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Il troppo stroppia - La devianza genetica americana



Perché gli americani sono obesi e incapaci di limitare le spese? E perché sono infelici? È colpa della storia. E di un gene. Un libro al centro delle polemiche. Colloquio con Peter Whybrow di Andrea Visconti.

L' America è un esperimento genetico che ha portato a una selezione della specie. È un 'affermazione azzardata che avrebbe un sapore razzista se fosse avanzata da membri del Ku Klux Klan, o da seguaci di un gruppo neonazista. A sostenerlo invece è Peter Whybrow, un 64enne tranquillo neurobiologo britannico trapiantato negli Stati Uniti da trent'anni, con una solida carriera universitaria alle spalle. Secondo lo studioso esiste il "gene dell'immigrazione" dal quale deriva un maggiore individualismo, il senso dell'avventura, la propensione al rischio e la ricerca del nuovo. Nel suo libro "American Mania", uscito negli Stati Uniti poco fa, e che ha suscitato polemiche e clamore, Whybrow non si limita a osservare lo spirito migratorio degli americani, ma spiega che la confluenza di due elementi - una popolazione in perenne movimento e le nuove tecnologie che esasperano l'individualismo - distruggerebbe il senso di comunità e porterebbe a un insaziabile bisogno di consumare. Il risultato è un'ansia e un'insoddisfazione che stanno raggiungendo, negli Usa, livelli maniacali.


"L'espresso" ha incontrato lo studioso a Los Angeles, all'Istituto di neuroscienza e comportamento umano presso la University of California. Whybrow è un uomo affabile e sorridente che ancora non ha perso il suo inconfondibile accento britannico. Eppure quando parla degli Stati Uniti dice "noi americani"


Professor Whybrow, che cos'ha di unico il carattere del popolo americano?
«Siamo il risultato di una selezione della specie. Solo il due per cento della popolazione della Terra emigra. Il rimanente 98 per cento vive e muore a non più di 80 chilometri da dove è nato. In America, invece la maggior parte delle persone vivono molto lontano rispetto alla loro città di origine. Non parlo solo dei nuovi immigrati, ma degli stessi americani che si trasferiscono da una città all'altra. Per questo motivo la nostra energia è differente da quella nel resto del mondo e così pure il nostro ottimismo e la nostra creatività. Siamo un esperimento culturale ma anche genetico».


Cioè esiste iI gene della migrazione?
Stiamo cominciando a scoprirlo. Se osserviamo le migrazioni antiche scopriamo che nei popoli che sono migrati più lontano i recettori della dopamina erano differenti. Questi recettori (che in termini neurologici chiamiamo alleli) hanno a che fare col senso del rischio e col desiderio di novità. Ma la cosa straordinaria è che questo stesso gene è presente anche in persone che soffrono del cosiddetto Add, cioè del disturbo dell'attenzione dovuto all'iperattività.


Un disturbo che ha effetti negativi sulla capacità di concentrazione...
"Soffrire di Add quando si è in classe e si dovrebbe seguire la lezione di storia o matematica è un problema. Ma quando si è in fase migratoria e ci si trova davanti a una montagna senza sapere cosa ci sia dall'altra parte, diventa un vantaggio perché entra in gioco la curiosità, il bisogno di novità e scatta un meccanismo di sopravvivenza. Non è un caso che la Add sia più comune negli Stati Uniti che altrove.


C'è un collegamento fra iperàttivismo, accelerazione della vita e mobilità?
Le nuove tecnologie hanno stravolto il modo in cui viviamo e non ci siamo abituati. La nostra esistenza è diventata molto più faticosa. Stiamo passando dalla fase in cui la tecnologia ci rende euforici perché ci permette di muoverci con leggerezza e il tempo sembra non avere più importanza alla fase in cui lo sgretolamento della comunità ci sta facendo sprofondare nel maniacale.

