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La donna come rete connettiva dell'umanità



Quanto piace equivocare ai mediocri conservatori a tal proposito, infatti è certamente vero che la donna è la custode del focolare della casa - non del focolare cristiano, bensì pagano, quello stesso fuoco che vediamo nella dea Vesta che protegge Roma - ma ciò non vuol dire affatto che la donna debba stare segregata in casa, una donna può custodire il focolare stando fuori o stando dentro casa, essa è il grembo che protegge sia i figli che la casa stessa, è la dimensione del femminile ed anche del materno – materno in senso pagano e Romano, non in senso cristiano o psicoanalitico. La madre si occupa della prospettiva squisitamente terrena, essa non è tanto la dimensione della questione sentimentale che concerne un fantomatico cordone ombelicale che leghi la madre ai figli, la donna è la dimensione della terra e non dell’assistenzialismo, è l’incontro con la "veracità".

In un certo senso la donna – la dimensione della donna – è una strana rete
connettiva che annette la dimensione consapevole alla dimensione
dell’animale, in cui l’uomo scoprendo il processo biologico della vita
comprende come in sé stesso possieda differenti forme di questa vita che
compaiono in lui, nella dimensione materna impariamo allo stesso tempo di
essere uomini ed animali - e l’animalità la comprendiamo con il
nutrimento, la crescita biologica e la dieta che la madre ci fornisce -
dapprima nella forma dell'allattamento, poi nella forma della vera e
propria dell'alimentazione, in altre parole crescere con una madre è molto
simile al crescere con una lupa, la donna quindi è l’incontro in cui
l’animalità è strettamente connessa con l’essere uomo o donna, è la
veracita oltre ogni “coscienza” – oltre la “coscienza” che vuole
eliminare "l’animale" che è in noi - la donna non è la dimensione
dell’assistenzialismo, della premurosità di stampo sentimentalista o di
quel ripugnante sentimento di “morbidezza” e di "coccole" - il "cocco di
mamma" - che una madre conferisce al proprio figlio, è semmai
l’incombenza dell’animale, cioè la dimensione della selva – ecco perché
Romolo e Remo vengono cresciuti da una lupa in mezzo alla vita selvaggia -
è la vita vista come una ilare animalità che si tinge di “consapevolezza”,
 
Tuttavia nella dimensione del materno vi è una vita selvaggia che ancora
non ha incontrato pienamente il “morire”, con le madri non si incontra il
“morire” ed il superamento della morte nel movimento dell’espansione, detto
in altri termini nessuna madre può farvi sperimentare e conoscere quello
che vedrete nella donna verso cui proverete un "interesse" più profondo, ad
esempio la complice, la fidanzata, la sposa – oppure la figura della
“donna-iniziatrice”, come è avvenuto nell’incontro tra il sottoscritto ed
Elena Duvall - e se si pretende scioccamente di scoprire queste figure
intensive di donna nella propria madre, si ha verso la propria madre una
prospettiva morbosa ed incestuosa.
 
Le cattiva madri sono quelle troppo premurose, quelle che non vogliono che
il proprio figlio non faccia un solo passo perché c’è il rischio che possa
cadere e sentire dolore, o che possa essere investito sotto ad un'
automobile, o che possa affogare in acqua mentre è in mare nuotando, le
cattive madri troppo premurose sono quelle che non accettano che il figlio
possa "morire", per ovviare a questo problema di solito c’è l’Autorità
del padre, il quale ricorda a tutta la famiglia che la vita è patrimonio,
cioè è la dimensione della Legge, dell’Eredità, della guerra, del pericolo,
dell’aggressività ecc, se gli uomini commettono lo sbaglio di essere dei
mocciosi idealisti, le donne commettono lo sbaglio di essere delle ciniche
materialiste, infatti il sentimento di iper-premuroristà della donna è in
realtà un cinismo agghindato da buoni sentimenti, non si vuole che il
“cocco di mamma” muoia, perché si confonde l’affetto del bambino al
fatto di averlo cresciuto e partorito, come ci ricorda Nietzsche "Gli
uomini passano per essere crudeli, le donne invece lo sono. Le donne
sembrano sentimentali, gli uomini invece lo sono."
 
