell'allevamento e dell'agricoltura (e del surplus produttivo conseguente) pian piano questo approccio fra i sessi fu corrotto dal modello utilitaristico e possessivo patriarcale in cui alcuni maschi furono in grado di "acquistare" una femmina (matrimonio) per fini riproduttivi. Questa tendenza divenne sempre più forte con l'affermazione delle religioni monoteiste che sancirono la sudditanza femminile in forma definitiva e la consuetudine del matrimonio divenne una regola sociale obbligatoria. Da quel momento scomparve -o quasi- l'amore ed apparve la prostituzione e la "infedeltà". Ma cosa vuol dire prostituzione? Non è forse una forma di "matrimonio" limitato ad un breve lasso di tempo per la mera soddisfazione sessuale? E cos'è l'infedeltà se non la spontanea aggiustatura, lo sfogo, per un rapporto coniugale obbligato? Insomma la conseguenza dello sposalizio sancito per legge. E ove si manifestano prostituzione ed infedeltà vuol dire che l'amore non è più sincero e schietto ma solo una comoda formula sociale ed economica, insomma un commercio... un gioco di potere. Il libero amore è la riscoperta della piena libertà espressiva è quindi la sola riposta alla condizione corrente in cui l'anormalità è diventata norma. Ma il libero amore presuppone il rapporto fra persone libere, un rapporto non preconfezionato, né legato ad interessi altri se non l'amore stesso quindi non può esser mercenario in alcuna forma, né -ovviamente- il risultato di prevaricazione o plagio fisico o psichico. Libero amore è l'incontro fra esseri umani consenzienti che durante un percorso di vita scelgono spontaneamente di sostenersi reciprocamente e condividere esistenza intelligenza e sessualità. *------------------------------------------* Ringrazio Danielita per avermi presentato Mari D. che ringrazio per aver creduto in questa intervista non intervista. Ringrazio Massimiliano per essersi prestato al gioco di interpretarmi e ringrazio lo staff di Brussellando. Ciao a tutti, Paolo D'Arpini


P.S. Leggete la prima parte della storia su: https://riciclaggiodellamemoria.blogspot.com/2020/12/chi-fa-la-parte-di-quello-che-fa-la.html

Per chi volesse ascoltare il parlato integrale della non intervista è possibile collegandosi sul podcast: http://radioalma.blogspot.com/2008/10/brussellando-del-14-ottobre-2008.html

“Chi fa la parte di quello che fa la parte?” – Cronistoria di una intervista radiofonica “ad personam” di un vivo-morto… (prima parte)



Essere degli attori in questa vita, in cui noi tutti siamo personaggi più o meno consapevoli  in una commedia, è già una bella prova. Ma chi non ha avuto la curiosità di sentire o vedere come la nostra recitazione è stata percepita dagli altri attori protagonisti? Quante volte ci siamo soffermati nel pensiero “vorrei vedere dopo che son morto come questo o quello si comporta…” o “come  è stato giudicato il mio operato, chissà se quando quello o quella mi parlava  era sincero o no?”. Queste ed altre domande appaiono nella mente di ognuno, è chiaro che queste sono speculazioni in cui si presuppone che gli altri personaggi del sogno possano avere intendimenti “propri” diversi dal solo ed unico sognatore ma è indubbio che dal punto di vista dell’io individuale questa curiosità viene percepita,   magari  sperando di poter ottenere una risposta coerente    da un ipotetico aldilà… 


Questo interrogativo non è solo il racconto della trama di “Wang Tzi raggiunge il grande Tao” (di cui leggerete più sotto), è anche il resoconto di uno “scherzo” reale compiuto  martedì 14 ottobre 2008 a Radio Brussellando di  Bruxelles.


In quel giorno ci si aspettava da più parti la discesa degli extraterrestri, che vari medium e veggenti avevano pronosticato. Il destino ha voluto che un extraterrestre apparisse, almeno nell’etere radiofonico di Radio Brussellando,  e  -non volendo-  ha così confermato la “veggenza” di un’aliena apparizione su questa terra.  Negli “studios” radiofonici c’è stata quella reminescenza-intervista  virtuale che ha reso possibile l’impossibile.


Un vivo che interpreta un altro vivo (ma dato per morto) per interposta persona. Un poeta chiamato Max che fa la parte di un ipotetico altro Max. Ma non è lui né l’altro. Insomma per capirci… dovete sapere che in gioventù mi facevo chiamare Max e quel Max, che ora è diventato Paolo, era curioso di sapere chi  e come la sua presenza su questa terra fosse stata percepita. Così è stato organizzato un bello scherzo alla Orson Well in cui un  vero Max  ha interpretato la parte del finto Max, ovvero di Paolo, spacciandosi per lui in un’intervista radiofonica di un’ora. Raccontando la sua vita, esprimendo emozioni, raccogliendo commenti, diffondendo nell’etere il profumo di una verità finta, di una finzione vera.


