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India. L'islam come presenza ostile


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Comunità ebraiche e cristiane esistono in India da oltre un millennio. Hanno costruito le loro chiese e le loro sinagoghe senza danneggiare alcun Tempio hindu e senza compiere alcun atto di violenza contro la popolazione hindu. Vivono da sempre in pace con gli hindu e sono pienamente integrati nella società indiana. 

Gli islamici invece invasero l'India massacrando la sua popolazione. Oltre 18 milioni di hindu sono stati uccisi dai musulmani, oltre 4 milioni di donne hindu sono state da loro stuprate in massa e poi vendute come schiave, ed oltre duemila Templi hindu sono stati distrutti per costruire moschee sulle loro macerie. 

Ovviamente lo spazio in India non mancava, le moschee potevano benissimo essere costruite altrove, ma il Corano ordina ai musulmani di massacrare i non-musulmani, di stuprare le loro donne e di distruggere i loro luoghi di culto. La volontà islamica di umiliare il Sanatana Dharma e i suoi seguaci era palese, tanto che le murti in pietra venivano scalpellate per diventare pavimenti calpestati dai musulmani quando entravano nelle moschee, mentre quelle in metallo venivano fuse per costruirci pentole in cui cucinare carne di mucca. Il minareto Qutb di Delhi è istoriato con un calligramma in lingua persiana che elenca tutti Templi hindu distrutti per ricavare il marmo e la pietra necessari a costruire il forte rosso degli invasori Mughal. 

La prima moschea che i musulmani costruirono in India è la Qawwat al-Islam, edificata dopo aver distrutto il pre-esistente Tempio  di  Prithvi Raj. La Atala Masjid di Jaunpur fu costruita sulle rovine del Tempio di Durga. Il Tempio di Shiva Mahadeo costruito sulle rive della Yamuna ad Agra fu trasformato nella tomba di una concubina del tiranno musulmano, e ancor oggi ha i minareti aggiunti e viene chiamato Taj Mahal. La  Gharbat Nigar di Qanauj fu costruita sulle rovine del Tempio di Narayan, proprio come la Jami Masjid di Etwah fu costruita sulle rovine del Tempio di Surya. La Babri Masjid di Ayodhya fu costruita dopo aver distrutto il Tempio della nascita di Rama (Ram Janam Bhumi), come la Aurangzeb Masjid di Mathura fu costruita dopo aver distrutto il Tempio della nascita di Krishna. Sempre a Mathura, Aurangzeb fece costruire un'altra moschea distruggendo il Tempio di Govinda Deva, uno del capolavori dell'arte e dell'architettura indiana. A Varanasi il Tempio di Shiva Vishwanath fu anch'esso distrutto per edificarvi sopra una moschea. A Vrindavan il Tempio di Radha-Ramana fu distrutto dal musulmano Akbar, e questo indusse i Brahmana di Vrindavan a sostituire le murti con copie non installate, e a trasferire quelle installate in zone dell'India non islamizzate. 

Ancor oggi le murti dei sette Templi principali di Vrindavan non sono quelle originali, ma copie reinstallate dopo il termine dell'invasione islamica. Il Tempio di Somnath in Kashmir fu completamente raso al suolo dai musulmani, ed è stato ricostruito solo in epoca recente. Il massacro islamico degli Hindu continua comunque incessantemente, sia in Pakistan che nella parte del Kashmir occupata dal Pakistan. Questa è comunque solo la punta di un iceberg. 

Shankar Nath Baba  - aryasamaj.roma@gmail.com

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Shastra e Maometto rivisitato nel Maha Bhavishya Purana


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Nel Maha Bhavishya Purana, Guru Vyasadev Maharaja spiega che il demone Tripurasur era costantemente assetato di sangue umano e animale, e seguitò ad uccidere uomini ed animali fino a quando Shiva lo sconfisse, decapitandolo col tridente. Siccome la collera di Shiva fu l'ultima cosa che i suoi occhi videro prima di lasciarse il corpo, precipitò per secoli in Naraloka, dove espiò il suo karma omicida, e poi rinacque come Maometto a Bacca (attuale Mecca) presso il Tempio di Shiva Mahadeo (attuale Kaaba). Nacque in seno alla famiglia dei Quraish, i brahmana incaricati del servizio al Lingam di Shiva Mahadeo (attuale Pietra Nera), ma fu subito escluso dal servizio per due motivi: 1) Perché suo padre morì quando era bambino e non gli trasmise il yajnopavitam da brahmana; 2) Perché sua madre Amina non era una seguace del Veda ma una ebrea monocultista. Per queste ragioni Maometto si sentì isolato e discriminato dai brahmana della sua famiglia, e iniziò a concepire un culto mleccha basato sul rigetto dei Veda.