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lo stesso Nietzsche ci ricorda che nella vita “si ama la propria opera” e
tutto questo è segno di virtù, anche quando la donna ama la sua opera -
ciò che ha partorito - amando il suo bambino in questo c'è nobiltà e non
c'è nulla di male, tale amore però può diventare vizio quando si
attualizza contro il divenire della vita – contro l’intensità che
permette alla vita di nascere e di morire – solo allora ciò che era virtù
si corrompe in vizio e debolezza, così come quando la madre
iper-apprensiva "barrica" il figlio contro ogni pericolo, quando la
psicoanalisi di Lacan dice che la madre è il registro del desiderio mentre
il padre quello della Legge si dice senza dubbio qualcosa di vero, ma
come mai la psicoanalisi ci costruisce tutto un Complesso nevrotico
legato alle pulsioni non soddisfatte, fraintese ed equivocate ecc, perché
la psicoanalisi è "nevrotica"? Perché è moderna! Moderna e cristiana
 
Il "pretismo" della psicoanalisi deve promettere una redenzione o quanto
meno un “trattamento”, l’uomo moderno è l’unico uomo scisso e polverizzato
dalla sofferenza, l’unico uomo che ha fatto della sofferenza un’obiezione
così Negativa contro la vita da scivolare nel nichilismo, la vita è
sofferenza ma per i moderni e i cristiani la sofferenza non sarebbe
dovuta esistere - è ingiusto che essa esista - la sofferenza è frutto
del “peccato”che ci viene narrato, infatti a differenza della “caduta”
raccontata in altri miti e in altre religioni, la psicoanalisi - così come
il cristianesimo - si “lega al dito” ciò che è accaduto, la morte e la
sofferenza sono episodi che non dovevano succedere ma siccome tutto ciò
ciò è accaduto allora vuol dire che non c’è evento "terreno" che possa
“redimere” la terra e questa stessa vita: e quindi il desiderio che il
figlio ha per la madre sarà sempre inappagato, la Legge di castrazione che
il padre ci ordina di rispettare sarà sempre un ostacolo che potrà
sopprimere questo desiderio, e nel migliore dei casi si può cercare un
“compromesso” tipicamente liberale e democristiano, in cui la Legge del
padre renda più mansueto il “desiderio” che è nel figlio – che è in ultima
analisi per lo psicoanalista. il desiderio dell’essere amato e compreso
della madre e dal linguaggio del registro materno, –
 
Ora tralasciando le fantasticherie di una teologia cristiana e mancata
quanto laica quale è la psicoanalisi veniamo alla vita nella sua possanza
vitale e lasciamo perdere queste chiacchiere da confessionale: la donna è
la dimensione che custodisce la casa, lo spazio in cui si cresce, lo spazio
della selva, della caccia, della cacciagione, infatti la dea Romana Diana
è la dea della caccia, della selva, dei boschi oltre che ad essere la dea
protettrice delle donne, dunque la donna e la viisone selvaggia sono
strettamente connesse.
 
I conservatori – che non comprendono ciò che dicono di amare, ovvero la
“tradizione” – dicono che la donna debba stare a casa e con il bambino, e
debba cucinare, accudire, curare il pargolo ecc. la donna però non è una
“stanziatrice” della casa, non deve “stare a casa”, la donna è custode del
focolare della casa – è la Lupa/custode del focolare - e può esserlo anche
fuori dalla casa, inoltre lungi dall’essere quell’angelo del focolare che
molti conservatori immaginano è anche una potenza selvaggia ed animale,
che la donna abbia una grande “luminosità” ciò non esclude che in quella
luminosità passi la possanza della visione selvaggia della vita, ora che i
cristiani vi vedano in tutta questa potenza animale della donna la
“tentazione”, l’inferno, il vampirismo della donna, la dannazione ecc la
dice lunga sul loro modo mediocre di concepire la "sacralità della vita", i
cristiani vorrebbero essere diffidenti con la donna come lo è un pagano
Romano o Greco, e invece sono solo dei volgari misogini
 
