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Le varie forme di preghiera e di meditazione


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“Soltanto chi pone la mente intera come offerta nel fuoco splendente che è il Sé può essere considerato come colui che compie davvero l’Agnihotra, mentre tutti gli altri ne portano solo il nome.” (Sadacara 12)

La meditazione è un modo di osservare noi stessi facendo attenzione alle ispirazioni interiori, ai messaggi inconsci. La meditazione è una forma di silenzio da cui emergono i suoni nascosti della mente introversa in se stessa.  La preghiera potrebbe essere definita una forma di meditazione estroversa, una  ricerca rivolta  all'esterno. Ma l'esterno, anche in questo caso,  è solo  una proiezione dell'interno. Ci si interroga e si chiede un lume, una grazia,  al Dio che immaginiamo al di fuori di noi.

In realtà sia nella preghiera che nella meditazione avviene un contatto sottile, una combinazione, della coscienza  nella Coscienza.

Così, ogni qualvolta si sente il bisogno di riconnettersi interiormente, si ricorre al dialogo interno. Questo dialogo, nelle fedi dualistiche,  è stato definito “preghiera”. Ovviamente non si parla della preghiera che solitamente viene rivolta al Creatore od ai santi per chiedere la loro intercessione  per ottenere favori o vantaggi materiali, quella a ben parlare non è preghiera ma commercio religioso.

La vera preghiera è il porsi gentilmente ed amorevolmente verso se stessi, per riconoscere la propria idealità. In  forme più sottili questo gesto d’amore verso il Sé assume la forma di auto-indagine (atma vichara) o di meditazione (dhyan).

La preghiera rivolta al Dio è stata utilizzata  spesso come strumento  di pacificazione, di dialogo con il mondo, di considerazione empatica verso l’altro, di buona volontà ed amore per il prossimo.

In verità la nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto.

In fondo anche la chiesa si sta interrogando su un nuovo modo di esprimere la preghiera. In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all’avvertita esigenza  di raccoglimento.

Forme di meditazione connesse a talune filosofie orientali, e ai loro peculiari modi di preghiera,  in questi anni hanno suscitato anche tra i cristiani un grande interesse. Questo   è un segno non piccolo del bisogno di un profondo contatto col divino dentro di noi.

Nel cattolicesimo una delle fautrici più importanti della preghiera silenziosa, Teresa d’Avila, affermò: “La preghiera mentale [oración mental] non è altro che una condivisione intima tra amici; significa dedicare frequentemente del tempo ad essere soli con colui del quale sappiamo che ci ama.” Poiché l’enfasi è sull’amore piuttosto che sul pensiero.

Il senso della preghiera buddista è ben diverso. In questo caso è un mezzo di pulizia interiore che avviene attraverso la concentrazione e la ripetizione di una formula sacra, solitamente impartita dal maestro. Molto significativa in questo senso è la storia del monaco Cudapanthaka che, essendo di intelligenza limitata, non riusciva a tenere a mente gli insegnamenti, malgrado la sua buona volontà.  Il Buddha, essendo venuto a sapere ciò andò da Cudapanthaka e gli disse: “Ti istruirò io stesso…”. Il Buddha non si preoccupò di dare a lui i concetti, ma semplicemente gli chiese di pulire il Vihara, dicendogli: Cudapanthaka spazza il terreno. Mentre lo fai, recita: “Io spazzo via le impurità”. Ora, occorre rammentare che è inutile spazzare la polvere dal suolo del Vihara, che è un tempio nella foresta, dal momento che è costruito proprio nella foresta! Non è che al tempo del Buddha un Vihara avesse pavimenti di cemento, così da poter esser ripulito, esso era sporco! Quindi sostanzialmente il Buddha gli chiese di spazzare via lo sporco da un’estremità all’altra del Vihara. E così Cudapanthaka fece. Egli spazzò via la sporcizia avanti e indietro. Egli spazzò tutto il giorno, dicendo: “Io spazzo via l’impurità… io la spazzo via”. E questa fu la preghiera che gli consentì di centrasi nel Sé.

Ma non tutti gli insegnamenti buddisti sono specificatamente diretti alla realizzazione. Nel buddismo tibetano, che ha un’origine animista e sciamanica, permane la preghiera come modo di ingraziarsi la divinità. Magari si comincia a pregare per l’ottenimento di poteri e di vantaggi poi pian piano la grande concentrazione porta alla cancellazione dell’io “questuante”. Molto propizia è considerata la devozione nei confronti di Tara, che significa Liberatrice, Salvatrice. Tara fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile. E’ un principio illuminato e, anche se mancano le realizzazioni per poterla vedere, essa è presente ovunque. Perciò non si deve pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe od una divinità che vive in una Terra Pura. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei procura grandi vantaggi.

