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Luci ed ombre sul Mahatma Gandhi... secondo Osho


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Mohandas Karamchand Gandhi (2 ottobre 1869 – 30 gennaio 1948) è stato il leader preminente del movimento indiano di indipendenza nell’India britannica.
Utilizzando la disobbedienza civile non violenta, Gandhi ha portato l’India all’indipendenza e ha ispirato movimenti per i diritti civili e la libertà in tutto il mondo. Il titolo Mahatma (sanscrito: anima alta, venerabile), applicato per lui prima nel 1914 in Sudafrica, è ora utilizzato in tutto il mondo.
Il  30 gennaio abbiamo ricordato l'uccisione  di Gandhi, definito “l’apostolo della nonviolenza” (vedi: https://retedellereti.blogspot.it/2018/01/30-gennaio-1948-2018-in-memoria-del.html?showComment=1517385057088#c7097422742131119267)

Il personaggio merita sicuramente la nostra attenzione, poiché egli riuscì -in modo abbastanza pacifico- a smuovere le masse ed a condurle verso l’indipendenza. Prima della colonizzazione inglese, comunque, l’India era suddivisa in vari staterelli ed in gran parte era oppressa dal dominio musulmano. La partizione voluta dagli inglesi, a cui Gandhi si oppose sino all’ultimo, portò comunque alla creazione di due stati abbastanza grandi ed omogenei, da una parte il Pakistan musulmano e dall’altra l’India perlopiù induista ma alquanto sincretica (comprendendovi cristiani, jain, buddisti, parsi, etc. e persino musulmani “moderati”). In passato mi sono occupato spesso della “filosofia” gandhiana e della persona “Gandhi”, stavolta voglio riportare il pensiero di Osho su questo tema…
Paolo D’Arpini

