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Tra due sponde. Seguendo un filone di "spiritualità laica", nel solco del bene comune...


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Seguendo un filone di "spiritualità laica", possiamo definire lo  Spirito come una sintesi fra coscienza ed intelligenza, non è un pensiero., anche se, in termini descrittivi  analitici, non possiamo fare a meno di utilizzare i pensieri nel tentativo (per altro futile) di evocarne la natura. Questo perché  il processo descrittivo  rende lo "spirito" un oggetto della mente. Anche chiamandolo  “spirito” resta un concetto, una immagine. 
E sappiamo che l'immagine mai può sostituire o realmente rappresentare e convenire quel che è la "sostanza".  Tutto ciò che è all’interno della coscienza è un oggetto della Coscienza. Forse è meglio precisare che il termine Coscienza, pur che rappresenta quanto voglio significare, venga qui sostituito da “Consapevolezza” poiché noi occidentali e soprattutto “cristiani” tendiamo a considerare la coscienza come una qualità morale. 
Si dice “fare l’analisi di coscienza” come se questa coscienza fosse un aspetto dell’anima. Lasciamo anche da parte la considerazione materialista per cui la coscienza è il risultato di processi cerebrali, che è una spiegazione “scientifica” assunta in quanto si ritiene che la nostra capacità di analisi (intelligenza) sia susseguente al processo chimico delle cellule che si comunicano dati. Tutto ciò è la conseguenza del nostro ritenerci il corpo quindi questa considerazione non ci consente di andare “oltre” per percepire lo spirito, in quanto substrato e matrice. Anche qui il termine "percepire" non è propriamente corretto, poiché chi è che percepisce e cosa viene percepito? 
E’ evidente che tutto si svolge all’interno della Coscienza, la coscienza osserva se stessa e comprende se stessa. Intelligenza e coscienza sono la stessa cosa e in verità sono la nostra vera natura.  In qualsiasi modo  consideriamo  noi stessi, una anima un corpo, una mente… non siamo quello poiché  l'Io non puoi essere un oggetto della conoscenza.  
L'Io  è la conoscenza stessa che  nel processo conoscitivo assume  la forma di soggetto oggetto e conoscenza. Fermiamoci comunque al “sentire” interno, quel sentire definito “io”  e che è in verità pura coscienza. Prima di pensare “io sono questo o quello” se ci si ferma al nudo Io..  ci si rende conto che  questa identità assoluta  è priva di qualsiasi attributo...  E’ semplice consapevolezza.
Qualsiasi opinione o descrizione di tale "entità", appartiene all’ego, inizialmente può essere accettata come base  di confronto sulle idee, ma se osserviamo con gli occhi dello “spirito”, che tutti ci accomuna, scopriamo che l’opinione è solo un attaccamento, un riflesso condizionato,  di cui potremmo anche liberarci se vogliamo avanzare in consapevolezza. L’opinione  è una proiezione mentale,  un meccanismo  proiettivo del proprio identificarsi in un set di pensieri e credenze. 
Dal punto di vista dello "spiritualità laica" non ha importanza sforzarsi per sancire la supremazia della propria opinione. Si esprime l’opinione come un gesto, come una naturale e spontanea affermazione della persona che noi “incarniamo”. Quella persona è un personaggio nella commedia della vita, è giusto che si esprima ma non è necessario che prevalga. Quando si comprende la complementarietà di ogni aspetto e forma dell’esistente ci si limita a svolgere la propria funzione, nel modo più accurato, senza sentirsi né responsabili né portatori di un messaggio superiore.  
Si porta avanti “l’opinione” come se fosse un lavoro da svolgere ma senza sentire che i risultati di tale lavoro ci appartengono. Insomma si compie un “dovere” con distacco…. Secondo i grandi saggi l’opinione è  un  automatismo della percezione individuale. Insomma l’opinione è sempre e comunque parziale ed incapace di riferire un’interezza. Ma se almeno fossimo in grado di interpretare ogni opinione come un tassello del pensiero universale, cercando di integrarla nell’insieme del conosciuto, forse così stiamo mettendo in pratica quel “sincretismo spirituale” auspicabile per il superamento delle ideologie e delle religioni precostituite.  Unica discriminante dovrebbe essere la qualità della sincerità e del distacco egoico in cui l’opinione viene espressa.
