Pagine

L'importanza della devozione al Guru, secondo Nisargadatta Maharaj


Sii cosciente   dell'  "io sono". Contemplalo.  Questa penitenza è una sorta di meditazione. Non meditare su alcun oggetto. 


Il destino del jnani è l'intero universo. Lo saprai attraverso la meditazione. Una volta che conosci la coscienza, non ti identificherai mai più con il corpo. So di avere un corpo, ma il corpo non è "io". Si ricorda la sua infanzia, ma tornerà bambino? C'è solo la memoria. Allo stesso modo, dopo la realizzazione saprai che non sei il corpo, anche mentre il corpo è ancora lì. Sarai oltre il senso di essere. Il concetto "io sono" è stato creato grazie a Dio. So che alla fine Dio lascerà il corpo. Ciò implica che io esistessi prima di Dio. Dio significa prana. Questo è l'opposto di ciò che le persone che  si identificano con il corpo pensano. Pensano che Dio sia esistito prima e  loro sono venuti dopo. La pura coscienza è chiamata Dio. Come può Dio uccidermi? Si allontana solo dal corpo.

(Maharaj dice che la coscienza  nel corpo è Dio - Iswara - il Brahman manifesto. È lo stesso del prana, la forza vitale. Tuttavia, l'Io come Assoluto - Parabrahman è al di là di esso.)

Quando  il jnani si rende conto che si è liberato, per lui non restano affari mondani da compiere. Questa è la vera situazione. Coloro che si sono liberati ma non hanno continuato  a manifestare  la devozione verso il Guru non saranno stati utili alla gente comune. Essi non sono noti alla gente comune. Coloro che hanno continuato con le pratiche devozionali anche dopo la liberazione, la loro presenza sarà sempre presente anche se non esistono più fisicamente. Per il jnani dopo la realizzazione del Sé, quando la coscienza di essere il corpo è scomparsa,  non è necessario alcun supporto; diventa un "nessuno",  il suo io si estingue. Non si ottiene reale  beneficio  dal Guru a meno che non ci sia fede e devozione complete. I ricercatori che si ritirano sull'Himalaya e trovano la salvezza sono utili ad altre persone?

Molti grandi re sono andati e venuti; la gente non li ricorda più. Coloro che hanno  praticato la devozione al Guru hanno beneficiato le persone, e le persone sono devote a tali saggi anche adesso. Non c'è generosità più grande dell'offerta della conoscenza di sé perché chi la riceve diventa come chi lo dona. Questo non è vero per i doni mondani. Perciò dovrebbe esserci devozione verso colui che dà la conoscenza.


Anche se il Guru è adorato in pietra o argilla, porta frutti. Non abbandonare mai la devozione al Guru. La sua realizzazione si manifesterà attraverso di noi. Tale è la grandezza della devozione al Guru. Coloro che sono devoti alla liberazione divengono immortali nelle menti delle persone. Non bisogna mai dimenticare di adorare il Guru (coscienza).

Gli obblighi nei confronti di chi dà la conoscenza di sé non possono mai essere ripagati. Si può solo offrire un'adorazione continua e condividere il suo insegnamento con gli altri. Dove non ci sono strumenti di culto, adorate mentalmente e cantate canti devozionali.

Perché viene eseguito il Guru-bhajan? È per elevare il mondo. In questo modo si diventa degni quanto il Guru. (Dopo la realizzazione del Sé, il processo di insegnamento dovrebbe continuare a beneficio degli altri). Dio è uguale all'autoconoscenza, non usare altri concetti. Non abbandonare mai la devozione al Guru.

MEDITAZIONI CON SRI NISARGADATTA MAHARAJ
Domenica 10 settembre 1978

(Traduzione dall'inglese di Paolo D'Arpini)



Neopaganesimo, sciamanesimo, animismo, spiritualità della natura...

 