Certamente la madre può dimostrare affetto o attenzione materna al proprio
figlio ma sempre per un “interesse” che attiene all’opera che vede la madre
vede nella maternità, ad esempio la madre di un patrizio Romano amerà
suo figlio e lo riempirà d’attenzione proprio perché lei vedrà la sua opera
di donna Romana e di patrizia, infatti nella misura in cui cerchiamo di
rendere “degno” della nostra opera ciò che ci è introno allora possiamo
anche “educare”.
 
Vi è un egoismo tipicamente gerarchico ed aristocratico, esso a differenza
dell’egoismo utilitarista e liberale o anche dell’egoismo
anachico-indiivdualista non esclude la società, la vita pubblica, il
pubblico, il popolo ecc anzi lo coinvolge, gli uomini aristocratici come
Alessandro Magno, Giulio Cesare od Ottaviano Augusto devono essere dotati
di questo finissimo egoismo che solo l’araldica delle anime nobili può
concedere, ciò vale anche per le madri: nella misura in cui una madre può
rivedere quell’egosimo allora sarà un ottima madre, in altri termini il
figlio è per la donna un essere vivente che si connette e si collega alla
sua opera, esso può essere giustamente visto dalla donna come un vestito,
un abito, un soprabito, una piccola boutique ecc che la donna osserva e
contempla rivedendo la sua opera, infatti nella donna non vi è la questione
dell’eredità nel figlio (patrimonio) ma della selva (matrimonio) la pelle
di un vestito per una donna è da considerarsi come la pelle di un animale
(anche quando si tratta di pelle sintetica), in questo caso la pelle del
figlio, i suoi geni, la sua genetica, i suoi cromosomi, la sua anima, il
suo Corpo, la sua potenza ecc costituiscono la “pelle/selva” dell’opera che
contempla la donna.
 
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Le madri più invadenti sono quelle che cercano di celare il proprio
“interesse” egoistico con spiegazioni perbeniste, moralistiche o
pseudo-pedagogiche, quelle che dicono <<Tuo figlio lo devi amare in quanto
"persona umana", non per il tuo egoismo ma perché è un essere umano che tu
hai voluto mettere al mondo e che devi rispettare in quanto tale>> queste
sono le madri deleterie nella loro versione progressista e democratica, ma
abbiamo anche la versione conservatrice di questo tipo di madre – ad
esempio la madre luterana di Nietzsche – la madre idealista, cristiana
tedesca, germanica, luterana , conservatrice ecc incarna il paradigma
dell’egoismo pieno di risentimento.
 
Gli egoismi peggiori sono quelli che non hanno basi solide, gerarchiche e
aristocratiche, e infatti tali egoismi sfociano nell’egoismo liberale,
oppure nell'egoismo dell'anarchico individualista, oppure nell’idealistico
“disinteresse", ad esempio nel Caso della donna idealista proprio quando si
pone la questione del Bene, delle “buone intenzioni”, del “disinteresse” è
li si che nascondono i rovi e le spine più velenose, una vera madre
aristocratica e gerarchica non accetterebbe mai un figlia – o una figlio -
reattivo, debole, molle, ecc poiché è come desiderare un vestito che non
può prendere anima, un’apparenza che non “prende vita”, le virtù del nobile
egoismo aristocratico producono le grandi virtù, sia nella donna che
nell’uomo, la donna essendo vicina al Fenomenico risveglia l’animalità e la
superficie delle cose, la pelle di ogni singolarità, di ogni elemento, di
ogni agente, di ogni flusso, la donna ci ricorda che il materiale pregiato
delle cose è fatto di un tessuto assai prezioso che la terra ricerca, la
terra è fatta di pelle che la donna scopre, rivedendo nell'opera della
maternità lo splendore tangibile di una geologica seta che la vita le offre.
 