Suta Goswami Maharaj narra  che Maometto apparve al devoto Re Kshatriya Bhojaraja dicendogli: "O re,  so che tu segui il Sanatana Dharma, che è la fede primigenia, ma contro  quel Dharma eterno io diffonderò la religione asurica e tamasica  dell'islam, che si diffonderà fra i mleccha carnivori e sanguinari!  Ordinerò loro di circoncidersi i genitali, di non far crescere la shika  sul capo, di radersi completamente il capo e i baffi facendo crescere  solo la barba, di parlare a voce alta facendo confusione, di scannare e  mangiare ogni tipo di animali, eccetto i suini, e di non praticare  nessuno dei rituali vedici.

Bhojaraja fuggì da lui e offrì la puja a  Shiva Mahadev, chidendogli di allontare quello spirito demoniaco. Il re  Bhojaraja incontrò Maometto nel deserto, quando ancora l'islam non aveva allontanato gli Arabi dal Dharma. I devoti di Mecca avevano chiamato  Maometto a pronunciarsi sulle tre Dee arabe che avevano santuari attorno  a Mecca, Allat, al-Huzza e Manat, cioè Lakshmi, Saraswati e Parvati,  adorate con l'offerta dei loro alberi sacri, mirto, acacia e gelso.

Maometto prima confermò la fede vedica, dicendo, "queste sono le energie potenti, manifestate dal Signore al servizio di quanti le rendono omaggio", ma il giorno dopo disse che quel verso del Corano gli era stato ispirato da Satana, e maledisse le tre Devi! Il celebre romanzo di Salman Rushdie fa riferimento proprio a questa vicenda, narrata dal commentare del Corano Tabari. Maometto sosteneva che il suo angelo ispiratore era Gabriele, cioè Garuda, mentre si trattava di una nuova nascita di Hiranyakashipu in forma di uccello. Garuda apparve effettivamente a Maria, e le disse il vero "Sarai chiamata beata fra le donne perché tuo figlio diventerà un puro devoto quando avrà il darshan di Jagannath!" Ma il finto Gabriele e vero Hiranyakashipu che apparve a Maometto fu bugiardo sin dalle sue prime parole. Secondo il Corano la prima cosa che Gabriele disse a Maometto fu "Recita, nel nome del tuo Signore che ha creato l'uomo da un grumo di sangue!", del tutto falso, perché l'embrione fecondato per le prime due settimane non contiene nemmeno una goccia di sangue!

Queste sono le ragioni per culti  i seguaci del culto mleccha islamico:

1) Non riescono mai a vivere senza  versare sangue innocente, umano e animale; 


2) L'islam insegna ancor oggi  quel che Maometto ha insegnato dall'inizio: Ebrei e Cristiani possono  essere risparmiati se accettano di vivere come schiavi in uno Stato  Islamico, i seguaci di tutte le altre religioni o accettano la  conversione all'islam o vanno massacrati;

3) L'islam a tutt'oggi  considera lo stupro di donne non-musulmane come un opera di bene, che  almeno permette a quelle donne di procreare figli musulmani;

4) Gli  islamici versano milioni di petrodollari per poter continuare a  massacrare le mucche anche in territorio indiano;

5) Gli islamici hanno  distrutto il tempio di Shiva che ad Agra sorgeva sulla Yamuna,  trasformandolo nella tomba di una prostituta, il cosiddetto Taj Mahal;

6) Gli islamici hanno distrutto e raso al suolo il Tempio  dell'Onniscienza di Saraswati in Kashmir;