La trasmissione è stata curata da Marilena D.,  su mia diabolica istigazione, ed è stata una ottima pensata per immaginare il morto che osserva il vivo, oppure per scoprire il vivo che rigurgita  il morto….  Forse non avete capito granché di quello che vi sto dicendo… allora vi consiglio di richiedermi in replay il CD che attendo da  Marilena,  ovvero la registrazione della trasmissione “Incontro radiofonico con Max Paolo D’Arpini” di cui leggerete qualcosa   nella corrispondenza intercorsa che segue.



Mail  del 15 ottobre 2008 da  Paolo a Marilena:

 “Cara Marilena, ti chiami come la più amata donna del mondo, Marylin, ed evidentemente meriti il nome.  Ho ascoltato la tua telefonata un po’ emozionata ed impacciata, però la tua voce mi è sembrata soddisfatta e orgogliosa dell’opera compiuta, sia pur nella modestia espressiva. Bene!

Sai,  nella  recita teatrale che stiamo per mettere in scena “Wang Tzi raggiunge il grande Tao” si narra la storia del saggio Wang discepolo di Lao Tzi, che avendo avuto una diatriba con la moglie sulla ipotetica fedeltà delle donne (in caso di vedovanza) e volendo mettere alla prova quanto da lei affermato “che non si sarebbe mai più sposata per tutta la vita”, con i suoi poteri psichici simulò una morte fisica, il suo cadavere –come era consuetudine in  Cina per i nobili ed i maestri- venne conservato nella casa in un feretro per parecchi giorni di veglia. Nel frattempo lo spirito di Wang, sempre con l’aiuto dei suoi poteri, prende la forma di un bellissimo giovane che si presenta con un vecchio servo (che era sempre lui stesso) nella casa dove la vedova piange il morto…

Dopo pochi giorni, anche per il mefistofelico approccio del servo che fa da mediatore tentatore, la vedova si innamora del giovane e malgrado  il cadavere di Wang sia ancora in casa decide di sposarlo… senza ulteriori indugi.  Mentre stanno per accoppiarsi, ecco che il giovane ha un colpo apoplettico, il servo dice alla vedova che l’unica cura è quella di fargli mangiare il cervello di un uomo morto da pochi giorni (con del vino caldo), la vedova ormai presa dalla passione per il giovane che sembra in procinto di morire non esita a cercare di scervellare il defunto marito con un ascia   ma proprio mentre si accinge a farlo.. ecco che Wang Tzi si risveglia,   svergognando così la donna infedele…  Insomma ti ho raccontato tutta questa storia per farti capire la sensazione di sentirmi  “interpretato” da vivo-morto, attraverso la recitazione di Max. Ringrazialo da parte mia e bacialo in fronte, già che ci sei dai un bacio sulla guancia anche a Danielita per te invece è riservato un bacio dal “vivo” all’occasione favorevole… Ciao carina, Paolo  

 

Lettera  del 15 ottobre da Marilena a Paolo

Caro Paolo, sì ero molto emozionata… perché la puntata è stata emozionante… erano le 22h04 e avevamo appena terminato… Ho cercato di trasmetterti al telefono le mie sensazioni più immediate piuttosto che riportartele più tardi (oggi) magari dal vivo. Al massimo entro sabato ti invio il Cd. Saluti anche da Max… che conosce Calcata molto bene. Magari riuscirete anche ad incontrarvi… Restiamo comunque in contatto… O.K? Un caro saluto. Mari. D.


 Ma a queste punto vi chiederete: perché svelare questa parte dell’arcano dopo il  mistero iniziale, cos’è sta manfrina?Beh non potevo mica mandare inosservata  questa notizia così giornalisticamente divertente, ognuno è fatto a modo suo e voi mi conoscete bene…

Ciao, Paolo D’Arpini



8 dicembre - Celebrazione dell'Energia Primordiale identificata nella Madre Universale


"Cammino accecato verso la luce
e cerco di raggiungere la sua mano
Non chiedere nulla
e non cercare di capire
Apri la mente e
apri il tuo cuore
vedrai che io e te
non siamo distanti l'uno dall'altra
perché io credo
che l'amore é la risposta
Io credo
che l'amore mostrerà il cammino"

La tradizione vuole che a partire dall'8 dicembre,  festa dell’Immacolata Concezione di Maria,  si dia inizio ad una serie di celebrazioni. Ovviamente si parla della Energia primordiale che è stata identificata nelle varie religioni in forme femminili: Parvati, Lakshmi, Iside, Giunone, Gea, Proserpina... e Maria.  Ma si tratta sempre di Lei: la Madre Universale.  Queste celebrazioni culminano con il festeggiamento del solstizio invernale, che nella tradizione cristiana è fatto combaciare con la nascita di Gesù.  