Ed in fondo perché attaccarsi o  farsi condizionare da qualsiasi opinione? Una volta capito che tutte le opinioni sono solo aspetti esteriori del nostro sentire, della nostra educazione, del nostro bagaglio genetico, etc. etc. Come si può ritenere che una qualsiasi opinione, pur ben espressa o motivata, possa influire sui nostri comportamenti o convincimenti, in antitesi con noi stessi? Se noi ci riconosciamo nell’opinione espressa da qualcun altro vuol dire semplicemente che quella cosa stava già dentro di noi, l’abbiamo riscoperta. Se invece non ci tocca.. lasciamola andare come l’abbiamo incontrata. 
Una piccola similitudine: quando  ero un adolescente, forse all’età di 13 anni, confessai al prete della mia parrocchia che non riuscivo ad accettare il fatto che esistessero inferno, paradiso, limbo.. che vengono considerati “eterni” contemporaneamente alla realtà eterna del dio stesso. Se dio è eterno ed infinito come possono coesistere più eternità separate e contrapposte? Il prete mi disse che dovevo credere a quanto affermavano le scritture perché quella è la parola di dio ed è un “mistero della fede”. Ovvio che non gli diedi retta e continuai a meditare e riflettere sulle cose secondo il mio criterio di ricerca e non basandomi sull’opinione del prete o sui dettami delle scritture. 
Infatti se un dogma religioso è solo “strumentale” allora non vale nemmeno la pena di considerarlo, esso non è nemmeno etichettabile come “opinione” (che già di per se stesso è un termine “riduttivo”) ma possiamo definirlo “imbroglio speculativo” teso alla  propagazione e giustificazione di un "credo". Ciò avviene quando si mente sapendo di mentire e quando si ragiona in termini di affermazione del proprio pensiero, come spesso avviene nelle "prediche" religiose (di qualsiasi religione)!
Ed anche  l'insegnamento morale ed etico  non ha senso  finché non si è centrati nello Spirito, ovvero in se stessi. Allorché si riconosce la "spiritualità" (ovvero Coscienza ed Intelligenza), come la propria natura, non c’è pericolo di compiere il male, poiché se stessi e il tutto che ci circonda e ci compenetra coincidono. Gli altri non sono realmente "altro" da noi, sono solo forme diverse della stessa sostanza,  e  quindi come potremmo nuocer loro? 
Nella Coscienza - Intelligenza ogni nostra azione è compiuta al fine del bene comune. Ciò avviene anche se all’osservatore esterno può apparire che ci sia una intenzionalità personale nell’azione del saggio laico. Ma tale  "pensiero" (positivo o negativo)  non influisce sull'onestà, sincerità e perseveranza nel praticare il bene comune, che è la caratteristica della “spiritualità  laica”, che   deve comprendere anche il lasciare agli altri la libertà di pensare a modo loro. Infatti   non possiamo usare la laicità per continuamente controbattere su punti che a noi sembrano ledere tale principio… Insomma dovremmo essere laici persino nei confronti della laicità. 
Ed in sintonia con questo predicato ognuno di noi dovrebbe occuparsi della propria  auto-conoscenza e lasciare agli altri esseri (umani o non umani) di fare la parte che ad ognuno compete! Tutti tendiamo alla perfezione,  seguendo le nostre  propensioni e tendenze innate, in un apparentemente lunghissimo  iter, che non ha inizio né fine. Nell'osservazione empirica questo processo si manifesta come singoli fotogrammi che noi dichiariamo separati, perché osservati nel contesto dello spazio tempo e con il senso di alterità e consequenzialità. Ma il film è lo stesso, contemporaneo, e ci siamo tutti dentro…  
Come dicono alcuni filosofi possiamo chiamarlo sogno o gioco (lila) che si svolge tutto nella Coscienza. Il sognatore diventa tutti i personaggi e gli eventi del sogno. Avviene così, senza scopo e nella gioia. Allo stesso tempo questo sogno è irreale perché è solo un processo nel divenire. Diventa però reale appena siamo “consapevoli” che noi siamo "quello" in ogni suo aspetto immanente e che siamo anche aldilà di "quello" in quanto pura Consapevolezza trascendente.