7) Hanno fuso murti in metallo  per farci pentole in cui cucinare carne di mucca; 

8) Hanno distrutto la  cupola del Tempio di Radha Mohan a Vrindavan, costingendo tutti i  brahmana a trasferire le murti installate a Vraja altrove;

9) A Benares  hanno distruto il Tempio di Kashi VIshwanath per trasformarlo in moschea;

10) Hanno fatto la stessa cosa con il Tempio Natale di Krishna  a Mathura e con quello di Rama ad Ayodhya;

11) Ancor oggi, secondo le  istruzioni demoniache di Maometto, continuano a massacrare hindu.  buddhisti, ebrei, cristiani, chiunque rifiutii di convertirsi al Tamoguna del loro culto.

Shankar Nath Baba - aryasamaj.roma@gmail.com

Spiritualità sta nel cogliere l'opportunità...

 "Cogliere l'opportunità al momento giusto è tutto quel che possiamo
fare... per crescere!" (Anandamayi Ma)


Risultati immagini per (Anandamay Ma) vedi

Tutti quelli che si incamminano sul sentiero spirituale seguendo le
istruzioni delle dottrine, le parole dei maestri, le pratiche
tramandate, sono ammoniti che il cammino è irto di pericoli e che
nessuno o solo pochissimi sono riusciti a compierlo senza l’ausilio di
supporti e di istruzioni. In tutto questo c’è una buona parte di
verità.

Però, se questo atteggiamento si fa preponderante, mettendo in ombra
il ruolo fondamentale del ricercatore e del suo impegno, il risultato
sarà quello di piegare la coscienza alla paura o alla dipendenza da
figure esterne che ne produrrà l’insuccesso, anche con le migliori
intenzioni. In realtà ciò che più di ogni altro elemento vincola la
coscienza allo stato di nescienza è la paura.

E’ questo il sentimento con cui possiamo calcolare la profondità dei
nostri attaccamenti, la potenza dei nostri fantasmi mentali, la
debolezza delle nostre intenzioni. Se la paura diventa principio
discriminante, lentamente ci troveremo in ostaggio della paura e lo
spirito di ricerca soffrirà di irrigidimento, di chiusura e di senso
di fragilità. Accanto ai continui inviti che dai testi dottrinari e
dai discorsi dei santi invitano ad accostarsi solo a persone sante e
sagge, meglio ancora a un maestro realizzato, una considerazione
enigmatica rompe il convenzionalismo e indica una verità rischiosa: si
può ottenere la realizzazione spirituale anche servendo un falso
maestro, un truffatore. Così come un detto popolare recita: non
esistono cattive madri, ci sono però cattivi figli. Queste parole
sconvolgono la mentalità convenzionale dell’occidentale, che non si
accorge di candidarsi ad una eterna dipendenza dalla “bontà” altrui.

Il solo luogo possibile della conoscenza spirituale è Dio –
quell’Assoluto, indiviso, onni-pervadente, senza secondo; non vi è
altri che Lui, che è l’Unità di tutto, Non-dualità. La coscienza di
questa Unità è inizialmente una battaglia di principio che
probabilmente è più feroce dentro la coscienza di un occidentale, che
a qualsiasi principio accetti troverà una contrapposizione, cioè
automaticamente disporrà il proprio orizzonte mentale a eleggere un
principio a ideologia e disporre il resto in conflitto.

Perciò, se è vero l’assunto con cui siamo partiti, è ancora più vero
che senza una presa di coscienza personale e trasformativa, cioè che
scardini il principio duale della nostra mente, non è possibile
parlare di alcun sostanziale conseguimento spirituale.

Se ci fosse possibile percorrere il camino senza sostegni ci
troveremmo, come cantava Ashtavakra, a vivere semplicemente ogni cosa
senza esserne scossi, a conoscerci già come puro
conoscitore-inconoscibile e guardare la vita, gli dei, il cosmo e le
istruzioni spirituali come uno spettacolo gioioso e tragico, fatto per
essere ammirato, sofferto e dimenticato subito dopo.