Sembra un messaggio allarmista: anziché essere l'uomo che controlla la tecnologia è la tecnologia che controlla l'uomo.
«lo vedo un enorme rischio quando la tecnologia si fonde con questo carattere genetico degli americani: stiamo perdendo i freni sociali essenziali che consentono a una comunità di funzionare. Per spiegarmi devo tornare ad Adam Smith che nel 1776 scrisse  "La ricchezza delle nazioni", un testo fondamentale di economia, benché Smith non fosse un economista. Era professore di filosofia a Glasgow, impegnato a spiegare i compottamenti degli esseri umani nel '700. Aveva identificato l'esistenza di un equilibrio spontaneo fra individuo e società, con un meccanismo di autocorrezione, soprattutto in presenza di mercati ristretti. Secondo lui era l'esistenza di piccole comunità, caratterizzate da legami sociali molto stretti, a creare i freni che ponevano limiti all'iniziativa individuale».


Smith non prevedeva la globalizzazione...
«Il suo modello di equilibrio spontaneo non funziona nei mercati attuali. Grosse catene di vendita diventano dominanti in piccole comunità che un tempo erano compatte. È quello che sta avvenendo con WalMart, il gigante della distribuzione che tiene lontano il sindacato, paga i dipendenti meno del minimo salariale e in questo modo espande il suo mercato costringendo i piccoli negozi a chiudere. I privilegi che Wal-Mart nega ai suoi dipendenti non sarebbero utili solo agli individui, ma avrebbero anche una funzione sociale. In America tuttavia chi reinveste nella società non viene ricompensato. E questo dimostra che la direzione che abbiamo preso come nazione è sbagliata. Siamo il paese più ricco al mondo eppure il numero di persone ansiose e depresse è raddoppiato negli ultimi vent'anni. Nel 2004 abbiamo speso complessivamente 36 miliardi di dollari in prodotti o servizi per rilassarci. Inoltre il 70 per cento della popolazione maschile è sovrappeso».
 

Cosa c'entra l'obesità con Adam Smith, i freni sociali e lo spirito migratorio degli americani?
«Anche nel mangiare abbiamo perduto i freni. Non sappiamo più determinare quando siamo sazi: lavoriamo tantissimo, siamo concentrati su quello che dobbiamo fare e mangiamo automaticamente e in fretta. Da McDonald's il pasto medio è consumato in 11 minuti. E questa frenesia si manifesta in tutto. Il gene della curiosità e dell'avventura, mescolato con l'individualismo sfrenato della tecnologia e senza più freni sociali, scatena una dinamica di consumo senza limiti che nel periodo iniziale dà una sensazione di euforia. Vogliamo guadagnare sempre di più, vogliamo una casa sempre più grande e oggetti sempre più numerosi e costosi. Ma l'eccesso porta alla sensazione opposta: la distrofia. È un'alterazione dell'umore che si manifesta con sensazioni di agitazione o vero e proprio malessere. L'accelerazione disorganizzata si trasforma in "comportamento maniacale belligerante". Superata la fase dell'euforia siamo giunti a una nuova forma di deprimente esistenza frenetica".


C'è una via d'uscita?
Come neuroscienziato mi limiro a suonare il campanello d'allarme non solo in America ma anche in Europa dove ci sono i presupposti perché si creino le stesse dinamiche degli Usa».


Fonte: Espresso del 4 agosto 2005

Messaggio subliminale: "Il cambiamento succede con la fantasia...."



L’uomo in questo ultimo secolo è divenuto il peso più grande per il pianeta  Terra, siamo troppi  ed inquiniamo tremendamente e rubiamo spazio al selvatico. Tutto ciò  è innegabilmente vero, non posso però proporre soluzioni finali e sperare nell’armageddon, come molti illusi fanno, per risolvere il problema  del mantenimento di una civiltà umana degna di questo nome.    

Nell’ecologia profonda si indica sempre  la condizione presente come base di partenza per il successivo cambiamento o riparazione….  considero però che questa società non potrà durare a lungo ed è bene che vi siano delle “nicchie” di sopravvivenza, dalle quali ripartire con nuovi paradigmi di civiltà in cui mantenere un equilibrio fra uomo-natura-animali (dice una poesia: o si salvano o si perdono insieme).   