Paolo D'Arpini 
bene comune

Sion: "Muoia Sansone con tutti i filistei..." - La legge del karma non perdona...


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Con i tempi che corrono, pieni di disastri, cattiverie, guerre, oppressioni, miserie... molta gente continua a chiedersi "...ci sarà mai giustizia in questo mondo? Perché i malvagi imperano ed i buoni sono sempre vittime?" e simili dubbi. 

Il fatto è che anche i cosiddetti buoni molto spesso sono oppressori, magari non di altri uomini ma nei confronti della natura, degli animali, di se stessi. Questi atteggiamenti poi richiedono una compensazione karmica. Questo almeno è il dettame della legge di Causa ed Effetto. La cosa va avanti con slanci pendolari fra alti e bassi, fra bene e male, finché il movimento non si affievolisce e si trova una moderazione, una via di mezzo, come la chiamano i buddisti. 

Son convinto che in questo momento storico, visto anche l'enorme aumento della popolazione umana, si sono reincarnati sul pianeta milioni e milioni di animali. Si vede anche dal basso livello di coscienza che contraddistingue la nostra epoca. E si vede soprattutto dalle sperequazioni sociali e dalla violenza interspecista e fra i sessi. Molti perseguitati del passato sono diventati persecutori. Molte azioni cercano una compensazione. In tal modo il male, ovvero la febbre del desiderio di vendetta, prevale sul perdono e sull'amore per il prossimo e per la vita. La vita stessa sembra una punizione. Insomma il destino ci impartisce una lezione spirituale ed etica e finché non l'abbiamo appresa siamo costretti a ripetere la prova... 

Spesso, durante la mia permanenza in India, diverse persone ponevano domande ai vari maestri presso i quali andavo a soggiornare in merito al destino dei popoli, alla crudeltà di Hitler, alla persecuzione millenaria degli ebrei, alla distruzione delle civiltà meso-americane, alle guerre civili e simili argomenti apocalittici. La riposta dei saggi era sempre più o meno la stessa: "Come esiste un destino individuale esiste anche un destino per le nazioni e per i popoli". 

Insomma par di capire che la summa di atti e coinvolgimenti che videro diverse anime convergere in un particolare momento storico non è altro che un riaggiustamento karmico. Questo non significa che coloro che furono perseguitati come ebrei, ad esempio, sono nati sempre in quella religione o razza, anzi parrebbe essere proprio il contrario, e cioè che l'entrata in un particolare karma collettivo sia necessario per un riequilibrio degli opposti. Ad esempio se diversi individui furono perseguitati durante la strage degli Ugonotti pareggiano il conto perseguitando a loro volta, in un'altra condizione gli zaristi durante la rivoluzione bolscevica. Oppure se le anime dei Maya cercano rivalsa si incarnano in Spagna e scatenano la guerra civile.  Quindi perseguitati e persecutori si scambiano le parti a seconda delle circostanze sino al compimento finale ed alla comprensione che son la stessa identica cosa, sono lo stesso sognatore che prende varie forme. 

Lasciando da parte questa analisi generale voglio solo soffermarmi un attimo sulla tendenza karmica che contraddistingue il popolo ebraico. 

