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"Oriente vs Occidente" - Percorsi spirituali a confronto


L'articolo che segue è il primo di una  rubrica dal titolo "Oriente vs Occidente"  che apparirà nei prossimi numeri della rivista laica "Non Credo" diretta da Paolo Bancale.  
Inizio con alcune considerazioni generali, ammettendo inoltre  che già dal titolo stiamo  determinando un'affermazione "impropria". La specie umana non può essere suddivisa in razze e ciò vale anche dal punto di vista culturale e spirituale. Se l'uomo si è fisicamente differenziato, nel colore epidermico e nelle fattezze somatiche, ciò è dovuto semplicemente all'adattamento al luogo, alla latitudine in cui si è insediato. Che egli  appartenga ad un'unica specie lo dimostra inequivocabilmente la sua capacità di fertilizzarsi e riprodursi unendosi a qualsiasi altro essere umano di qualsiasi etnia.    
Prima della grande diaspora  l'uomo ha sviluppato comuni modi espressivi, anche dal punto di vista del pensiero, e come esistette una lingua originaria, il così detto "nostratico", parimenti  si sviluppò un sentire emozionale condiviso, che possiamo definire spiritualità naturale. I modi espressivi di questa spiritualità mutarono attraverso i millenni in base alle differenziazioni sociali ed ambientali, oltre che genetiche,  che vennero a crearsi nei diversi gruppi stanziatisi nel cosiddetto Oriente ed Occidente. 
Ma oriente rispetto a cosa? Occidente rispetto a cosa? Il pianeta è una palla che gira ed il trovarsi in oriente o in occidente è solo una considerazione utilitaristica.  Ogni religione è stata “creata” per confondere, mentre per fare chiarezza occorre distinguere, rinunciando a posizioni ideologiche precostituite. 
“Solve et coagula” – “Per orientarti nell’infinito, distinguer devi e poscia unire” (Goethe). Ma attenzione un conto è il giudizio ed un altro la discriminazione…
Malgrado  la ammissione di incongruenza descrittiva tra quella cultura che noi definiamo occidentale (meglio chiamarla mediterranea con sue diramazioni in America ed in Australia ed in parte anche in Africa) e quella che si è sviluppata  ed affermata in Asia (soprattutto in Cina, India, Giappone, Mongolia,  etc.) di fatto   si è venuta a creare nei secoli una radicale differenziazione.
La differenza sostanziale sta nel fatto che in oriente  si contempla  l’esistenza di un “Dio” assoluto ed onnipervadente, trascendente e immanente  che, essendo la sola presenza reale, comprende in sé ogni aspetto del manifesto e dell’immanifesto. Tutto esiste nell'Uno "non essendovi altro all'infuori di Quello". 
Mentre il Dio, meglio definito “arconte”, delle religioni monolatriche che prevalgono in occidente (giudaismo, cristianesimo ed islam) è frutto di una  assunzione e proiezione mentale dualistica. Un Dio diverso dalle sue creature e dalla sua creazione  di cui egli  è giudice ed osservatore esterno.  
La “religione” occidentale  dovrebbe in effetti essere definita "separazione"  e questo suo  dividere ha l'evidente funzione di sostenere i suoi  sacerdoti, papi, rabbini e mullah che utilizzano per fini speculativi il moto naturale, presente in ogni essere umano, del “ritorno” all'Uno! Essi hanno compiuto il più grande imbroglio, verso se stessi ed il loro prossimo, essi hanno  svolto la funzione ingannatrice separando ciò che è inseparabile per poi pretendere di volerlo”ri-unire” attraverso il perseguimento di un dettame religioso e la promessa di una “salvezza” riservata ai “credenti”.
In verità non v’è alcun obbligo a restare impantanati in un “credo” (il momento che ne abbiamo capito le conseguenze). Solo colui che insiste nel voler credere è compartecipe e succube di quel credo. Come chi vuole dividere l'umanità in razze elette e razze inferiori non è in grado di comprendere od accettare l'unitarietà della specie.
Eppure, non è il credere un semplice pensiero, una opinione? Quindi perché restare avvinghiati ad un qualcosa che è mera illusione, un emblema della separazione? Ed in questo caso viene persino oscurata quella naturale spiritualità di cui parlavamo all'inizio,  sostituendo  lo “spirito universale”  con la caparbietà e l’illusione egoica  di ritenersi separati.
Durante i vari appuntamenti che seguiranno  in questa rubrica cercherò comunque  di non entrare nel merito della  veridicità o falsità  delle religioni. Dal punto di vista della laicità di pensiero il credere è una libera scelta personale, quindi: “de gustibus non est disputandum!”. Cercherò comunque di aprire una fessura discriminativa, analizzando i vari modi espressivi delle religioni o delle filosofie che si sono affermate e conservate in Oriente ed in Occidente.  
La prima differenza sostanziale verte nel metodo di ricerca spirituale.  In occidente si predilige il credere, mentre in oriente prevale l’esperimentare. Il credere è statico ed è il risultato della memoria e dell’accettazione cieca, l’esperimentare è  dinamico ed è il risultato di una azione e di una discriminazione selettiva.
L’unica verità incontrovertibile è quella corroborata dalla propria esperienza… ma a meno che non si abbia una rivelazione diretta interiore affermare di credere in una religione è un esercizio mentale di volontà ed è privo di ogni sostanzialità. Cosa diversa nel caso di esperienza diretta o “realizzazione”. Siccome la “realizzazione” avviene nel Sé, e non è conseguenza di una ipotetica "salvazione" esterna,  possiamo tranquillamente affermare che  la “verità intrinseca” è l’unica reale verità, tutto il resto essendo semplice proiezione mentale.
Taluni, i  professionisti della religione, che prevalgono nelle fedi monolatriche,  ritengono che la pratica spirituale sia una sorta di “occupazione” come quella di uno studente o di un lavoratore che deve espletare specifici compiti per “ottenere” la salvazione. Questo atteggiamento “volontaristico” crea spesso aspettative e dal punto di vista spirituale addirittura allontana dalla vera conoscenza, poiché ci si fissa sul mezzo senza guardare il soggetto che vuole raggiungere la conoscenza.
Il vero  soggetto è il nostro stesso Sé ma noi lo ignoriamo e lo rendiamo un “oggetto” da perseguire. E  questo è il gioco dell'ego che si traveste da poliziotto per cercare il ladro che egli stesso è.
A proposito di questo “gioco” ricordo la frase pronunciata dal re Janaka di Videha *)  che, dopo aver ascoltato e compreso l’insegnamento nondualistico impartitogli dal suo guru Vasishta, esclamò: “Ora ho compreso chi è il ladro e lo sistemerò immediatamente” (riferendosi alla tendenza a identificarsi con il corpo-mente che ritiene di compiere l’azione).
Insomma la foga nello svolgere il cosiddetto “dovere” religioso e la compulsione a praticare per ottenere risultati attraverso la volontà e la penitenza, può procurare forme di dipendenza e di illusione “spirituale” ed è una devianza rispetto alla sincera ricerca interiore.
Questo avviene quando ci si lega ad una setta, quando si aderisce ad una specifica religione e ci si affida alle indicazioni di un ipotetico “salvatore” o pontefice. Sembra che alcune persone abbiano bisogno di sentirsi “radicate” e affratellate in un gruppo compatto (spesso succede con i cristiani ed i maomettani, e simili fedi), soprattutto se stanno vivendo momenti di vuoto affettivo o di altro genere (preoccupazioni mondane, senso di mancanza o inadeguatezza, etc.).
Però mettersi contro apertamente o denigrare le scelte compiute da tali persone non le aiuta a comprendere la causa del loro bisogno di riempire un buco, che risiede nella loro incapacità di accettare se stessi per quel che sono senza pensare di voler forzatamente modificare lo stato di cose o la propria natura in funzione di un ipotetico ottenimento “altro”.
L’accettarsi soltanto può interrompere il meccanismo del desiderio e della paura, perché accettando si comprende la situazione vissuta nella sua interezza e la risposta confacente sorge spontanea. Ma l’accettazione talvolta è anche dolorosa. Questo riguarda ognuno di noi che vive nel mondo. Ma vivendo consapevolmente nel mondo si può comprendere la natura del mondo e della coscienza.
Comunque non si può definire od impartire una “cura” universale per le diverse anomalie di interpretazione della propria realtà, dicendo “fai questo o fai quello”. A volte abbiamo anche bisogno di perderci per poi ritrovarci. Ognuno deve poter crescere a modo suo.
Per sviluppare la chiarezza interiore ci vuole discriminazione e distacco. L’auto-indagine è la via più diretta per individuare il “ladro” che ci deruba della Consapevolezza (trascinandoci nel mondo della dissociazione e della speculazione).
L'auto-indagine non richiede altri aiuti se non la rimembranza e l’attenzione rivolta al Sé. in questo abbandono ed in questo arrendersi al proprio Sé sorge l’amore, e la comprensione di ciò che realmente noi siamo, aldilà della forma e del pensiero.
E di questo parleremo in seguito...
Paolo D’Arpini  
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spiritolaico@gmail.com