La coscienza del ricercatore, invece, raramente parte da questo
orizzonte, di più, solitamente è una coscienza contaminata
dall’angoscia e dalla paura; quando ad angoscia e paura non si riesce
più a dare un nome e una causa, finalmente si comincia a pensare che
l’origine risieda dentro di noi e si stabilisce di lavorare con se
stessi. Di fronte a questa radicale disfatta dell’io sul suo terreno è
naturale che si prenda la decisione di affidarsi, di scegliere
volontariamente che qualcuno ci possa manipolare e orientare.

Che cosa vince, in questo frangente, il bisogno di trovare una
soluzione efficace ai nostri problemi o la paura di abbandonarci
all’alto? Nel caso in cui la paura vinca sull’abbandono possiamo
inferire che si abbia ancora troppo da perdere, o una valutazione di
valore personale spropositata, cioè una tremenda fragilità dell’io.
Un io sano si fida. Per affrontare una istruzione nuova, un nuovo
passaggio della propria vicenda spirituale occorre un io sano. In che
senso si è sani abbastanza e di che cosa o di chi ci si fida
propriamente? Un io sano è immediatamente quello che sa prendere le
distanze da una mente malata, la propria, e che decide con freddezza e
con serenità di aggiustare ciò che si è spezzato, inquinato o fermato.

Questa presa di distanza, che è la sola con cui si può prendere una
decisione, è anche l’assicurazione di cui possiamo godere per il resto
del cammino e la pratica che facilmente possiamo sviluppare nel tempo:
la capacità di osservare le attività e le reazioni della mente con
distacco, la pratica dell’Osservatore.

A questo punto sembrerà che inizio e fine coincidano: che importanza
ha quello che mi accade se io sono già stabilizzato nella posizione
dell’osservatore? Il problema sta nel fare in modo che si passi
definitivamente e spontaneamente dall’osservatore di cose, fatti e
misfatti, all’osservatore puro: alla contemplazione di Dio o alla pura
consapevolezza di Sé. Cioè all’annullamento di qualsiasi differenza di
io e tu e di qualsiasi diffidenza o paura che ne deriva.

Occorre perciò che la nostra pratica spirituale sia fonte di coraggio,
non di ulteriori timori. Il coraggio sublime è la fiducia, non negli
altri, non in qualcuno, non in una idea, non in un modello: la fiducia
deve provenire dalla costante meditazione dell’Unità del divino,
dell’unità tra Realtà e Dio, in cui l’unica componente estranea sono
le divisioni e le paure sovrapposte dal comune pensare. Chi ha Dio nel
cuore non cade. Ecco perchè un cattivo maestro vale come uno buono, se
la coscienza è saldamente concentrata sulla Realtà Divina, se si è
totalmente innamorati di essa.

E’ impossibile, si dice, truffare un uomo onesto. Perchè la coscienza
sia così saldamente protetta e inattaccabile dalle malvagità che
irrompono nel mondo della vita religiosa, come in ogni altra
iniziativa umana, la sola difesa certa è la purezza. Non precipitate
nella fretta di raggiungere degli obiettivi; una purezza superiore,
dove decadano anche i gradi di discriminazione tra puro e impuro verrà
a suo tempo e con i costi esistenziali relativi. Probabilmente c’è
tempo e ci sarà modo. Osservate attentamente le piccole incrinature
del vetro della mente da cui potrebbe penetrare l’inganno, ovvero
l’auto-inganno. Si identificano in due grandi gruppi: la paura di
soffrire e il desiderio di soddisfazione.

Queste sono le battaglie da vincere per raggiungere una coscienza
davvero limpida, capace di contemplare Dio in ogni frangente della
vita, persona o cosa. In questo momento storico è particolarmente
difficile combattere le istanze della paura e del desiderio, per le
sollecitazioni continue a desiderare e a temere.

Ma forse la saturazione che alcuni provano, il desiderio di vivere
diversamente, possono guidare fino ad un certo punto, almeno oltre la
paranoia e il superfluo. Poi occorre sciogliere quelle convinzioni che
ci fanno credere di essere soggetti di un diritto/dovere alla paura e
al desiderio – così che si possa cominciare a guardare la propria vita
liberamente, cioè con vero distacco dai frutti, dal bene e dal male
che ne ricaviamo.