Per i figli o le figlie deboli che vorranno essere "Riconosciute" dalle
loro madri rifiutando questo discorso sull'opera, sulla pelle e sulla
selezione gerarchica e aristocratica di questa pelle, per quelli che dicono
che i genitori debbano Riconoscere i figli come uno dei più grandi Beni
supremi da accettare in quanto "essere umano" e creatura speciale in quanto
umano ecc cosa dire? A costoro si dica che non comprenderanno mai la logica
della vita e della sua pelle finissima, costoro sicuramente sono tra le
schiere dei deboli, sono la "pelle" dei deboli così malconcia e
raffazzonata, sono egoisti questi deboli e falsificano persino il loro
egoismo.
 
L'uomo non cerca il Riconoscimento dell'altro - come crede il
cristianesimo - ma la gerarchia e la conquista, l'uomo non cerca il
Riconoscimento inter-soggettivo di un genitore, di un Dio, di un amico o di
un datore di lavoro ecc, l'uomo - e la donna - degni di rispetto cercano
lo spazio della fonte ascendente, di una potenza conquistatrice,
prodigiosa, stupenda e ricca di colore, l'uomo non vuol essere Riconosciuto
ma mascherare e mascherarsi con volo d'aquila, incrociando quello sguardo
d'aquila, quello sguardo fiero, contento, inesorabile rapace con cui
l'aquila contempla l'orizzonte liberandosi in volo.
 
I deboli e i malriusciti devono perire - ci ricorda Nietzsche - ma i
cristiani diranno che la vita è un dono, ciò però è falso: anzitutto perché
la vita è "conquista", infatti anche nei doni, anche nella "virtù che dona"
- come direbbe Nietzsche - anche in questi "doni" vi è selezione, gerarchia
e disuguaglianza, ci sono alcune vite che non donano nulla e che non
possono donare perché nulla hanno conquistato.
 
A proposito di pelle e di vestito, cosa si dice quando un vestito una
volta indossato non è convincente?  "Hmm, non ti dona", ecco! Vi sono
quindi nel mondo frutti preziosi che donano e frutti acerbi che avvelenano,
non tutto dona e si dona alla terra, il resto lo lasciamo alla
psicoanalisi, il resto lo lasciamo a chi non ammette che la vita vada in
questa maniera, il resto lo lasciamo a chi frigna, invocando “traumi”
invece di vedere i segni del destino, la psicoanalisi, questa scienza che
accontenta i "diseredati".


Maurizio Rubicone  - mauriziorubicone@virgilio.it

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Fonte: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2016/08/la-donna-come-rete-connettiva.html

Le religioni transitorie e la Religione Universale


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Le religioni "patriarcali", risalenti al periodo Villanoviano,  hanno tutte uno sfondo allegorico e debbono essere interpretate diversamente dal  loro significato apparente. Ognuna di queste fedi propugna una divinità superiore ed onnicomprensiva in antitesi però con tutte le altre. I fondatori dei vari credo sono tutti maschi, Rishi vedici, Buddha,  Abramo, Gesù, Maometto, etc. che  forniscono nomi diversi ai propri dei anch'essi  maschi. Osserviamo però  che in un periodo di transizione dal matrismo al  patriarcato tali dei sono accompagnati da figure femminili che  lentamente o scompaiono dal "pantheon" o assumono posizioni inferiori.  


Inoltre da  due o tremila anni a questa parte assistiamo ad una lotta cruenta per l'egemonia tra i fautori delle varie religioni monolatriche.  Sembra che tali "religioni" invece di unire l'umanità godano a volerla dividere. Ma questo atteggiamento di conquista violenta è strettamente collegato al carattere combattivo  di maschi contro altri maschi. Tanti spermatozoi in antagonismo fra loro che cercano la via d'accesso nell'ovulo da fecondare. La simbologia è idonea se osserviamo il periodo antecedente a questa situazione.  


