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Andare oltre le religioni... a tempo dovuto...


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Per mettere qualche puntino sulla i nel discorso che si faceva l'altro giorno sulle religioni: forse il dato più importante da tener presente è che è fuor di dubbio che ad ogni insegnamento spirituale o quasi vi sia un aspetto essoterico, cerimoniale, dottrinale, dogmatico, impostato su criteri del tutto fideistici, quello che le masse seguono.


Ma vi è, più importante e sostanziale, l’aspetto esoterico, che corrisponde al significato profondo degli insegnamenti; ed esso, il cuore di ogni spiritualità, si manifesta di necessità con modalità differenti accordandosi con le culture locali e gli sviluppi e le mentalità di un dato popolo, senza per questo cadere in contraddizione nei suoi vari aspetti.

Per spiegare questa universalità di senso, e per restituire al tempo stesso un’identità e una connotazione superiore alle varie espressioni delle correnti spirituali (meglio che religioni) allora si può ipotizzare che nelle religioni formali, essoteriche ha ampio spazio di agire l’inganno e la manipolazione, mentre sul versante esoterico si riscontra la radice di insegnamenti veritieri che rimangono intatti, intoccati da interventi dei non addetti, perché appartengono a un piano che esula dalla sfera puramente umana o psichica.


Allora il tutto si riduce a una differenza di percezione della stessa cosa.


In altre parole, gli ottusi, in qualunquisti, i conformisti, il gregge, seguiranno solo gli aspetti esteriori di un religione, e ad essa si conformeranno, mentre coloro che hanno una predisposizione “spirituale” ne coglieranno gli aspetti essenziali, quelli universalmente veri e validi, a cui attingere ed arricchirsi, a cui fare capo. 


Questi allora sono in grado di “vedere” anche attraverso l’aspetto formale di una religione per coglierne l’essenza, il vero senso spirituale occultato dall’apparato teologico, istituzionale e clericale per opera degli “dèi” di cui si parlava l’altro giorno (e naturalmente dei loro accoliti umani).


Il tutto perciò rimanda alla diversità di percezione dell’essere umano, del ricevente; coloro che hanno la mente ottenebrata ricevono segnali ambigui, indistinti, mistificanti, depistanti, mentre chi ha lo sguardo “oltre” ne vede la pura sostanza.


A questo punto il sapiente vede in ogni religione un senso che in qualche modo le accomuna alle altre, riconoscendo che la loro fonte è unica, e riconosce quindi – al di là del loro aspetto formale e della loro strutturazione dottrinale/dogmatica - la validità di ognuna; mentre lo psichico vede solo il caos delle diversità e delle contrapposizioni, e fa di ogni erba un fascio: o le condanna tutte in blocco, o si stringerà ancora più tenacemente alla “sua” religione. E’ la differenza fra lo sguardo sacro e quello profano.


A questo punto diventa fondamentale disgiungere il concetto di “corrente spirituale” da quello di “religione” – stando il primo ad indicare la sostanza spirituale e veritiera del sacro, della Trascendenza, dei Principi, qualunque forma essi possano prendere; mentre il secondo implica tutto un apparato fideistico volto a ingannare l’uomo, con il fine ultimo di soddisfare l’appetito psichico degli dèi oltre che a quello materiale dei loro ministri di culto.


Dunque abbiamo due modi di vedere la stessa cosa: il profano vede le religioni, il seguace del sacro le correnti spirituali.


Lo psichico, il profano, vede solo la molteplicità è ne è disturbato e scandalizzato.


Ma il sapiente, lo spirituale, il vero adepto al sacro, sa vedere oltre la molteplicità e ne coglie l’Unità retrostante. E, soprattutto, dopo aver integrato in sé ed aver fatto propri gli insegnamenti fondamentali di una corrente spirituale (o più di una), sa trascendere al momento opportuno, una volta effettuate le necessarie operazioni di trasformazione anche la simbologia mediatrice delle correnti spirituali, per rivolgersi direttamente alla fonte.

Simon Smeraldo

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Ramana Maharshi: "Life in the word and how to behave in society" (Vivere nella comunità)


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Preface.

There is the stamp of truth in all the utterances of Ramana Maharshi. Kaviakantha Ganapati Muni, one of his disciples, recorded his words in the “Ramana Gita” (the Epic of Ramana), in which he tells (among others) the beautiful teachings on “how to behave in society”.  

Here is the extract:


On the Community

In this tenth chapter we will add the conversation between Yoganatha Yati and Ramana Maharshi. Surely the hearts of the spiritual brethren will rejoice in it. 
Yoganatha asked: “Oh Maharshi Ramana! What is the relationship between society and its members? Please enlighten us for our good! 
Ramana Maharshi replied; “Society is an organism: its members are the arms and legs that carry out its functions. A member may prosper when he is loyal in his services to society just like a well-coordinated organ does for the organism. As he faithfully serves the community, in thought, words and deed, a member should support the cause when with other members of the community, making them conscious and encouraging them to be faithful to society as to contribute to its progress. ”
Yoganatha asked: “Some prefer to separate themselves in meditation, others seek for the power obtained by social commitment. Which of the two is more useful to society? ”
Ramana Maharshi replied: “Being in peace is the basis to purify the mind .  To carry out a social commitment brings authority or power, which is useful for  the improvement of society. If one promotes society’s interests with this authority then peace will be established as well. ” 
Yoganatha asked: “Which is the highest ideal that can be reached on earth for all members of society?”
Bhagawan Ramana replied: “The highest end  that can be reached is to promote a sense of being universal. With universal brotherhood there is universal peace, and the whole world will be like a single home.
 This speech took place on the 15th August  1917 in  Arunachala.  