Osho parla di Mahatma Gandhi

[...] Particolarmente – proprio in modo che sia in corretto – voglio dirti che c’erano molte cose su Mahatma Gandhi che amavo e mi piacevano, ma tutta la sua filosofia di vita era assolutamente sgradevole per me. Tante cose su di lui che avrei apprezzato rimanevano trascurate. Correggiamo quindi il discorso.
Amavo la sua veridicità. Non ha mai mentito; anche se nel mezzo di ogni sorta di menzogne, rimase radicato nella sua verità. Non posso essere d’accordo con la sua verità, ma non posso dire che non era veritiero. Qualunque cosa fosse verità per lui egli vi aderiva pienamente.
Da non credere però che la sua verità sia di valore universale, ma questo è il mio pensiero, non il suo. Non ha mai mentito. Io rispetto la sua veridicità, anche se ritengo che egli non sapesse nulla della verità – quella che io costantemente propugno.
Con Mahatma Gandhi l’India ha concluso un capitolo, e ha anche iniziato un nuovo capitolo.
Ma non era un uomo che avrebbe potuto andare d’accordo con il mio pensiero: “Salta senza prima pensarci”. No, egli era un uomo d’affari. Avrrebbe cogitato cento volte prima di fare un solo passo fuori dalla sua porta, che dire perciò di un salto? Egli non riusciva a capire la meditazione, ma non era colpa sua. Non ha mai incontrato un maestro che avrebbe potuto dirgli qualcosa sulla “non mente”, eppure esistevano quei maestri vivi al suo tempo.
Anche Meher Baba una volta scrisse una lettera a Gandhi – forse non proprio lui di persona; qualcuno deve aver scritto per lui, perché Meher non ha mai parlato, non ha mai scritto, ha appena fatto segni con le mani. Solo poche persone erano in grado di capire cosa voleva significare Meher Baba. La sua lettera fu derisa da Mahatma Gandhi e dai suoi seguaci, perché Meher Baba aveva detto: “Non perdete il tempo a cantare” Hare Krishna, Hare Rama. “Questo non ci aiuta affatto. Se vuoi veramente sapere, informatemi e ti chiamerò “.
Tutti risero; pensavano che fosse un’arroganza. È così che la gente comune pensa, e naturalmente sembra l’arroganza. Ma non lo è, è solo compassione – infatti, troppa compassione sembra arroganza. Ma Gandhi rifiutò il telegramma dicendo: “Grazie per la tua offerta, ma seguirò la mia strada” … come se ne avesse una. Non ne aveva però nessuna.
Ma ci sono alcune cose che io rispetto di Gandhi – la sua pulizia. Ora, direte: “Rispetti tali piccole cose …?” No, non sono piccole, specialmente in India, dove i santi, i cosiddetti santi, dovrebbero vivere in ogni tipo di sporcizia. Gandhi cercò di essere pulito.
Era l’uomo ignorante più pulito del mondo. Amo la sua pulizia. Amo anche il suo rispetto per tutte le religioni. Naturalmente, le mie ragioni e le sue sono diverse, ma almeno ha rispettato tutte le religioni. Naturalmente per motivazioni sbagliate, perché non sapeva quale fosse la verità, quindi come poteva giudicare ciò che era vero? – se le religioni fossero nel giusto; se tutte avessero ragione, o se solo qualcuna avesse ragione. Non c’era modo per lui di comprenderlo.
Di nuovo, egli era un uomo d’affari, quindi perché irritare qualcuno? Perché dargli fastidio? Secondo lui tutte le religioni dicono la medesima cosa: il Corano, il Talmud, la Bibbia, la Gita. Egli ed era abbastanza “intelligente”: notate “l’abbastanza” -non dimenticatelo – per trovare somiglianze nelle religioni, cosa non difficile per qualsiasi persona intelligente e astuta. Ecco perché dico “abbastanza intelligente”, ma non veramente intelligente. La vera intelligenza è sempre ribelle e Gandhi non voleva ribellarsi contro i tradizionalisti, indù o cristiani oi buddisti o musulmani che fossero.
Sarete sorpresi di sapere che ci fu un momento in cui Gandhi contemplò di diventare cristiano perché essi sono al servizio dei poveri più di ogni altra religione. Ma presto si rese conto che il loro servizio è solo di facciata dietro la quale nascondersi per svolgere la loro vera e attività. L’attività reale era quella di convertire nuove persone. Perché? – perché i numeri portano il potere. Quante più persone avete, più potere avete.
Se puoi convertire tutto il mondo sia cristiano, ebreo o indù, allora naturalmente, queste persone avranno più potere di chiunque abbia mai avuto. Alexanders svanirà in confronto. È una lotta di potere.
Nel momento in cui Gandhi lo comprese – e dico ancora, era abbastanza intelligente per capirlo – cambiò idea e non volle più diventare cristiano. In effetti, essendo un indù, era molto più redditizio restar tale in India piuttosto che essere un cristiano. In India, i cristiani sono solo l’un per cento, quindi quale potere politico avrebbe potuto avere da ciò?
Era bene che lui rimanesse un indù, per la sua mahatmahood….
Osho Rajneesh
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Traduzione di uno stralcio dell’articolo apparso su: http://www.oshonews.com/2014/12/17/osho-speaks-on-mahatma-gandhi/

La preghiera laica come forma di riflessione su se stessi...

Soltanto chi pone la mente intera come offerta nel fuoco splendente che è il Sé può essere considerato come colui che compie davvero l’Agnihotra, mentre tutti gli altri ne portano solo il nome. (Sadacara 12)

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Ogni qualvolta si sente il bisogno di riconnettersi interiormente, sia che noi siamo credenti o meno, si ricorre al dialogo interno. Questo dialogo è stato anche definito “preghiera”. Ovviamente non è la preghiera che solitamente viene rivolta al dio od ai santi per chiedere la loro intercessione e per ottenere favori o vantaggi materiali, quella non è preghiera ma commercio religioso. 