Anche se non è attualmente il mio compito specifico quello “di salvare il mondo” (”sed ab initium”)  sento che è giusto evocare questa necessità.  Siamo sul filo del rasoio e solo la vita potrà indicarci la direzione, al momento opportuno. L’idealismo non serve a nulla!  Non vorrei esprimermi come il  papa di una nuova religione,  non ho  assunto delle regole e dei comandamenti,  le mie lettere son solo proiezioni di pensiero, aggiustamenti mentali per individuare nuove vie di uscita. Infatti a che servono i “principi” nella vita quotidiana, nella sopravvivenza quotidiana del giorno per giorno, salvando il salvabile senza rinunciare alla propria natura?….

L’umanità  è subissata da annotazioni, riciclaggi, informative di ogni genere e tendenze da riempimento del vuoto (come fossimo circondati da tanti animali da compagnia)…  Ed io  son costretto ad una cernita “censurante”, anche se non amo usare questa parola…. talmente tante sono le informazioni fasulle che ricevo nel continuo bisbiglio telematico.  In effetti il problema di internet è proprio l’eccesso informativo che diventa futilità, per questo mi piace l’idea della lettera non lettera, dell’esserci e non esserci, di  trasmetterti  pensieri e sentimenti in cui non vi sono aspetti analizzati e “assunti”.

L’altro ieri, ad esempio, parlavo del culto degli antenati in Cina e dello scollamento sociale e familiare e stamattina al bar ho velocemente seguito una trasmissione televisiva che diceva esattamente le stesse cose….

Vorrei ora raccontarvi una storiella,  cerco di essere breve.  Una volta in una società futuribile in cui tutto era informatizzato e meccanico, un funzionario che si era stufato del solito tran tran  inutile e del vuoto migliorismo ottimizzatore di una società quadrata, chiese di essere trasferito  dal suo livello relativamente alto di attività ad un livello più basso, quello dei lavori manuali. Così fu mandato come operaio addetto alla manutenzione delle strade e lì iniziò per lui una nuova vita, un contatto diretto con le cose che prima non conosceva. La fatica era tanta e non c’erano soddisfazioni o riconoscimenti e spesso i suoi colleghi di lavoro erano  persone che non vedevano più in là del loro naso. Egli notò che c’era un grande spreco di mezzi dovuto al fatto che non ci si prendeva dovuta cura degli attrezzi che spesso venivano lasciati sporchi a fine lavoro o sotto la pioggia. Nella guardiola dove lui dormiva c’era anche lì un computer, ovviamente era tutta informatizzato, come dicevamo prima, ed egli notò che c’era una voce fra le varie nello schema preformato in cui  inviava il riporto giornaliero alla centrale  che diceva “suggerimenti”, ovviamente era una voce quasi inutile in quanto nessuno leggeva i suggerimenti di un manovale, ma lui cominciò  scrivere i suoi appunti sullo spreco di mezzi dovuto all’incuria, e siccome ormai era tutto gestito da un computer centrale e gli amministratori ed i politici si basavano su quanto indicato in esso per governare al meglio il mondo (una sorta di ”Gallup” proiettivo delle informazioni), quando il computer centrale iniziò a dare indicazioni sulla necessità di prendere dovuto cura degli attrezzi pena la perdita di risorse preziose….. iniziò un processo a catena in cui quello che saggiamente di volta in volta veniva consigliato dal nostro uomo qualunque, passando dal computer centrale,  veniva recepito dal governo mondiale e  le “sagge ragioni” sulla gestione delle risorse divennero pian piano elementi di un congegno per il cambiamento della  società….           
E’ solo una favola? Chissà…..?

Paolo D’Arpini



La distrazione su internet - Comunicare... è possibile?