La chiave della comprensione del destino di questo popolo sta nel senso del dominio, della trasgressione e della punizione. "Occhio per occhio, dente per dente". E quando ci si trova alle strette si preferisce la morte onorevole, come avvenne ai rivoluzionari di Masada che preferirono il suicidio collettivo piuttosto che cadere in mano ai Romani. Ma l'esempio più significativo di questa filosofia di vita sionista è il famoso detto: "Muoia Sansone con tutti i Filistei" . Che siano tutti morti è meglio che qualcuno salvato, soprattutto se quel qualcuno è un "altro". 

Questo mi fa pensare a cosa succederà delle testate nucleari conservate da Israele. Finché si tratta di spedire queste bombe verso la lontana Persia non ci sono problemi ma se si tratta di usarle contro i nemici vicini, come la Siria, i rischi di ricadute per i cittadini israeliani sono maggiori. Ma se dovessero infine essere usate contro la Palestina chi si salverebbe? Il muoia Sansone con tutti i Filistei è ancora un mito ricorrente.

Paolo D'Arpini 

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Chiromanzia... e le arti del destino


Un certo Adolphe Desbarrolles vissuto ormai due secoli fa parlava di un fluido astrale che le terminazioni nervose captano dall'ambiente terrestre e non, visto che le mani (ma anche i piedi) sono le parti del corpo dove si trovano più terminazioni nervose, gli sembrò logico pensare che questo fluido astrale, che per millenni è scorso attraverso queste terminazioni nervose andasse a formare quelle linee che conosciamo come della vita, testa, cuore, epatica, del destino ecc. Si dice appunto che il destino è nelle mani dell'uomo, non solo per indicare la facoltà di creare il proprio cammino, ma anche più velatamente per suggerire cosa è scritto nelle nostre mani.... 

Tra i tanti libri che ho letto su quest'argomento non erano molti quelli che insegnavano a considerare prima la forma delle mani, delle dita, le proporzioni, il dorso della mano, i monti, i piani ed i fiumi, che sono le cosiddette linee, oltre ad una ricchissima simbologia di segni e di posizioni che indicano progressi o penitenze. Quindi questo fluido astrale altro non è che comunicazione col tutto percepita dalle nostre terminazioni nervose e attraverso l'intuizione , elaborate dal nostro cervello e ritrasmesse cioè trasformate in azioni, parole o anche solo pensieri.... e siccome nel fluido astrale sono già presenti i semi di ciò che faremo o che saremo da questo diventa possibile in base alle caratteristiche delle mani, predire ciò che accadrà ed anche ciò che si sente di essere. Sarà mai che i piedi, che contengono anch'essi molte terminazioni nervose, non possano indicare il "cammino " dell'essere umano.... ? Con essi percorriamo le vie del mondo create da ciò che abbiamo nelle mani quindi deduciamo che i piedi ci parlano più di cose concrete, di ciò che riguarda il corpo... le espressioni tipo cammino in salita o cammino lieto indicano che attraverso i piedi percepiamo sensazioni.... Non si discostano molto dalla realtà proprio perché sono le nostre radici terrene e ci tengono ancorati alla materia. 

E per concludere volevo sottolineare il fatto che mani e piedi sono estremità del corpo e allora tutto ciò che sta tra loro non potrà essere interpretato? La testa è come le mani un'estremità ed infatti ha un'arte tutta sua per essere interpretata, quest'arte è chiamata fisiognomica la quale deduce i caratteri psicologici delle persone, nel viso come nelle altre estremità vi sono dei punti direttamente collegati con certi organi e non è raro, che il colorito del viso ci parli della salute, come un'espressione preoccupata si nota dalla fronte corrugata o le mascelle molto sviluppate possano indicare l'attitudine a mangiare molto ed al possesso.... 

Da tutto quanto detto si capisce che il corpo è una mappa con delle rotte precise che indicano la direzione del conducente, e le arti che servono a dedurla sono mezzi dei quali l'uomo può servirsi per procedere nel suo percorso. Quanto ho esposto è solo un accenno a ciò che queste arti contengono, le chiamo arti e non scienze per non urtare la sensibilità di qualcuno. Spero di aver reso un buon servizio a chi è interessato.