Brevi cenni biografici sull'autore: Paolo D'Arpini,  nato a Roma il 23 giugno del 1944, ha vissuto  in  momenti diversi  sia nella sua città natale che in Verona, poi a Calcata per 33 anni. Il suo percorso discriminativo lo portò ben presto ad abbandonare ogni studio nozionistico dedicandosi a sviluppare forme di ricerca diretta, prima in campo culturale e successivamente in quello spirituale (in chiave laica).  Ha compiuto in passato avventurosi viaggi in Africa  ed in Asia, soggiornando lungamente in India, dove incontrò il suo maestro spirituale Muktananda e altri saggi. Approfondì la conoscenza spirituale, in primis con l'esperienza diretta,  ed anche  attraverso  lo studio comparato di varie discipline e filosofie, sia dell'estremo oriente che dell'occidente.  E' autore di diversi libri ed articoli che trattano questi temi e collabora stabilmente  con il bimestrale Non Credo. Dal 2010 si è trasferito a Treia, nella casa della sua amata compagna Caterina Regazzi.

Nota: *) il Re Janaka fu un regnante illuminato vissuto circa 5000 anni prima di Cristo, all’epoca in cui è ambientato il Ramayana. Janaka era il re dell’attuale Janakpur e il padre di Sita che divenne la moglie di  Sri Rama (Avatar  di Vishnu).

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