La rivalutazione del neo-paganesimo, o delle religioni sciamaniche e magiche dei popoli nativi,  è una delle caratteristiche portanti del filone bioregionale. Spesso  durante le feste da noi organizzate, soprattutto quelle in concomitanza con i solstizi o gli equinozi o per la luna piena e nuova, alcuni adepti  “neo-pagani” vengono a condividere il nostro spirito  ed oltre alle cerimonie già da noi predisposte aggiungono  riti diversi  ed offerte alle divinità della natura e fate dei boschi. Io li lascio fare perché in fondo il riconoscere la sacralità della natura in tutte le sue forme è uno degli aspetti della spiritualità laica e dell’ecologia profonda.  
In effetti la spiritualità della natura è un aspetto riconosciuto anche nella fede cristiana, soprattutto nel misticismo (sia in quello primitivo che in quello francescano)  in cui prevale  la consuetudine di ritirarsi in grotte, boschi e deserti in stretta comunione con gli elementi naturali e con il mondo animale.  In questo modo viene riconosciuta la bellezza del creato e la grandezza del Creatore.  Aspetti pagani erano presenti persino nella religione ebraica, sia pur talvolta condannati come ad esempio l’adorazione della vacca sacra durante la traversata del Sinai,  oppure  riconosciuti e facenti parte della tradizione  come  avvenne presso la setta degli Esseni che vivevano in strettissima simbiosi con la natura e con  i suoi aspetti magici, avendo sviluppato anche la capacità di trarre il loro nutrimento dal deserto, un grande miracolo questo considerando  che erano persino vegetariani….
 Il rispetto e l’adorazione  della natura, definito dalla chiesa cattolica (un po’ dispregiativamente) “panteismo” è uno degli stimoli da sempre presenti nell’uomo,   tra l’altro questo sentimento panteista è  alla base dell’exursus evolutivo della specie. 
 Ciò  mi fa  ricordare di una storiella,  che amo spesso raccontare,     sull’origine della specie umana.  Ormai è certo che ci fu una “prima donna”, un’Eva primordiale. L’analisi   del patrimonio genetico femminile presente nelle ossa lo dimostra inequivocabilmente… Mi sono così immaginato una donna, la prima donna, che avendo raggiunto l’auto-consapevolezza (la caratteristica più evidente dell’intelligenza) ed avendo a disposizione solo “scimmie” (tali erano i maschi a quel tempo)  dovette compiere una opera di selezione certosina per decidere con chi accoppiarsi in modo da poter avere le migliori chance di trasmissione genetica di quell’aspetto evolutivo. E così avvenne conseguentemente  nelle generazioni successive ed è in questo modo che pian piano dalla cernita nell’accoppiamento sono   divenute rilevanti qualità come: la sensibilità verso l’habitat, l’empatia,  la pazienza,  la capacità di adattamento e di gentilezza del maschio verso la prole e la comunità, etc. etc.  Pregi che hanno  portato la specie  verso la condizione “intelligente” che conosciamo (o conosceremmo se nel frattempo non fosse subentrata una spinta involutiva).
 Purtroppo in questo momento storico, in seguito all’astrazione dal contesto vitale e alla manifestazione della spiritualità in senso religioso metafisico (proiettata ad un aldilà ed ad uno spirito separato dalla materia) molto di quel rispetto (e considerazione) verso la natura e l’ambiente e la comunità è andato scemando,  sino al punto che si predilige la virtualizzazione invece della sacralità vissuta nel quotidiano. Ed in questo buona parte della responsabilità è da addebitarsi ai credo monoteisti. Ma quello che era stato scacciato dalla porta ora rientra dalla finestra, infatti la scienza sta riscoprendo i miti, le leggende e le divinità della natura descrivendole in forma di “archetipi”.
 All’inizio della  civilizzazione umana, nel periodo paleolitico e neolitico matristico, la sacralità era incarnata massimamente in chiave femminea, poi con il riconoscimento della funzione maschile nella procreazione tale sacralità assunse forme miste  maschili e femminili, successivamente con i monoteismi patriarcali fu il maschile che divenne preponderante. Ora è tempo di riportare queste energie al loro giusto posto e su un totale piano paritario.  Anche se già in una antica civiltà, quella Vedica,  questa parità era stata indicata, come nel caso della denominazione(maschile) “Surya” che sta ad indicare l’identità del sole in quanto ente,  che  viene completato dall’aspetto femminile “Savitri”  che è la  capacità irradiativa dell’energia solare. E noi sappiamo che fra il fuoco e la  capacità di ardere sua propria non vi è alcuna differenza. 
 Paolo D’Arpini  


Canto pagano di chi viaggia verso il Sé.  
Ascoltatemi spiriti del Vento, essenze immortali  che abitate nelle pieghe nascoste  dell’aria, delle rocce, delle acque. Oso invocarvi e presentarmi dinanzi a voi per compiere il mio passaggio a cui mi preparo  nel cielo di una notte d’estate, investito dal caldo mormorio dei grilli, inumidito dalla rugiada che bagna il muschio, stremato nel desiderio di correre verso un destino che mi avvolgerà come un non visto mantello…..  da vincitore o da vinto io non so.  Vorrò però essere ricordato come un uomo che ha provato a parlare con voi e da ciò apprendere la poca o molta saggezza che si può richiedere  a un sorso d’acqua gelida,  al fuoco notturno degli amici, al pianto solitario di un bimbo che accende la pianura di suoni che non le appartengono, ma che grata accetta, come il passo silenzioso del viandante che la rende sacra con l’amore del suo andare.   (Simone Sutra)