Giuseppe Finamore

Swami Muktananda: “Shaktipat, il risveglio della coscienza...”

Domanda (Mrs. Salunkhe): Cosa si può fare per essere meritevoli di ricevere Shaktipat? E come fa una persona a sapere quando l’ha ricevuta?
Risposta (Baba Muktananda): Per ricevere Shaktipat uno deve avere la necessaria qualificazione. Dopo tutto cos’è Shaktipat? Per molta gente questa parola risulta strana. Shaktipat è Grazia, la trasmissione della Grazia divina. Shaktipat, Grazia divina e Favore del Maestro sono sinonimi. Per lo Shaktipat uno deve essere maturo per la Grazia divina. Per ricevere il Favore del Maestro innanzitutto uno studente deve rilasciare la sua propria grazia sul Maestro.
Il Favore del Maestro ovviamente scenderà naturalmente, spontaneamente, sul discepolo. Ma allo stesso tempo il Maestro ha bisogno della grazia del discepolo, in forma di maturità per lo Shaktipat.
Non devi domandare per sapere se hai ricevuto la Grazia o no. Quando prendi un raffreddore te ne accorgi da sola senza dover domandare a nessuno, osservando i cambiamenti che avvengono nel tuo corpo. Se ti ammali di dissenteria o qualche altra forma di indigestione, lo sai direttamente da te. Se litighi con qualcuno, guardando le tue reazioni mentali comprendi subito che la mente è diventata inquieta, che la lite ti ha lasciato in uno stato confusionale e disturbato.
Allo stesso modo, dopo aver ricevuto Shaktipat, alcune cose avvengono al tuo interno. Osservandoti puoi capire da te che sei stata benedetta dalla Shakti. Il momento che la grazia penetra in un discepolo egli si sente completamente rinnovato. Kriya yogiche e movimenti interiori iniziano a manifestarsi da soli. Questi movimenti possono essere fisici o mentali, esterni od interni.
Come risultato dello Shaktipat due di queste cose possono avvenire. O entri in una condizione di meditazione profonda, uno stato di totale assorbimento, o la mente diviene talmente disturbata come non lo è mai stata prima, e tu cominci a chiederti cosa mai è successo…
Dopo che la Shakti si è risvegliata, ogni giorno nuove esperienze iniziano a manifestarsi automaticamente, ed in breve tu puoi affermare che la tua vita è trasformata completamente. Uno yogi ottiene la liberazione dopo aver ricevuto Shaktipat. Prima di Shaktipat uno dipende dagli altri. Per apprendere un semplice pranayama devi andare da un maestro. Per una ordinaria meditazione ancora devi contare su qualche tecnica o su qualche insegnante. Ma dopo Shaktipat l’energia (Shakti) lavora liberamente al tuo interno e non devi più andare in giro per imparare tecniche da diversi istruttori, poiché varie forme di pranayama etc. avvengono da sé e la meditazione segue spontaneamente.
Dopo il risveglio della Shakti un cercatore è in grado di sperimentare differenti stati, visitare diversi mondi sottili, come il paradiso, l’inferno, il mondo dei morti e quello degli antenati, e tutti gli altri mondi mentali di cui parlano le scritture. Tu puoi avere strane visioni nello stato di veglia, nel sogno, o nel tandra meditativo (stato fra il sogno e la meditazione). Queste visioni rivestono grande importanza e sono molto utili alla comprensione della mente. Dopo aver ottenuto il risveglio della Shakti il cercatore deve conservarla amorevolmente, con riverenza, facendo di tutto per mantenerla attiva dentro di sé.
Swami Muktananda – Satsang with Baba – 30 giugno 1972
(Traduzione di Paolo D’Arpini)