La scienza ha iniziato lo studio del DNA  maschile per capirne le mutazioni e gli sviluppi ma la biologia  moderna fornisce una lettura completamente diversa. La radice del DNA è tutta nella linea materna delle grandi madri che non si interrompe mai.  "Vibriamo al ritmo del sangue delle nostre madri ancestrali  e questo battito è il filo rosso di sangue che risale attraverso tutte le donne fino alla prima madre. (Layne Redmond _*When The Drummers Were Women*). Gli scienziati hanno appurato (ed è cosa certa) che nel nostro DNA sono sempre presenti i mitocondri delle nostre ave preistoriche, alle quali possiamo risalire senza errori.     Che la Natura, in tutte le sue manifestazioni, indichi solo la madre come “certa” è cosa evidente in tutti gli animali mammiferi e noi apparteniamo a questa categoria.  Per capire il nostro vero retaggio, allora, dovremmo cominciare a studiare la storia delle Donne e delle Dee. 

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Vi fu un lungo periodo nella storia dell'umanità, dal paleolitico sino alla fine del neolitico,  in cui esisteva una sola divinità per tutti i popoli della Terra. Questa divinità potrebbe essere paragonata alla Terra stessa, nella forma di Grande Madre. Durante quel periodo  l'unico culto per tutte le comunità umane era la  figura femminile.  Qui non si pensi che parlando di "età della pietra" si intenda il dispiegarsi di una cultura inferiore, quella fu l'era dello sviluppo di ogni attività umana, dal controllo del fuoco, alla lavorazione di materiali naturali come il  legno e la creta, all'invenzione dell'agricoltura e dell'allevamento, dalla costruzione delle prime città e dalla nascita dell'arte, della medicina, della parola, etc.

Per comprendere come avvenne che la religione universale della Grande Madre subì una trasformazione dobbiamo analizzare sia le civiltà in cui tale culto sembra a tutt'oggi vivo sia gli aspetti storici che ne descrivono la decadenza. A tutt’oggi nelle campagne dell’India ogni villaggio venera una murti particolare della Madre, sullo sfondo dei grandi Misteri non dualistici di matrice shivaita o vedantica. Scrive Ananda K. Coomaraswamy nel suo celebre studio “Induismo e Buddhismo”: “Se consideriamo le due parti dell’Unità originariamente indivisa, vediamo che queste possono essere intese in diversi modi: per esempio, sotto l’aspetto psicologico, possono essere considerate come il Sé e il Non-Sé, il Maschio e la Femmina..."

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Tale manifestazione scalare dei princìpi  -come suggerito dal ricercatore Subramanyam-  la si ravvisa pure nella rivelazione biblica  da Adamo, l’uomo primordiale, di natura androgina, il Dio giudeo  estrae la donna, il principio femminile. Agli inizi del processo generativo abbiamo dunque una sorta di incesto: la figlia, emanata dal padre, si unisce al medesimo. In modo pressoché identico si svolge il mito vedico della creazione: Prajapati, l’uomo universale, prima ipostasi divina, genera Ushas, l’Aurora, alla quale in seguito si unisce per dare il via alla molteplicità degli esseri.  Da questo discorso  se ne potrebbe dedurre che non c'è una vera e propria frattura "psicologica" tra l'aspetto del divino e l'espressione religiosa,   la questione maschile-femminile  è a mio avviso ben più complessa e sfumata e richiede di essere affrontata non solo razionalmente o dottrinalmente in modo approfondito, ma anche e soprattutto sub specie interioritatis. 