Sulla Comunità.

In questo decimo capitolo noi aggiungiamo la conversazione fra Yoganatha Yati e Ramana Maharshi. Certamente i cuori dei fratelli spirituali gioiranno in  essa. 
Yoganatha chiese: “Oh Maharshi Ramana! Qual’è il rapporto tra la società ed i suoi membri costituenti? Per favore illuminaci per il bene collettivo.” 
Ramana Maharshi rispose: “Una società è l’organismo; i suoi membri costituenti sono gli arti che svolgono le sue funzioni. Un membro prospera quando è leale nel servizio alla società come un organo ben coordinato funziona nell’organismo.    Mentre sta fedelmente servendo la comunità, in pensieri, parole ed opere, un membro di essa dovrebbe promuoverne la causa presso gli altri membri della comunità, rendendoli coscienti  ed  inducendoli ad essere fedeli alla società, come forma di progresso per quest’ultima. 
Yoganatha chiese: “Alcuni preferiscono il distacco e la meditazione altri il potere che deriva dall’impegno sociale. Quale atteggiamento è più utile in una società?”. 
Ramana Maharshi rispose: “La condizione della pace è per purificare la mente mentre l’espletamento dell’impegno sociale  porta ad un’autorità, o potere,  e serve al perfezionamento della società.  Avendo promosso gli interessi della società attraverso questa autorità dovrebbe esservi quindi stabilita la pace.” 
Yoganatha chiese: ” Quel’è il più alto ideale, che può essere conseguito sulla Terra, per tutti i membri della società?”. Bhagawan Ramana rispose: “La promozione del senso di universalità e fratellanza è il più alto  fine .  Con la fratellanza universale regna la pace universale, ed il mondo intero assomiglia ad una singola casa.”
Questo discorso aveva luogo il 15 agosto del 1917  in Arunachala (Tiruvannamalai)  
Based on the  original italian translation by Pietro Fallica, done  on May 1976 in Calcata. 
Revived and reorganised  by Paolo D’Arpini, on 21 March 2008 in Calcata.                                                                                                 

Present  english reddition by Ilaria Gaddini.                                                Tratto da “Chi sono io?” -  Ramana Maharshi – Ubaldini Editore Roma  

L’antagonismo per la supremazia fra Luni e Narce. Cronache del Villanoviano


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Nei piani della trama primigenia, nel gioco dei meccanismi di potere  all’interno della società umana, pareva destino che Luni, che vuol dire luna, la proto città sul Mignone, divenisse il faro di luce della civiltà  per l’intero vecchio continente. Luni era nata come progetto femminile di una società egualitaria, un primo esperimento sociale di armonia fra i due generi. Di conseguenza questa città, che si fa risalire al tardo neolitico – prima età del bronzo,  era concepita come luogo d’incontro orgiastico e di piena libertà espressiva. La fioritura conseguente fu una società  fluida e scorrevole, come l’acqua. Ed infatti i sacerdoti di Luni adoravano l’acqua ed avevano controlli psichici su questo elemento.  Le cose sembravano andare per il verso giusto e non sussistevano preoccupazioni per la espressione di una grande civiltà  liberale.

Nel frattempo però, al di fuori da ogni convenzione creativa, era sorta un’altra città, a pochi chilometri in linea d’aria, costruita  sulle sponde di un  fiume biondo, che era stato il Tevere,  ed ora era il Treja. Quest’incomodo, questo intruso, che si inseriva nei piani del potere e dei modelli sociali,   si chiamava  Narce, che vuol dire arca.

La proto città di Narce era depositaria del fuoco, il sacro rito del fuoco che si manifesta  attraverso i costumi,  indicazioni  che seguono un ordine di valori.
Gli abitanti  di Narce  erano pastori che innalzavano are per adorare il dio del fuoco. Il continuo ardere dava ai sacerdoti di Narce il controllo psichico sul fuoco.