C’è poi una forma di preghiera “itinerante” che pur essendo stata accettata dal cristianesimo ha la sue origine addirittura nel paleolitico. Si tratta del cammino di Santiago di Compostela. Il percorso più frequentato è sicuramente il Camino Frances che dall’abbazia di Roncesvalles giunge a Santiago passando per le province della Navarra, Rioja, Castilla e Galicia. In realtà Roncesvalles è di difficile accesso diretto, specialmente per chi proviene da paesi stranieri, e quindi si preferisce iniziare da St.Jean Pied de Port, ai piedi del versante francese dei Pirenei. Comunque il percorso St. Jean / Roncesvalles è molto bello e si prova la soddisfazione del completo attraversamento dei Pirenei attraverso un valico ricco di memorie storiche e letterarie.

Il camminare pregando ha molte origini e modi. Non va infatti dimenticata la filocalia dei monaci erranti di tradizione cristiana ortodossa. La filocalia è una delle più ammirate e feconde testimonianze a stampa della pietà cristiana ortodossa. All’assidua lettura di essa da parte dei fedeli si fa continuamente riferimento nei celebri  "Racconti di un pellegrino russo".

Non mancano le preghiere new age, che un po’ si rifanno alla tradizione pagana, o addirittura alla presenza di esseri superiori provenienti da altri mondi. Persino nella bibbia abbondano le menzioni ad angeli e demoni ed esseri fantastici che vanno ingraziati con offerte e preghiere. Secondo la nuova spiritualità della natura invece si prega la Madre Terra, che è considerata un essere vivente dotato di coscienza, ora allo stremo in seguito alle offese causate da inquinamento e bombe atomiche, etc. A lei va una preghiera conosciuta come La Grande Invocazione della fratellanza bianca, che dicono essere molto potente.

Anche nella spiritualità laica esistono forme di preghiera, tese però al superamento del dualismo. Come affermava il poeta sincretico Sant Kabir: “Stretto è il sentiero dell’amore: in due non ci stanno!” Ed è vero…! Il dualismo e il senso di separazione sono la causa di tutti i mali. Se non è un egoismo personale, il nostro, magari è un egoismo di casta, di religione, di razza, di cultura, di ideologia. La preghiera laica è quindi protesa verso l’uscita di questa gabbia ideologica. Come Uscirne fuori? Beh, dobbiamo brancolare nel buio della sperimentazione, dobbiamo capire noi stessi da noi stessi. In questo momento la crescita ed il cambiamento non possono più essere una ricetta che ci viene fornita da un saggio, da un maestro, da un duce, da un potente della terra. 


Diceva Osho: “Non dipendere dalla luce di un altro. È persino meglio che tu brancoli nel buio, ma che almeno sia il tuo buio!”. Insomma dobbiamo pregare noi stessi.

La specie umana è in continua evoluzione e così dovremmo poter prendere coscienza che il nostro vivere si svolge in un contesto inscindibile. Di fatto è così solo che dobbiamo capirlo e viverlo consapevolmente, prima a livello personale e poi a livello di comunità. Siamo in un viaggio e, affiancati da altri compagni a noi affini, andiamo avanti sentendoci uniti nel pensiero e nell’azione evolutiva che richiede una maturazione individuale ed un riavvicinamento alla propria natura originale che non può essere il risultato di una “scelta” o di un “credo”…

Il cammino spirituale, come disse Mariana Caplan,  è un processo di graduale disillusione nel quale tutte le nostre idee riguardo chi siamo, cos’è la vita, cos’è Dio, cos’è la Verità e cos’è lo stesso cammino spirituale vengono smontate e distrutte.  Il cammino spirituale è vivo; muta e si evolve davanti ai nostri occhi. Poiché sul nostro progresso e le nostre conquiste spirituali non possiamo avere certezze, il nostro compito è affrontare  quietamente  le situazioni interiori ed esteriori  che si presentano di fronte a noi:  "Be quiet and know that I am God..."

"Osservandoti nella vita quotidiana - affermava Nisargadatta Maharaj - con attento interesse, con l'intenzione di capire piuttosto che di giudicare, nell'accettazione completa di qualunque cosa possa emergere, per il solo fatto che è lì, tu dai modo a ciò che è profondo di venire in superficie e di arricchire la tua vita e la tua coscienza con le sue energie imprigionate..."

In definitiva in qualsiasi modo si preghi o si mediti quel che conta è la sincerità ed onestà del nostro approccio.

Paolo D’Arpini


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