Ma facciamo un excursus sulle festività che ricorrono in questi giorni, la prima è appunto quella dell'Immacolata Concezione, simbolo dell'eterna purezza e freschezza con cui Madre Natura crea e da forma allo spirito attraverso la manifestazione della vita.  C'è poi  il trasporto della casa materna di Maria,  da Nazareth a Loreto,  trasportata da uno stuolo d'angeli in volo a certificare la presenza sul suolo italico della divina madre, questo avviene la notte  tra il 9 ed il 10 dicembre. 

Sulla storia della Madonna Nera  ci sono comunque varie versioni, tanto per cominciare si identifica  questa immagine ad una  forma di Iside, ove soprattutto nelle Marche risultavano esservi parecchi templi a lei dedicati. Il nome stesso di Treia  è derivante dalla dea Trea, un appellativo di Iside. Il culto della "Grande Madre"  è a Treia molto antico... Ai lati di un chiesa, ora tenuta da frati Francescani, che sorge sopra l'antico tempio di Iside sono state ritrovate diverse immagini della Dea  ed ex voto, ed in una chiesa di suore risalente al 1200 circa è tutt'ora conservata una immagine lignea della Madonna Nera, che si dice più antica di quella di Loreto.    

Viene poi il 13 dicembre  con i festeggiamenti per Santa Lucia, protettrice dell’intelligenza umana. Questa santa simboleggia la rinuncia a fissare la propia attenzione sulle cose "oscure" del mondo concentrandosi invece sulle cose "celesti". Le cose oscure sono l'apparenza e la vanità mentre le cose celesti sono la verità e l'amore.

E qui vorrei inserire un importante aspetto di questa capacità della Madre di illuminare il percorso spirituale.  La Madre è chiamata Maya quando illude le creature e prende il nome di Vidya quando invece trasmette loro la Conoscenza Suprema.  Sta a noi scegliere quale di queste due forme adorare e privilegiare. Nella storia dell'uomo -e non solo oggi-  ci sono stati momenti in cui prevalgono nel  mondo il falso e l'artifizio. Questo è il meccanismo della "seduzione" -dell'illusione  o dell'apparenza- che oscura il "naturale" dell'intrinseca verità....

"Se-ducere" letteralmente significa  "attirare a sé" (all'ego) e ciò avviene attraverso una caleidoscopica mascherata che sterilmente si avvicenda nel riflesso degli specchietti. Gira e rigira il caleidoscopio e gli specchietti mostrano fugaci composizioni. Un gioco sterile dell'esteriorità. La seduzione è allusione e miraggio, con essa si mostra ciò che l'altro vorrebbe vedere, è semplice barbaglio proiettivo di una immagine costruita a misura per attrarre l'altro. E chi è l'altro? Chi svolge la funzione separativa dell'io e dell'altro? Perché si sente la necessità di appropriarsi della attenzione dell'altro?

La fissità dello specchio, come nella storia di Narciso, è imbroglio erotico spacciato per amore della bellezza, è fascinazione che conduce alla morte, sebbene lo specchio sia nato per uno scopo magico, lo scopo di vedere "attraverso le forme" riflesse. Ricordate la storia di Don Juan che istruisce Castaneda ad attrarre gli spiriti (l'alleato) attraverso uno specchio immerso nell'acqua corrente?

Lo specchietto per le allodole è un altro eufemismo utile a capire come la fascinazione seduttiva sia una trappola mortale, in cui sia il seduttore che il sedotto giocano a perdersi vicendevolmente. La seduzione insomma è camuffamento, un mescolamento dell'apparente bello e di desiderio mentre la chiara visione, potremmo dire la "chiaroveggenza" è la vera capacità percettiva di scorgere il bello in ciò che è, senza orpelli, senza luminarie, senza zavorra inutile di finzione incipriata. Questo il significato di Santa Lucia, la santa della Luce.

Poi giunge  il 21 dicembre, giorno del Solstizio d’inverno. Il Natalis Sol Invictus. Con il cristianesimo questa simbologia viene spostata alla notte del  24 dicembre, e rappresenta  il momento della vittoria della luce sulle tenebre. Il  Sole Invitto è l'attesa di ogni uomo, che ripete l'attesa del cosmo, dall'alba al tramonto e dal tramonto all'alba, senza fine. In un eterno ritorno.  periodo temporale fu pure scelto da tutte le civilizzazioni le cui religioni furono fondate sulle leggi della natura. La festa della nascita del Sole la più grande di tutte perché rappresenta l'inizio di una nuova era. Non solo la fine di un ciclo, ma la formazione di uno nuovo.

Cicli che ogni cercatore sperimenta nella propria evoluzione, attraverso il mondo dello spirito, come una grande ora per la libertà dell'anima.

Paolo D'Arpini