La leggenda vuole che i genitori di Dattatreya fossero una coppia molto pia e che praticassero delle austerità per lungo tempo al fine di ottenere un figlio tanto atteso. La madre Atreya voleva intensamente che suo figlio fosse incarnazione del Nirguna Parabrahman (il Brahman Supremo privo di forma). Nonostante l'impossibilità che il senza-forma prendesse una forma, Brahma, Vishnu e Shiva le accordarono il figlio così desiderato. Dattatreya era un Avadhuta, uno "aldilà di ogni convenzione", che sarebbe stato percepito dagli uomini come un asceta nudo.
Dattatreya non dichiarò mai di avere ricevuto l'istruzione da un Guru tradizionale, dichiarò invece di avere avuto ventiquattro Guru: l'acqua, il mare, vari animali, un fabbricante di frecce, ecc. Apprese così le varie tipologie di virtù: "La Pazienza dalla Terra, la Luminosità dal Fuoco, l'Imperscrutabilità dall'Oceano, la Solitudine dalla Foresta e così via, fino a sintetizzare tutte queste diverse virtù nella sua straordinaria vita", trovando l'istruzione spirituale attraverso questi e altri fenomeni naturali.
L'Avadhuta Gita, l'opera che gli viene attribuita, è una delle più chiare esposizioni della verità Non-duale. Nel Capitolo II, Dattatreya afferma "Non credere che coloro che sembrano immaturi, creduli, sciocchi, lenti, profani o falliti non abbiano nulla da insegnarti. Tutti loro insegnano qualcosa, impara dunque da essi." Nell'uso che Dattatreya fa di tutti i possibili Guru, troviamo che tutto ciò che normalmente è considerato un elemento dispregiativo, si applica come una categoria cui è tributato valore e deferenza. Questo tema prosegue nel Capitolo II "Non sottovalutare il tuo Guru se dovesse essere carente di lettere e di erudizione. Prendi la Verità che ti sta insegnando e ignora tutto il resto. Ricorda bene che un'imbarcazione dipinta e decorata ti farà certamente attraversare il fiume, ma altrettanto farà una barca semplice e disadorna." Né il Guru né il discepolo necessitano di erudizione. Devono soltanto essere saldamente nella verità. (Testo puranico riproposto da Beatrice Polidori) .................. Articolo in sintonia: http://www.fiorigialli.it/dossier/view/6_i-sentieri-dell-essere/2102_il-simbolismo-di-dattatreya
Ogni giorno con regolarità compio dei piccoli riti, tipo cantare l'Arati verso l'ora di pranzo, oppure cantare mentalmente lo Shiva Manasa Puja la sera, questo oltre ad alcuni momenti tranquilli di consapevole assorbimento interiore (chiamiamola meditazione) e a momenti di lettura e di riflessione sulle verità del Nondualismo. Diverse volte, nell'arco della giornata, le mie emozioni si sciolgono nella rimembranza del coraggio e della forza spirituale dimostrata da alcuni saggi e santi che io in particolare amo, e scopro nei miei occhi lacrime di devozione e amore. Oppure osservo il mio agire senza sapere a chi giovi quell'azione ed a chi o cosa sia diretta. Le azioni si compiono come un corollario della vita. Tutte queste piccole cose avvengono spontaneamente, non ci penso nemmeno, non ho una vera e propria scaletta, succedono come succede che a certe ore mangio o svolgo funzioni corporali. Potrei dire che la mia pratica spirituale è inconscia, non posso definire ciò che è spirituale o ciò che è mondano. Persino passare il tempo a parlare di I Ching e zodiaco cinese od a scrivere qui al computer é una forma di contemplazione di come le cose succedano per conto proprio senza intenzione da parte nostra... Perché vi dico tutto questo? Un'amica mi scriveva: “...Stasera è stata una gran "faticaccia". Abbiamo finito quasi alle 11 e mi sono pure addormentata, è veramente eccessivo! Comunque per me è anche un esercizio, devo starmene lì, scomoda, ferma (per quello che posso), cercando di non divagare pensando alle mie cose... cercando di non pensare male di questo o di quello e scambiando pure qualche parola gentile con qualcuno... meglio che starmene a casa a rimuginare o a litigare con chi mi sta vicino. Caro, ho visto che hai pubblicato il resoconto di Renata, ma quelle non sono cose che si possono leggere su un computer, perché non le raccogli, dal primo incontro in poi e me le mandi così provo a stamparle? Chissà che non mi venga voglia di leggerle!(scherzo, in teoria la voglia c'é, ma in pratica...)” - Al che le ho risposto: “...la pratica dovrebbe essere anche una gioia.. altrimenti a cosa serve? Per questo é importante che ognuno trovi il suo modo di praticare, che sia in armonia con il suo essere... La disciplina formale collettiva va bene quando si vive in comunità e conviene apprendere forme di convivenza finalizzata nella stessa direzione, come in un ashram o monastero. Eppure va bene anche praticare collettivamente di tanto in tanto, come stai facendo tu, accettando la disciplina come una forma di "offerta" in attesa di trovare la propria disciplina... beh, sono parole... tu sai già tutto questo. Per lo zodiaco cinese già qualcuno mi aveva chiesto di scrivere un libro sull'argomento... forse potrebbe anche essere utile.. ma lo sai come la penso al riguardo...” E lei: “Non ho detto di scrivere un libro, ma solo di raccogliere gli appunti che le tue allieve prendono per eventuali altre allieve che desiderano avvicinarsi all'argomento ed avere qualcosa di scritto perché "verba volant e scripta manent", lo sai che ho cattiva memoria ed ultimamente anche cattiva capacità di concentrazione e applicazione mentale, a volte mi pare di essere un po' autistica e non è per copiarti, a volte lo penso davvero, per esempio prima mentre guidavo guardavo il marciapiedi e mi pareva di vedere tutte le foglie una per una...” Paolo D'Arpini