Se c’è un pericolo nella nostra storia spirituale è costituito dalla
debolezza e dal menefreghismo con cui ci trattiamo, trattiamo noi
stessi, inettitudine che ci porta a ritrovarci “vittime” di
circostanze avverse, persone o fatti. Ci sono dei prerequisiti, ben
noti, che Shankara indicò per stabilire chi è idoneo a sostenere un
cammino spirituale, senza mettere nei guai se stessi e gli altri, e
sono: discriminazione tra reale e irreale, distacco dai frutti,
possesso delle seguenti qualità: mente calma (sama), autodominio
(dama), raccoglimento interiore (uparati), perseveranza (titksa) fede
(sraddha), stabilità mentale (samadhana), aspirazione alla
Liberazione.

Questi principi si devono considerare con la massima attenzione e
impegno. Con il possesso di questi criteri si può affrontare molto, o
tutto, restando sostanzialmente indipendenti, cioè non-dipendenti
psicologicamente e moralmente, perfino servendo nelle condizioni più
umili, anche nelle circostanze più difficili da controllare. Il
conseguimento di questi requisiti occupa una parte prevalente del
cammino spirituale.

Si cade in inganno quando si crede di potersi permettere un condono
sul proprio impegno, dove si vuole avere tutto subito a basso costo o
a costo zero. Come nella vita, qui scatta il pericolo della truffa.

Ma tutto ciò che sentiamo necessario va sperimentato con fiducia.

La strada non è razionale, non percorre i limiti del perbenismo e del dualismo.

Quando un’istanza si presenta, se ne colga l’opportunità, finché anche
questa si riesca ad integrare nella Unità del Reale, nel suo continuo
discorso, nella istruzione ininterrotta che ci rivolge e che qualcuno
ha giustamente definito Amore. Si può cogliere l’opportunità di
imparare e di liberare energie in qualsiasi circostanza – il centro e
il perno del gioco siamo noi, è la coscienza che ci anima- e perciò
diciamo che qualsiasi cosa può essere uno strumento di Dio.

Si tema solo la propria incertezza, la pigrizia mentale, il
disimpegno, questi sono i veri truffatori dello spirito. Qualsiasi
cosa ci dia l’opportunità di recuperare una parte del nostro sapere,
dell’energia spirituale che normalmente rimane assopita a macerare
nell’ombra, apprezziamo e ringraziamo questo evento, sotto qualsiasi
nome o forma si presenti.

Beatrice Polidori


(Fonte: Turya - http://blog.visionaire.org/)

Se la civiltà islamica aiuta la società...


La lettera di un lettore cristiano al quotidiano “Il Giornale”, pubblicata il 10 luglio 2016.
La lettera a  “Il Giornale”, pubblicata il 10 luglio 2016.
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L’avevo messa da parte, poi momentaneamente smarrita, poi ritrovata.
E’ una lettera scritta  a “Il Giornale”.
Che dice che l’Islàm “attrae” perché valorizza, molto di più di ogni altra religione o ideologia, l’importanza della solidarietà e della coesione sociale. Ed è una ulteriore dimostrazione che quando una realtà è evidente, è visibile indipendentemente dalla religione che si professa. Basta essere intellettualmente onesti.
Ecco il testo integrale:
Spesso mi son posto criticamente verso alcune posizioni assunte nei paesi islamici, che non tengono conto dei diritti delle donne e della libertà individuale. Ma forse lì la condizione femminile gode di maggior rispetto umano, sia pur nelle ristrettezze dell’espressione formale; altrettanto dicasi per le dignità personali godute nella vita sociale, ove è più sentita la regola del rispetto reciproco e dei valori condivisi. Insomma nell’islam la società è poco “libertaria” ma l’uomo comune vive in un ambito comunitario più rispettoso dei rapporti umani. La gente si converte all’islam perché si sente socialmente più protetta e sviluppa una maggiore solidarietà interna, un po’ come succedeva ai cristiani della prima ora. Questo dovrebbe far meditare i preti cattolici ed i nostri sociologi e politici che ormai si interessano solo agli aspetti “economici” del benessere…”
Paolo D’Arpini, Treia (Macerata)