………………
Commento di Caterina: “… Hai fatto una buona cosa, per me e per gli altri e te ne sono grata. Potresti continuare per esempio con cadenza settimanale o mensile, a pubblicare gli scritti del tuo Guru, pur che sono dialoghi su cose specifiche, pratiche come hai detto tu…”
Mia rispostina: “Sono cose pratiche sicuramente… Ad esempio per gente come me che non sapeva nulla di risveglio della Coscienza. A volte credevo di impazzire o che che ci fosse lsd nel cibo, per il tipo di esperienze che avevo giornalmente.. Era importante sapere cosa stava succedendo dentro di me….”
Replica di Caterina: “Bellissimo avere un risveglio della coscienza senza sapere nulla del risveglio della coscienza! Se fosse sempre così! Ora con tutto questo parlarne (a volte leggo con un misto di divertimento, curiosità e scetticismo su FB botta e risposta su risveglio, risvegliati e autocompiacimento del proprio stato di “consapevolezza avanzata”), secondo me e per me faccio fatica a togliermi dalla mente il condizionamento alla ricerca, all’esame del percorso, mentre il percorso si dovrebbe srotolare come una matassa ben arrotolata e non come una matassa ingarbugliata, e poi c’è chi alza la propria bandiera e dice: “questo percorso è meglio di questo, è più serio, è più profondo, ecc. ecc.” L’attenzione, l’auto-osservazione rischiano di essere sviate, condizionate da questa pletora di situazioni, parole…”
…………………..
Commento di Nazzarena Marchegiani: “Complimenti Paolo! bell’articolo, belle riflessioni, ma, soprattutto bella conquista… la ‘Grazia’… un istante di consapevolezza del ’senso’ di…Tutto. Ma mantenere lo ’stato di Grazia’ è possibile?”
Risposta: ‎”La divina energia (Shakti) una volta risvegliata lavora incessantemente e permanentemente nel discepolo. Questa è l’Energia che sempre cresce, che sempre più manifesta la sua gloria. Energia divina è solo un altro nome per Volontà divina. Così meravigliosa è questa Energia che è perfetta in ogni sua parte come nella sua interezza. Una volta che la Coscienza è stata risvegliata gli effetti della Grazia si manifestano sino al compimento finale della totale liberazione.” (Swami Muktananda in risposta alla domanda: l’effetto di Shaktipat è temporaneo o permanente?)

"Nessuno nasce, nessuno muore" di Ramesh Balsekar - Recensione




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Sto leggendo un libro scritto da un discepolo di Nisargadatta Maharaj, Ramesh Balkesar. Si intitola : "Nessuno nasce, nessuno muore". E' composto da brevi capitoli in cui sono riferite situazioni e dialoghi tra Nisargadatta e i devoti che lo andavano a visitare. Trovo alcuni (quasi tutti) questi capitoli delle vere perle da assaporare e riassaporare con la mente il più possibile sgombra, cosa non facile. 

Ad esempio, riporto una parte di un discorso fatto da un ragazzo cieco, in risposta ad una domanda di N. che gli aveva chiesto cosa avesse capito del discorso che lui aveva appena fatto.

"....1. Mi hai chiesto di ricordare ciò che ero prima che avessi questa conoscenza "Io sono" insieme con il corpo, cioè, prima che fossi "nato"; 

2. Mi hai detto che questo corpo dotato di coscienza era venuto a me senza la mia conoscenza o la mia partecipazione, perciò "io" non ero mai "nato"; 3. Questo corpo dotato di coscienza che è "nato" è limitato nel tempo e quando scomparirà, alla fine del periodo designato, io ritornerò al mio stato originale che è sempre presente, ma non in manifestazione; 
4. Perciò io non sono la coscienza e certamente non il costrutto fisico in cui dimora questa coscienza; 
5.  Per finire, comprendo che c'è soltanto "Io"- né "me", né "mio", né "tu"- soltanto quello che è . Non c'è schiavitù al di fuori del concetto di un "me" e un "mio" separato in questa totalità di manifestazione e di funzionamento."

Caterina Regazzi

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