Ecco, in effetti debbo anticipare che sono un internet-handicappato, a malapena so inviare e ricevere email, per me è più che sufficiente.  Il mio amico Roberto Caivano mi disse un giorno  “tu non vuoi usare internet perché fa parte del tuo personaggio…” 
No, non ho alcun personaggio  al quale condiscendere, faccio quello che posso fare se mi viene…. In verità percepisco il pericolo della dipendenza da computer, usando questo mezzo per scrivere e comunicare si tende a chiudersi in una specie di bozzolo, un nodo mentale in cui entra solo ciò che è virtuale (quello che ti ritrovi davanti sullo schermo). 
Certo di tanto in tanto subentra qualcosa che ti richiama alla realtà fisica, un prurito, una commissione da svolgere, il caminetto  da rinfocolare d’inverno e le zanzare da scacciare in estate,  “le distrazioni” non mancano e mi chiedo, facendo un paragone con il passato, se anche scrivendo a penna mi sentissi così assorto da tralasciare -a volte- la realtà fisica. Sì, era così, anche scrivendo a penna, forse ancora più forte era l’assorbimento, perché non si poteva correre il rischio di perdere la frase,  “quella”  frase  (che gira e rigira è sempre la stessa) che è  “la quintessenza della comunicazione, lo sbrodolamento dell’esprimersi, l’orpello dell’allocuzione”….. Quando ti esce una frase così come puoi fermarti a comunicarla  ad un solo utente, sia pur esso un amico del cuore. Non si può mandar sprecato un simile capolavoro!
Il desiderio d’irradiare  “quel pensiero” non è una mia invenzione, ci hanno provato già  molti prima di me: poeti, guitti, romanzieri e affabulatori.  Va da sé che mi venisse voglia, anche quand’ero giovanissimo e studente (e a malapena ci azzeccavo -come ora- in grammatica)  di scrivere più copie dello stesso pensiero  da spedire a varie persone a mo’ di lettera amichevole. Bastava cambiare qua e là una parola, un  nome,  ed il gioco era fatto. Potevo stare soddisfatto che quel messaggio avrebbe raggiunto e “toccato” più persone (soprattutto donne, giacché non va bene sprecare l’arte poetica per una sola). Ed ora cosa vedo? 
Questo stesso metodo da me adottato in gioventù, che perlomeno mi permetteva di esercitarmi in calligrafia,  è esattamente il modo comunicativo di internet. Le email solitamente non son altro che un continuo riciclaggio di parole riassemblate e rispedite a tanta gente (in circolo). Alcuni sono destinatari ufficiali (A), tal altri condivisori ufficiosi (CC) ed i più, la gran massa,  fruitori innocenti della protervia espressiva,  sono gli innominati a cui si rimanda il messaggio di traverso, la  ”exibition… velata” (CCN).
“Mi vergogno (ma lo accetto) lo faccio di solito tutti giorni e forse più volte al giorno, padre mi perdoni questo peccato..?”. “Tranquillo figliolo (tanto lo abbiamo fatto tutti) ripeti tre Pater Noster, 3 Ave Maria e 3 Gloria Patri e sarai perdonato!”.
Ma allora anche nella penitenza, tesa all’affrancamento, c’è ripetitività?
Infatti un’altra cosa che ho appreso  in questi anni telematici è che la gente legge su internet ma non legge,  ovvero ha sentore di un qualcosa  ma non sa né dove né come né quando… si svolge.
Quindi,  prima di tutto, occorre sviluppare l’attenzione e la concentrazione se si vuole poi essere in grado di poter ritrasmettere.

Paolo D'Arpini

Oltre il visibile - Prima e dopo l'esistere, io sono?


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Parlando  con Paolo  spesso viene  fuori un argomento: se della coscienza DI UNA PERSONA, alla sua morte, rimane qualcosa.
Sono cresciuta in una famiglia in parte religiosa, in parte atea: mia nonna era la bigotta (in senso buono), che mi parlava del peccato e mi sgridava se portavo i pantaloncini troppo corti e guardavo i ragazzini o se mi toccavo lì…. mia madre che non era né particolarmente credente né praticante, diciamo che era una “credente di comodo”, cioè quando ne sentiva il bisogno, si rivolgeva a Dio per un aiutino o per un sollievo, mio padre è sempre stato ateo e non voleva neanche sentir parlare di Dio, anima o cose simili. A volte l’ateismo è un’ideologia, una fede peggiore delle fedi in qualche religione, ora lo capisco.
Caratterialmente assomiglio a mio padre e da lui ho assorbito questa visione, un po’ mitigata dal resto del contesto; sono stata anche a scuola dalle suore per tanti anni ma con quel che raccontavano loro ci sarebbe stato da diventare atei anche non volendolo: peccato, peccato e ancora peccato! 