La vera preghiera è il porsi gentilmente ed amorevolmente verso se stessi, per riconoscere la propria vera  identità.  In molte altre occasioni questo gesto d’amore verso il Sé assume la forma del digiuno, del silenzio o della meditazione La preghiera è stata utilizzata anche come strumento nonviolento contro la guerra, come pure il digiuno, che è un gesto personale, intimo ma aperto, di dialogo  con il mondo, di considerazione empatica verso l’altro.
Ed in verità la nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadhatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto.
In fondo anche la chiesa si sta interrogando su un nuovo modo di esprimere la preghiera.  In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all’avvertita esigenza di  di raccoglimento. L’interesse che forme di meditazione connesse a talune religioni orientali e ai loro peculiari modi di preghiera in questi anni hanno suscitato anche tra i cristiani è un segno non piccolo di tale bisogno di un profondo contatto col divino che è all’interno.
Uno dei fautori più importanti  della preghiera silenziosa, Teresa d’Avila, affermò: “La preghiera mentale [oración mental] non è altro che una condivisione intima tra amici; significa dedicare frequentemente del tempo ad essere soli con colui del quale sappiamo che ci ama.” Poiché l’enfasi è sull’amore piuttosto che sul pensiero.
L’esigenza di cambiare il modo di approccio religioso, eliminando dal contesto dottrinale quegli insegnamenti utilitaristici che contraddistinguono le religioni monoteiste di origine giudaica, è   stata ben evidenziata  in una storiella che Osho amava raccontare: “Un prete svolgeva la sua opera apostolica in uno sperduto villaggio nella foresta amazzonica. La missione si presentava bene, prima aveva preso in cura i malati, poi era passato agli anziani e poveri infine aveva costruito una chiesa con un oratorio per poter insegnare la religione e la preghiera ai bambini. Un giorno stava spiegando la bibbia e raccontava la storia dell’uomo, del peccato originale, della faticosa via verso il bene e di come il compassionevole Gesù fosse venuto in terra per redimere i peccatori che si erano pentiti ed affidati a lui. Dopo aver così istruito i bambini, per vedere se avessero capito bene il concetto della religione cristiana, chiese ad alta voce alla classe: “Ecco dopo aver ascoltato quel che ho detto chi sa dirmi in sintesi qual è il messaggio della religione?”. Subito un ragazzino sveglio si alzò e disse: “Io l’ho capito, il messaggio è che bisogna peccare”. “Come sarebbe a dire – interloquì il prete – se ho parlato male del peccato dall’inizio alla fine?”. “Tu hai detto che l’uomo è un peccatore, ma egli deve necessariamente peccare per poi potersi pentire e prendere rifugio in Gesù che lo salva… Senza peccato quindi non c’è redenzione”.
Il senso della preghiera buddista è ben diverso. In questo caso è un mezzo di pulizia interiore che avviene attraverso la concentrazione e  la ripetizione di una frase, solitamente impartita dal maestro. Molto significativa in questo senso è la storia del monaco Cudapanthaka che, essendo di intelligenza limitata, non riusciva a tenere a mente gli insegnamenti, malgrado la sua buona volontà  Il Buddha, essendo venuto a sapere ciò  andò da Cudapanthaka e gli disse: “Ti istruirò io stesso…”. Il Buddha non si preoccupò di dare a lui i concetti, ma semplicemente gli chiese di pulire il Vihara, dicendogli:  Cudapanthaka spazza il terreno. Mentre lo fai, recita: “Io spazzo via le impurità”. Ora, occorre rammentare che è inutile spazzare la polvere dal suolo del Vihara, che è un tempio nella foresta, dal momento che è costruito proprio nella foresta! Non è che al tempo del Buddha un Vihara avesse pavimenti di cemento, così da poter esser ripulito, esso era sporco! Quindi sostanzialmente il Buddha gli chiese di spazzare via lo sporco da un’estremità all’altra del Vihara. E così Cudapanthaka fece. Egli spazzò via la sporcizia avanti e indietro. Egli spazzò tutto il giorno, dicendo: “Io spazzo via l’impurità… io la spazzo via”. E questa fu la preghiera che gli consentì di centrasi  nel Sé.