Ben presto, allorché fu chiaro che gli esempi propugnati erano opposti, iniziò un subdolo contrasto fra le due città. Narce e Luni si combatterono prima sul piano ideologico, cercando di dimostrare  il valore ed il significato del messaggio sociale evocati nel loro modello ma non ebbero successo in ciò giacché  entrambi gli esempi fornivano ragioni sufficienti di esistenza. Ovviamente i sacerdoti sentivano che un compromesso non era possibile, le due posizioni erano troppo distanti ed antagoniste. Fuoco contro Acqua.
I sapienti delle due città decisero allora di utilizzare i poteri acquisiti  sugli elementi in modo da condizionare o distruggere il nucleo opposto.  I maghi di Narce scaricarono il massimo dell’energia  ferale su Luni e quelli di Luni sconvolsero le acque di Narce.  Il risultato fu che ognuna delle due comunità dovette isolarsi completamente per difendersi dalle emissioni psichiche.  Le due comunità si nascosero l’un l’altra divenendo città invisibili. Il risultato insolito di questa lotta portò al cambiamento del piano originario di civiltà.  
Luni  o Narce , nessuna delle due essendo in grado di emergere ed essendo addirittura scomparse alla vista, esse passarono il loro modello all’inconscio collettivo e  si celaroro nelle loro nicchie di terra, lasciando solo criptici segnali nascosti vecchi di migliaia di anni. Nel frattempo la lotta era passata di mano, lo schema per la civiltà futura doveva andare avanti, ed il destino dell’uomo, in questa parte del mondo, continuò a tessere la sua tela. E si   manifestò  -ancora una volta- in due modelli antagonisti: Roma e Veio. Ma stavolta i sacerdoti ed i potenti delle due città, memori della scomparsa di Luni e Narce per colpa dello scatenamento delle onde pensiero, decisero di ricorrere ad altri mezzi e così   s’inventarono la guerra.
Paolo D'Arpini
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Manie religiose, da non considerare... - Della serie: "Non c'è più religione... (magari!)"


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Quanto alla religione l’umanità è sempre stata immersa nel caos. Migliaia di comandamenti, migliaia di precetti, migliaia di riti, migliaia di preghiere, migliaia di promesse, migliaia di minacce provenienti da migliaia di dèi; e soprattutto, migliaia di vittime, sia fisiche che mentali. Il massacro giustificato dalla religione è sempre stato in gran voga, con il beneplacito di un “Dio” che sembrerebbe segnare con una tacca le sue vittime, come facevano i piloti della I guerra mondiale.

Ma chi sono questi dèi? Per la maggior parte degli uomini il dio della propria infanzia, il dio che viene insegnato dai genitori è il dio vero, e pochi sono coloro che riescono a sottrarsi alla pesante àncora di questo dio, proprio perché viene proposto in una fase della vita in cui l’essere umano è non solo altamente vulnerabile, ma anche influenzabile all’estremo, poiché la sua mente è in formazione, una vera spugna.


La mente dell’uomo preferirà credere ciecamente piuttosto che pensare, preferirà seguire piuttosto che farsi largo da sola; preferirà la sicurezza del gregge piuttosto che l’incertezza di doversi addentrare con le proprie forze negli abissi dell’aldilà. Per questo a tutti i leaders religiosi è tanto cara la parola “gregge”, ed è per questo che a coloro che manipolano le coscienze piace tanto chiamare i fedeli con il nome di “pecore”.

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La pecora non si ribella- e ciò va bene al pastore - e non si deve arrischiare a cercare da sola il proprio alimento - e ciò va bene alla pecora - però alla fine della storia la pecora viene macellata da colui al quale il pastore fa capo. 


Costellazioni di “maestri”, di “dèi” e di credenze, tutti che lottano e sono in competizione fra loro per assicurarsi il dominio della coscienza dell’uomo, e tutti, alla lunga, immergendolo sempre più nel caos della mente.


Tutti gli obblighi e i divieti, gli interdetti e le cerimonie, le restrizioni sociali e i particolarismi, i tabù alimentari e sessuali, gli estremismi e gli abiti rituali sono ovviamente forme di follia religiosa, di fervore che si erge a deviazione demenziale, istituzionalizzato dall’osservanza cultuale; regole e pratiche inculcate da maestri che non insegnano niente di buono, a loro volta portavoce di dèi che non sono Dio e non appartengono neppure al livello spirituale, ma ne sono molto al di sotto. Chi è libero lo è da qualsiasi regola o forma di esteriorità; così è il vero “Dio”, quello che per tutti è lo stesso, che non ha un “popolo eletto” o preferenze etniche e non esige assurde pantomime o contorsioni mentali, limitazioni concettuali e macchinose ritualità dai suoi fedeli.

Naturalmente tutto il mondo di oggi è pazzo, e la forma di civiltà predominante oggi è micidiale; ma almeno non si ha la presunzione di sostenere che tutto ciò derivi dal volere di un dio (anche se in fin dei conti è proprio così: il “dio” di questo mondo). E’ una follia, un’alienazione fine a se stessa e non pretende di essere il risultato di un culto divino, di provenire da “istruzioni dal cielo”.


E fra tanti ammaestramenti e tanti riti, gli uomini continuano a venire a questo mondo senza sapere perché, e continuano ad andarsene senza sapere dove andranno.
Ma, ringraziando “Dio” (quello vero) c’è sempre stato anche chi, piuttosto che indirizzare altri verso un’ipotetica e dispotica divinità, ha anche scavato profondamente fino a percepire che la divinità risiede nell’uomo stesso, e nella sua consapevolezza di essere molto più che un essere umano.


Simon Smeraldo

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