Ma la mia religiosità anche da ragazzina ancora incanalata nella chiesa, aveva un anelito di libertà: ogni tanto entravo senza nessuna ragione apparente, in chiesa, specialmente a Treia e lì cercavo me stessa. Difficile trovarsi però quando si ha un carattere come il mio, debole, insicuro, che per amarsi deve sentire l’amore da parte dell’altro e quando questo amore altrui è carente si fa di tutto per attirarlo, pena una scarsa considerazione di sé, una auto-svalutazione. Ma questo meccanismo da origine ad un circolo vizioso: addirittura durante una seduta di psicoterapia, 30 anni dopo, la mia terapeuta mi disse: “lei non ama chi la ama, perché secondo il suo intimo, se qualcuno la ama quel qualcuno non ha valore”.

Poi ho incontrato Paolo che il primo giorno anzi nella prima ora mi disse: “ognuno è perfetto già così com’è, sei già perfetta come sei, basta solo scoprirlo (come sei)”. E così da allora mi auto-osservo, quando non sono distratta ed in altre faccende affaccendata (e quindi spesso), imparo a non giudicarmi, imparo a togliere gli orpelli che mi sono portata dietro per una vita, cercando di piacere a me stessa ed agli altri. Perché, pensavo, “se gli altri non ti amano, non ti cercano, ti rifiutano, ti abbandonano vuol dire che c’è qualcosa in te che non va”, senza considerare che sono già questi pensieri, pur se inconsci, che ti portano ad avere un atteggiamento anche falso che invece di attrarre, respinge, fa “repulsione”. Allora, gratto, levo, raschio, tolgo, elimino… il corpo resta, quello si, ma di non concreto, togliendo togliendo… cosa resta? 

Ricordo di aver provato anche paura all’inizio. Pensavo (la mente che sempre ci da un “aiutino” in negativo): “Se tolgo tolgo, alla fine cosa resta? Non è che resterò VUOTA? Non è che non avrò più una personalità un carattere delle idee delle passioni dei gusti…. e come mi passerò il tempo se non avrò più da pre-occuparmi di questo e di quello? e cosa racconterò agli altri di ME? (Sempre questa preoccupazione di non piacere…). 


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Ed infatti è vero, magari non ho più tante cose da dire da fare agli altri o con gli altri ed ho (di nuovo) anche nuovamente sofferto per una sorta di abbandono, di allontanamento da parte di alcune persone per le quali forse non avevo più l’appeal di prima quando mi prestavo a “piacere” senza pensare se quel che di me piaceva ero la vera ME.

Comunque a forza di togliere non è vero che non resti nulla….. scopro ancora una persona, un essere, capace di sentire, di percepire più vividamente colori, odori, sentimenti, sensazioni, gioie e dolori lasciando arrivare il tutto e lasciandolo andare, così come è arrivato, senza attaccarmici per sentirmi meno vuota, più ricca. Non sento il bisogno di nessuna ricchezza, potrei essere quella santa che girava nuda...  che emozione! 

Oppure quell’anima che abita un corpo che le è stato dato o che lei si è scelto, che a volte prova piacere, a volte stanchezza, a volte dolore e a volte queste sensazioni durano a lungo a volte solo un istante e chi lo sa quanto a lungo ancora le potrò provare. 

Ma l’anima esiste? O è quella cosa che sempre Paolo nomina (e che a me a volte fa arrabbiare perché non riesco a capire, ma cosa c’è da capire?) ovvero  la PURA CONSAPEVOLEZZA!… che non è la stessa cosa dei PENSIERI.  Ma  se i pensieri sono energia e se la materia è energia e se nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, allora anche quell’energia che è nei nostri pensieri, che è nella nostra coscienza, neanche lei si distrugge, ma si trasforma. 

E quando moriamo? dove va a finire questa energia che è la coscienza, i pensieri? Il corpo si decompone o viene bruciato (e sviluppa energia), i pensieri dove vanno a finire? C’è un contenitore anche per questa energia? C’è una trasmissione da coscienza a coscienza, forse anche da mente a mente? La specie umana ma non solo a cosa deve la sua evoluzione se non a questa trasmissione, che sarà pure in parte “culturale”, conoscenza acquisita e tramandata grazie all’uso della scrittura e dei mezzi di comunicazione, ma cos’è che spinge l’uomo a fare questo se non l’anelito a scoprire cosa c’è OLTRE IL VISIBILE?

Caterina Regazzi