Ma non tutti gli insegnamenti buddisti sono specificatamente  diretti  alla realizzazione. Nel buddismo tibetano, che ha un’origine animista e sciamanica, permane la preghiera come modo di ingraziarsi la divinità. Magari si comincia a pregare per l’ottenimento di poteri e di vantaggi poi pian piano la grande concentrazione porta alla cancellazione dell’io “questuante”.  Molto  propizia è considerata la devozione nei confronti di Tara, che significa Liberatrice, Salvatrice. Tara  fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile.  E’ un principio illuminato e, anche se  mancano le realizzazioni per poterla vedere,  essa è presente ovunque. Perciò non si deve pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe od una divinità che vive in una Terra Pura. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei  procura grandi vantaggi, anche materiali.
C’è poi una forma di preghiera “itinerante” che pur essendo stata accettata dal cristianesimo ha le sue origine addirittura nel paleolitico. Si tratta del cammino di Santiago di  Compostela. Il percorso più frequentato è sicuramente il Camino Frances che dall’abbazia di Roncesvalles giunge a Santiago passando per le province della Navarra, Rioja, Castilla e Galicia. In realtà Roncesvalles è di difficile accesso diretto, specialmente per chi proviene da paesi stranieri, e quindi si preferisce iniziare da St. Jean Pied de Port, ai piedi del versante francese dei Pirenei. Comunque il percorso St. Jean / Roncesvalles è molto bello e si prova la soddisfazione del completo attraversamento dei Pirenei attraverso un valico ricco di memorie storiche e letterarie.
Il camminare pregando ha molte origini e modi.  Non va infatti dimenticata la filocalia dei monaci erranti di tradizione cristiana ortodossa. La Filocalia è una delle più ammirate e feconde testimonianze a stampa della pietà cristiana ortodossa. All’assidua lettura di essa da parte dei fedeli si fa continuamente riferimento nei celebri Racconti di un pellegrino russo.
Non mancano le preghiere new age, che un po’ si rifanno alla tradizione  pagana, o addirittura alla presenza di esseri superiori provenienti da altri mondi. Persino nella bibbia, opera fantastica per eccellenza, abbondano le menzioni ad angeli e demoni ed esseri fantastici che vanno ingraziati con offerte e preghiere. Secondo la nuova spiritualità della natura invece si prega la Madre  Terra, che  è considerata un essere vivente dotato di coscienza, ora allo stremo in seguito alle offese causate da inquinamento e bombe atomiche, etc. A  lei va una preghiera conosciuta come La Grande Invocazione della fratellanza bianca,  che dicono essere molto potente.
Anche nella spiritualità laica esistono forme di preghiera, tese però al superamento del dualismo. Come affermava il poeta sincretico  Sant Kabir: “Stretto è il sentiero dell’amore: in due non ci stanno!” Ed è vero…! Il dualismo e il senso di separazione sono la causa di tutti i mali. Se non è un egoismo personale, il nostro, magari è un egoismo di casta, di religione, di razza, di cultura, di ideologia.  La preghiera laica è quindi  protesa verso l’uscita di questa gabbia ideologica. Come  Uscirne fuori? Beh, dobbiamo brancolare nel buio della sperimentazione, dobbiamo capire noi stessi da noi stessi. In questo momento la crescita ed il cambiamento non possono più essere una ricetta che ci viene fornita da un saggio, da un maestro, da un duce, da un potente della terra. Diceva Osho: “Non dipendere dalla luce di un altro. È persino meglio che tu brancoli nel buio, ma che almeno sia il tuo buio!”.  Insomma dobbiamo pregare noi stessi.

La specie umana è in continua evoluzione e così dovremmo poter prendere coscienza che il nostro vivere si svolge in un contesto inscindibile. Di fatto è così solo che dobbiamo capirlo e viverlo consapevolmente, prima a livello personale e poi a livello di comunità. Siamo in un viaggio e, affiancati da altri compagni a noi affini, andiamo avanti sentendoci uniti nel pensiero e nell’azione evolutiva che  richiede una maturazione individuale ed un riavvicinamento alla propria natura originale che non può essere il risultato di una “scelta” o di un “credo”…
In definitiva in qualsiasi modo si preghi quel che conta è la sincerità ed onestà del nostro approccio.


Paolo D’Arpini