La studiosa Evy J. Haland si spazientisce quando le viene riproposta l’opposizione patriarcato-matriarcato, poiché ella dichiara di non credere che la religione mediterranea sia matriarcale o patriarcale o che prima ci fu il matriarcato e in seguito il patriarcato. Ciò è sicuramente vero in quel periodo di transizione definito lo "iato del neolitico" (5.800 - 3.600 a.C.) in cui il pantheon si munisce di  divinità  nei due aspetti sia  al maschile che al femminile, e  ciò avviene non solo nell'area mediterranea ma anche in tutta l'Asia e  nelle civiltà mesoamericane. Questo processo duplicatore però pian piano si deteriora sino al punto di escludere ogni aspetto femminile. 

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Lo vediamo succedere in primis nell'ebraismo con la  "damnatio memoriae"  di Astarte, Lilith ed infine  di Eva, conseguentemente passata alle filiazioni di cristianesimo e islamismo,  che definitivamente soppiantarono gli aspetti "pagani" dei culti di Greci e Romani.  Nell'impero romano  la venerazione di Tellus, la Madre Terra, e  di Vesta  fu ufficialmente proibita nel 391 d.C. per ordine dell'imperatore  cristiano Teodosio. Questo evento   precorre le tappe dell’umana involuzione religiosa sino all’agonia cronica dello stato presente.

Ma torniamo ora allo studio del culto matristico nell'Europa antica, manifestatosi  ben prima di questi  atti nefasti.  La storia dell'uomo comincia dalle donne... e non soltanto perché tutti deriviamo da Eva (o da Lucy, se preferite la linea evoluzionista). Ormai non è più un mistero che la civiltà neolitica fu la culla dalla quale sorse la  vera e propria civiltà umana e questo avvenne soprattutto per merito delle donne.

La conferma di ciò viene da una donna, Marija Gimbutas, celebre archeologa, antropologa e studiosa del simbolismo preistorico, la quale ha illustrato le caratteristiche della  cultura primigenia, basandosi su una serie di ricerche su  reperti da lei reperiti e datati. Le risultanze dei suoi studi sono contenute nei due volumi "La civiltà della Dea" (ed. Nuovi Equilibri), curati e  tradotti in Italiano dalla ricercatrice Mariagrazia  Pelaia.


La civiltà della dea. Vol. 2: Il mondo dell'antica Europa. - Marija Gimbutas - copertina

"La civiltà della Dea" è l’opera più importante di Marija Gimbutas. La studiosa ricostruisce il mondo dell’antica Europa neolitica in base a uno straordinario repertorio di dati archeologici scaturiti da numerose campagne di scavo nel bacino balcanico e mediterraneo meridionale.
Il libro propone una tesi rivoluzionaria che cambia la tradizionale visione della storia del continente europeo. Viene rintracciata la realtà di un’antica Europa pacifica, egualitaria e portatrice di una spiritualità fortemente legata alla terra. Una civiltà dove la Grande Madre guida i popoli verso una convivenza pacifica, cambiando così gli attuali paradigmi culturali e scientifici che considerano la guerra e il dominio maschile una connotazione di progresso della civiltà.

Dal punto di vista della spiritualità laica non dobbiamo però pensare ad un ritorno al passato, bensì al superamento degli schemi religiosi.   L'uomo  è passato dalla semplicità e naturalezza  del matrismo alla speculazione razionalistica  dei culti patriarcali  in cui  la  maggioranza degli uomini ancora si crogiola, illudendosi con favole religiose e ideologiche della “superiorità” maschile, della “superiorità” dell’intelligenza speculativa scientifica, della “superiorità” del potere e della forza. Così non si fanno passi avanti nell’evoluzione della specie. È ovvio però che entrambi questi aspetti, matrismo e patriarcato, hanno avuto una loro funzione storica per lo sviluppo delle “qualità” della specie umana. 

Ora è giunto il tempo di comprenderne la totale complementarietà e comune appartenenza, ma non per andare verso una specie unisex, bensì per riconoscere pari valore e significato a entrambi gli aspetti e funzioni…. in una fusione simbiotica. Uomo  Donna = Umanità.
 
Paolo D'Arpini

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